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La regalità multiforme: il ripristino della dignità sovrana fra carisma personale, fondazione

Nell’analisi appena condotta è emerso distintamente che fare riferimento a particolari momenti storico-mitologici, insistere su un divenire progressivo, delineare – seppure a grandi linee – delle scansioni temporali nel passato o individuare dei modelli più o meno credibili erano tutte operazioni dotate di una forte carica politica, poiché modellavano la rappresentazione del regime politico esistente e di colui che ne era alla guida. Lo stesso può dirsi più specificamente nel prendere in considerazione l’immagine di Napoleone come sovrano: anche in questo caso era infatti essenziale il rapporto con la Storia, in relazione a modelli paradigmatici, in termini di continuità o discontinuità rispetto ad assetti di potere, metodi di governo e percezioni diffuse della regalità, in materia di strategie per assicurare la permanenza al potere sua e dei suoi discendenti. Come già rilevato in precedenza, le rappresentazioni di Napoleone come monarca e le concezioni della regalità e della sovranità sottostanti – tanto quelle propagandate, quanto quelle ricevute e rielaborate – erano plurali, multiformi, non esenti da contraddizioni. Come in molti altri casi di regimi sorti all’indomani della Rivoluzione francese – cioè dopo una cesura che rendeva impossibile riallacciarsi pedissequamente ad una stagione precedente, specie per quei governanti privi di una tradizione dinastica – il continuo aggiustamento dell’immagine pubblica di Napoleone, la reinterpretazione dei legami con il passato, il collegamento con itinerari della storia precedente anche nell’ambito di un processo di distacco e modernizzazione derivavano dal costante potenziale di illegittimità del suo potere473. Il quindicennio napoleonico si posiziona del resto al cuore di quella

“epoca-sella”, o “epoca-crinale” (Sattelzeit), compresa grosso modo fra il 1750 ed il 1850 e tratteggiata da Reinhart Koselleck secondo una prospettiva d’indagine «nella quale l’emergere del nuovo è pensato sempre come il risultato, momentaneo e contingente, di un complesso campo di

473 R. De Lorenzo, Mobilità e regalità: usurpatori e conquistatori nella costituzione delle nazioni, in M. L. Betri (ed.),

Rileggere l’Ottocento. Risorgimento e Nazione, Torino, 2010, pp. 77-92, in particolare p. 86. Questo dato è valido

anche per la restaurazione degli antichi governanti dopo il periodo napoleonico: benché non mancassero ovviamente argomentazioni tradizionaliste sulla legittimità borbonica fondata sul diritto divino, sull’ordine naturale e sulla storia, secondo Corinne Legoy emersero altri principi di legittimazione del potere conseguenti agli avvenimenti del quarto di secolo precedente il 1815, primi fra tutti le virtù del principe e la volontà nazionale. Secondo questa storica, infatti, «même pour les thuriféraires du régime, il import[ait] de justifier le retour des Bourbons et le rétablissement monarchique, bien plus que de simplement les consacrer». C. Legoy, Comment justifier la Restauration après la

tourmente révolutionnaire? Affres et voies d’une redéfinition de la notion de légitimité, dans Caron et Luis (dir.), Rien appris, rien oublié?, cit., pp. 157-167.

tensione tra differenza e ripetizione», ed in cui i concetti – politici e non solo – le rappresentazioni e le esperienze del reale degli attori storici stessi presentano una «multistratificazione (Mehrschichtigkeit) di significati»474.

L’autorità monarchica di Napoleone poneva evidentemente dei problemi, da un lato essendo priva di una tradizione storica di supporto e dall’altro avendo decretato la fine di un inedito periodo di governo repubblicano, per quanto burrascoso: in questo senso, essa era attaccabile sotto molti punti di vista. Non sorprende pertanto che uno degli assi principali su cui si mossero i suoi critici ed oppositori durante e dopo l’Impero fosse l’attacco contro l’usurpatore o il parvenu; come dimostrato da Chateaubriand nel celebre pamphlet De Buonaparte et des Bourbons, essi erano mossi dallo scandalo di un homo novus divenuto imperatore e deciso a fare uso «dei vecchi attributi della regalità, senza naturalezza però, esasperandoli spesso, e sempre rivelando l’inadeguatezza della propria posizione»475. Ad essere denunciate erano la falsità e l’impostura di Napoleone,

giudicate la cifra stilistica non solo della rappresentazione della sua regalità, ma anche del suo esercizio della stessa: nel settembre 1813 vennero per esempio ritrovati a Siena dei manifesti che mettevano alla berlina l’ipocrisia del regime, contestandone in particolare le notizie diffuse dalle autorità per mezzo della stampa e dei bollettini476.

Il contenimento degli attacchi e l’opposto rafforzamento della sovranità napoleonica passavano da due vie differenti ma non per questo incapaci di coesistere. La prima, di cui mi occuperò più dettagliatamente nel prossimo paragrafo ma che era in azione anche nel processo di eroicizzazione già preso in esame, consisteva nell’esaltare al massimo grado l’eccezionalità di Napoleone, quasi a volerlo sottrarre alla contingenza storica, sublimando il presente in una dimensione superiore ed incommensurabile, quella mitico-sacrale. La seconda, invece, prevedeva di inserire il regime nella storia di Francia, riformulandola, inventando dei rimandi e delle connessioni se necessario, al fine di inquadrare la sovranità napoleonica in una dimensione di lungo periodo che ne garantisse in prospettiva la durata. Il regime imperiale insomma, pur essendo di natura ereditaria, si incarnò per alcuni anni in un solo uomo provvidenziale: questo dato aveva il vantaggio di sottrarlo per un certo tempo alle insidie della contingenza storica, ma costituiva anche un limite poiché poteva compromettere la trasmissibilità della sovranità e dunque la conservazione

474 L. Scuccimarra, Modernizzazione come temporalizzazione. Storia dei concetti e mutamento epocale nella riflessione

di Reinhart Koselleck, «Scienza & Politica», vol. XXVIII, 55 (2016), pp. 91-111, citazione a p. 95.

475 D’Elia, La mano e lo sguardo, cit., pp. 58-59.

476 AN, F/1cIII/Ombrone/1, dossier Correspondance et divers 1808-1814, rapporto del prefetto Gandolfo al ministro

dell’interno, datato 13 settembre 1813. Il prefetto descriveva preoccupato la «effervescence» osservabile nel dipartimento ed esprimeva una fosca previsione, affermando che «si le thermomètre politique baissait les passions contraires au Gouvernement reprendraient une activité dont il deviendrait difficile d’arrêter toutes les conséquences»

e durata del regime stesso. Per ovviare a questo problema si fece ricorso alla valorizzazione di una prospettiva dinastica, attraverso la nozione ed il mito della cosiddetta Quatrième Dynastie o Quatrième Race della storia di Francia477: quest’ultima veniva presentata come una successione di

tre dinastie – i Merovingi, i Carolingi ed i Capetingi – i cui iniziatori (Clodoveo, Carlomagno, Ugo Capeto) erano stati uomini risoluti, capaci non solo di tramandare il loro potere alle successive generazioni per secoli ma anche, in caso di necessità, di far decadere la precedente famiglia regnante ormai priva delle capacità di governare efficacemente. Veniva così implicitamente rigettata l’accusa di usurpazione sempre latente, ed al contrario era esaltata la continuità della storia della Nazione e della compagine territoriale francese a prescindere dal ruolo giocatovi dai Borbone, a cui veniva sottratto parte del prestigio storico. Essi si vedevano per di più relegati al passato, senza che per questo fosse compromessa la dignità monarchica in senso assoluto; per mezzo del mito della Quatrième Dynastie «on s’effor[çait] de faire oublier le temps court et les hasards de la fortune pour placer Napoléon dans une continuité plus que millénaire et le poser finalement en héritier autant qu’en fondateur»478.

Il momento d’oro di questa nozione fu rappresentato ovviamente dalla nascita del Re di Roma, che parve peraltro riuscire a far coincidere la prospettiva storico-dinastica e quella eroico- carismatica: la retorica encomiastica onorava il lieto evento come garanzia della stabilità futura dello Stato e del benessere delle future generazioni, ma insisteva moltissimo anche sulle straordinarie virtù che il fanciullo avrebbe presto manifestato – frutto della sua discendenza da Napoleone – forse anche per il timore che un’ereditarietà potenzialmente contestata non fosse un criterio sufficiente per assicurare la sua ascesa al trono. In realtà le reminiscenze della regalità dinastica, incarnata a suo tempo dai Borbone, non erano affatto sparite, né era venuta meno del tutto quella dignità monarchica pur compromessa nel corso del Settecento e della Rivoluzione479.

Soprattutto fra i ceti più umili e meno istruiti, o nelle comunità più isolate, la nascita dell’erede al trono ridestò antiche abitudini capaci di dimostrare quanto l’orizzonte politico di riferimento fosse

477 Significativamente la trasposizione pittorica di tale mito doveva apparire nella cupola del Pantheon, ossia nella

chiesa non solo dedicata a Sainte Geneviève, patrona di Parigi, ma anche destinata ad ospitare le spoglie dei grandi servitori civili ed ecclesiastici dello Stato. Cinque mesi dopo la nascita del Re di Roma il pittore Antoine-Jean Gros ricevette l’incarico di dipingere un maestoso affresco, mai terminato, la cui iconografia fu probabilmente frutto altresì dei suggerimenti di Dominique Vivant-Denon: vi dovevano comparire i più gloriosi rappresentanti delle quattro dinastie mentre ammiravano il reliquario di Sainte Geneviève trasportato da angeli, allusione all’ossequio di tutti i sovrani per la religione, al potere sacro di cui tutti godevano ed al trasferimento della legittimità storica delle antiche dinastie ai Napoleonidi. Cfr. E. Bouwers, Public Pantheons in revolutionary Europe. Comparing cultures of

remembrance, c. 1790-1840, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2012, pp. 122-124.

478 M. Kerautret, Napoléon et la quatrième dynastie: fondation ou restauration?, dans Becquet et Frederking, La

dignité de roi, cit., pp. 35-48, citazione a p. 44.

479 P. Viola, Il trono vuoto. La transizione della sovranità nella Rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1989; J. Merrick,

The desacralization of the French monarchy in the Eighteenth century, Baton Rouge, Louisiana State University Press,

rimasto quello monarchico di un tempo: il ministro dell’interno venne per esempio informato che i contadini del Bazadais, una regione rurale del dipartimento della Gironde, avevano acclamato la notizia del parto dell’imperatrice al grido ripetuto di «Vive le Dauphin»480. Né lui né il prefetto

avevano ritenuto necessario prendere provvedimenti, poiché l’errore appariva più terminologico che sostanziale: tanto la condotta dei contadini quanto la reazione delle autorità competenti dimostravano che Napoleone poteva – e desiderava – essere considerato un monarca come qualunque altro. Questo non significa, però, che il rapporto instaurato con i sudditi fosse analogo a quello di Antico Regime, anzi. Attraverso lo studio di una serie di petizioni inviate all’Imperatore da un variegato gruppo di cittadini Natalie Petiteau ha mostrato che egli assumeva le sembianze tanto di una figura paterna, in linea con concetti e forme di sottomissione tipiche dell’Antico Regime, quanto di protettore della Nazione. La storica concludeva dunque che «avec l’Empire, il y [eut] restauration de l’union entre le souverain et la nation et retour à une sacralisation, relevant du sentimental plus que du politique»481, ossia che i cittadini avevano interiorizzato la

rappresentazione carismatica, eroica e centrata sulle virtù di Napoleone adattandola alle concezioni precedenti sulla regalità e sulla dignità monarchica.

In questo senso furono esemplari i messaggi veicolati dalle celebrazioni tenutesi nella città di Arras per il battesimo del Re di Roma. Sul piano emotivo doveva infatti formarsi una perfetta comunanza di sentimenti fra Napoleone ed i suoi sudditi, in particolare gli uomini adulti: secondo gli auspici del prefetto «chaque père de famille croyait avoir un fils, un protecteur de plus» grazie al doppio status del fanciullo, nel suo ruolo di figlio – allusivo ad una dimensione privata e domestica del monarca non più nascosta, ma anzi valorizzata anche sotto il profilo iconografico482

– e di sovrano in potenza, garante della perpetuità dell’Impero. È noto del resto che tra il tardo Settecento ed il primo Ottocento i principi della legittimità politica andarono incontro ad una sorta di metamorfosi acquisendo ulteriore complessità. I meccanismi della celebrità dopo essersi dispiegati nel mondo della cultura penetrarono nel gioco politico; già prima dell’avvento della Rivoluzione e di Napoleone,

Louis XVI fut à la fois le témoin et la victime du passage du “roi-principe” au “roi-personne”, d’une légitimité fondée sur l’ancienneté immémoriale de la monarchie sacrée à la figure paternelle et débonnaire d’un roi attaché au bonheur de son peuple. Cette évolution avait pour conséquence de fonder la légitimité du pouvoir royal sur les vertus personnelles du roi et d’encourager ainsi les éloges et les critiques portant sur la personne privée,

480 AN, F/1cIII/Gironde/7, dossier Fêtes nationales, sous-dossier 1806-1853, rapporto del prefetto al ministro

dell’interno, Bordeaux 28 marzo 1811.

481 Petiteau, Napoléon Bonaparte. La nation incarnée, cit., p. 133.

482 Si pensi per esempio al piccolo quadro di Alexandre Menjaud Napoléon à son déjeuner jouant avec le roi de Rome,

conservato a Fontainebleau al Musée Napoléon Ier, su cui si veda l’analisi di J. Tulard, Histoire de Napoléon par la

humaine, détentrice du pouvoir. La “popularité”, désormais, devenait le nouveau critère de l’incarnation politique en régime démocratique483.

Le celebrazioni per la nascita ed il battesimo dell’erede al trono imperiale esaltarono di certo la prospettiva della continuità dinastica ma misero altresì in risalto la dimensione personale dell’evento. La curiosità riguardo il “Napoleone segreto” era aumentata sin dal 1804 ed aveva promosso una letteratura intimistica sulla sua vita privata o sulla corte spesso sfruttata anche dalla contro-propaganda anti-napoleonica per denunciare gli inganni delle rappresentazioni ufficiali484;

occorreva dunque trarre vantaggio da questo interesse e controbilanciare le critiche, insistendo sulla mutua soddisfazione dei sudditi e del sovrano e sulla naturale generosità dell’Imperatore. Non stupisce allora che il maire di Arras nel corso della cerimonia di matrimonio di veterani e fanciulle indigenti, sovvenzionata dalla municipalità secondo il volere del governo, elogiasse una serie di provvedimenti introdotti dall’Imperatore stesso per evitare che i suoi militari cadessero in miseria una volta lasciato l’esercito485: le lodi per l’attribuzione di pensioni proporzionate al grado, alla

durata del servizio ed alle ferite riportate ed per i posti riservati in vari rami dell’amministrazione pubblica dovevano aumentare la popolarità di un sovrano deciso a presentarsi anche come premuroso e munifico, soprattutto nei confronti di quanti avevano fatto parte dell’istituzione rappresentativa della Nazione per eccellenza. La classica identificazione del monarca come figura paterna veniva così nuovamente valorizzata all’insegna di un regime emozionale aggiornato, più marcato in termini sentimentali e centrato sulle virtù della singola persona di Napoleone, e declinando l’equazione illuministica fra la felicità del re e quella dei sudditi su scala nazionale, sia attraverso un’azione pervasiva ed efficace dello Stato e della sua burocrazia sia per mezzo del personale intervento dell’Imperatore a beneficio del popolo, dettato dalle sue eccezionali qualità. Il carattere multiforme e complesso della rappresentazione della sovranità napoleonica risiede proprio in questa tensione mai del tutto risolta, dal forte impatto sull’esercizio e la percezione della regalità nel primo Ottocento:

All’interno delle realtà statuali nate dall’impatto, diretto o indiretto, con le riforme napoleoniche si afferma come costante una bipolarità fra dominio burocratico e dominio paternalistico; due sono quindi le anime del potere, un’anima antica, e un’anima nuova, e questa tensione permea e condiziona tutta la vita sociale, da un lato, dall’altro apre all’individuo spazi di interpretazione e azione486.

483 A. Lilti, Figures publiques. L’invention de la célébrité (1750-1850), Paris, Fayard, 2014, p. 242. 484 D’Elia, La mano e lo sguardo, cit., pp. 50-52.

485 F/1cIII/Pas-de-Calais/14, dossier Fêtes Nationales, sous-dossier An VIII – 1812, rapporto del prefetto al ministro

dell’interno, Arras 30 giugno 1811.

486 C. D’Elia, Le due anime del re. Circolazione materiale e immateriale all’interno dello Stato ottocentesco, in Ead.,

Nella persona del sovrano tratteggiata nelle cerimonie e nelle orazioni delle festività pubbliche si combinavano così da un lato la potenza demiurgica dello Stato su larga scala per rispondere all’interesse generale, attraverso iniziative di supporto allo sviluppo tecnologico- artistico, di promozione del progresso urbanistico e di costruzione di opere pubbliche per mezzo di strumenti impersonali come la legge e la burocrazia; e dall’altro lato concezioni di più lungo periodo sulle capacità di intervento diretto del detentore del potere nel prendersi cura dei propri sudditi in modo paterno, all’insegna di codici emotivi condivisi che legittimavano questa attesa da parte dei segmenti popolari della società487.

Lo sgretolarsi progressivo della credibilità di Napoleone come sovrano, frutto non solo delle contraddizioni della narrazione basata sul progresso ma anche del venir meno della fiducia nella sua attitudine paterna, è misurabile confrontando due placards apparsi ad otto anni di distanza in due borghi piemontesi distanti solo un centinaio di chilometri. Nel primo, comparso a Ceva intorno alla metà dell’ottobre 1805, ignoti abitanti della cittadina lamentavano i soprusi commessi dal marchese Pallavicini, un ex signore locale il cui figlio esercitava la funzione di controllore soprannumerario delle contribuzioni dirette, invocando l’intervento provvidenziale di Napoleone per sanare la situazione488. L’Imperatore era così chiamato in causa sia come autorità esterna e

suprema, capace di proteggere i sudditi dalle angherie di un potente, sia come vertice dello Stato il cui apparato burocratico era contestato, almeno per il momento, non per la sua essenza ma solo per le azioni sconsiderate di un funzionario. Il secondo manifesto, affisso alla fine del mese di ottobre del 1813 nella città di Novi Ligure, invitava apertamente alla rivolta in vista della prevedibile caduta futura dell’Impero. La legittimità di questo intento era rivendicata tratteggiando Napoleone come un sovrano che invece di conservare o migliorare le condizioni di vita dei suoi sudditi ne aveva causato la rovina:

Eccoci finalmente al colmo delle nostre afflizioni. L’indegno franco monarca vuole la totale nostra rovina, e ridurre la misera Italia diserta di viventi. Non basteranno le sostanze delle quali ci vediamo privi, i sagrifizj grandiosi, e quel che è di più, non bastò il sangue innocente de’nostri figlj. Ma tutti adesso vuol che periamo, e pria che disperata morte lo colga, se gli riesce vuole tutto distruggere. E chi è colui che chiaramente non vede che lo stato attuale della sua armata è terribile, che il termine della decadenza è vicino? Pensiamo, miei cari, a conservarci piuttosto per la cara nostra città. Questa si diffenda [sic] da forti, e non andiamo a spargere il sangue inutilmente489.

487 Ivi, p. 144. L’autrice precisa infatti che «la monarchia amministrativa alla francese […] arricchisce la tensione fra

potere della persona e potere della legge nella figura del re».

488 AN, F/1cIII/Montenotte/3, dossier Correspondance et divers, rapporto del prefetto al principe Arcitesoriere

dell’Impero Lebrun, Savona 17 ottobre 1805.

489 Ivi, F/1cIII/Gênes/2, dossier Correspondance et divers An XIII – 1814, rapporto del prefetto in missione a Novi

La rappresentazione di Napoleone come sovrano era dunque in questo caso rovesciata, nell’intento di delineare una figura che, venendo meno ai suoi doveri, si era trasformata in un vero e proprio flagello per i propri sudditi manifestando la propria totale indegnità a governare. Proprio per coprire il fianco a queste critiche e limitare gli spazi di rivendicazione dal basso – fossero essi interpretati sotto forma di delega di sovranità, di rapporto pattizio o di semplici suppliche – interveniva l’ultimo aspetto della sovranità napoleonica che prenderò in esame: quello sacrale.