peso contrattuale del regno nei confronti della Corona, e la fedeltà che entrambe dichiarano e raffermano al sovrano che troppo spesso si fareb-be ingannare dai suoi ufficiali che non si peritano di farsi faziosi essi pu-
17 Sul ruolo che l'istituto parlamentare svolge nel rafforzare il senso della comunità cfr. H.G. KOENIGSBERGER, Parlamenti e istituzioni rappresentative negli antichi Stati italiani, in Storia d'Italia, Annali I, Torino, 1979, pp. 576-613, ín particolare a p. 583.
18 Sulla dialettica tra potere centrale e poteri locali nella monarchia spagnola cfr. F.
BENIGNO, L'ombra del re cit., pp. XXX e 37 e segg.
19 Memorial que han presentado los Sacereses y el dottor Vico contra la ciudad e iglesia de Cal-ler, in Buc, Fondo Baylle, raccolta Memoriali delle città di Cagliari e Sassari.
20 Più diffusamente in G.G. ORTU, Nazione, corpi e partiti nella Sardegna del Seicento, in AA.VV., Le autonomie etniche e speciali in Italia e nell'Europa mediterranea, Cagliari, 1988, pp.
61-71, e Città chiusa e campagna aperta cit. Il dualismo Cagliari-Sassari ha anche un riflesso storiografico: cfr. specialmente F. Vico, Historia generai cit. e S. VIDAL, Annales Sardiniae, in tre parti, la prima pubblicata a Firenze nel 1639 e la seconda e la terza a Milano, nel 1645.
Del Vidal è anche il Clypeus aureus excellentiae Calaritanae, Firenze, 1641, opera nella quale nel difendere le ragioni della primazia cagliaritana ha come principale obiettivo polemico il Vico, che gli replica con più robusta ma altrettanto faziosa dottrina nell'Apologia por las ob-jectiones que a su historia de Cerddía hace el P. Vidai Madrid, 1643. Un giudizio su entrambi in G. SIOTTO PINTOR, Storia letteraria di Sardegna, Cagliari, 1843-44 (e Bologna, 1966), vol. III, pp. 40-96. Alcune belle pagine sul rapporto di questa polemica municipale con il maturare nell'isola di nuovi orientamenti storiografici sono state scritte da R. LACONI, I primi storici sardi e la versione imperiale e subalterna della nostra storia, in La Sardegna di ieri e di oggi; a cura di U. Cardia, Cagliari, 1988.
re, e persino "domestici" dei magnati locali, non serve infine che a inne-scare la spirale perversa dei cedimenti anticipati all'iniziativa viceregia.
L'offerta del donativo avanzata il 15 aprile, proprio nel momento del massimo disaccordo tra le due sezioni del Militare, ne è una chiarissima conferma. Né inganni la maggiore indipendenza che Cagliari manifesta nei confronti dell'azione degli officials regi: in fondo il suo stesso spazio maggiore dí autonomia cittadina è funzione positiva della presenza del-l'amministrazione regia, per quanti contrasti e conflitti questa possa pro-vocarle; e la sua «presa» più forte sul territorio infeudato dell'isola, per quanto di suo proprio, rispetto a Sassari, ne abbia ben poco, è egualmen-te una conseguenza del suo ruolo di capitale, benché questa presa non si trasformi poi, come ad esempio nel caso di Napoli 21, in un vero domi-nio, e non consenta quindi per tale via una maggiore unificazione regio-nale. Sassari resiste, insomma, pur perdente, come centro di una unità sub-regionale che resta sul confine, non riassorbita, del territorio più di-rettamente dominato da Cagliari.
Questa città, tuttavia, seppure involontariamente, emerge come cen-tro dell'opposizione al governo viceregio. Forse perché è naturale che i conflitti tra Corona e Regno si facciano più intensi ed accesi nella cabcva dell'isola, soprattutto quando tutti o quasi i potentati locali si stringono compatti per far fronte alla durezza delle articolazioni periferiche della Monarchia. Cagliari, allora, sarebbe anche il luogo di una possibile unifi-cazione politica del Regno? Ne dubitiamo, ma non ci sembra inutile ri-flettere su questo interrogativo, tornando sulla questione decisiva del rapporto tra il Regno e la Monarchia, e sul ruolo al riguardo del Parla-mento sardo.
4. Far questo significa valutare meglio il problema del rapporto tra unità e divisione nell'insieme degli stamenti come espressione (e rappre-sentazione) seppure difforme del corpo sociale, e in ciascuno di essi co-me espressione (e rappresentazione) di una sezione o parte organica del-lo stesso corpo sociale. Non insistiamo sull'immagine organicistica e fi-nalistica che la società d'ancien régime offre di se stessa, né dubitiamo che tale immagine rechi piuttosto una pretesa che una realtà.
La monarchia spagnola, come ha scritto Vicens Vives, è un regime di governo basato «sulla massima concentrazione di potere al vertice e sulla minima irradiazione dello stesso verso la base», affermazione che
21 Cfr. al riguardo G. D'AoosTINO, Parlamento e società nel Regno di Napoli (secoli XV-XVII), Napoli, 1979.
per il Regno sardo si specifica ulteriormente notando la discontinuità fortissima tra una prima frontiera di competenze o prerogative o "sovra-nità" 22 contese tra il potere regio e i poteri locali "autonomi", e un'altra frontiera che sta su un piano diverso e sottostante e che è quella impo-sta dal rapporto di dominio, e conflitto, che stringe la massa dei vassalli e dei cittadini pecheros alle élites feudali. In questa sede, per quelli che sono i materiali parlamentari, dobbiamo necessariamente concentrare l'attenzione su quanto avviene sulla prima frontiera, e lasciare la seconda in ombra. Allo stamento militare che si interroga con malizia sul proprio diritto a fare offerte che comportino oneri per i propri vassalli, l'Eccle-siastico può ben replicare che tale diritto è costumbre immemorial, e che anche il feudo, come lo stato e la famiglia, è una baci enda con il suo
due-io o padre che risponde per tutti i componenti 23, e per tutti può deci-dere e impegnarsi.
Come dubitare, dal punto di vista dei ceti, che nelle Cortes sia effet-tivamente rappresentato il Regno? Ci vuole ancora del tempo perché si affermi, nello sviluppo delle stesse dottrine giusnaturalistiche, l'idea che ciascuno risponde per sé di fronte all'unico sovrano, e che non esistono concrezioni naturali di potere: immunità, autonomie, privilegi e li-bertà 24. E nella Sardegna tra Cinque e Seicento, di fronte alla monarchia spagnola, l'autonomia e la libertà di livello superiore sono proprio quel-le del Regno nel suo insieme 25. La consapevoquel-lezza di questa libertà e di questa autonomia, nei limiti appunto in cui può intenderle il Seicento spagnolo, è ben presente nelle élites sarde, e specialmente ín quelle espresse dal ceto dei militari. Anche se questo è un modo di «rappresen-tare il Regno non nello Stato... ma dinanzi ad esso» 26.
22 Per la citazione. cfr. J. VIcENs VIVES, La struttura amministrativa statale nei secoli XVI e XVII, in Lo Stato moderno, a cura di E. Rotelli e P. Schiera, Bologna, 1971, vol. I, p. 225.
Per l'uso del concetto di «sovranità» al plurale cfr. J. BODIN, I sei libri dello Stato, Torino, 1964, vol. I, all'introduzione di M. Isnardi Parente, pp. 53-54, e anche A. TENENTI, Teoria della sovranità e ragione di stato nella «République» di Jean Bodin, in Stato: un'idea, una logica, Bo-logna, 1987, pp. 259-279.
23 A. CANALES DE VELA, Discursos cit, al discorso quarto.
24 Tali concrezioni naturali di potere, quali livelli e stadi diversi dell'aggregazione o forma associativa, sono ancora ben presenti, p. es., in Giovanni Althusius: cfr. O. VON GIER-RE, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, Torino, 1943, e G. Duso, Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, Bologna, 1984, pp. 14 e segg.
25 Qualcosa di simile intende A. ERA, L'autonomia del «Regnum Sardiniae» nell'epoca aragonese e spagnola, in «Archivio storico sardo», XXV (1957), fascc. 1-2, pp. 211-225; dello stesso autore Contributi alla storia dei Parlamenti sardi, in «Studi Sassaresi», XXVI (1955), pp.
1-32.
26 B. ANATRA, Dall'unificazione aragonese ai Savoia cit., p. 535.
Ma potrebbe essere diversamente quando lo stato moderno è appe-na abbozzato? Moappe-narchia e repubblica (come res publica), moappe-narchia e sovranità, non sono ancora coppie di identici, e il re è lo stato, il sovrano è assoluto, soltanto in un contesto mentale che ancora tiene ben salda l'idea di una distinzione tra la sfera del governo e la sfera della giurisdi-zione. Rispetto al potere del sovrano resta anzitutto intatta l'autorità del-la legge naturale (e divina) 27, ma permangono anche ampiamente impre-giudicate le prerogative giurisdizionali, o meglio le valenze costituziona-li, di un corpo civile e politico che non è mai stato annientato dalla vo-lontà del principe 28.
Il re, insomma, non è lo stato, e lo stato non ha ancora «l'unità e la chiusura interna dello Stato moderno» 29, per cui ben si può stare a fron-te e non dentro di esso. Che poi nella Sardegna tra Cinque e Seicento questo significhi anche un ritardo di evoluzione, l'impatto periferico di movimenti che al centro hanno una direzione più avanzata e lineare, non si può negare, e certo serve alla comprensione storiografica, ma en-tro certi limiti. Del resto, i militari sardi non possono non avvertire pur essi quanto le cose stiano mutando, e che i fondamenti di diritto dello stato spagnolo non sono più quelli dei sovrani aragonesi cui tanto spesso s'appellano a difesa del proprio statuto di ceto. Altrove, peggio, gli stessi parlamenti sono già messi in mora, o stanno per esserlo, e il 1614 è pro-prio l'anno dell'ultima convocazione degli Stati generali di Francia. Che il re possa persino derogare alle leggi che ha pattuito con i suoi fedeli lo ha ben argomentato Jean Bodin, e avverso quel Pietro Belluga che nei regni della Corona di Spagna è l'autorità massima e venerata di parte parlamentare. E sembra aver fatto scuola, posto che gli officials della régia cort nel giudizio sul ricorso del Valmanya gli allegano contro il fatto che esso non può sostenersi neppure su un privilegio regio, che perde il
27 Cfr. E. CASSIRER, Il mito dello stato, Milano, 1971, pp. 187 e segg.
28 Possono naturalmente essere molteplici le forme in cui questa "costituzione" del corpo politico si manifesta e fa valere rispetto al principe: assemblee di stati, common law, leggi fondamentali ecc.: cfr. C.H. Mc ILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno, Venezia, 1956 (e Bologna, 1990); J.H. ELLIOT, La Spagna imperiale cit.; F.L. CARSTEN, Le origini della Prussia, Bologna, 1982; H.A. LLOYD, La nascita dello Stato moderno nella Francia del Cinque-cento, Bologna, 1986. Per le prospettive d'assieme: Lo Stato moderno, a cura di E. Rotelli e P.
Schiera cit., vol. 1-3, e G. POGGI, La vicenda dello stato moderno, Bologna, 1978. Per la Sarde-gna cfr. il recente e penetrante I. BIROCCHI, La carta autonomistica della SardeSarde-gna tra antico e moderno (Le «leggi fondamentali» nel triennio rivoluzionario, 1793-96), Torino, 1992.
29 O. HINZE, Stato e società, Bologna, 1980, p. 223. Simile concetto in C. CALISSE, Sto-ria del parlamento in Sicilia dalla fondazione alla caduta della monarchia, Torino, 1887, p. 158.
suo valore quando vengono meno le ragioni originarie della sua appro-vazione, «perque conforme als temps se provehexen les coses»".
In definitiva, né la consuetudine né la fedeltà possono più garantire ai militari, siano essi seliores de vassallos o semplici hidalgos, la certezza delle «libertà» quando mutino le contingenze e la volontà del re. E tan-to meno di quella libertà che regge tutte le altre: il foro privilegiatan-to nel-le cause criminali, che il Gandía, dopo averlo ripristinato nel parlamen-to, deve subito dopo revocare su istruzione del Supremo d'Aragona 31 Lecita allora, secondo i principi di diritto della società feudale, la rea-zione "corporativa" dei militari. Giusta anche, in qualche modo, perché l'offensiva giurisdizionalistica dell'amministrazione regia viene a minare le basi stesse dell'organizzazione politica del Regno, che è composto di parti, gli ordini o i ceti, ciascuna delle quali è definita internamente da solidarietà d'interessi, ed esternamente da unità di funzione. Uno spazio ancora "naturale" e vivente, attraversato da forze, né geometrico né iner-te, i cui organi sono ciascuno votati ad una missione, che assolta nella misura e nel limite che gli sono ascritti è un contributo all'armonia del tutto, alla pace e al bene comune, secondo la dottrina canonistica della corporazione 32.
Al di là delle divisioni e fratture che abbiamo documentato, c'è in-somma nel Parlamento sardo il senso ancora vivo di un'unità e di una solidarietà intercetuale che almeno in una sua parte è anche unità e soli-darietà di nazione o lingua rispetto alle altre nazioni o lingue della mo-narchia spagnola ". Tale solidarietà stringe essenzialmente lo strato su-periore della società isolana e si rende manifesta nella volontà di conte-nere gli arbitri del governo e dell'amministrazione regia, di impedirle di sottrarre uffici e risorse all'isola, di imporre quante più barriere è possi-bile all'intrusione dei forestieri nei suoi affari politici ed economici 34, o
3° Cfr. il processo, al 12 aprile 1614. Per Jean Bodin cfr. I sei libri cit., lib. I, cap. VIII.
31 Cfr. al cap. 3, S 5 di questa introduzione e A. CANALES DE VEGA, Discursos cit., al discorso decimo.
32 Per misurare tutta l'evoluzione compiuta dalla dottrina moderna dello stato cfr. T.
HOBBES, De homine, Bari, 1984, cap. su L'uomo fittizio, ove si dice esattamente l'opposto di quanto troviamo p. es. in A. DE CAPMANI, Prdctica y estilo cit., pp. «La necesidad de demarcar las clases, dividiendo en estados la representacidn nacional, produjo la discreta division de las condiciones, y así, cada uno alli era lo que debia sen>. Per la dottrina del corpus mysticum e della corporazione cfr. nota 91 del cap. 3.
" Per l'uso del concetto di "lingua" come «nazione» cfr. capitoli del Militare, n. 80.
34 Ivi, n. 66. In particolare i sardi avrebbero avuto accesso al parlamento d'Aragona, cfr. G. DE BLANCAS, Modo de proceder cit., cap. II, fol. 5v. L'uso sarebbe venuto meno nel corso del Cinquecento: cfr. anche J. LALINDE ABADiA, Istituzioni rappresentative della Corona