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Oltre a questi grandi assi di ricerca che strutturano complessivamente la mia analisi nel suo procedere, il mio lavoro interseca anche altre tematiche prese in esame più puntualmente in singoli capitoli: solo per citare alcuni esempi, faccio riferimento alle pratiche dell’amministrazione78 nel

controllo del territorio e nella sorveglianza e formazione dell’esprit public, alle modalità di promozione dello sviluppo artistico e tecnico-industriale, alla cultura teologica del tempo, alle

77 Secondo Pascal Ory «loin d’être une caractéristique de notre époque, la spectacularisation du politique est

intrinsèquement associée à l’exercice même de la fonction publique». Questa citazione è tratta dal suo saggio L’histoire

des politique symboliques modernes: un questionnement, «Revue d’histoire moderne et contemporaine», 47/3 (2000),

pp. 525-536.

78 L’uniformità dei documenti redatti dai funzionari pubblici, nei quali ricorrono sistematicamente parole-chiave come

buon ordine, decoro, tranquillità, entusiasmo, attaccamento al sovrano e devozione, instilla naturalmente dei dubbi riguardo alla loro totale veridicità. Proprio questa caratteristica però induce a riflettere sulla precocità con la quale una medesima retorica politica si imponga in contesti territoriali molto differenti e ai diversi livelli gerarchici dell’amministrazione, proprio grazie alla struttura piramidale assunta da essa.

relazioni fra Stato e Chiesa ed alle forme di sociabilità in auge nel periodo. È evidente pertanto non solo che le celebrazioni sono un oggetto di studio capace di offrire un punto di osservazione molto ampio sul funzionamento dello Stato e sulla temperie culturale e sociale del periodo napoleonico, ma anche che la letteratura secondaria mi ha fornito un supporto di imprescindibile importanza per poter contestualizzare il campo delle mie ricerche e toccare, seppure meno dettagliatamente, una tale molteplicità di temi. È bene precisare che la mia indagine ambisce ad essere approfondita ed il più possibile completa, ma in alcun modo mira a ricostruire una “storia totale”: il mio lavoro si inscrive nell’ambito della storia culturale del politico in prospettiva comparativa, e sebbene io sia debitore di numerose suggestioni nei confronti di altri indirizzi o discipline – emotional79 e visual

studies80, storia dell’amministrazione, storia del cristianesimo e della Chiesa, antropologia,

sociologia etc. – non ha alcuna pretesa di inscriversi all’interno di queste ultime. In particolare, è opportuno puntualizzare che sia l’approccio da me adottato, sia la decisione di condurre la mia indagine su un’area geografica vasta e per di più comprendente realtà storicamente, socialmente e culturalmente molto differenti, implicano una conseguenza di cui sono consapevole: l’impossibilità materiale di condurre sistematiche ricerche di tipo sociale o prosopografico sui soggetti collettivi o individuali presi in considerazione come ideatori, organizzatori, attori, o spettatori delle celebrazioni da me studiate. Ciò non significa che nel caso in cui vengano proposti esempi o casi di studio, per esempio su una realtà urbana o sulla vicenda personale di un vescovo, non vengano fornite delle coordinate biografiche o delle informazioni sulle vicissitudini di quel centro abitato, soprattutto sulla base della letteratura secondaria disponibile. Tuttavia non è stato possibile né era mia intenzione, per le ragioni appena addotte, classificare i partecipanti di ciascuna delle cerimonie da me analizzate secondo criteri sociali più specifici di quelli forniti dalle fonti primarie stesse: si parla così di notabili81, négociants, élites82, popolo, populace83, fonctionnaires84, ma senza definire

nel dettaglio la loro consistenza numerica o l’origine delle loro più o meno consistenti fortune. Il

79 Q. Deluermoz, E. Fureix, H. Mazurel et M. Oualdi, Ecrire l’histoire des émotions: de l’objet à la catégorie d’analyse,

dans «Revue d’histoire du XIXème siècle», 47 (2013), pp. 155-189.

80 Per una panoramica si veda A. Pinotti, Estetica, visual culture studies, Bildwissenchaft, «Studi di estetica», anno

XLII, 1-2 (2014), URL: http://mimesisedizioni.it/journals/index.php/studi-di-estetica/article/view/143/196, data di ultima consultazione 10/03/2019.

81 S. Levati, Les notables napoléoniens: du cas français à celui italien, «Rives méditerranéennes», 32-33 (2009), pp.

215-228.

82 A. Beaurepaire-Hernandez, 1796-1815: les élites italiennes entre repli et adaptation au régime français, dans S.

Guillaume et L. Coste (dir.), Elites et crises du XVIe au XXI siècle. Europe et Outre-mer, Paris, Armand Colin, 2014, pp. 141-151.

83 F. Furet, Pour une définition des classes inférieures à l’époque moderne, «Annales. Economies, Sociétés,

civilisations», 3 (1963), pp. 459-474.

84 C. Capra, Le fonctionnaire, dans M. Vovelle (dir.), L’Homme des Lumières, Paris, Le Seuil, 1996, pp. 347-390; M.-

C. Thoral, Naissance d’une classe sociale: les fonctionnaires de bureau, du Consulat à la Monarchie de Juillet. Le cas

mio studio mette in luce l’esistenza di svaghi e cerimonie dirette o esplicitamente riservate a determinati settori sociali, ma lo fa in termini generali, senza tentare di qualificare a quanti e quali segmenti della popolazione di ciascuna delle realtà urbane considerate corrispondessero: del resto nell’ottica delle autorità stesse erano molto importanti i concetti di universalità ed unanimità che implicavano la rinuncia ad applicare profonde divisioni nell’analisi dei comportamenti e delle inclinazioni dei soggetti collettivi.

Come precisato poco fa, il mio lavoro si pone in continuità con due correnti metodologiche – come tutte caratterizzate da vantaggi e limiti meritevoli di essere puntualizzati – la prima delle quali è la storia culturale del politico. Secondo la definizione offerta da Pascal Lardellier, «si la politique est l’administration concrète et quotidienne de la “chose publique”, le politique, lui, sera ici l’expression conceptuelle de l’essence du pouvoir s’exerçant dans une société donnée»85; «le

politique», gli fa eco Pierre Rosanvallon, «renvoie au fait de l’existence d’une "société" qui apparaît aux yeux de ses membres comme formant un tout qui fait sens»86. La storia culturale del

politico87 – di cui uno dei filoni investe proprio riti e cerimonie – rimanda pertanto ad un universo

di idee, rappresentazioni, simboli, memorie capaci di inscrivere il potere, il suo esercizio, la sua ragion d’essere o la sua contestazione in un orizzonte di significato: permette così di indagare attorno a quali valori, messaggi, parole d’ordine, prospettive un regime politico tenti di fondarsi stabilmente rispondendo o limitando le spinte provenienti dalla società. La ricerca storica in materia, forte ormai di quarant’anni circa di attività, ha dimostrato di essere consapevole anche dei rischi inerenti a questo tipo di inchiesta: fra tutti quelli messi in luce da Sudir Hazareesingh88, porto

all’attenzione in particolare i pericoli della surinterprétation – cioè della tendenza ad attribuire un significato esageratamente profondo a rappresentazioni sociali circoscritte nel tempo e nello spazio o a fonti limitate – e della surévaluation, ossia della difficoltà di determinare la densità sociale ed ideologica del fenomeno culturale e politico studiato, da me sovente affrontati nel prendere in esame fonti – penso soprattutto ai rapporti inviati da prefetti e maires ai ministeri centrali sullo svolgimento delle festività civiche – non di rado silenti o tanto uniformi da apparire quasi stereotipate. Come si vedrà più nel dettaglio nel terzo capitolo, ho tentato di sopperire a questi inconvenienti sia diversificando le fonti utilizzate – ossia da un lato ponendo in contrasto le

85 Lardellier, Les miroirs du paon, cit., p. 29, nota 18.

86 P. Rosanvallon, Pour une histoire conceptuelle du politique : leçon inaugurale au Collège de France, Paris, Collège

de France, 2003, p. 9.

87 J.-F. Sirinelli, De la demeure à l’agora. Pour une histoire culturelle du politique, in «Vingtième Siècle. Revue

d’histoire», 57 (1998), pp. 121-131.

88 S. Hazareesingh, L’histoire politique face à l’histoire culturelle : état des lieux et perspectives, «Revue historique»,

relazioni dei funzionari dipendenti dal ministero degli interni con quelle redatte dagli appartenenti alle forze di polizia, e dall’altro prendendo in considerazioni anche fonti diaristiche e memorialistiche – sia modificando le domande poste a questi documenti, servendosene cioè per valutare le aspettative, le pratiche e la cultura delle autorità di governo e dell’amministrazione ancor più – o prima – che per inferire troppo automaticamente sulle risposte della società.

Il secondo approccio metodologico da me adottato, quello della storia comparativa, ha analogamente attirato critiche pur offrendo grandi opportunità euristiche89. L’uso di fonti primarie

qualitativamente e quantitativamente sufficienti per garantire la scientificità della ricerca e la capacità di padroneggiare le lingue in cui esse sono state redatte non hanno invero posto problemi insormontabili: la scelta di limitare l’indagine all’Impero francese, alla Repubblica / Regno d’Italia ed al Regno di Spagna, con incursioni più puntuali in altre aree geografiche, è stata funzionale a questo proposito. Rispetto all’impossibilità già ammessa poco sopra di prendere in considerazione nel dettaglio la realtà sociale in cui i fenomeni politico-culturali analizzati avevano luogo, riconducibile ad un più generale rischio di distacco dal contesto (detachment from context) di cui il metodo comparativo è stato a più riprese accusato, sottoscrivo invece le riflessioni in merito di Jürgen Kocka:

The stress on continuity and context are indispensable for and characteristic of historians’ work. But on the other hand continuity is just one guiding principle of historical reconstruction among others, and while historians have to take context seriously, their intellectual operations are always selective, viewpoint-related and, in this sense, analytical; they never reconstruct totalities in full. Consequently, comparative approaches only emphasize and make particularly manifest what is implicit in any kind of historical work: a strong selective and constructive component90.

Un più serio problema è stato messo in luce dal medesimo studioso in collaborazione con Heinz-Gerhard Haupt: la comparazione tende a frantumare la continuità – per esempio nella descrizione dell’evoluzione di un fenomeno – e ad interrompere l’andamento narrativo tipico della storiografia, poiché si concentra in primis su somiglianze, differenze e sull’esistenza di modelli più o meno applicabili ai casi esemplari scelti per il confronto91. Al momento di determinare la

strutturazione complessiva del mio lavoro e durante il processo di scrittura ho potuto personalmente constatare la difficoltà di seguire al tempo stesso un procedere diacronico ed un approccio comparativo “orizzontale” – nel mio caso fra diverse entità politiche e geografiche – con il

89 M. Espagne, Sur les limites du comparatisme en histoire culturelle, «Genèses», 17 (1994), pp. 11-121. 90 J. Kocka, Comparison and beyond, «History and Theory», 42/1 (2003), pp. 39-44, citazione a p. 43.

91 J. Kocka and H.-G. Haupt, Comparison and beyond. Traditions, scope, and perspectives of comparative history, in

J. Kocka and H.-G. Haupt (ed.), Comparative and transnational history. Central european approaches and new

conseguente pericolo di ipostatizzare l’oggetto del mio studio. Tuttavia la scelta di porre al centro della mia analisi il modello imperiale, seguendone anzitutto lo sviluppo diacronico e le principali caratteristiche nei vari capitoli organizzati tematicamente, per poi avviare all’interno degli stessi un esame comparativo sulle realtà “minori”, ha fornito a mio giudizio un equilibrio a queste due esigenze contrastanti, permettendo altresì di pervenire a risultati utili ed innovativi.

Non intendo dilungarmi eccessivamente nell’elencare tutte le fonti documentarie, manoscritte o edite utilizzate, né nell’enumerare tutti gli archivi o le biblioteche in cui ho svolto le mie indagini; tutto è indicato in modo chiaro nella bibliografia. Mi pare opportuno però precisare due principi che hanno guidato le mie ricerche. L’ambizione di prendere in considerazione il “Sistema napoleonico” nel suo complesso, anche solo basandosi su puntuali casi di studio – cioè verosimilmente sul confronto fra singole città – che rischierebbero peraltro di occultare il peso spesso considerevole delle disposizioni dei governi centrali, si scontrava naturalmente non solo con i limiti temporali ormai imposti ad una ricerca dottorale, ma anche con la dispersione delle fonti e con l’ostacolo della conoscenza linguistica. Per questa ragione ho deciso di concentrarmi principalmente su tre aree geografiche, cioè sull’Impero francese92, sulla Repubblica / Regno

d’Italia, e sul Regno di Spagna affidato a Giuseppe Bonaparte, riservando soltanto brevi accenni al Regno d’Olanda prima dell’annessione (1810) ed al Regno di Napoli93. La scelta di queste realtà

geopolitiche è dipesa da una pluralità di fattori. La relazione molto stretta fra lo Stato francese e quello italico mi è parsa sin da subito imprescindibile: nella penisola italiana Bonaparte aveva dato avvio alla sua fulminante ascesa, sviluppandovi inoltre tecniche di comunicazione politica e di auto-rappresentazione poi impiegate diffusamente anche oltralpe; la comparazione poteva altresì trarre giovamento da un identico arco cronologico di indagine e dal fatto che le due entità condividevano il medesimo capo dello Stato, oltre che dall’influenza esercitata dalla Francia in un’ampia gamma di materie. Proprio tale ipotizzabile affinità mi ha spinto a individuare un’altra area geografica sulla quale la Francia avesse imposto la sua egemonia senza per questo annetterla, dove cioè Napoleone avesse esercitato una sorta di sovranità di fatto senza per questo intaccare l’indipendenza formale di uno Stato, così da analizzare altresì come gli usi e le leggi locali in materia di celebrazioni pubbliche fossero stati modificati, utilizzati o annullati e quanto fossero

92 Come ravvisabile nella bibliografia, ho considerato con particolare attenzione i dipartimenti annessi della penisola

italiana e la zona renana, selezionando altresì alcune zone già facenti parte della Francia prima dell’espansione delle sue frontiere negli anni ’90 del Settecento, come le città di Tolosa, Bordeaux, Arras e Colmar.

93 La decisione di escludere il Mezzogiorno dalla mia analisi, pur in presenza di una ricca messe di studi sul Decennio

francese, è dipesa soprattutto dalla consapevolezza della distruzione di buona parte della documentazione prodotta dal ministero dell’interno del Regno fra il 1806 ed il 1815 durante la Seconda Guerra Mondiale.

insorti conflitti di autorità – non tanto sul piano pratico, quanto su quello della rappresentazione – fra di lui ed i suoi congiunti elevati al rango di monarchi. La necessità di prendere in considerazione un’area in prevalenza o esclusivamente di religione cattolica, così da poter proficuamente verificare e confrontare i processi di sacralizzazione mediati dall’autorità ecclesiastica, mi ha persuaso infine a propendere per il Regno di Spagna, benché lo stato di disordine e di conflitto permanenti avesse naturalmente compromesso la regolarità e la magnificenza di non poche festività. Per dare alla mia ricerca un respiro ancora più largo mi sono servito soltanto di due istituzioni che per loro stessa natura godevano di una mobilità e di una diffusione continentale, l’esercito imperiale e la rete massonica del Grand Orient de France94. Ho inoltre combinato estensive ricerche negli archivi dei

ministeri centrali conservati a Parigi, Milano e Madrid – così da ottenere uno sguardo d’insieme sufficientemente ampio e da disporre già di una selezione di quei casi tanto gravi o positivi da essere segnalati alle autorità delle capitali – con puntuali missioni di spoglio in alcuni archivi dipartimentali o di stato, al fine di assumere molteplici punti di osservazione a differenti livelli95.

Il secondo criterio meritevole di essere segnalato riguarda la varietà delle fonti. Proprio in virtù della molteplicità dei soggetti coinvolti nello svolgimento, nella sorveglianza e nell’attribuzione di significato a riti e feste civiche è stato necessario intrecciare non solo la documentazione ufficiale di ministeri e organi dell’amministrazione afferenti a materie diverse – interni, esteri, difesa, polizia, culti – ma anche quella di produzione ecclesiastica o massonica, comprensiva fra l’altro di lettere pastorali, sermoni, componimenti encomiastici e compte-rendus di assemblee nelle logge. L’annoso problema della veridicità delle descrizioni trionfali che quasi sempre accompagnavano le celebrazioni è stato così superato intersecando le fonti in cerca di precisazioni o smentite, interpretando la partecipazione e la lealtà in termini non solo di capacità di coinvolgimento estetico-emotivo ma anche di riconoscimento ed interiorizzazione del significato dei ruoli e dell’agire socio-rituale96, e prendendo in considerazione anche un buon

numero di diari e memorie, di certo non sempre affidabili ma utili per ricostruire come singoli individui esperivano, interpretavano e più frequentemente ricordavano a posteriori le celebrazioni,

94 Gli archivi del Service Historique de la Défense e del Grand Orient de France si trovano l’uno a Vincennes e l’altro

nelle collezioni manoscritte della Bibliothèque Nationale de France (Fonds maçonniques), ragione per cui in entrambi i casi era sia agevole accedere alla documentazione, sia possibile assumere un’ottica europea.

95 La problematica dell’échelle della ricerca storica è discussa in B. Lepetit, De l’échelle en histoire, dans J. Revel

(dir.), Jeux d’échelles. La micro-analyse à l’expérience, Paris, Gallimard / Le Seuil, 1996, pp. 71-94, e P. Minard,

Globale, connectée ou transnationale : les échelles de l’histoire, «Esprit», 12 (2013), pp. 20-32.

96 Oltre ai già citati saggi di Paperman e Mariot, segnalo il volume di J. Osterkamp and M. Schulze Wessel (eds.),

attribuendovi non di rado un nuovo, ulteriore significato97. Da ultimo, è evidente che uno studio

sulle rappresentazioni dell’autorità napoleonica non possa escludere l’aspetto artistico e le fonti iconografiche; poiché tuttavia i saggi sull’immagine del Primo Console / Imperatore nella pittura e nella scultura sono già particolarmente abbondanti98, ho preferito concentrarmi su stampe,

litografie e caricature, spesso non prive di relazione con la produzione artistica “alta” ma a basso prezzo e larga tiratura, oppure su quelle opere che vennero concretamente utilizzate nel corso dei riti e dei festeggiamenti descritti. Nel primo caso sono così evidenziati gli elementi della glorificazione di Napoleone che filtravano in prodotti di ampia diffusione e consumo popolare, la cui pervasività era tanto grande essi venivano addirittura sovvertiti nelle raffigurazioni caricaturali volte ad offrire contro-narrazioni del potere; nel secondo caso, invece, diventa possibile analizzare le pratiche della rappresentazione simbolica della sovranità in absentia al principio dell’Ottocento (cfr. capitolo 4).