C. suis suino non riportato
5. LESIONI ANATOMO-PATOLOGICHE
6.2. METODOLOGIE DIAGNOSTICHE DELLA CLAMIDIOS
Esistono due tipi di approccio principali alla diagnosi della clamidiosi aviare, il primo consiste nella rilevazione diretta dell’agente in tessuti, tamponi, organi (PCR, isolamento e identificazione, metodi di colorazione). Il secondo comprende i controlli (diagnosi indiretta) sierologici da campioni di sangue per rilevare la presenza di anticorpi anti-clamidia. Una singola metodologia diagnostica non è sufficiente e adeguata per emettere diagnosi di clamidiosi, ma è raccomandata una combinazione di più metodiche diagnostiche disponibili (isolamento, rilievo di antigeni e anticorpi), specialmente quando è esaminato un singolo volatile.
Diversi metodi diagnostici, colturali e non colturali, sono stati utilizzati per diagnosticare le infezioni da clamidia nei volatili. Ogni tecnica ha un suo ruolo importante nella diagnosi e caratteristiche diverse in termini di specificità, sensibilità, costi, rapidità, a seconda anche della tipologia di campione disponibile.
Tra le metodiche disponibili più comunemente utilizzate ritroviamo la Fissazione Del Complemento, Microimmunofluorescenza, Immunofluorescenza, Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA), agglutinazione dei corpi elementari, agglutinazione al lattice, isolamento in colture cellulari o uova embrionate, PCR ( Nested, Real Time, RFLP).
Tecniche sierologiche oramai in disuso sono state descritte da Grimes nel 1989, quali agglutinazione rapida su piastra o su vetrino, agglutinazione capillare, inibizione della fissazione del complemento indiretta, emoagglutinazione passiva, immunodiffusione, AGID (Page, 1974), immunocromatografia. Test immunocromatografici, pur non richiedendo il microrganismo vitale, sono stati valutati per rilevare Chlamydia psittaci negli uccelli, ma con aumento di percentuale di falsi positivi e negativi, considerati quindi poco sensibili e specifici.
L'approccio diagnostico prevede l’applicazione di diverse tecniche per l' individuazione degli antigeni direttamente su campioni di tessuti o da tamponi, quali l'isolamento, l’immunofluorescenza diretta, ELISA, la Polymerase Chain Reaction (PCR), colorazioni, o per l'identificazione degli anticorpi sierici specifici per clamidia quali, Fissazione Del Complemento, ELISA, agglutinazione dei corpi elementari, agglutinazione al lattice (Andersen e Vanrompay, 2003). Non essendo più disponibili in commercio gli anticorpi monoclonali sierotipo-specifici, metodiche diagnostiche biomolecolari innovative e rapide si sono sviluppate di recente, quali microarray (Sachse et al., 2005) e MLVA (Laroucau et al., 2008), che permettono di tipizzare i ceppi di clamidia.
Queste tecnologie sono nate dal fatto che altri test non permettevano l'identificazione di tutti i genotipi e oramai ulteriori informazioni aggiuntive sull'agente eziologico come il sierotipo, il
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genotipo, e fattori di virulenza rispetto alla mera identificazione di specie sono sempre più richieste. Questi dati aggiuntivi risultano importanti in quanto non tutti i genotipi presentano lo stesso rischio zoonotico, oltre che per studi epidemiologici. Gli Autori propongono i microarray come nuovo strumento diagnostico rapido per la diagnostica delle clamidiosi (Sachse et al., 2005).
6.3. ISOLAMENTO
Poichè C. psittaci è un batterio intracellulare obbligato, richiede metodiche di isolamento in colture cellulari o in uova embrionate. In linea generale le clamidie possono essere isolate nei sacchi vitellini di uova embrionate di pollo o in colture cellulari di mammifero.
Storicamente, il primo metodo colturale per le clamidie è stato sviluppato nel 1935, quando Burnet e Rountree sono riusciti a far crescere l'agente della psittacosi nella membrana corioallantoidea di embrione di pollo (Burnet e Rountree, 1935). Più tardi, nel 1940, Rake et al., hanno scoperto che LGV poteva moltiplicare nelle cellule del sacco vitellino di embrioni di pollo (Rake et al., 1940). Successivamente fu dimostrato che tutte le clamidie potevano crescere in queste cellule (Stamp et al., 1950; Tang et al., 1957).
Queste due metodiche sono considerate gold standard, di elezione, per il rilievo dell’antigene per la diagnosi diretta di clamidiosi (Andersen, 2008).
L'isolamento dimostra la vitalità di clamidia e quindi l'infezione in corso, e permette la crescita di diversi ceppi consentendo possibili caratterizzazioni biomolecolari successive per poter identificare la fonte di infezione e per studi epidemiologici.
Queste metodiche richiedono quindi che la vitalità delle clamidie sia preservata e che i campioni siano prelevati sterilmente con un adatto terreno di trasporto e in opportune condizioni di temperatura. Solitamente viene utilizzato SPG medium addizionato di siero fetale bovino, antibiotici, antimicotici, in quanto vi potrebbero essere, a seconda del campione, contaminazioni batteriche che potrebbero inficiare l'isolamento (Spencer, 1983). Vengono comunemente aggiunti antibiotici che non inibiscono la replicazione di clamidia come streptomicina (200µg/ml), gentamicina (50µg/ml), vancomicina (75µg/ml) e nistatina (25 unità/ml).
Risultati negativi infatti si possono ottenere se il microrganismo non è più vitale, ma anche i trattamenti antibiotici possono interferire con l'isolamento.
I campioni che si possono analizzare con questa metodica possono essere provenienti sia da animali in vita come campioni di deiezioni o tamponi di coana, congiuntiva, cloaca, faringe, trachea, sia da organi di necroscopia come fegato o milza, o altri tessuti. L'appropriatezza del
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campione per queste metodiche è importante, ad esempio tamponi cloacali sono da preferire a matrici come le deiezioni, in quanto queste devono seguire dei passaggi di decontaminazione e centrifugazione per trattare la tipologia di campione (Gerlach, 1994).
I campionamenti di animali in vita vanno ripetuti per aumentare la probabilità di rilevare soggetti eliminatori intermittenti (Andersen, 1996).
Per l’isolamento di clamidia possono essere utilizzate le uova embrionate SPF di pollo (biblio), e sono impiegati metodi standard di inoculazione e incubazione.
Le uova embrionate vanno inoculate con 0,2-0,5 ml di campione a 6-7 giorni di incubazione nel sacco vitellino, non devono essere ruotate e riposte in un incubatore umidificato a 37°C. La replicazione di clamidia provoca, di solito, la morte degli embrioni in 5-12 giorni e si possono osservare emorragie embrionali, congestione vascolare della membrana del sacco vitellino, e alcuni casi di mortalità. Se non vi è mortalità è bene effettuare due o tre passaggi ciechi prima di definire il campione negativo. Occorre poi confermare il sospetto diagnostico mediante l'utilizzo di tecniche quali Gimenez o PCR.
Successivamente, l'avvento delle colture cellulari si è dimostrato un metodo alternativo all'isolamento in uova embrionate più indaginoso. Le linee cellulari più comunemente utilizzate per isolare la clamidia sono BMG (Buffalo Green Monkey), ma anche McCoy, HeLa, Vero, L- 929 sono spesso utilizzate. Uno studio recente ha dimostrato che per C. psittaci le BMG sono le più sensibili, mentre le Vero e L-929 soddisfacenti (Vanrompay et al., 1992).
Alcuni ceppi possono crescere rapidamente altri invece sono più difficoltosi e possono richiedere più passaggi e tempi più lunghi. Ad esempio, C. suis e C. pecorum si dimostrano più problematiche per la crescita in queste linee cellulari e Schiller et al., nel 2004, riportano che per queste clamidie sono più appropriate le CaCo (human colonic adenocarcinoma cells).
Le linee cellulari vengono inoculate, incubate a 37°C per due-tre giorni e successivamente fissate in metanolo. La presenza di clamidia e delle caratteristiche inclusioni intracitoplasmatiche nelle colture cellulari può essere confermata da tecniche di immunofluorescenza diretta, mediante l'aggiunta nel monostrato infetto di siero anti-clamidia coniugato con fluoresceina, ma anche da metodi di colorazione come Giemsa o Gimenez. Le inclusioni di clamidia appaiono di colore verde chiaro fluorescente alla luce ultravioletta.
Entrambe le metodiche di isolamento sono molto sensibili e richiedono personale e laboratori specializzati, con elevato standard di sicurezza livello 3.
Presentano però dei limiti, in quanto sono tecniche molto lunghe, indaginose, soprattutto per quanto riguarda le uova embrionate, rischiose per la sicurezza degli operatori in quanto si manipolano microrganismi vivi con possibili pericoli zoonosici, e con costi elevati. D'altro canto,
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sicuramente l'isolamento in colture cellulari rispetto alle uova embrionate si presenta più breve, meno costoso, con la possibilità di applicarlo a più campioni contemporaneamente. Anche se tale metodica non è applicabile a tutti i ceppi, esistendo diverse linee cellulari alcuni ceppi potrebbero non crescere. Falsi positivi sono comunque improbabili (Fudge,1997).