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Passando ad una rapida revisione dei metodi di stima del tiro pre- senti in letteratura, iniziamo con i metodi statici, così come definiti nel paragrafo precedente. Non si tratterà, necessariamente, di una recensione esauriente della ricerca in materia (anche perché manca oramai poco a dover consegnare questa tesi), quanto piuttosto del tentativo di presentarne i meccanismi di funzionamento generali.

Tutti i metodi statici sono basati su legami analitici tra lo sforzo as- siale in una catena e la sua deformazione trasversale sotto carichi, per l’appunto, statici. Conoscere della deformazione assiale permetterebbe ovviamente una stima più diretta del tiro, ma l’unico modo per otte- nerla sarebbe attraverso prove distruttive, come quelle di rilascio, che non sono trattate in questo lavoro in quanto applicabili esclusivamente nei casi in cui le catene siano da sostituire.

Come è noto dalla scienza delle costruzioni, in un elemento ret- Legame analitico tilineo sforzo normale e deformazione sono disaccoppiati finché si

trascurano gli effetti del secondo ordine, ovvero finché l’equilibrio del sistema viene imposto nella sua condizione indeformata. Anche se ogni pubblicazione sembra volere a tutti i costi utilizzare un’espressio- ne diversa, il legame tra tiro e deformazioni può essere facilmente rica- vato attraverso l’integrazione dell’equazione della linea elastica, scritta per l’appunto guardando alla configurazione deformata della catena. Consideriamo per esempio lo schema di Figura 2.6, rappresentante un tratto infinitesimale di catena, scarico3. Imponiamo l’equilibrio in modo da ricavare un’equazione differenziale che leghi insieme le quantità in esame.

Figura 2.6: Tronco infinitesimo della catena, in condizione deformata; caso statico.

3 Le prove con metodi statici sono solitamente effettuate con carichi concentrati, per cui considerare la catena scarica permette di ottenere un’equazione valida per i tratti tra un carico e – eventualmente – l’altro. Non viene considerato il peso proprio in quanto la configurazione iniziale di riferimento è quella della catena già deformata a causa di esso.

Dall’equilibrio alla traslazione orizzontale e verticale si ottengono, rispettivamente:

dN = 0, e dV = 0, (2.2)

ovvero sforzo normale e taglio costanti lungo la linea d’asse. Imponen- do poi l’equilibrio alla rotazione, per esempio intorno al baricentro della sezione di estrema sinistra, si ottiene:

dM(x)

dx − V(x) + N(x) dv

dx = 0. (2.3)

Qui, e nel seguito, si indicano: con N(x) lo sforzo normale nella sezione di ascissa x, positivo se di trazione; con V(x) e M(x) rispettivamente il valore del taglio e del momento flettente in tale sezione; con v(x) il valore dello spostamento trasversale.

Dopo pochi passaggi, e facendo ricorso ai legami costitutivi e di congruenza, si ottiene la seguente equazione differenziale ordinaria e omogenea del quarto ordine:

vIV(x) −N(x) EJ v

′′(x) = 0 (2.4)

dove, oltre ai simboli già visti, EJ è la rigidezza flessionale della catena. Per un singolo carico concentrato, trasversale, imposto in corrispon- denza dell’ascissa a su una catena di lunghezza L, sarà necessario integrare tale equazione differenziale due volte, una volta per il tratto (0, a)ed una per il tratto (a, L). L’integrale generale si presenta nella forma4:

v(x) = C1cosh(nx) + C2sinh(nx) + C3x + C4, (2.5) dove C1,..., C4 sono costanti di integrazione ancora da determinarsi, e n2 = N/EJ. A questa soluzione, o meglio alle due soluzioni scritte Condizioni al

contorno: i vincoli di estremità e i carichi imposti

per i due tratti scarichi della catena, sono da aggiungersi le condizioni al bordo e quelle interne. È in questa fase che entrano in gioco le condizioni di vincolo, in quanto il valore del momento flettente alle estremità può essere legato, per esempio, alla rotazione della sezione attraverso una costante elastica. È il modo in cui viene descritto un modello della catena del tipo raffigurato in Figura 2.3c. Sempre in questa fase entra a far parte del problema analitico il valore dei carichi imposti alla catena. In generale, l’equazione differenziale, integrata con le apposite condizioni al contorno, esplicita un legame tra gli spostamenti trasversali della catena (misurabili), il suo tiro e i gradi di vincolo (incogniti), ed i carichi imposti (che sono, appunto, imposti). Come già detto, autori diversi formulano il problema analitico in maniere leggermente differenti, scegliendo la forma che meglio si adat- ta alla loro esposizione. Piuttosto che soffermarsi su questo punto, è

interessante indagare le differenze pratiche tra i metodi proposti: quali ipotesi vengono fatte riguardo al modello, e perché? Quante e quali misure sono richieste per caratterizzare una catena? Qual è il grado di accuratezza registrato, se è stata fatta una validazione sperimentale?

Sembra corretto citare per primo il lavoro di Urbano (1967). L’autore Urbano, 1967: metodo statico parte da un risultato di Belluzzi (1960), ovvero dalle espressioni della

freccia di una trave sottoposta ad un carico concentrato P in mezze- ria, per il caso di trave semplicemente appoggiata e quello di trave doppiamente incastrata. Una volta misurata la freccia, si potrà senza dubbio concludere che il tiro sia compreso tra un valore superiore ed uno inferiore corrispondenti ai due casi. Urbano osserva anche come l’errore commesso con questa semplificazione, pari mediamente a metà della distanza tra i due valori, diminuisca con l’aumentare del tiro per via della ridotta influenza della rigidezza dei vincoli, come mostrato in Figura 2.7. Per il metodo proposto dal suo articolo, questo effetto può essere esplicitato mostrando come il rapporto tra la freccia per il caso di semplice appoggio e quella per il doppio incastro sia proprio direttamente proporzionale alla radice quadrata del tiro.

Figura 2.7: Andamento dell’errore di stima che si commette con il metodo statico proposto da Urbano (1967) all’aumentare del tiro nella catena.

Vari anni dopo, Beconcini (1996) propone un metodo pratico per Beconcini, 1996 la determinazione del tiro nelle catene che fa uso di sole misure di

spostamento trasversale, e che permette di considerarne un numero superiore a quello delle incognite inserendole in un processo di otti- mizzazione, in modo da ridurre l’influenza degli inevitabili errori di

misura e aumentare la precisione della stima. Il modello a cui ci si rife- risce è quello di una trave di Eulero-Bernoulli, vincolata alle estremità da cerniere di costante elastica ignota e potenzialmente differente.

Si prescrive la misura di tre spostamenti trasversali, in mezzeria e ai quarti della catena, conseguenti all’applicazione separata di carichi di piccola entità in corrispondenza delle stesse sezioni. Le misure ottenute vengono paragonate con valori teorici calcolati attraverso una formulazione simile a quella sopra citata, e vengono ricercati i valori del tiro e delle costanti elastiche dei vincoli che permettono di minimizzare la somma dei quadrati degli scarti tra quantità reali e teoriche.

Il metodo viene convalidato attraverso misure di laboratorio su tre esemplari di catena di dimensioni diverse, e l’articolo riporta del suo utilizzo durante una campagna di sperimentazione in situ su catene dalle caratteristiche comparabili. I pesi applicati come carico trasversa- le sulle catene sono dell’ordine di grandezza di qualche decina di kg. L’articolo parla di errori assoluti e non relativi sulla valutazione del tiro, che però nell’opinione dell’autore sono sufficientemente ridotti rispetto al valore di esso. Non sono riportati i valori ricavati per le costanti elastiche di estremità.

In un articolo molto citato del 2001, Briccoli Bati e Tonietti propon- Briccoli Bati e

Tonietti, 2001 gono un metodo statico per la misura del tiro nelle catene che, oltre ad essere applicabile senza conoscere né la lunghezza effettiva né le effettive condizioni di vincolo, permette di tenere conto anche del- l’incremento di sforzo assiale generato proprio dall’applicazione del carico trasversale ai fini della prova. Considera un tratto parziale della catena e prescrive la valutazione degli spostamenti trasversali anche in corrispondenza delle sue estremità. Procedendo in questo modo rende ininfluente, ai fini del calcolo, la natura dei vincoli, rinunciando però anche ad una loro caratterizzazione.

Praticamente, gli autori prescrivono una singola prova di carico statica, con l’applicazione di un carico in mezzeria e la lettura di tre coppie di estensimetri (all’intradosso e all’estradosso della catena) e di tre comparatori per lo spostamento trasversale, in tre posizioni lungo l’asse della trave. Lo schema di prova è rappresentato in Figura 2.8.

Queste misure permettono di ricavare il valore del tiro in forma chiusa, con una formula che si riporta qui solo per dare un’idea della sua semplicità, rimandando all’articolo in questione per un chiarimento sul significato dei simboli:

H = a

( ¯M

C′−M¯B′) + b′( ¯MC′−M¯A′) − Pa′b′ a′(wB′− wC′) + b′(wA′− wC′)

− ¯∆H

Il metodo permette di ricavare il valore del modulo di Young, cosa che secondo gli autori potrebbe essere utile lavorando sull’edilizia storica, ma richiede per farlo di ripetere la prova con un carico diverso, ottenendo così una seconda equazione da risolversi per E.

Figura 2.8: Posizionamento della strumentazione per il test statico proposto da Briccoli Bati e Tonietti (2001).

La valutazione forse più interessante proposta nell’articolo in esame, Incremento del tiro a causa del carico trasversale ai fini di questa tesi che si concentra sui metodi dinamici, riguarda

l’incremento di sforzo normale nella catena generato con l’applica- zione del carico durante la prova. Grazie all’uso degli estensimetri, gli autori hanno valutato l’entità relativa di tale incremento rispetto al valore del carico assiale imposto durante prove di laboratorio per testare il metodo. A seguito dell’introduzione di carichi comparabili al peso proprio della catena, hanno registrato variazioni tra lo 0% ed il 34%, rapidamente decrescenti con l’aumentare del tiro. Un esempio dei grafici prodotti nell’ambito di tale ricerca è riportato in Figura 2.9.

Figura 2.9: Incremento del tiro in una catena di prova di diametro 20mm e lunghezza 233cm, in funzione del tiro preesistente. Immagine da Briccoli Bati e Tonietti (2001).

svantaggio dei metodi statici: la necessità di tenere conto, almeno per valori ridotti del tiro, del suo incremento dovuto alle condizioni di prova.

Procedendo avanti nel tempo, è del 2013 un articolo di Tullini che Tullini, 2013

presenta un altro metodo per la valutazione del tiro nelle catene con prove statiche, generalizzando un precedente lavoro dello stesso autore5. Con l’intento di poter essere utilizzato anche per elementi tesi diversi dalle catene, ad esempio componenti di una travatura reticolare, il metodo non fa alcuna supposizione in termini di vincoli di estremità, schematizzandoli attraverso due matrici di rigidezza 2x2 per rappresentare l’effetto di deformazioni assiali, trasversali e rotazionali sulle caratteristiche della sollecitazione in quel punto. Inoltre, come già accadeva col metodo proposto da Briccoli Bati e Tonietti, conoscere la lunghezza effettiva dell’elemento non è necessario.

Permette di ricavare una stima del valore del tiro attraverso la mi- sura di spostamento trasversale o curvatura in cinque punti lungo l’asse, specificando che, nel caso i sensori siano posti in corrispon- denza di mezzeria, quarti ed estremità della parte di trave (o catena) considerata, è possibile formulare una soluzione esplicita. Poter usare intercambiabilmente misure di spostamento o di curvatura, e dunque comparatori o estensimetri, rende notevolmente più flessibile il mo- dello, e semplifica il procedimento previsto da Briccoli Bati e Tonietti che invece richiedeva un totale di nove misure, utilizzando entrambi i tipi di strumento.

Si possono fare due osservazioni a questo lavoro, la prima riguardo Osservazioni al

metodo di Tullini

(2013) il suo uso per test sulle catene e la seconda riguardo le prove statichepiù in generale. In primo luogo, la scelta di modellare i vincoli in maniera il più possibile generica, fatta appositamente per contemplare la possibilità di scorrimenti longitudinali. Ignorarli è, per dichiarazione dell’autore, una "assunzione piuttosto restrittiva", a causa della quale negli altri metodi presenti in letteratura "la procedura regge a condizione che non ci sia alcuno spostamento [longitudinale] delle estremità della trave" (Tullini, 2013). Nonostante questo sia vero, la considerazione più importante e che non sembra essere stata affrontata riguarda l’effetto che ignorare tali eventuali scorrimenti avrebbe sulla verosimiglianza della stima del tiro, specialmente se confrontato con gli effetti delle incertezze sugli altri parametri.

Ciò detto, nelle conclusioni l’autore stesso descrive un altro degli svantaggi delle prove statiche: la necessità di causare sufficienti defor- mazioni nella catena, e di provvedere a misure in sezioni sufficiente- mente lontane lungo il suo asse. "Al contrario, se il carico verticale viene applicato in prossimità delle estremità della trave, o se la distanza tra i sen-

sori è piccola, gli errori [nella stima del tiro] aumentano significativamente" (Tullini, 2013).

Il problema della precisione richiesta alle misure di spostamento e curvatura nelle prove statiche è generale, e si manifesta tutte le volte che l’inflessione generata nella catena non è sufficientemente marcata, qualsiasi ne sia la ragione: l’imposizione di un carico troppo ridotto, il suo posizionamento lontano dalla mezzeria (possibilmente a causa di impedimenti pratici), il tiro o la rigidezza flessionale troppo elevati... A meno di non incrementare la precisione degli strumenti, l’unica opzione sembrerebbe essere l’aumento del carico imposto, ma si tratta davvero di una soluzione desiderabile, avendo a che fare con strutture storiche delle quali si sta proprio cercando di valutare l’integrità?

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