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Valutazione speditiva del tiro nelle catene con misure dinamiche

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Academic year: 2021

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carlo resta

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili dipartimento di ingegneria civile e industriale

Università di Pisa 06 Maggio 2019

relatori: Prof. Anna de Falco Ing. Giuseppe Chellini

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relatori: Anna De Falco Giuseppe Chellini

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Le catene sono tra i presidi più antichi e diffusi in edilizia. Il loro funzionamento dipende completamente dal tiro, solitamente incognito ma stimabile indirettamente attraverso una misura delle frequenze na-turali della catena. La ricerca portata avanti nell’ambito di questa tesi ha come scopo quello di adattare e perfezionare i metodi di stima del tiro esistenti, in modo da ottenere un protocollo speditivo che sia utile soprattutto nella pratica professionale. Tre sono i principali contributi proposti: in primo luogo, lo sviluppo di uno specifico software che permette di ottenere una soluzione approssimata del problema in ma-niera rapida; in seguito, l’introduzione e la validazione del microfono come strumento per la misura delle frequenze naturali della catena, fin’ora acquisite con accelerometri; infine, la creazione di un’apposita euristica per l’uso di microfoni di scarsa qualità (telefono cellulare), potenzialmente eliminando del tutto la necessità di apparecchiature specializzate, con un notevole risparmio economico e di tempo. Sono state condotte due campagne sperimentali di misurazione, presso la Certosa di Calcie il Palazzo Arcivescovile di Pisa, facendo uso del metodo proposto.

A B S T R A C T

Tie-rods are among the most ancient and widespread methods for controlling thrust in structures. Still, their effectiveness depends on their axial force, which is usually unknown. Despite numerous efforts from the scientific community, there is still a need for a simple, effi-cient and well-documented standard for its measurement, one that could be applied in common practise as well as it is in experimental work. During this master’s thesis an adaptation of existing methods is proposed, using natural frequency measurements to evaluate the axial force in a tie-rod, that possesses all aforementioned requirements and has been validated both via laboratory and in-situ testing. A technique for frequency measurement using a microphone is also introduced, that allows to reduce setup and testing time to just a few minutes, potentially eliminating the need for costly equipment as well. Two testing campaigns were carried out, on the tie-rods of the historical Certosa di Calci and the Palazzo Arcivescovile, in Pisa, using the proposed techniques.

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Almeno non metterli all’inizio. —Mia mamma

R I N G R A Z I A M E N T I

Ci sono tantissime persone che devo ringraziare per tutti i (troppi) anni di Università che finiscono con questa tesi. Tante persone che probabilmente non leggeranno mai, ma tant’è.

Comincio con voi, Giuseppe e Anna, così visto che vi siete sorbiti la lettura di tutto il resto (spero), se capitate in questa sezione non dovete per forza leggerla tutta. Grazie, perché siete stati tra i pochi, in questi 8 anni di corsi ed esami, a farmi appassionare a quello che facevo, e perché mi avete permesso di lavorare con amici, più che con professori. Non ho mai imparato così tanto, così in fretta e così volentieri.

Il lavoro dei relatori non varrebbe niente se non ci fossero dotto-randi, tesisti e altri schiavi ad affiancarli. Francesco, mi hai guidato nei luoghi dove battere, grazie. Emiliano, sei venuto a battere per me (e alla fine ti sei dimostrato il più bravo a battere), grazie. Gia-como, mi hai aiutato a capire perché battere, grazie. Buona fortuna a tutti. Spero che leggere queste righe abbia dato tanto fastidio a voi quanto ne ha dato a me scriverle. Ora comincio coi ringraziamenti seri. Amici delle superiori (e Paul in particolare, che conosco dalle me-die!): non so se vi abbia mai ringraziato veramente per tutto quello che ha significato, in questi anni e in quelli che li hanno preceduti, conoscervi. Grazie. Siete stati la cosa più bella e rara che un tredicenne potesse desiderare. E anche se dopo la maturità ci siamo visti di meno, è incredibile potervi incontrare a distanza di mesi e ritrovarci come ci eravamo lasciati.

A chi ho conosciuto all’Università, a Jacopo, Fabiana e Laura (e ancora a Paul del quale non sono riuscito a liberarmi) devo quasi tutto quello che sono riuscito a fare qui. In anni di trasformazione, siete stati la mia ispirazione e la mia guida, anche se ora leggendo farete spallucce e mi prenderete in giro. Grazie. Ora vorrei prendermi una birra con voi (e una tisana per Fabiana, che non beve), e fosse per me dovremmo tornare al primo anno, a saltare le lezioni per andare a Marina di Pisa e poi disturbare gli esami altrui (non ho idea di chi fosse il povero ragazzo, ma spero gli sia andata bene). Vi ho conosciuti troppo tardi, ma non cambierei niente.

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vorrei fare della mia vita, è merito soprattutto vostro. Siete stati la mia seconda famiglia, mi avete offerto persone da amare e mi avete fatto sentire amato. Jacopo, Antonio, Giulio, Giulia, Cri, Pana, Consiglia, Sofia, Eleonora, Andrea, Samu, Sandra, Mauri, Claretta, Erica, Lino, Vale, Elisa, Alessio, Marta, Matteo, Pasquale, tutti quanti e tutti quelli che mi sono dimenticato di scrivere qui: grazie.

Bea, averti incontrata è stato l’inizio di un nuovo capitolo nella mia vita. Un capitolo in cui devo stare attento a cosa mangio perché mi hai passato l’epatite e ora ho il fegato debole, ma in cui so di avere qualcuno accanto sia che la vita sia felice, sia che sia triste. Lontani o vicini che siamo, ti amo e non ti dirò mai, mai abbastanza cosa significhi per me.

Per tutta la mia famiglia: nonni, zie, zii e cugini. Siamo stati lontani e forse lo saremo sempre, ma siamo stati vicini quando era difficile. Da tutti ho ricevuto qualcosa, e per tutti avrei un desiderio, forte, di abbracciarvi. Soprattutto per quelli con cui non posso più farlo.

Mamma, hai scritto che per me non hai mai avuto paura. Io ne ho abbastanza, tutti i giorni, e avrei preferito che tu fossi restata ancora un po’ qui, per farmi sentire meglio. Ma il coraggio che trovo, quando lo trovo, me l’hai dato tu. E se ogni tanto sono riuscito a fare del bene, e tutte le volte che ci riuscirò in futuro, sarà sempre merito tuo. Grazie. Papà, Marino, come faccio a ringraziarvi? Sarete sempre la mia sicurezza, il mio conforto e la mia casa. Per voi no, non ho paura neanche io.

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i catene e tiro nelle catene

1 un’introduzione: le catene in edilizia 3

1.1 1400-1500 . . . 4

1.2 1600-1700 . . . 7

1.3 1800-oggi . . . 9

2 metodi sperimentali per la misura del tiro: lo stato dell’arte 17 2.1 Considerazioni generali . . . 17

2.2 Metodi statici . . . 27

2.3 Metodi dinamici . . . 33

ii stima del tiro da misure di frequenza 3 il metodo 47 3.1 Sviluppi analitici . . . 50

3.2 Misurazione delle frequenze . . . 55

3.3 Determinazione del tiro . . . 62

4 validazione con test di laboratorio 67 iii misurazioni acustiche 5 misure di frequenza con microfono 73 5.1 I setup . . . 74

5.2 Procedura di acquisizione . . . 77

5.3 Pulizia manuale del segnale . . . 78

6 utilizzo di dati da microfoni di scarsa qualità 83 7 validazione tramite confronto con accelerometro 87 7.1 Regressione ortogonale . . . 93

iv automatizzazione della procedura 8 software sviluppato 97 8.1 Fase 0: Librerie e funzioni di base . . . 97

8.2 Fase 1: Sviluppi analitici . . . 98

8.3 Fase 2: Stima del tiro . . . 105

8.4 Fase 3: Misurazioni acustiche di frequenza . . . 117

8.5 Fase 4: Automatizzazione e interfaccia . . . 123

v campagne sperimentali 9 certosa di calci, galleria degli ungulati 131 9.1 Caratteristiche delle catene . . . 131

9.2 Strumenti e misurazioni . . . 133

9.3 Dati acquisiti e risultati . . . 139

10 chiostro del palazzo arcivescovile di pisa 145 10.1 Caratteristiche delle catene . . . 145

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10.2 Strumenti e misurazioni . . . 156 10.3 Dati acquisiti e risultati . . . 163

vi appendici

a richiami e altro che non c’entrava 175

a.1 (Pochissimi accenni di) Digital Signal Processing . . . . 175 a.2 File WAV . . . 176 a.3 Software libero . . . 177

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Figura 1.1 Illustrazione dal De Re Aedificatoria . . . 5

Figura 1.2 Catene in un porticato, da I sette libri dell’archi-tettura . . . 6

Figura 1.3 Catena della corte interna del complesso di Brera, a Milano . . . 9

Figura 1.4 Tavola dal Trattato sull’arte di edificare . . . 12

Figura 1.5 Tavola dal Trattato sull’arte di edificare . . . 13

Figura 1.6 Esempio di un contemporaneo capochiave a piastra. . . 13

Figura 2.1 Catena rotta . . . 18

Figura 2.2 Catene attive ed in bando . . . 19

Figura 2.3 Diverse schematizzazioni usate per modellare i vincoli delle catene. . . 22

Figura 2.4 Catena vincolata asimmetricamente . . . 22

Figura 2.5 Tenditore . . . 26

Figura 2.6 Linea elastica, caso statico . . . 27

Figura 2.7 Errore di stima con l’aumentare del tiro, da Urbano, 1967 . . . 29

Figura 2.8 Strumentazione per test statico, Briccoli Bati et al. 31 Figura 2.9 Incremento del tiro per test statico, Briccoli Bati et al. . . 31

Figura 2.10 Linea elastica, caso dinamico . . . 36

Figura 2.11 Frequenze della catena all’aumentare del tiro . 38 Figura 2.12 Andamento delle frequenze naturali al variare del grado di vincolo . . . 40

Figura 2.13 Modello di catena con letti di molle, da Amabili et al. (2010) . . . 41

Figura 2.14 Catena con massa aggiunta, da Gentilini, Mar-zani e Mazzotti (2013) . . . 42

Figura 3.1 Inquadramento generale del metodo . . . 47

Figura 3.2 Diagramma di flusso del metodo proposto . . 49

Figura 3.3 Modello della catena . . . 51

Figura 3.4 Linea elastica, caso dinamico (di nuovo) . . . . 51

Figura 3.5 Andamento globale delle frequenze con tiro e rigidezze . . . 54

Figura 3.6 Andamento delle frequenze con il tiro . . . 56

Figura 3.7 Andamento delle frequenze con il rapporto tra rigidezza dei vincoli e della catena . . . 57

Figura 3.8 Accelerometro capacitivo e microfono profes-sionale . . . 59

Figura 3.9 Schema dei test sulle catene . . . 60

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Figura 3.10 Martello utilizzato durante le prove . . . 61

Figura 3.11 Picchi di frequenza . . . 62

Figura 3.12 Forma tipica della funzione di errore . . . 64

Figura 3.13 Verifica della stabilità della soluzione . . . 65

Figura 4.1 Macchina Instron . . . 67

Figura 4.2 Schema della prova di laboratorio . . . 68

Figura 5.1 Microfono professionale utilizato . . . 74

Figura 5.2 Curva di sensibilità del microfono impiegato . 75 Figura 5.3 Filtro antivento per microfono . . . 76

Figura 5.4 Acquisizione con microfono professionale . . . 77

Figura 5.5 Misura con microfono: la "camminata" . . . 79

Figura 5.6 Effetto della pulizia manuale . . . 80

Figura 5.7 Finestra del software Audacity . . . 80

Figura 6.1 Schema dell’euristica per il riconoscimento dei modi mancanti . . . 84

Figura 7.1 Confronto microfono-accelerometro, Certosa di Calci . . . 88

Figura 7.2 Confronto microfono-accelerometro, Palazzo Arcivescovile di Pisa . . . 89

Figura 7.3 Confronto microfono-accelerometro, Palazzo Arcivescovile di Pisa . . . 90

Figura 7.4 Confronto microfono-accelerometro, Palazzo Arcivescovile di Pisa . . . 91

Figura 7.5 Confronto cellulare-accelerometro, Certosa di Calci . . . 92

Figura 7.6 Regressione ortogonale . . . 93

Figura 8.1 Analisi dei file WAV con Python . . . 120

Figura 9.1 Certosa di Calci (PI) . . . 131

Figura 9.2 Vista esterna della Galleria degli ungulati presso la Certosa di Calci (PI) . . . 132

Figura 9.3 Galleria degli ungulatipresso la Certosa di Calci (PI) . . . 132

Figura 9.4 Strumenti usati nella prima campagna di prove alla Certosa di calci . . . 134

Figura 9.5 Accelerometri, prima prova alla Certosa di Calci 135 Figura 9.6 Prima prova alla Certosa di Calci . . . 136

Figura 9.7 Martello strumentato, prima prova alla Certosa di Calci . . . 136

Figura 9.8 Risultati preliminari, prima prova alla Certosa di Calci . . . 137

Figura 9.9 Setup, seconda prova alla Certosa di Calci . . . 137

Figura 9.10 Seconda prova alla Certosa di Calci . . . 138

Figura 9.11 Risultati preliminari, seconda prova alla Certo-sa di Calci . . . 138

Figura 9.12 Tiro nelle catene della Galleria degli Ungulati, alla Certosa di Calci . . . 143

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Figura 10.3 Pianta del cortile interno del Palazzo Arcive-scovile di Pisa . . . 147 Figura 10.4 Catene nel cortile interno del Palazzo

Arcive-scovile di Pisa . . . 156 Figura 10.5 Setup sperimentale per le prove presso il

Pa-lazzo Arcivescovile di Pisa . . . 156 Figura 10.6 Organizzazione delle prove, Palazzo

Arcivesco-vile di Pisa . . . 162 Figura 10.7 Posizionamento accelerometri, Palazzo

Arcive-scovile di Pisa . . . 163 Figura 10.8 Misura, accelerometri e microfono, Palazzo

Ar-civescovile di Pisa . . . 164 Figura 10.9 Misura, microfono solo, Palazzo Arcivescovile

di Pisa . . . 164 Figura 10.10 Risultati preliminari, Palazzo Arcivescovile di

Pisa . . . 165 Figura 10.11 Prove presso Palazzo Arcivescovile di Pisa,

stru-menti e operatore battente . . . 165 Figura 10.12 Prove presso Palazzo Arcivescovile di Pisa,

con-trollo centralina . . . 166 Figura 10.13 Prove presso Palazzo Arcivescovile di Pisa,

sup-porto tecnico . . . 166 Figura A.1 Segnale nel dominio del tempo e delle frequenze175

E L E N C O D E L L E TA B E L L E

Tabella 2.1 Valori di alcuni parametri meccanici, catene storiche . . . 25 Tabella 3.1 Test di stabilità della procedura di stima del tiro 66 Tabella 4.1 Risultati dei test di laboratorio per la verifica

del metodo proposto . . . 69 Tabella 5.1 Caratteristiche tecniche del microfono

profes-sionale impiegato . . . 75 Tabella 5.2 Caratteristiche del telefono usato per le

regi-strazioni . . . 76 Tabella 9.1 Risultati della prima prova presso la Galleria

degli Ungulati, alla Certosa di Calci . . . 139 Tabella 9.2 Risultati della seconda prova presso la Galleria

degli Ungulati, alla Certosa di Calci . . . 140 Tabella 9.3 Risultati della terza prova presso la Galleria

degli Ungulati, alla Certosa di Calci . . . 141

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Tabella 10.1 Caratteristiche delle catene del Palazzo Arcive-scoviledi Pisa . . . 148 Tabella 10.2 Posizionamento degli accelerometri; prove al

Palazzo Arcivescovile . . . 158 Tabella 10.3 Frequenze e tiro stimato per le catene del

Pa-lazzo Arcivescovile . . . 167 Tabella 10.4 Grado di vincolo delle catene del Palazzo

Arci-vescovile di Pisa . . . 169 Tabella 10.5 Differenze tra i tiri rilevati con accelerometro e

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Qui sono riportati i simboli che compaiono nel testo, insieme alla loro definizione. Le unità di misura utilizzate nel seguito sono quelle indicate, a meno di variazioni espressamente segnalate.

α [ ] Parametro adimensionale legato al tiro della catena. βi [ ] Parametro adimensionale legato ad una frequenza

naturale della catena.

µ [kg/m] Massa per unità di lunghezza.

ρ kg/m3

Densità.

θ [ ] Parametro adimensionale legato alla rigidezza di un vincolo di estremità della catena.

ω [rad/s] Frequenza angolare

A m2

Sezione trasversale della catena.

E N/m2

Modulo di Young.

f [Hz] Frequenza.

¯

fs [Hz] Vettore delle frequenze sperimentali della catena. ¯ft [Hz] Vettore delle frequenze teoriche della catena.

J m4

Momento di inerzia baricentrale (o del secondo ordine). k [N m/rad] Costante elastica di molla [2mm] rotazionale.

L [m] Lunghezza della catena.

M [N] Momento flettente nella catena.

m [kg] Massa.

N [N] Sforzo normale nella catena. Positivo se di trazione. V [N] Taglio nella catena.

v(x,t) [m] Spostamento trasversale alla linea d’asse.

y(x) [m] Forma modale.

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C AT E N E E T I R O N E L L E C AT E N E Le catene in edilizia, dall’antichità ad oggi. La loro nascita, le loro caratteristiche e la loro importanza. Il problema di misurare il tiro nelle catene e le metodologie proposte: uno stato dell’arte.

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U N ’ I N T R O D U Z I O N E : L E C AT E N E I N E D I L I Z I A

Alcune strutture, come gli archi e le volte, sono dette strutture spingenti. Hanno la caratteristica di generare una forza orizzontale sui supporti, rivolta verso l’esterno. Questa spinta deve essere equilibrata affinché la struttura resista. Nelle infinite distese di archi in muratura degli acquedotti romani, la spinta di ciascuno di essi è equilibrata da quelli confinanti; in mancanza di altri archi possono essere un muro o un contrafforte a fare da contrasto, o può addirittura bastare l’attrito con la struttura di sostegno, ma questo non è sempre il caso.

Per secoli, il problema è stato affrontato con successo facendo uso di catene: barre metalliche orizzontali, ancorate all’esterno della struttura spingente in modo da sfruttare la loro tensione per equilibrare la spin-ta. Le catene presentano numerosi vantaggi: sono semplici, di facile applicazione, compatibili con le strutture in muratura, poco intrusive e, soprattutto, sono un intervento completamente reversibile. Vengono bloccate alle estremità con elementi chiamati capichiave, che a seconda della località e del periodo storico hanno assunto forme diverse, dal paletto alla piastra, e che hanno l’importante funzione di distribuire le tensioni sulla muratura.

Gli usi più frequenti delle catene, dalla loro introduzione fino ai Funzioni delle catene giorni nostri, sono sostanzialmente due:

• assorbire e contrastare le forze orizzontali generate da strutture spingenti, come archi, volte e solai con l’orditura principale inclinata;

• collegare tra loro pareti opposte di costruzioni (solitamente in muratura) per favorirne il comportamento scatolare; per far sì, cioè, che quando una di esse viene sollecitata da una forza esterna, questa resista maggiormente chiamando in causa la compagna e il resto della struttura.

Le catene vengono solitamente pretensionate durante la loro in-stallazione, in modo da fornire fin da subito un supporto attivo alla struttura. Modernamente, questa operazione viene effettuata median-te chiavi dinamometriche, che permettono anche di avere una prima stima del tiro impresso alla catena; nell’antichità si procedeva con metodi diversi, che verranno menzionati in seguito.

Una catena non in tensione è detta in bando, e a tutti gli effetti è trascurabile nello schema statico della struttura fino al momento in cui non viene attivata dall’incremento della spinta o da uno spostamento

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dei supporti.

Il lavoro della presente tesi si concentra sulle tecniche per la stima Evoluzione storica

delle catene del tiro delle catene. Dal momento che la maggior parte di esse, comprese quelle utilizzate nelle campagne sperimentali presentate di seguito, sono catene antiche, potrebbe essere utile ripercorrere la storia di questa tecnologia.

Per fare un breve riassunto dell’evoluzione delle catene nell’edilizia, e in particolare in quella italiana, ci si appoggia qui al lavoro di tesi di Marco Rocco (Rocco, 2015), che tratteggia molto efficacemente lo sviluppo che questi elementi strutturali hanno avuto dal 1500 ad oggi.

1.1 1400-1500

Per molto tempo le strutture spingenti sono state bilanciate con ingom-branti tiranti lignei. Si inizia a parlare di catene nel senso moderno del termine da quando queste sono state alleggerite introducendo l’uso del metallo. I primi trattati in lingua italiana nei quali si affronta direttamente l’argomento risalgono al XV secolo, e da essi emerge una chiara comprensione della funzione delle catene, accettate perlopiù come un "male necessario" (Rocco, 2015) da impiegare solo quando strettamente necessario.

Nel suo celebre De Re Aedificatoria1, Leon Battista Alberti dedica Leon Battista Alberti,

1452 il capitolo 13 del libro III agli archi. Differenzia quelli a tutto sesto

(archi dritti) da quelli ribassati (archi minuiti o minori) sulla base della spinta che esercitano, sottolineando come i primi non necessitino di catena (corda). Va qui specificato come la forma dell’arco (o della volta) sia la ragione principale dell’esistenza della spinta, e l’aspetto che maggiormente ne influenza l’entità.

"Adunque ne i dritti archi, i quali ageuolmente si sosten-gono, non fa mestiero di corda, ma ne gli archi minori con catena o altra cosa in uece di corda le distantie de muri, le quali non uoglieamo che siano minori di quanto è il minore cerchio [che] si possa fare intiero, confermiamo."

Per Leon Battista Alberti, quindi, l’impiego di catene è giustificabile per gli archi ribassati, perché questi generano naturalmente una spinta superiore a quella degli archi a tutto sesto, che l’autore giudica in grado di sostenersi da soli.

Sempre nello stesso trattato troviamo anche una pregevole illustra-zione dell’impiego di catene in un porticato, un esempio perfettamente riconoscibile in molte costruzioni tutt’ora esistenti. L’illustrazione è

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Figura 1.1: Illustrazione tratta dal De Re Aedificatoria di Leon Battista Alberti, (Alberti, 1452), libro III tavola 8.

riprodotta in Figura 1.1. A differenza di quanto si potrebbe pensare osservandola, in questo periodo si trovano numerosi esempi di catene occultate tra la volta e l’orizzontamento superiore. Sia Pellegrino Pel-legrini (detto Tibaldi) nel suo L’Architettura (un’edizione commentata dell’opera di Leon Battista Alberti) 2, che mezzo secolo dopo Seba-stiano Serlio nel trattato I sette libri dell’Architettura del 1537 3 citano questa modalità di messa in opera.

Dice il Tibaldi: Pellegrino Pellegrini

(Tibaldi), 1485 "[...] a tutti li modi che si facci la volta, convien porvi al

dritto de’ pilastri o colonne delle faciate le grosse chiavi di ferro intertenuto, che per il proprio peso non posi cadere, con deste ciave di fero che vada alle volte del circolo della volta; e tale chiave di fero scuro è vive e vesibile, et anco morte, che non si vedono."

Mentre Sebastiano Serlio: Sebastiano Serlio,

1537

"[...] percioche quella loggia o portico, che vogliamo dirlo, vuole essere voltato a botte, ma dove saranno gli archi sarà

2 Tibaldi, 1485 3 Serlio, 1537

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Figura 1.2: Rappresentazione in pianta della disposizione di catene in un porticato, tratta da I sette libri dell’architettura di Sebastiano Serlio (Serlio, 1537)

dibisogno che si facciano le crociere, si come appare nella pianta qui di sotto4; e perché le colonne non potrebbono sostenere i fianche delle crociere, le quali sempre spingono in fuori; sarà necessario sopra ogni colonna né fianchi della botte metterci le chiavi di ferro, ma di bronzo sariano più perpetue: se pur si faranno di ferro per difenderle dalla ruggine, si potrà verniciarle al fuoco, cuocerle sopra la vernice, anco il fasciar di lame di piombo, o di rame quella parte che sarà posta nel muro, darà grande aiuto alla durabilità."

La pianta citata da Serlio è riprodotta in Figura 1.2, dove si nota anche l’annegamento dei capichiave all’interno della muratura. È da sottolineare come l’autore si preoccupi di analizzare i problemi di durabilità che insorgono quando si include un elemento metallico in una costruzione di muratura, specialmente quelli che potrebbero insorgere nella porzione che rimarrà nascosta e dove sarà difficile intervenire in futuro. È un problema tutto’ora attuale.

Riguardo la possibilità di occultare le catene all’interno del corpo della volta, nessuno dei due autori esprime una preferenza netta.

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1.2 1600-1700

La tendenza a nascondere le catene raggiunge il suo apice nei secoli seguenti, trovando terreno fertile in un periodo storico che cerca nei classici l’esempio del bello e del giusto.

Nella trattatistica dell’epoca si ritrovano addirittura voci che incitano a guardarsi dall’uso delle catene, come quella di Vincenzo

Scamoz-zi, che nel XIV capitolo del XIII libro del suo L’idea dell’architettura Vincenzo Scamozzi,

1615

universale(Scamozzi, 1615) scrive:

"[...] le quali cose debbonsi molto bene osservare per fuggire quegli abusi e disconci di mettere ferramenti e catene da legar pali a traverso ai luoghi: maniere introdotte dai barbari e da genti straniere e del tutto lontane dalle belle e graziose maniere dell’edificare; e però alle volte osservate da alcuni moderni poco intelligenti, e manco osservatori del buono. Vero è, che alle volte ci possiamo assicurare con le catene di ferro fin tanto che l’opera possa stabilirsi e far buona presa [...] vero è che furono fatte di mattoni cotti buonissimi, e perciò a mezzo il fianco di essa volta, dove consiste il maggior contrasto, facemmo porre una catena di ferro di onesta grossezza, divisa in otto pezzi, impernata negli otto angoli, e murata nella grossezza di essa volta, la quale cinse con molta forza e leggiadria, essendo murata a spiche e con archi rimurati, i quali portano tutto il peso verso gli angoli; la onde ella si è conservata benissimo col suo coperto sopra, come si può vedere, e contro l’opinione della maggior parte degli artisti di quella città."

Dal discorso di Scamozzi emergono diversi punti interessanti. In-tanto, lo spregio già citato nei confronti dell’intrusione di elementi metallici nelle strutture in muratura, considerate all’opposto come l’apice della qualità costruttiva. Poi un ragionamento del tutto nuovo, che permette invece l’uso delle catene come elementi provvisori di ausilio alla costruzione purché questi, se lasciati al loro posto dopo l’avvenuto consolidamento della volta o degli archi, rimangano occul-tati alla vista. La catena utilizzata per cingere la volta lo fa con "molta forza e leggiadria", ma solo perché murata e nascosta.

Il riferimento all’uso delle catene (e di elementi metallici in genere) da parte di "barbari e genti straniere" è chiarito in questo estratto dei

Principi di architettura civile di Francesco Milizia (Milizia, 1781), che Francesco Milizia,

1781

risale a più di un secolo dopo:

"Negli edifici antichi si osserva molta parsimonia di ferro; non se n’è mai scoperto alcun pezzo in luogo apparente; non vi si veggono che alcuni ramponi di bronzo, delle

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spranghe, o sieno grappe, o branche, nascoste negli ar-chitravi, nelle cornici, e nelle volte. Nelle opere Gotiche è tutto l’opposto: non vi si trova pietra, che non sia sigillata a piombo con branche di ferro. Anche nelle nostre l’ab-bondanza è grande, e forse abusiva, specialmente in quelle catene, che s’impiegano negli archi, e che dimostrano la debo-lezza della costruzione. Contro queste Vignola non si dava pace, e soleva dire, che le fabbriche non si hanno da reg-gere colle stringhe. E che direbbe egli, se ora vedesse in Roma, ove i materiali e i cementi sono i migliori, costruirsi edifici di pianta, e concatenarsene di ferro ogni pezzo? [...] Gli edifici ben costruiti non hanno bisogno di queste allacciature, le quali non sono che rimedi per le fabbriche vecchie e rovinose. Quando la necessità porta d’impiegar tali spranghe di ferro, s’impieghino, come si spacciano da’ Mercanti, senza punto diminuirne la grossezza; basta solo batterne le estremità, per farne l’occhio e l’uncino."

Ancora si ritrova lo stesso disprezzo per gli elementi metallici in-clusi nelle costruzioni in muratura, e ancora si elogia per contrasto la qualità dei materiali locali. Introdurre una catena è un’operazione mai vista nelle grandiose costruzioni classiche alle quali i costruttori dell’epoca si rifanno, per cui non può che trattarsi di un sintomo di debolezza, di una struttura ammalata. I "moderni poco intelligenti" di Scamozzi sono per Milizia quelli che includono le catene nel progetto di nuove strutture, che non ne avrebbero bisogno se ben costruite. È interessante come di nuovo si scusi un possibile utilizzo delle catene, stavolta non come opera provvisoria ma come rinforzo per "fabbriche vecchie e rovinose"; non solo, ma si prescrive il loro impiego alla luce del sole, sottolineando con la loro presenza l’intervento di consoli-damento, come per trarre orgoglio e rassicurazione dal fatto che un edificio altrimenti destinato al crollo sia stato oggetto di riparazioni. Compare per la prima volta esplicitamente anche un altro elemento fondamentale: il capochiave. Qui, nella forma di un occhiello ottenuto per battitura (come tutta la catena) e da bloccarsi con un paletto, forma spesso riscontrabile nelle catene dell’edilizia storica.

Nel corso del XVIII secolo in Italia non si rinvengono capichiave diversi, né nell’edificato, né nella trattatistica. La catena era formata da un tirante di ferro, battuto e perciò di forma quadrangolare, e il tensionamento veniva eseguito a freddo, con l’inserimento di una zep-pa metallica tra occhiello e zep-paletto. In alcuni limitati casi, i capichiave potevano essere separati dal tirante, collegato a questi mediante dei giunti a forchetta che permettevano una pronta sostituzione dell’e-lemento in caso di necessità. Un esempio di questo tipo di catena è rinvenibile nella corte interna del complesso di Brera, a Milano, ed è riportato in Figura 1.3.

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Figura 1.3: Catena della corte interna del complesso di Brera, a Milano, con un giunto a forchetta per collegare tirante e capochiave. Immagine da Rocco, 2015.

1.3 1800-oggi

L’opinione di Milizia sull’uso delle catene nel rinforzo delle costruzioni esistenti è il segnale dell’inizio di un ragionamento più ampio sulla necessità di conservare il patrimonio edilizio. Questo si fa strada

nell’Ottocento e conduce ad interventi come quello di John Ruskin nel John Ruskin, 1849 suo libro Le sette lampade dell’architettura Ruskin, 1849:

"Eppure, si dice, il restauro può presentarsi come una ne-cessità. Certo! Guardiamola bene in faccia questa necessità, e cerchiamo di capirla nei suoi veri termini. È una necessità distruttiva. Accettatela, così; e allora demolite tutto l’edi-ficio, spargetene le pietre negli angoli più remoti, fatene zavorra, o materiale da costruzione, se volete; ma fatelo onestamente, e non elevate un monumeto alla menzogna, al loro posto. [...] Prendetevi cura solerte dei vostri mo-numenti, e non avrete alcun bisogno di restaurarli. Poche lastre di piombo collocate a tempo debito su un tetto, poche foglie secche e sterpi spazzati via in tempo da uno scroscio d’acqua, salveranno sia il soffitto che i muri dalla rovina. Vigilate su un vecchio edificio con attenzione prematura; proteggetelo meglio che potete e ad ogni costo [...] dove la struttura muraria mostra delle smagliature, tenetela compatta usando il ferro; e dove essa cede, puntellatela con travi: e

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non preoccupatevi per la bruttezza di questi interventi di soste-gno[...] e più di una generazione potrà ancora nascere e morire all’ombra di quell’edificio."

È la crescente preoccupazione per la conservazione degli edifici storici, che permette all’opera del restauratore di ottenere un’impor-tanza tale da poter essere messa in mostra; da permettere a Ruskin di mettere esplicitamente in secondo piano l’estetica dell’edificio rispetto alla sua funzionalità, non diversamente da come (in maniera però implicita) suggeriva di fare Milizia quasi un secolo prima.

Questa originale attenzione al funzionamento delle strutture è spie-gabile anche col fatto che il XIX secolo è soprattutto il secolo della scienza delle costruzioni. Se fino all’inizio di questo secolo, infatti, gli sviluppi scientifici e quelli nel campo delle costruzioni si erano mantenuti sostanzialmente separati (Froli, 1996), si inizia adesso una contaminazione sentita sempre più come necessaria.

Le novità in campo scientifico si riflettono in nuovi sviluppi teorici nel campo del consolidamento, anche di quello fatto tramite tiranti metallici. Jean-Baptiste Rondelet, influenza imprescindibile per la Jean-Baptiste

Rondelet, 1817 successiva trattatistica italiana, dedica a questo argomento un intero capitolo (il primo del VII libro) del suo Trattato dell’arte di edificare (Traité theorique et pratique de l’Art de Bâtir)5. A differenza di quanto avveniva in passato, stavolta il trattato si spende nel dare indicazioni pratiche sull’utilizzo delle catene, anziché limitarsi ad esprimere un giudizio a riguardo:

"Non basta di costruire i muri d’un fabbricato nelle di-mensioni volute e con tutta l’attenziona convenevole [...] si prendono di piano in piano certe precauzioni a questo riguardo nella costruzione dei muri per prevenire ogni allontanamento, mettendo nel centro dei muri o nel loro spessore, delle catene orizzontali di ferro piatto o quadrato ben applicate, e solidamente saldate alle loro estremità con àncore, le quali legano insieme i muri in modo da non poter agire l’uno senza l’altro ed a prestarsi un reciproco soccorso. Queste catene si pongono nei muri nel costruirli. Frattanto solamente nei fabbricati d’una certa importanza si mettono le catene in tutta la lunghezza dei muri; perché, nelle case ordinarie, basta porre dei tiranti alla testa o piut-tosto all’incontro di tutti i muri di spartimento e divisori con i muri di faccia a ciascun piano, della lunghezza sola-mente da 7 a 8 piedi, la cui estremità opposta all’àncora è infissa nella murazione. [...] ed allora vi si dava la for-ma d’un S oppure d’un Y per abbracciare una più grande estensione di muro; ma ora, per non nuocere all’effetto delle facciate, benché questo modo non sia così solido, si

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fanno diritte e s’incassano per 2 o 3 pollici per nasconderle alla vista".

Che cambiamento rispetto a quando, meno di un secolo prima, Francesco Milizia giudicava che le catene dimostrassero "la debolezza della costruzione"!

Il ragionamento di Rondelet riguardo la forma del capochiave va interpretato ricordando che egli proviene dalla scuola francese: per questo, e quindi probabilmente senza volerlo infligge un colpo alla tradizione costruttiva italiana giudicando l’onnipresente capochiave a paletto come poco solido, perché oltralpe l’uso più liberale delle catene aveva permesso lo sviluppo di capichiave di forma diversa, in molti casi probabilmente più efficaci nel distribuire la tensione sulla muratura.

Il capitolo continua trattando tra le altre cose delle connessioni tra i tiranti:

"Vi sono tre maniere differenti di formare le commessure delle catene; cioè con cerniere, con talloni e con occhi. Per la commessura a cerniere rappresentata dalla figura 1, Tavola CXLIII [qui riportata in Figura 1.4], l’estremità d’una delle barre forma una forca nella quale s’introdu-ce l’estremità dell’altra. Le tre grossezze di ferro riunite sono forate da un buco; in questo buco si fa entrare una cavicchia a vite oppure a chiavetta e qualche volta cunei doppi. Si preferiscono i cunei doppi quando trattasi di far tirare le barre che formano la catena; una tale operazione chiamasi far legare la catena. Le catene e i tiranti in ferro piatto mancano ordinariamente al punto della piegatura, che si pratica alla loro estremità, acciocché l’occhio che le termina possa pigliare l’àncora in una posizione verticale, perché il ferro è corrotto in questa parte. Si eviterà questo inconveniente posando le barre in coltello ai muri, oppure la lunghezza d’una delle facce verticali delle travi.

Nella seconda commessura, rappresentata dalle figure 2 e 3, le estremità che devono unirsi sono terminate da talloni voltati in senso contrario. Si fa legare la catena, introducen-do cunei di ferro fra i due talloni, mantenenintroducen-dosi unite le estremità delle barre per mezzo di due briglie situate al punto dei talloni.

La commessura ad occhi non differisce dalla precedente che nell’essere i talloni più forti, e contornati come si vede nelle figure 4, 5, 6 e 7. Questa maniera di riunire le barre è la più solida, e perciò si preferisce per le grandi catene che hanno potenti sforzi da sostenere."

Nonostante si tratti di raccomandazioni basate principalmente sul-l’osservazione critica di usi costruttivi, e non sul calcolo, si notano

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Figura 1.4: Estratto dalla tavola CXLIII del Trattato dell’arte di edificare (Traité theorique et pratique de l’Art de Bâtir) di Jean-Baptiste Rondelet (Rondelet, 1817), riportante diversi schemi di connessione dei tiranti.

chiaramente le influenze dello sviluppo teorico nel campo della scien-za delle costruzioni: l’attenzione alle zone del tirante più suscettibili a rottura, le indicazioni sul tensionamento, e persino il riferimento agli "sforzi da sostenere" da parte delle catene.

La messa in tiro delle catene si è evoluta insieme al resto, passando dall’inserimento a freddo dei cunei metallici tra occhiello e paletto all’uso di filettature e bulloni serrati riscaldando la barra, in modo da guadagnare automaticamente trazione quando il suo raffreddamento l’avesse fatta contrarre.

Sempre a Rondelet si deve anche l’introduzione del capochiave in ghisa a piastra circolare, come mostrato dall’estratto della tavola CXLII riportato in Figura 1.5. Questo è in uso tutt’ora, con poche variazioni, ed un esempio corrente è visibile in Figura 1.6

In Italia, gli insegnamenti pratici e ragionati della scuola francese vengono armonizzati ed integrati da Giuseppe Valadier nel suo L’ar-Giuseppe Valadier,

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Figura 1.5: Estratto dalla tavola CXLIII delTrattato dell’arte di edificare (Traité theorique et pratique de l’Art de Bâtir) di Jean-Baptiste Rondelet Rondelet, 1817, riportante un esempio di messa in opera della catena con capichiave in ghisa a piastra circolare.

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1829(Valadier, 1829). Valadier è probabilmente cosciente di star trattan-do, con le catene, un elemento strutturale che nei secoli precedenti è stato oggetto di forte disprezzo da parte della trattatistica italiana, per cui si spende non poco nello specificare che debbono essere inserite con parsimonia, e che non sono loro ad essere deputate alla resistenza dell’edificio. Scrive, nella sezione XVII del secondo libro:

"[...] se non vi fosse il sussidio delle catene, delle sbran-che, de’ tiranti, e simili altri mezzitermini per risparmio di grossezze immense de’ muri e per supplire a forze che utilmente si pongono invece di queste, bisogna però anche queste forze collocarle e distribuirle senza abuso, e con quella parsimonia che è necessaria in ogni parte del fabri-cato ma questa parsimonia deve essere ragionata, giacché potrebbe divenire mancanza delle forze con deperimento del fabricato.

Le catene devono non sostenere decisamente in piedi un fabricato, o una parte di questo, ma devono esservi per soccorso ad un qualche cedimento che ogni fabricato è soggetto a fare [...]"

Sicuro però dell’utilità delle catene, introduce un altro, interessante quanto attuale, riferimento: la loro utilità in caso di terremoto. Sempre nella stessa sezione:

"Ecco dunque che munita una fabrica di questi sussidi non solo sarà sicura a queste inevitabili mosse [cedimenti strutturali, N.d.R.], che senza catena alcuna potrebbero divenir significanti, ma saranno ancor più utili a resistere a qualche scossa di terremoto."

Parlando di ristrutturazioni, suggerisce l’uso di catene per consoli-dare l’ammorsamento delle pareti, il cui mancato o parziale funzio-namento si riconosce nei danni "negli angoli del fabricato". In questa occasione è interessante come, pur continuando a proporre l’uso di capichiave a paletto come da tradizione costruttiva italiana, Valadier specifichi la migliore posizione per questo: obliquo, in modo da com-prendere sia il muro sul quale si trova che quello di spina. Ammonisce quanti considerano appropriato praticare un incavo nel muro per in-cassarvi il paletto (come peraltro suggeriva Rondelet), perché questa pratica indebolisce proprio la parte già di per sé più sofferente del paramento murario. Dalla sezione XXI del quarto libro:

"[...] se le mura avessero sofferto negli angoli del fabricato, sarà bene di collocarvi qualche catena di ferro con suoi paletti, che prenda a legare il muro esterno con altro interno buono e senza difetti; potendo queste catene internarle sotto il mattonato, o sia nella grossezza del lastrico.

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Li paletti che si collocheranno nell’esterno delli prospetti sarà necessario porli obliquamentecome si disse, e come in dette fig. 3 e 4 lett. D perché prenderanno in una parte tutta la grossezza del muro che deve reggere, e coll’altra in appoggio a resistere all’urto di quelle, giacché ponendoli perpendicolari non farebbero questo officio. Se tali catene o bandelloni si avessero a collocare in fabricati di figura irregolare o mista dovrà sempre osservarsi di situarle colla direzione più breve ed opposta direttamente al sito che devono sostenere.

Devo darvi in proposito un avvertimento, che è di pro-curare nel far i buchi ai muri vecchi dove si giudicherà opportuna di porvi una e più catene [...] e perciò i paletti dovranno esser lunghi, e poco incassati nel muro giacché l’in-cassarli troppo non farebbbe che indebolire la parte che più deve essere sostenuta.

Finalmente, Valadier parla anche dell’uso di catene per archi e volte. Lo fa senza mezzi termini, definendole "la vita" di queste strutture, e avvisando che la loro assenza ha portato in più casi a crolli. Certo, per la usuale timidezza nostrana nell’uso del rinforzo metallico, parla della loro necessità quando piedritti e muri non sono sufficientemente solidi, ma i termini ed i toni utilizzati sono comunque in piena con-trotendenza a quando prescriveva la trattatistica italiana nei secoli precendenti.

Trapelano dalle parole di Valadier anche gli studi ingegneristici del secolo precedente, che avevano già visto gli importanti contributi di Couplet e di Poleni (Poleni, 1748) riguardo la statica di archi e volte: l’autore prescrive un posizionamento della catena all’incirca ad un terzo dell’arco, e dà finalmente il tanto necessario saluto alle pratiche di occultamento delle catene nello spessore della volta, dicendo che si è sempre trattato di provvedimenti presi per scopi estetici, e spiegando il motivo per cui non sono da considerarsi efficaci.

Le catene nelle imposte degli archi e delle volte sono la vita delle medesime, quando li piedritti e li muri non sono abbastanza solidi [...] Alcuni architetti che hanno azzardato di fare volte ed archi senza catene, e senza l’opportuna base delli piedritti; hanno dovuto con dispiacere per loro colpa ve-dersi cadere tali volte. Vi è chi per non far vedere le catene, e non fare li piedritti abbastanza solidi ha pratiato di mettere delle catene di ferro nascoste nella grossezza della volta medesima [...] ma questa sorte di catene poco o niente forzano, cedono all’urto della volta più o meno secondo la sua forma, seguendo col piegarsi, l’andamento del cedimento naturale del volto medesimo [...] All’opposto la catena retta, posta circa al

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terzo dell’arco, come si avvertì nella suddetta Tav. CCXLI fig. 9 per la spinta delle volte, senza strapparsi, non può mai pericolare.

Le catene ad oggi sono impiegate più o meno come prescritto da Valadier e Rondelet. I capichiave tuttora in uso sono quasi sempre del tipo a piastra; i tiranti non sono più di ferro battuto ma di acciaio, e il loro tensionamento viene fatto con chiavi dinamometriche che permettono di avere una prima stima (non necessariamente accurata) del tiro. Ma la loro utilità non è mai venuta meno, e ad oggi oltre al loro funzionamento per archi e volte sono numerosi i casi di costruzioni in muratura che dopo un terremoto hanno riportato danni modesti grazie anche alla presenza delle catene.

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2

M E T O D I S P E R I M E N TA L I P E R L A M I S U R A D E L T I R O : L O S TAT O D E L L’ A R T E

2.1 considerazioni generali

Le catene di cui tratta questa tesi sono barre metalliche, snelle, che per secoli sono state impiegate per bilanciare la spinta orizzontale di archi e volte e per rinforzare il comportamento scatolare delle costruzioni. Sono vincolate alla muratura o ai capitelli delle colonne grazie ad elementi chiamati capichiave, e funzionano entrando in tensione. Una catena scarica è detta in bando.

Come visto nella sezione precedente, le catene vengono solitamente tensionate al momento della messa in opera. Nel corso del tempo que-sta operazione si è evoluta, passando dall’uso di cunei, al preriscalda-mento del metallo, fino al moderno utilizzo di chiavi dinamometriche.

Nonostante l’importanza che il tiro riveste nel funzionamento delle catene, è impossibile misurarlo direttamente con metodi non distrutti-vi, a meno di non inserire una cella di carico tra muro e capochiave (Campagnari et al., 2017). Per via degli attriti, questo è vero anche nel caso di catene tesate con chiave dinamometrica.

Fortunatamente è possibile ottenere una sua stima indiretta mi-surandone gli effetti sulle deformazioni della catena, e la comunità scientifica ha prodotto negli ultimi anni un certo volume di ricerche in materia.

Prima di entrare nel vivo del discorso riguardo i diversi metodi di Perché misurare il tiro delle catene misura proposti è bene chiedersi se – e perché – sia necessaria una

valutazione del tiro nelle catene. Possiamo citare almeno 4 ragioni: • una catena in bando non sta effettivamente contribuendo al

funzionamento dell’edificio; vale la pena di scoprire se sia sem-pre stata scarica o se lo sia diventata, e considerare una sua sostituzione;

• una catena eccessivamente caricata, vicina al suo carico di sner-vamento o rottura, potrebbe essere pericolosa: potrebbe romper-si in caso di cedimenti, terremoti o altri eventi che cambiano la distribuzione delle tensioni nell’edificio (come nel caso di Figura 2.1);

• una o più catene inserite in una serie (come nel caso di corridoi voltati) che presentano un tiro molto diverso dalle compagne potrebbero essere indicatrici di qualche patologia nell’edificio;

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• nella modellazione degli edifici è necessario inserire le catene con il proprio tiro.

Figura 2.1: Una catena, collocata all’imposta di un arco nella Chiesa di Santa Maria Assunta e San Rocco a Casciana (MS), rotta dopo il terre-moto che ha colpito l’area nel 2013. Foto cortesia della prof. A. De Falco.

Controllare se una catena è in bando è molto semplice: basta appen-Catene in bando

dercisi (o, per dirlo più professionalmente, "fare una speditiva prova di carico") e vedere se cede. Per la loro grande snellezza, la maggior parte delle catene scariche cederanno facilmente; alcune, particolarmente lunghe, potrebbero farlo persino sotto il proprio peso, come nel caso di Figura 2.2.

Controllare invece a quanto ammonti esattamente lo sforzo normale Classificazione dei

metodi di letteratura nella catena non è un problema triviale. Nelle sezioni che seguono verranno presentati vari metodi non distruttivi proposti nel corso degli anni, secondo una distinzione comune in letteratura tra metodi statici, dinamicie "ibridi", o statico-dinamici (cfr. ad esempio Urbano, 1967 o Maes et al., 2013). Tutti ricavano in maniera indiretta una stima del tiro misurando le deformazioni della catena mentre è sottoposta ad una sollecitazione esterna, che a seconda del metodo può essere di natura statica o dinamica. Non si tratta dell’unica classificazione proposta, ma è stata scelta per la sua semplicità e perché permette di individuare più chiaramente in quale filone si inserisce il metodo proposto in questa tesi.

Ogni metodo parte da un legame analitico tra il tiro e altre quantità, Scelte di

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Figura 2.2: Una catena attiva ed una catena in bando (indicata dalla freccia rossa), inflessa sotto il proprio peso, nella Chiesa di San Prospero a Monzone Alto (MS). Foto cortesia della prof. A. De Falco.

di effettuare numerose scelte che a loro volta influenzano l’applicabilità o l’accuratezza dei risultati ottenuti. Tra queste, le più importanti sono:

• le rigidezze di cui tenere conto;

• la lunghezza effettiva e i vincoli di estremità della catena; • la simmetria del sistema;

• le quantità che si considerano note, solitamente il modulo elastico Ee il peso specifico ρ;

• il fatto di trascurare o meno le numerose variazioni o irregolarità della catena (da una sezione variabile alla presenza di tenditori o altri elementi singolari).

Proviamo a spendere qualche parola per ciascuno di questi aspetti. modello meccanico È necessario chiedersi quali rigidezze ab-biano un’influenza significativa sul legame tra deformazioni e tiro della catena. Tenere conto della sola rigidezza estensionale signifi-ca fare riferimento ad un modello a fune; aggiungere la rigidezza flessionale vuol dire considerare la catena come una trave di Eulero-Bernoulli, mentre per tenere in considerazione anche la rigidezza a taglio c’è bisogno di un modello a trave di Timoshenko.

Storicamente, i primi modelli utilizzati per le catene le considerava-no come funi pesanti, completamente igconsiderava-norando rigidezza flessionale

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e deformazioni dovute al taglio. Li et al. (2013), occupandosi origi-nariamente della stima del tiro nei cavi da ponte, propongono una distinzione dei metodi in quattro categorie, a seconda che tengano o meno conto della deformazione assiale dovuta alla freccia e della rigidezza flessionale. Escludere entrambe corrisponde ad applica-re la teoria classica della fune tesa; ignoraapplica-re solamente la rigidezza flessionale porta invece alla moderna teoria dei cavi.

La teoria classica della fune è attraente quando vengono usati metodi Modello a fune tesa

dinamici, perché permette di ricavare una soluzione in forma chiusa al problema, e idealmente di identificare il tiro nella catena utilizzando esclusivamente la sua prima frequenza naturale.

Possono anche essere implementate delle correzioni per tenere conto della rigidezza flessionale. Questa è la strada seguita, per esempio, da Geier, Roeck e Flesch (2006), a loro volta basatisi su una prece-dente pubblicazione di Mehrabi e Tabatabai (1998). Questo approccio funziona molto bene con i cavi, come quelli utilizzati per i ponti strallati; dà invece risultati discutibili se applicato alle catene, la cui snellezza solitamente non è comparabile. Tuttavia, quando si consi-derano gli effetti del secondo ordine, la rigidezza complessiva di una trave è dovuta anche al suo stato di tensione, per cui non stupisce che i metodi basati sulla teoria della fune diano i migliori risultati per alti livelli di tiro, producendo al contrario errori via via maggiori al suo diminuire, come fatto notare da Lagomarsino e Calderini (2005). Alcuni autori, come Zui, Shinke, Hironaka et al. (1980), Mehrabi e Influenza relativa

delle rigidezze sulla

stima del tiro Tabatabai (1998), Li et al. (2013), hanno trovato utile adottare un coeffi-ciente adimensionale per descrivere l’influenza relativa di tensione e rigidezza flessionale. Tale coefficiente presenta numerose, differenti forme, ma può generalmente essere scritto come:

ξ = Lr N

EJ, (2.1)

dove L è la lunghezza della trave, EJ la sua rigidezza flessionale e N il suo carico assiale. Questo parametro può talvolta essere usato per descrivere i campi di applicabilità dei diversi metodi.

Per quanto riguarda l’influenza delle deformazioni da taglio, i ri-Deformazioni da

taglio sultati pubblicati in letteratura permettono di concludere che queste possono essere tranquillamente ignorate – quando si considerano cate-ne di proporzioni usuali – senza che vi siano sensibili variazioni cate-nella stima del tiro. Li et al. (2013) investigano appositamente l’influenza di tali deformazioni, concludendo che differenze tra i valori carico assiale ottenuti si registrano solo per catene molto tozze, e che anche in tali casi sono limitate. Gentilini, Marzani e Mazzotti (2013), allo stesso modo, rilevano differenze trascurabili tra le frequenze naturali di vibrazione ottenute da modelli agli elementi finiti di catene dotate di sola rigidezza flessionale o di rigidezza flessionale e deformabilità a taglio.

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Nello scegliere i metodi su cui basare il lavoro di questa tesi sono state tenute in considerazione tutte le valutazioni appena fatte, pro-pendendo quindi per quelli che adottano per la catena un modello a trave di Eulero-Bernoulli.

lunghezza e vincoli di estremità Conoscere la lunghezza Lunghezza effettiva delle catene effettiva delle catene sarebbe necessario sia per i metodi statici che per

i dinamici, eppure è spesso impossibile, anche perché strettamente legata al grado di vincolo esercitato dalle pareti o dai capitelli. Cio-nonostante, appare sensato fare una scelta pratica e considerare la lunghezza della catena modellata pari a quella visibile, tenendo conto però dell’incertezza ulteriore che tale semplificazione getta sui vincoli. Quasi tutti gli autori fanno questa scelta.

Le ipotesi più semplici riguardo i vincoli di estremità, e ad oggi le Modellazione dei vincoli: ipotesi più comuni

più utilizzate nella pratica professionale, sono quelle di catena dop-piamente incastrata o semplicemente appoggiata. Nonostante questo, alcuni studi, come quello di Briccoli Bati e Tonietti (2001), suggeriscono che persino in laboratorio, in condizioni di prova ideali, sia diffici-le riprodurre un incastro prefetto per catene di proporzioni usuali. Accettare questa schematizzazione nella pratica professionale, dove nella maggior parte dei casi è impossibile o improponibile indagare il contatto tra muratura e metallo, diventa allora molto più difficile. Allo stesso modo, un modello a trave semplicemente appoggiata sem-bra poco accurato se si osservano le catene esistenti, tra le quali si trovano anche barre tozze e fissate a muri di grande spessore. Sarebbe importante considerare l’effetto che la parte di catena inserita nella muratura ha sulla determinazione del grado di vincolo: un’ulteriore causa di incertezza.

La maggior parte degli autori accetta che le condizioni di vincolo siano inevitabilmente incognite, e le inserisce all’interno del proprio modello come ulteriori risultati da trovare con la procedura di ricerca del tiro. Rimane dunque da effettuare una scelta: come modellare questi vincoli incogniti.

Se si esclude il lavoro di Rebecchi, Tullini e Laudiero (2013), che fa uso di due matrici di rigidezza elastica 2x2 indipendenti, i modelli più comunemente riscontrati in letteratura sono riassunti nello specchietto di Figura 2.3. Visto quanto appena detto su cerniere e incastri, rimane da scegliere un modello tra gli ultimi due: cosa schematizza meglio il legame tra muro e catena, una coppia di cerniere elastiche o un letto di molle? Fortunatamente, almeno stando a quanto sostenuto da Campagnari et al. (2017), questa scelta non porta a conseguenze significative sul valore del tiro ricavabile, anche se gli autori non portano dimostrazioni né citazioni di altre ricerche a sostegno di questa tesi.

Anche la simmetria dei vincoli non è garantita. Si consideri per (A)simmetria dei vincoli

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(a) Appoggi semplici

(b) Incastri

(c) Cerniere elastiche

k k

(d) Letto di molle

Figura 2.3: Diverse schematizzazioni usate per modellare i vincoli delle catene.

Figura 2.4: Un caso comune di catena con vincoli che possono essere conside-rati asimmetrici, inserita ad un estremo nella muratura e all’altro in un capitello.

considerare un grado di vincolo diverso per l’estremità della cate-na inserita nella muratura e per quella collegata al capitello. Questa eventualità è accolta da più autori, che considerano costanti elastiche differenti per le due estremità, aumentando il numero delle incogni-te del problema. Sarebbe utile a questo riguardo porsi almeno tre

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domande:

• la sua influenza sulle frequenze è nota1, ma quale differenza comporta l’asimmetria dei vincoli sul valore del tiro calcolato? La risposta dipende, oltre che dal sistema catena, anche dal metodo utilizzato per ricavare i valori delle incognite.

• Le asimmetrie nei vincoli delle catene reali sono davvero signifi-cative, anche alla luce di una risposta alla prima domanda? In questo caso è difficile rispondere direttamente, ma potrebbe es-sere possibile fornire qualche indicazione più significativa dopo un buon numero di esperimenti di misurazione.

• Se la risposta alla prima domanda fosse "Sufficientemente ridot-ta", all’utilizzatore del metodo sarebbe veramente utile conoscere il valore delle costanti elastiche dei vincoli? Specialmente consi-derando che questi sono una schematizzazione molto grossolana della realtà, e che sarebbe molto difficile far discendere da un valore del grado di vincolo valutazioni, ad esempio, sullo stato della muratura.

Nel lavoro di questa tesi è stato scelto di considerare la catena vin- Schematizzazione dei vincoli in questa tesi colata da cerniere elastiche lineari alle estremità della luce visibile

della catena. Le loro costanti elastiche saranno un ulteriore prodotto del processo per la valutazione del tiro. Per quanto detto prima, i risultati ottenuti per tali rigidezze saranno da considerare in qualche modo ”combinati” ad una lunghezza dell’elemento ridotta rispetto a quella effettiva. Non sono state fatte ipotesi a priori sulla simme-tria delle catene, ed il programma sviluppato è in grado di trattare sia vincoli simmetrici che asimmetrici. Tuttavia, nei casi pratici si è preferito spesso utilizzare il modello con vincoli simmetrici, perché da prime valutazioni – ancora molto superficiali – è risultato essere molto più veloce senza comportare notevoli differenze nel valore del tiro calcolato.

quantità che si considerano note Non tutte le caratteristi- Parametri non misurabili che meccaniche e geometriche della catena sono influenti nella ricerca

del tiro. Nella maggior parte dei metodi proposti in letteratura, oltre alla lunghezza – di cui abbiamo già parlato – è necessario tenere conto della costante elastica del materiale e della sua densità. Solo in limi-tatissimi casi è effettivamente possibile fare una misurazione diretta di queste due quantità, essendo necessarie delle prove distruttive, per cui le due strade che rimangono sono sostanzialmente: considerarle note, o inserirle come ulteriori incognite del problema, da ricercarsi assieme al tiro. Visto che questa opzione è già sorta parlando dei vincoli di estremità, vale la pena sottolineare come l’inserimento di

1 Si veda, il lavoro di Bokaian (1990) sulle frequenze naturali di travi tese in condizioni di vincolo diverse.

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nuove incognite non sia ovviamente indolore: ad ogni incognita ag-giuntiva corrisponde un grado di indeterminazione in più, che a sua volta richiede – almeno – una misura in più per poter essere risolto. D’altra parte, considerare note queste due quantità significherebbe a rigor di logica considerare noto il materiale di cui è composta la catena. È difficile che sia così perché la maggior parte delle catene sono di ferro battuto e vecchie di secoli, e la loro omogeneità non è certo comparabile a quella dei moderni profilati.

Fortunatamente, si possono fare due considerazioni a favore del Considerare E e ρ

noti considerare densità e modulo elastico come quantità note: la prima, è che la loro variabilità da una qualità di ferro battuto ad un’altra è – nell’esperienza di chi ha visto numerose misure dirette – sufficiente-mente piccola; la seconda, che valutazioni anche rozze dell’influenza di questi parametri sulla stima del tiro nelle catene mostrano come questa sia veramente ridotta.

Ciononostante, tuttavia, in letteratura sono numerosi i metodi di valutazione del tiro che considerano come incognita il modulo elastico della catena, come quelli proposti da Briccoli Bati e Tonietti (2001) o Lagomarsino e Calderini (2005).

Per quanto riguarda la presente tesi, è stato scelto di seguire i metodi Modulo elastico e

densità in questa tesi che consideravano come quantità note il modulo elastico e la densità, a seguito di qualche sommaria valutazione circa la loro influenza sulla stima del tiro.

Vale la pena citare, riguardo a modulo elastico e densità, un interes-sante lavoro di Gentile et al. (2017). Gli autori hanno avuto la fortuna di poter effettuare prove distruttive su ben 112 catene, estratte dalla Cattedrale di Milano per la loro sostituzione a seguito della rottura di una di esse. Sono stati eseguiti test di trazione su tre serie di provini, di sezione ed età diversa (gli autori stimano che le catene fossero state messe in opera lungo un periodo di circa 200 anni), seguendo le indicazioni della norma europea EN ISO 6891-1 2. I valori ottenuti al termine della sperimentazione sono rimarcabilmente simili a quelli che le attuali normative nazionali citano per l’acciaio S275, e più in generale per tutti gli acciai laminati. Sono riportati in Tabella 2.1.

Questi risultati rassicurano molto quando ci si propone di conside-rare il modulo elastico e la densità come valori noti a priori, come nel caso di questa tesi. Più avanti sarà utile anche avere a disposizione una stima del carico di snervamento delle catene, per il quale si farà nuovamente riferimento ai risultati del lavoro qui citato.

Parlando in generale delle quantità da considerare note, emerge Influenza dell’incertezza riguardo caratteristiche geometriche e meccaniche delle catene

la necessità di valutazioni ad hoc riguardo l’influenza dei singoli parametri sull’affidabilità dei risultati, in modo da decidere a quale livello di precisione fermarsi quando si ricerca una misurazione pratica.

2 EN ISO 6892-1:2016 European Standard, Metallic Materials - Tensile Testing - Part 1: Method of Test at Room Temperature, 2009. 2016

(43)

Tabella 2.1: Confronto tra i valori medi del modulo di Young, della tensione di snervamento e della densità ottenuti per sperimentazione da Gentile et al. (2017) e quelli presenti nella normativa italiana vigente (NTC 2018).

Gentile et al. NTC 2018, S275

Modulo di Young, E [GPa] 205 210

Carico di snervamento, fy[MPa] 275 275

Densità, ρ [kg/m3] 7792 7850

Vari autori, come Lagomarsino e Calderini (2005), Rainieri e Aenlle (2016) e Maes et al. (2013) hanno lavorato al problema. Il metodo più comunemente seguito è quello di associare un errore relativo alla misura di ciascun parametro che influenza la valutazione del tiro, e seguire la propagazione di tali errori sul risultato finale. Questo modo di agire, seppur ragionevole, rischia di sovrastimare l’errore ritenendo ugualmente probabile che i parametri assumano uno qualsiasi dei valori all’interno del campo di variazione associato; nella pratica invece si può fare affidamento sul fatto che ad ogni misura, oltre che un errore, competa anche una distribuzione di probabilità, e che quindi il valore medio sia più probabile di quelli estremi.

regolarità geometrica della catena La maggior parte delle catene storiche presenta qualche forma di irregolarità. È possibile

distinguere tra irregolarità distribuite e puntuali. Le prime sono spesso Irregolarità distribuite dovute alla battitura, che è il metodo usato per formare gran parte

delle catene storiche. Anche la corrosione – specialmente per quanto riguarda catene installate all’aperto – può in molti casi aggravare l’irregolarità della sezione.

Oltre alle suddette ragioni per cui la sezione può presentare delle Irregolarità puntuali variazioni più o meno casuali lungo l’asse della catena, in alcuni casi

sono da considerarsi anche irregolarità puntuali, zone singolari, come nel caso – frequente – dei tenditori, solitamente posti in corrisponden-za della mezzeria. Un esempio è visibile in Figura 2.5. Inoltre, in molti casi la creazione degli anelli di estremità per permettere il passaggio del capochiave a paletto consisteva nel ripiegamento e battitura del metallo, causando delle sezioni ingrossate.

È necessario considerare queste irregolarità? Se sì, in che modo? La risposta a queste domande deve necessariamente tenere conto della differenza tra singolarità e irregolarità distribuite, e della loro entità rispetto alle dimensioni medie della sezione. Al di là del buonsenso, sarebbe necessario valutare l’influenza di una variazione nelle dimen-sioni della sezione trasversale sul valore del tiro stimato con un dato metodo sperimentale.

Ai fini di questa tesi, è stato deciso di concentrarsi su catene prive di Irregolarità nel lavoro di questa tesi (ha ha)

(44)

Figura 2.5: Esempio di un tenditore inserito in una catena storica. Elementi come questo costituiscono un’irregolarità puntuale nella densità e nell’inerzia della catena. Immagine da Coïsson et al., 2019

tenditori o altri punti singolari, per motivi che saranno chiariti con la presentazione del metodo adottato. Questa scelta, pur escludendo in teoria alcune catene, si è rivelata comunque adatta alla maggior parte dei casi pratici incontrati durante la sperimentazione, ed ha permesso una notevole semplificazione della procedura. Come sempre, tra i fattori da considerare per la scelta ricade anche il grado di precisione richiesto ai risultati, o meglio ancora il rapporto costo/benefici tra le complicazioni aggiuntive che una valutazione accorta delle irregola-rità delle catene avrebbe avuto, e la possibilità di fornire una stima sufficientemente precisa del tiro con un metodo speditivo, adatto a grandi numeri di catene. In letteratura, il problema dell’irregolarità Tenere conto delle

irregolarità con un modello agli elementi finiti

delle catene è stato più volte affrontato passando da una procedura esclusivamente analitica all’uso di modelli agli elementi finiti. Questa scelta, benché ovviamente elimini il problema delle irregolarità, non solo richiede di effettuare numerose e precise misurazioni della sezio-ne, ma rende molto lunga e laboriosa – e dunque costosa – qualsiasi campagna sperimentale.

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2.2 metodi statici

Passando ad una rapida revisione dei metodi di stima del tiro pre-senti in letteratura, iniziamo con i metodi statici, così come definiti nel paragrafo precedente. Non si tratterà, necessariamente, di una recensione esauriente della ricerca in materia (anche perché manca oramai poco a dover consegnare questa tesi), quanto piuttosto del tentativo di presentarne i meccanismi di funzionamento generali.

Tutti i metodi statici sono basati su legami analitici tra lo sforzo as-siale in una catena e la sua deformazione trasversale sotto carichi, per l’appunto, statici. Conoscere della deformazione assiale permetterebbe ovviamente una stima più diretta del tiro, ma l’unico modo per otte-nerla sarebbe attraverso prove distruttive, come quelle di rilascio, che non sono trattate in questo lavoro in quanto applicabili esclusivamente nei casi in cui le catene siano da sostituire.

Come è noto dalla scienza delle costruzioni, in un elemento ret- Legame analitico tilineo sforzo normale e deformazione sono disaccoppiati finché si

trascurano gli effetti del secondo ordine, ovvero finché l’equilibrio del sistema viene imposto nella sua condizione indeformata. Anche se ogni pubblicazione sembra volere a tutti i costi utilizzare un’espressio-ne diversa, il legame tra tiro e deformazioni può essere facilmente rica-vato attraverso l’integrazione dell’equazione della linea elastica, scritta per l’appunto guardando alla configurazione deformata della catena. Consideriamo per esempio lo schema di Figura 2.6, rappresentante un tratto infinitesimale di catena, scarico3. Imponiamo l’equilibrio in modo da ricavare un’equazione differenziale che leghi insieme le quantità in esame.

Figura 2.6: Tronco infinitesimo della catena, in condizione deformata; caso statico.

3 Le prove con metodi statici sono solitamente effettuate con carichi concentrati, per cui considerare la catena scarica permette di ottenere un’equazione valida per i tratti tra un carico e – eventualmente – l’altro. Non viene considerato il peso proprio in quanto la configurazione iniziale di riferimento è quella della catena già deformata a causa di esso.

(46)

Dall’equilibrio alla traslazione orizzontale e verticale si ottengono, rispettivamente:

dN = 0, e dV = 0, (2.2)

ovvero sforzo normale e taglio costanti lungo la linea d’asse. Imponen-do poi l’equilibrio alla rotazione, per esempio intorno al baricentro della sezione di estrema sinistra, si ottiene:

dM(x)

dx − V(x) + N(x) dv

dx = 0. (2.3)

Qui, e nel seguito, si indicano: con N(x) lo sforzo normale nella sezione di ascissa x, positivo se di trazione; con V(x) e M(x) rispettivamente il valore del taglio e del momento flettente in tale sezione; con v(x) il valore dello spostamento trasversale.

Dopo pochi passaggi, e facendo ricorso ai legami costitutivi e di congruenza, si ottiene la seguente equazione differenziale ordinaria e omogenea del quarto ordine:

vIV(x) −N(x) EJ v

′′(x) = 0 (2.4)

dove, oltre ai simboli già visti, EJ è la rigidezza flessionale della catena. Per un singolo carico concentrato, trasversale, imposto in corrispon-denza dell’ascissa a su una catena di lunghezza L, sarà necessario integrare tale equazione differenziale due volte, una volta per il tratto (0, a)ed una per il tratto (a, L). L’integrale generale si presenta nella forma4:

v(x) = C1cosh(nx) + C2sinh(nx) + C3x + C4, (2.5) dove C1,..., C4 sono costanti di integrazione ancora da determinarsi, e n2 = N/EJ. A questa soluzione, o meglio alle due soluzioni scritte Condizioni al

contorno: i vincoli di estremità e i carichi imposti

per i due tratti scarichi della catena, sono da aggiungersi le condizioni al bordo e quelle interne. È in questa fase che entrano in gioco le condizioni di vincolo, in quanto il valore del momento flettente alle estremità può essere legato, per esempio, alla rotazione della sezione attraverso una costante elastica. È il modo in cui viene descritto un modello della catena del tipo raffigurato in Figura 2.3c. Sempre in questa fase entra a far parte del problema analitico il valore dei carichi imposti alla catena. In generale, l’equazione differenziale, integrata con le apposite condizioni al contorno, esplicita un legame tra gli spostamenti trasversali della catena (misurabili), il suo tiro e i gradi di vincolo (incogniti), ed i carichi imposti (che sono, appunto, imposti). Come già detto, autori diversi formulano il problema analitico in maniere leggermente differenti, scegliendo la forma che meglio si adat-ta alla loro esposizione. Piuttosto che soffermarsi su questo punto, è

(47)

interessante indagare le differenze pratiche tra i metodi proposti: quali ipotesi vengono fatte riguardo al modello, e perché? Quante e quali misure sono richieste per caratterizzare una catena? Qual è il grado di accuratezza registrato, se è stata fatta una validazione sperimentale?

Sembra corretto citare per primo il lavoro di Urbano (1967). L’autore Urbano, 1967: metodo statico parte da un risultato di Belluzzi (1960), ovvero dalle espressioni della

freccia di una trave sottoposta ad un carico concentrato P in mezze-ria, per il caso di trave semplicemente appoggiata e quello di trave doppiamente incastrata. Una volta misurata la freccia, si potrà senza dubbio concludere che il tiro sia compreso tra un valore superiore ed uno inferiore corrispondenti ai due casi. Urbano osserva anche come l’errore commesso con questa semplificazione, pari mediamente a metà della distanza tra i due valori, diminuisca con l’aumentare del tiro per via della ridotta influenza della rigidezza dei vincoli, come mostrato in Figura 2.7. Per il metodo proposto dal suo articolo, questo effetto può essere esplicitato mostrando come il rapporto tra la freccia per il caso di semplice appoggio e quella per il doppio incastro sia proprio direttamente proporzionale alla radice quadrata del tiro.

Figura 2.7: Andamento dell’errore di stima che si commette con il metodo statico proposto da Urbano (1967) all’aumentare del tiro nella catena.

Vari anni dopo, Beconcini (1996) propone un metodo pratico per Beconcini, 1996 la determinazione del tiro nelle catene che fa uso di sole misure di

spostamento trasversale, e che permette di considerarne un numero superiore a quello delle incognite inserendole in un processo di otti-mizzazione, in modo da ridurre l’influenza degli inevitabili errori di

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