• Non ci sono risultati.

La presente dissertazione è suddivisa in tre sezioni, la prima delle quali si compone di tre capitoli mentre ciascuna delle successive di due. La prima parte vede come protagonista lo Stato, i suoi funzionari e le cerimonie di carattere civico. Nel secondo capitolo, per esempio, intendo sia delineare lo svolgimento delle celebrazioni, descrivendo il vasto insieme di svaghi e riti civici abituali nel quindicennio napoleonico ed analizzando a quali segmenti sociali fossero rivolti, sia mettere in luce il dialogo fra le norme ed i principi decisi dall’alto dalle autorità di governo e la loro applicazione da parte delle amministrazioni locali. Da ciò emerge un modello di fête de souveraineté napoleonica, valido non soltanto entro i confini della Repubblica / Impero francese, in cui ad una notevole uniformità nelle occasioni e nelle motivazioni dei festeggiamenti faceva nondimeno da contraltare una relativa libertà di valorizzare usi e costumi comunitari, così da soddisfare i gusti e le attese di larghi strati della popolazione che occorreva contemporaneamente coinvolgere nei festeggiamenti e tenere ai margini dell’attività politica. La comparazione fra le diverse aree geografiche esaminate non rivela un’identità totale fra le celebrazioni – non tutte le

97 Sul successo delle écritures de soi a partire dal primo Ottocento e sulle problematiche metodologiche relative all’uso

di queste fonti rimando a M. Guglielminetti, L’Io romantico, in M. L. Betri e D. Maldini Chiarito (a cura), Scritture di

desiderio e di ricordo: autobiografie, diari, memorie tra Settecento e Novecento, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 19-

28; D. Zanone, Les Mémoires au XIXe siècle: identification d’un genre, dans J. Jackson, J. Rigoli et D. Sangsue (dir.),

Etre et se connaître au XIXe siècle, littérature et sciences humaines, Genève, Métropolis, 2006, pp. 119-142; e N.

Petiteau, Ecrire la mémoire. Les mémorialistes de la Révolution et de l’Empire, Paris, Les Indes savantes, 2012.

98 Solo per citare alcuni esempi, B. Foucart, La grande alliance de Napoléon et des peintres de son histoire, dans Y.

Cantarel-Besson, C. Constans et B. Foucart (dir.), Napoléon, images et histoire: peintures du Chateau de Versailles,

1789-1815, Paris, Réunion des Musées Nationaux, 2001, pp. 12-24; J.-C. Bonnet (dir.), L’Empire des muses. Napoléon, les arts et les lettres, Paris, Belin, 2004; e D. Casali et D. Chanteranne, Napoléon par les peintres, Paris, Seuil, 2009.

pratiche furono parimenti fiorenti nei diversi contesti, o introdotte al medesimo momento – però conferma che la varietà e la commistione degli eventi ludici e cerimoniali mirava a toccare ed includere i vari gruppi sociali – con modalità, intensità e finalità beninteso differenti – offrendo loro un’immagine composita ma il più possibile soddisfacente del regime e di Napoleone stesso. Sbiaditi col tempo i riferimenti al patrimonio ideale repubblicano, agli strati popolari era così diretta l’immagine di un monarca-evergete per mezzo della distribuzione di soccorsi in natura e di doti per le famiglie indigenti, ai ceti borghesi quella di un sovrano capace di offrire al tempo stesso svaghi alla moda e prospettive di rilancio economico per mezzo di spettacoli teatrali gratuiti ed esposizioni tecnico-industriali, mentre notabili ed aristocrazia vedevano riconosciuto il loro prestigio sociale e la loro influenza politica attraverso l’invito personale ad eventi esclusivi come gala e serate danzanti. Sebbene dunque l’interesse primario delle autorità fosse intessere rapporti più cordiali con i nomi più in vista della società locale in vista di un loro possibile ralliement al regime, una certa attenzione continuò ad essere portata alla collettività nel suo complesso, in nome di quei principi di unanimità e di coesione che le feste rivoluzionarie avevano elevato al rango di dogma ispiratore.

Il terzo capitolo verte invece sullo studio del funzionamento dell’amministrazione in materia di allestimento, sorveglianza ed interpretazione del successo delle festività pubbliche. In esso prendo innanzitutto in esame la molteplicità e la sequenza dei compiti attribuiti ai funzionari ed agli amministratori locali, mirando inoltre a comprendere le modalità di comunicazione, il linguaggio e la postura da loro adottati nell’esercizio dei loro incarichi e nel corso delle cerimonie solenni, in particolare attraverso il prisma dell’etichetta. In seguito concentro la mia attenzione sulla questione della partecipazione a tali eventi e del loro significato. La mise en scène du pouvoir implicava infatti la presenza di un pubblico numeroso e ricettivo su cui esercitare precisi effetti, misurabili in termini collettivi come miglioramento o rafforzamento dell’esprit public: poiché quest’ultimo era ritenuto plasmabile tanto da divenire una sorta di indicatore della governabilità e della lealtà di un dato territorio, come pure della capacità di gestione dell’amministrazione agente in loco, le giornate festive diventavano un banco di prova altresì dell’affidabilità amministrativa, organizzativa e politica dei funzionari pubblici locali. In base alla mia analisi le celebrazioni emergono dunque come uno scenario ed un mezzo per richiedere, costruire e ribadire la lealtà verso l’autorità e l’ordine idealizzato dalle solennità stesse, grazie ad un preciso linguaggio applicabile sia agli amministratori sia agli amministrati e comprendente l’adesione al protocollo, l’aderenza al regime emozionale implicito in una fête de souveraineté per mezzo di un variegato insieme di

signes extérieurs – giubilo, applausi, acclamazioni, rispetto dell’ordinamento sociale manifestato dai riti pubblici etc. – e la partecipazione a riti dal contenuto e dalla perentorietà variabile.

Il quarto capitolo concerne un’analisi delle immagini di Napoleone offerte durante le festività e le cerimonie civiche: vi indago infatti i contenuti delle narrazioni sceniche, simboliche, discorsive e figurative poste al servizio della strutturazione della legittimità o della sacralizzazione del suo regime politico, a partire soprattutto dallo studio di cerimonie di inaugurazione di busti e dipinti del Primo Console / Imperatore e di discorsi pubblici pronunciati da funzionari nel corso di riti come l’apertura di grandi lavori pubblici o la distribuzione di aiuti in denaro o in natura agli indigenti. Appare evidente che Napoleone, prendendo le distanze dalla «invisibilité» di Luigi XV e di Luigi XVI, ripristinò con energia la comunicazione visuale e simbolica con i sudditi, nel tentativo di rivitalizzare la dignità del Capo dello Stato centrandola al contempo sulla sua persona. Le rappresentazioni del Primo Console / Imperatore assunsero tratti multiformi, spesso sovrapposti e difficilmente inscrivibili in un preciso ordine cronologico: proprio la loro molteplicità doveva del resto assicurare la più ampia efficacia possibile in termini di costruzione della sua legittimità. La prima e più duratura immagine ad essere formulata fu di certo quella richiamante il modello eroico, capace di elevare il valore e la gloria non solo a fondamento del suo carisma personale ma anche a stella polare per la collettività; ma dopo di essa comparvero e si integrarono reciprocamente quelle che rendevano Napoleone l’incarnazione della nazione e delle sue aspirazioni, o un legislatore ed un governante efficace e teso al progresso dello Stato e della vita collettiva, o una figura quasi mitologica capace di sublimare il tempo ordinario, o un sovrano paterno e benefico verso i suoi sudditi. In particolare è opportuno segnalare che grazie all’ascesa al trono imperiale Napoleone poté rafforzare il proprio carisma personale con quello associato alla funzione monarchica, ed appoggiarsi ad un ricco patrimonio di concezioni sulla regalità di origine divina la cui influenza era ancora forte nella Francia profonda, senza per questo disattendere apertamente sin dal principio alle speranze di quanti desideravano l’avvento di una monarchia temperata dal rispetto della sovranità nazionale. L’attribuzione all’Imperatore di tratti demiurgici rese possibili la fusione fra le due anime del regime napoleonico, fra potere individuale, paterno e carismatico da un lato e potere burocratico, impersonale e rivolto all’interesse generale dall’altro. Con il passare degli anni l’appello alla legittimità non scomparve, ma venne sempre più affiancato e superato dalla rivendicazione – persino in alcune delle rappresentazioni simboliche e retoriche di stampo civico – di una dimensione sacra per l’Imperatore, per la sua costruzione politica e per alcuni valori ritenuti fondanti: ciò era il frutto dell’incontro tra carisma o eccezionalità personale da un lato e sacralità ancora in parte implicita nella regalità dall’altro.

La seconda sezione del mio lavoro investe più dettagliatamente proprio il tema del sacro; vi viene infatti ricostruito il progressivo ripristino delle cerimonie religiose quale momento centrale delle celebrazioni per maestosità, intensità e significato veicolato. In effetti è impossibile negare che la sacralizzazione del politico avvenga nel periodo napoleonico principalmente – anche se non esclusivamente – per mezzo della decisiva mediazione della Chiesa, secolare mediatrice ed interprete fra mondano e trascendente. Nel quinto capitolo ricostruisco pertanto la reintroduzione e la valorizzazione della ritualità religiosa quale componente fondamentale delle festività, in modo diacronico, secondo un approccio comparativo e basandomi in primis sui dibattiti delle assemblee e sulla legislazione dell’epoca; analizzo inoltre per quali ragioni una parte decisamente consistente del clero francese, del Regno d’Italia e dei territori iberici posti sotto il controllo del Gobierno intruso si dimostrarono disposti a sacralizzare il regime, e come il crescente inasprirsi delle relazioni con Roma abbia avuto conseguenze in proposito. Il sesto capitolo abbandona l’impianto generale e teorico del precedente per calarsi invece nell’universo delle pratiche di sacralizzazione del potere napoleonico: vi vengono infatti studiati le preghiere per la salute di Napoleone, i riti religiosi di celebrazione delle sue vittorie o delle feste civiche annuali – Te Deum, processioni, il culto di San Napoleone etc. – ed i sermoni panegirici in onore dell’Imperatore, ancora una volta secondo una prospettiva comparativa attenta a cogliere le diverse scansioni temporali o la preminenza di particolari argomentazioni o resistenze nelle specifiche aree considerate.

L’analisi condotta in questi due capitoli così strettamente intrecciati mette in luce che tra il 1802 ed il 1806 si fece progressivamente strada la convinzione che solo la religione potesse da un lato adeguatamente glorificare l’autorità napoleonica per mezzo di riti maestosi, e dall’altro assicurare l’assolutizzazione dei principi di sottomissione al Primo Console / Imperatore: il risultato fu la creazione di un apparato di feste che conservarono il loro carattere civico o nazionale, ma che al contempo ammantavano di un’aura di sacralità Napoleone e la sua costruzione politica per mezzo di preghiere e riti aggreganti. La fonctionnarisation del clero e la ritrovata centralità del culto pubblico persuasero molti ecclesiastici a collaborare a questo progetto che sanciva un inedito incontro fra sacro e politico: frutto di interessi talvolta convergenti, talvolta discordanti, esso produsse un rinnovato slancio nel ribadire l’origine divina del potere monarchico, ma anche favorì l’esaltazione dell’eccezionalità di un individuo dai tratti demiurgici e l’ascesa della gloria e dell’onore a principi essenziali dell’ordine socio-politico, secondo i dettami delle autorità civili. In altri termini, la riproposizione di collaudate idee riguardo i fondamenti ultramondani dei poteri esercitati sulla Terra venne bilanciata dall’apparire del sacro della politica: lo Stato non solo volle giudicare come le autorità religiose amministrassero il sacro – se, cioè, lo facessero in modo

conforme agli interessi superiore dello Stato stesso – ma si attribuì persino il diritto di sancire e di propagandare per mezzo delle celebrazioni pubbliche nuovi valori sacri, come nel caso del celebre Catechismo ad uso di tutte le chiese di Francia del 1806, o di inventare un santo omologo dell’Imperatore lasciando di stucco buona parte della gerarchia ecclesiastica. Proprio in virtù di interessi convergenti fra potere temporale e potere spirituale il sacro continuò a giocare un ruolo decisivo nella vita politica del primo Ottocento, almeno finché lo scoppio della crisi con il pontefice ruppe tale equilibrio instabile: in seguito a ciò il carattere sacro della sovranità napoleonica venne sempre più messo in discussione ed invece di essere un vettore di unità ed inconfutabilità esso si trasformò in una mera rivendicazione divisiva.

La terza ed ultima sezione riguarda due istituzioni che, seppure con un diverso grado, rivestirono un’importanza considerevole durante il Consolato e l’Impero, ossia l’esercito e la massoneria. La fama del primo, protagonista sotto la guida di Napoleone di campagne che ancora oggi hanno il sapore dell’epopea, è troppo nota per soffermarvisi; è più opportuno invece ricordare che al principio dell’Ottocento il Grand Orient de France conobbe una vera e propria età dell’oro, almeno in termini di espansione della rete delle logge associatevisi e di aumento del numero dei membri, se non di aderenza alla dottrina originaria della massoneria. Ho scelto di prendere in considerazione le cerimonie in onore del Primo Console / Imperatore presso accampamenti, guarnigioni, città occupate ed ateliers massonici per svariate ragioni, tra le quali l’abbondanza delle fonti documentarie a disposizione, il carattere talvolta semi-ufficiale o “privato” di queste celebrazioni, la loro diffusione in un quadro geografico davvero impressionante per estensione – dalla penisola iberica al Ducato di Varsavia, dalle Isole Ionie alle coste del Mare del Nord – ed il coinvolgimento più o meno volontario – almeno in qualità di spettatori – anche di gruppi di persone o di intere collettività formalmente non sottoposte alla sovranità napoleonica.

Il settimo capitolo mette anzitutto in luce che sul fronte interno la variabile importanza attribuita all’elemento militare nelle festività civiche deve essere interpretata come una maniera per conservare l’acquiescenza delle forze armate e più in generale della società di fronte alla progressiva concentrazione del potere nelle mani di Napoleone; le celebrazioni di marca militare furono in primis un terreno su cui da un lato rispondere al desiderio di onori e riconoscenza delle armate e dei loro comandanti, e dall’altro esercitare una pressione sul resto della società. Napoleone fu tuttavia costantemente attento a non mettere a repentaglio l’equilibrio e la complessità delle sue rappresentazioni legittimanti a vantaggio del solo elemento militare; le forze armate godettero sicuramente di un certo protagonismo in occasione dei maestosi trionfi degli anni centrali

dell’Impero, ma vennero invero impiegate con grande enfasi nelle celebrazioni quando era necessario ribadire la solidità del regime in concomitanza con una sua crisi interna o internazionale. Al di fuori dei confini degli Stati retti personalmente da Napoleone le imponenti cerimonie militari miravano parimenti a fare sfoggio di potenza, a mettere in scena l’egemonia francese sul continente e talvolta addirittura ad affermare la tutela esercitata dalla superiore autorità dell’Imperatore sui regni dei congiunti o degli alleati. Per i combattenti invece, specie se appartenenti al corpo ufficiali, le celebrazioni costituirono non soltanto un momento di svago ed un rimedio contro il mal du pays, ma anche – in proporzioni tuttavia difficili da quantificare – un’importante occasione per sviluppare una prima, superficiale politicizzazione giocata su aspetti estetici ed emotivi, ossia per introiettare o rifiutare i valori ed i simboli veicolati dalle cerimonie stesse, per riconoscersi come sudditi dell’Imperatore – specie se in servizio in luoghi lontani da casa – e come individui partecipi di quegli stessi eventi gloriosi commemorati, così da dare un senso all’esperienza bellica vissuta.

L’ottavo ed ultimo capitolo prende infine in considerazione il culto napoleonico all’interno degli ateliers del Grand Orient de France, sotto forma di celebrazione delle solenni ricorrenze del regime, di speciali riti massonici e di lettura di componimenti encomiastici in prosa o in versi. È interessante notare che, benché sia ormai assodato che non fu la massoneria a divenire “bonapartista” quanto piuttosto i grandi dignitari, gli alti funzionari e gli ufficiali dell’esercito ad entrare in massa nei ranghi dell’Ordine, durante le cerimonie in onore del Primo Console / Imperatore le logge sia funsero da cassa di risonanza semi-ufficiale delle rappresentazioni di Bonaparte offerte dalle solennità pubbliche, sia svilupparono un proprio paradigma di elogi atto a glorificare e a legittimare il regime. Emerse così una sorta di versione massonica del Mythe du Sauveur, frutto del ricordo delle turbolenze subite dall’Ordine durante parte della Rivoluzione e della protezione informale – beninteso previa opportuna sorveglianza – goduta dal Grand Orient fra il 1799 ed il 1814. In virtù del principio dell’alterità fra società massonica e società profana e dell’obbligo formale di lasciare al di fuori della soglia del tempio distinzioni sociali e lealtà politiche – fatto salvo un generico rispetto dell’autorità costituita –, poté darsi pertanto la possibilità almeno teorica di celebrare ritualmente e retoricamente Napoleone in qualità di massoni, cioè riconoscendolo come capo dello Stato ma onorandolo principalmente in quanto restauratore dell’Ordine. In pratica, però, in non pochi casi proprio per mezzo del rituale e dello slancio letterario la politica entrò nelle logge, e la massoneria francese – che pure si diffuse come mai prima in Europa e funse da vettore di incontro ed amalgame con parte del notabilato dei paesi alleati o annessi – incominciò in questo modo, attraverso la figura e l’esperienza napoleonica, ad

assumere quella connotazione patriottica che la contraddistinse sempre più nel corso dell’Ottocento.

Parte prima.

Le festività napoleoniche: definire la sovranità e la legittimità

attraverso la rappresentazione simbolica.

Affollare le piazze, far smuovere i cuori. I festeggiamenti

civici tra svago, pedagogia e cerimonie della sovranità.

Nel campo dei festeggiamenti pubblici, è ben noto, vi sono usi che affondano le loro radici in tradizioni secolari, ma pure pratiche che assumono una rilevanza speciale in dati momenti storici, in un costante intrecciarsi fra valorizzazione dei costumi di un tempo passato, loro risignificazione secondo gli interessi del presente e prefigurazione beneaugurante del futuro. Le celebrazioni dell’epoca napoleonica non facevano eccezione: scopo del presente capitolo è delineare il loro concreto svolgimento, cioè analizzare un campione di attività, di svaghi e di cerimonie civiche particolarmente tipico ed emblematico delle ricorrenze, non solo utilizzando la suddetta griglia interpretativa, ma anche considerando quali segmenti sociali vi venissero principalmente coinvolti. Saranno pertanto presi in esame i divertimenti popolari, gli atti di munificenza nei confronti degli indigenti, degli ex-soldati e delle donne, l’offerta di svaghi riservati principalmente alle componenti borghesi della società – come il teatro – o al notabilato – gala e serate danzanti –, l’inaugurazione di monumenti ed opere artistiche alludenti alla gloria di Napoleone ed infine l’allestimento di esposizioni tecnico-industriali. Sarà così dimostrata l’esistenza di un modello di festa imperiale, beninteso non esente da alcune particolarità e variazioni a seconda del contesto geografico e temporale considerato. Per ognuno di questi temi verrà infatti messa in luce sia l’estensione geografica del fenomeno – era riscontrabile tanto nei confini dell’Impero francese, quanto nelle penisole italiana e iberica? – sia la sua scansione diacronica – quali furono gli anni di maggiore incidenza di tali attività e pratiche? Vi furono sostanziali cambiamenti nel corso degli anni, o un’introduzione tardiva in un dato contesto geografico? – sia il dialogo fra norme e principi imposti dai governi centrali da un lato, e dall’altro la loro applicazione da parte delle amministrazioni locali. Le pagine che seguono, dall’aspetto principalmente descrittivo, non solo consentiranno di svolgere una comparazione fra cerimonie e svaghi profani nelle tre macro-aree prese in esame, ma anche fungeranno da base su cui impostare i due capitoli successivi, nei quali si procederà invece ad analizzare in un caso le attese riposte nelle celebrazioni da parte del governo e dell’amministrazione, e nell’altro le molteplici rappresentazioni della sovranità e della legittimità di Napoleone. Temi e domande che, logicamente, compariranno in controluce nel prendere in esame quei metodi e quelle pratiche ludiche, sceniche e cerimoniali capaci di mettere in comunicazione l’immagine del Primo Console / Imperatore con i sensi e l’intelletto dei suoi concittadini / sudditi.

2.1 Parlare all’animo il linguaggio più comprensibile: svaghi e divertimenti popolari