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Metodo 5: complessità calcolata con metodologie ibride

4.TRASFERIMENTO TECNOLOGICO E COMPLESSITA’

Considerazioni sul lavoro di Abhijit V.Deshmukh, Joseph J.Tavalage, Moshe M Barash

7.5 Metodo 5: complessità calcolata con metodologie ibride

In tutti gli ambiti scientifici nei quali è possibile operare una classificazione di metodologie finalizzate a un qualsivoglia scopo, è necessario aggiungere una categoria ibrida nella quale ricadono tutti i metodi originati dall’integrazione di altri metodi. Il metodo ibrido infatti consente di unire i punti di forza di metodologie differenti e spesso finisce per essere pertanto quello più utilizzato.

Non fa eccezione il calcolo della complessità, nel presente paragrafo si esaminano alcuni metodi ibridi, che risultano dall’integrazione di due o più delle metodologie riportate nei capitoli precedenti.

Le considerazioni che verranno fatte relativamente a ciascun metodo sono utili ai fini dell’elaborazione del metodo originale qui proposto, che infatti apparterrà alla categoria delle metodologie ibride, data l’evidenza che deriva dallo stato dell’arte circa l’efficacia e predominanza di questa modalità.

Metodi 1 (dati oggettivi) – 2 (interviste)

Nel 1992 William W. Cooper, Kingshuk K. Sinha, Robert S. Sullivan [104] sviluppano una misura ibrida della complessità che utilizza indicatori rilevabili dal sistema e punteggi attribuiti dagli operatori sulla base di interviste, come chiave per lo sviluppo di un metodo di confronto dello stato di un sistema produttivo nel tempo e rispetto alle prestazioni di impianti produttivi della concorrenza, il lavoro è fortemente correlato ad un altro che seguirà qualche anno dopo, già citato nel capitolo 3 [56].

Anche qui viene considerato il caso di un impianto produttivo di semiconduttori (wafer), essendo la fabbricazione di fette di silicio, uno dei processi produttivi esistenti più complesso a causa delle tolleranze minime richieste e dell'elevato numero di elementi di cui è composto un microchip, per il sofisticato livello di tecnologia richiesto e per l'alto livello di segretezza che ne deriva da parte delle imprese. Di conseguenza la possibilità di compiere scelte strategiche basandosi su indici di valutazione interni all'impresa risulta particolarmente significativa rispetto all’utilizzo di altri metodi decisionali.

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1. Fabbricazione del wafer: I wafer, ovvero dischi di silicio levigati, vengono stampati con fitti reticoli di circuiti integrati. Ogni parte di circuito che racchiude l'architettura completa di un chip è chiamato in gergo stampo (die, pl. Dice)

2. Prova del wafer. Vengono testati uno per uno gli stampi, quelli non conformi vengono segnati con dell'inchiostro. Generalmente ogni tipo di wafer dà origine ad un tipo di chip, capita a volte che per un tipo di chip servano più tipi di wafer o che viceversa un wafer sia composto da più tipi di chip. In questi ultimi casi la prova del wafer non viene fatta subito dopo la fabbricazione perché risulta troppo complicato fare più tipi di test sullo stesso wafer.

3. Inventario degli stampi funzionanti

4. Assemblaggio dei circuiti: i wafer vengono tagliati, gli stampi segnati scartati, e quelli funzionanti montati su supporti di plastica o ceramica per creare le piastre

5. Test di massima: le schede vengono testate per una o più delle loro caratteristiche allo scopo di valutare le loro prestazioni e successivamente catalogate in contenitori

6. Inventario dei tipi di scheda

7. Test finale: le schede di ogni contenitore vengono selezionate e testate sulla base delle specifiche richieste dal cliente

8. Inventario del prodotto finito.

È interessante notare come il concetto di complessità venga, al contrario di quanto fatto da altri autori, distinto dai concetti di indefinibilità e caos nel seguente modo:

- Complessità: molti elementi con numerose ma relativamente semplici interrelazioni. - Indefinibilità: pochi elementi ma molti livelli di relazione.

- Disordine: molti elementi (o anche pochi) che interagiscono in modi che non portano a comportamenti prevedibili per ciascun elemento individuale.

Quindi viene definita una complessità di sistema come numero di elementi e numero di relazioni di primo ordine tra gli elementi, escludendo relazioni di ordine più complesso.

Un sistema è più complesso di un altro semplicemente se il numero di elementi simili e di relazioni di primo ordine tra gli elementi del primo è maggiore di quello del secondo.

Le due fondamentali tecnologie di funzionamento dei chip, la NMOS e la CMOS si sono evolute nel tempo variando il mix di prodotti con differenti caratteristiche di progetto, mix di tecnologie di processo differenti per numero di fasi di lavorazione e difficoltà associata a flussi caratteristici di processo che differiscono per tempi di ciclo e di attraversamento.

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Per la valutazione della complessità di tali caratteristiche sono stati proposti i seguenti indici:

1. Indice di prodotto:

che si riferisce a dimensione e memoria.

Il portafoglio di chip prodotti da un impianto varia generalmente dai 15 ai 20 tipi, differenti in dimensioni, progetto e memoria associata. L'indice di prodotto è stato pensato quindi per normalizzare le differenze delle caratteristiche progettuali. Per calcolarlo occorre fare il rapporto fra il massimo numero di bit ottenibili da un tipo di wafer e il numero massimo di bit ottenibili dal wafer di base, dove per wafer di base si intende quello con il minor numero di bit ottenibili fra i tipi di wafer producibili nell'impianto, per calcolarlo si dovrà quindi:

− identificare i tipi di wafer associati all'i-esimo tipo di chip

− identificare il numero massimo di stampi che può essere prodotto per ogni wafer corrispondente ad uno specifico tipo di chip CMAX(i)

− identificare i bit di memoria associata ad ogni tipo di chip M(i), questo valore può essere moltiplicato per il numero massimo di stampi per ogni wafer CMAX(i)

− usare il tipo di chip con il prodotto CMAX (i) M (i) come tipo base b e calcolare l'indice di prodotto per l'i-esimo tipo di chip che sarà allora

in cui:

PROD(i) indice di prodotto per l’i-esimo chip di tipo i

CMAX(i) numero massimo di chip che possono essere prodotti da una fetta di silicio corrispondente all’i-esimo tipo di chip

M(i) numero di bit di memoria associati all’i-esimo tipo di chip

CMAX(b) numero massimo di chip che possono essere prodotti da una fetta di silicio corrispondente al chip base b

M(b) numero di bit di memoria associati al chip base b

2. Indice di processo:

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− misura il livello di difficoltà di un processo cioè il numero di attività critiche presenti, l'indice di normalizzazione del processo sarà dunque il rapporto fra il numero di attività critiche del processo combinate con il loro livello di difficoltà e il numero di attività critiche del processo base, che sarà inteso come il processo avente il minor numero di attività critiche. Per calcolarlo bisognerà:

− identificare il numero dei tipi di processi t utilizzati per la produzione dei wafer

− per ogni tecnologia t identificare il numero di attività associate ad ogni fase critica s che chiameremo A(s,t)

− associare una valutazione “soggettiva” D(s) usando una scala da 1 a 5 ad ogni attività della fase critica s

− per ogni processo valutare il numero totale di difficoltà ponderate

in cui:

PROC(t) indice di flusso di processo per la tecnologia t

DA(B) numero totale di difficoltà per le attività associate al processo base B e in cui:

, dove:

DA(t) numero totale di difficoltà per le attività associate alla tecnologia di processo t A(s,t) numero di attività in fase critica s per la tecnologia di processo t

D(s) grado di difficoltà associato con la attività di una fase critica s

3. Indice prodotto-processo:

indica le interazioni prodotto-processo consentendo di tenere conto da una parte delle differenze di progetto e dall’altra delle unicità di processo produttivo dei prodotti.

Spesso si fabbricano wafer ibridi utilizzando più processi in due differenti periodi, o lo stesso tipo di wafer può essere sottoposto a due tipi di processi per ottenere i risultati voluti, di conseguenza è necessario un indice moltiplicativo che renda possibile i confronti fra diversi tipi di prodotto sulla base dei processi utilizzati per fabbricarli, tale indice è:

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PPI(i) = indice di prodotto-processo per l’i-esimo tipo di chip

4. Indice flusso di processo:

consente di confrontare i prodotti nonostante le loro differenze in termini di tempi dei cicli di lavorazione riportandoli a periodi definiti (per ex. su base mensile)

E’ necessario a normalizzare le differenze di tempo di ciclo per i vari tipi di chip i volumi dei quali sono stati registrati al termine del periodo unitario di tempo. Tale indice serve quindi a sincronizzare i chip prodotti durante vari tempi di ciclo in un unica unità di tempo, come ad esempio un mese, sebbene il tempo di ciclo sia in realtà maggiore o minore del tempo unitario scelto.

PFLOW(i.j) = T / CT(i,j) in cui

PFLOW(i.j) indice di flusso di processo per l’i-esimo tipo di chip prodotto nel esimo periodo T lunghezza del periodo preso come unità di tempo

CT(i,j) tempo del ciclo per l’i-esimo tipo di chip prodotto nel esimo periodo.

5. Total Net Die Equivalent:

fornisce la misura della complessità delle operazioni dell’impianto, tramite il quale allocare i costi variabili dell’impianto. Viene ottenuto tarando il volume di ogni tipo di chip prodotto alla fine del periodo di riferimento con gli indici di prodotto-processo e processo-flusso, ottenendo una normalizzazione del volume dei chip prodotto in ogni periodo di riferimento per differenze nel progetto, nelle tecnologie di processo e nei cicli di lavoro. A partire dal TNDE viene inoltre definito un nuovo tipo di unità di costo che l’azienda può utilizzare per analizzare l’andamento dei costi di fabbricazione nonostante i cambiamenti nei prodotti e nei processi.

Si ottiene moltiplicando i volumi di produzione dell'i-esimo tipo di chip nel j-esimo periodo V(i,j) per l'indice di processo prodotto di i PP(i) e per l'indice PFLOW(i,j):

TNDE(j) = ∑ V(i,j) * PPI(i) * PFLOW(i,j) in cui:

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V(i,j) volume dell’i-esimo tipo di chip prodotto nel j-esimo periodo.

Il TNDE viene quindi usato dagli autori per analizzare i costi di produzione dei chip, dato che la sua natura di indice dei volumi di produzione pesati in base alla difficoltà di fabbricazione dei diversi tipi di prodotto e dei diversi processi produttivi, risulta più indicativa della complessità e sforzo produttivi rispetto ad altri indici di produzione.

Gli autori suggeriscono un utilizzo di questi indici che possono essere calcolati a partire da misure fatte dai responsabili delle diverse aree (ingegneri di prodotto, di processo, responsabili del marketing ecc.) come base per aggiustare e coordinare i cambiamenti nelle attività produttive. ---

Considerazioni sul metodo di Cooper, Sinha, Sullivan:

Punti di forza:

• utilizza dati del sistema analitici e oggettivi • applicazione abbastanza semplice

Punti di debolezza:

• non individua un indice unico che esprime la complessità del sistema, ma più indici • applicazione limitata al settore specifico dei wafer

• occorre una interpretazione e integrazione dei risultati • tempi e costi di applicazione e interpretazione medio-lunghi.

L’aspetto più interessante del lavoro risulta certamente la correlazione fra la complessità e i costi. Riferendosi in modo specifico al settore dei microchip lo studio è poco utile allo scopo di individuare un metodo di valutazione generale. La relazione logaritmica fra complessità e costi è una funzione che consente il calcolo della complessità di sistema e l’influenza sui costi della complessità costituisce certamente una delle possibili finalità di uno studio di complessità.

--- Altro metodo ibrido che raccoglie dati dall’impianto produttivo e tramite interviste agli operatori è quello proposto nel 1996 da John Paul MacDuffie, Kannan Sethuraman, Marshall