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3. BIOMASSE DA WETLAND

4.2. MINACCE E FATTORI GESTIONALI

L’espansione incontrollata della vegetazione emergente in habitat acquatici può causare l’accumulo di spessi strati torbosi nel corso degli anni (Ostendorp, 1995) e dunque minacce agli ecosistemi lacustri, che necessitano di attività di ripristino (Toivonen and Nybom, 1989). In questo senso le minacce recate da un mancato controllo di P. australis sono, a breve termine, l’”invecchiamento” dei canneti (ingresso di specie ruderali e maggiormente xeriche) e, a lungo termine, l’interramento naturale della palude (con la scomparsa di Phragmites). Altri motivi di preoccupazione sono:

- l’elevata plasticità e la molteplicità di biotipi consentono a P. australis di adattarsi a numerose condizioni ambientali (clima, nutrienti, suolo, acqua, ecc.) (Clevering and Lissner, 1999) e a fattori di stress (Roman et al., 1984). Ciò la rende una specie fortemente aggressiva, talvolta infestante e difficile da rimuovere. La progressiva espansione della popolazione di P. australis, indice di scarsa stabilità della comunità palustre, rappresenta una minaccia per le altre specie tipiche;

- la mancata gestione dei canneti comporta una significativa emissione di metano, un potente gas serra (fino a 20 volte più potente della CO2) (Kankala et al., 2004);

- elevato pericolo d’incendi in caso di mancata rimozione del materiale necrotico lignificato, con ripercussioni negative sulle popolazioni ornitiche locali (Ostendorp, 1993).

Gli effetti negativi derivanti dalla gestione passiva di questi ecosistemi richiedono quindi che P. australis sia sottoposta a pratiche gestionali ben pianificate, in modo da:

- prevenirne la scomparsa a lungo termine per azione dei processi d’interramento (Bjork and Graneli, 1978);

- garantirne il ricaccio dei culmi e la crescita controllata durante la stagione vegetativa;

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Recentemente è stato osservato un forte declino di Phragmites in molti laghi europei. Questo fenomeno, denominato “die-back”, considera 5 classi di possibili cause: distruzione diretta dell’habitat, errata regimazione delle acque, danno meccanico all’apparato radicale, pascolo e qualità dell’acqua e dei sedimenti (Ostendorp, 1989). L’ultima voce è correlata all’elevata produzione e all’accumulo di sedimenti ricchi in nutrienti, che favoriscono i fenomeni d’interramento e l’evoluzione naturale degli ambienti palustri. Le misure di riqualificazione mirano a proteggere i corpi idrici stagnanti da input eccessivi di nutrienti e in questo senso pare ragionevole rimuovere la biomassa elofitica epigea dalle aree umide tramite interventi pianificati (Ostendorp, 1995). Tuttavia esistono posizioni contrastanti sull’argomento. Se da un lato si sostiene che la raccolta e la bruciatura invernale della canna palustre, in quanto forma di contrasto all’interramento e all’eutrofizzazione, siano benefiche sia agli ambienti lacustri sia alle popolazioni stesse di Phragmites (Schroder, 1987; Klotzli and Zust, 1973), dall’altro le differenze insignificanti misurate tra canneti gestiti attivamente e passivamente e i pericoli per l’avi-fauna e per la stabilità meccanica di questi habitat alimentano il dubbio sull’efficacia di questi interventi (Ostendorp 1995; Ostendorp, 1993). E’ stato constatato che la bruciatura invernale incrementa la densità dei nuovi culmi e, nella maggior parte dei casi, la biomassa estiva per unità di area (Graneli 1990; Thompson and Shay, 1985), mentre lo stesso intervento apportato fino a tarda estate può comportare a lungo termine la morte della maggior parte dei culmi (Van der Toorn and Mook, 1982; Cross and Fleming, 1989). In ogni caso la bruciatura in-situ è un intervento che comporta notevoli impatti sull’ambiente a breve-lungo termine (emissioni in atmosfera, pericolo per l’avifauna, pericolo d’incendi indesiderati, ipotetici danni agli apparati radicali, ecc.) (Beall 1984; Thompson and Shay, 1985) e pertanto dovrebbe essere limitato alle sole circostanze in cui esso si riveli l’unico mezzo possibile per la rimozione della biomassa (Parco del Mincio, 2011). Ulteriori indagini su canneti naturali hanno invece dimostrato che la raccolta invernale della biomassa è meno impattante (van der Toorn and Mook, 1982). Tale intervento non ha effetti sulla successiva produzione di culmi e, al contrario, comporta una maggiore produzione di biomassa rispetto ai canneti gestiti passivamente (Graneli 1990). Gli effetti positivi della rimozione (Graneli 1984) potrebbero essere dovuti a migliori condizioni luminose (Graneli 1989). Al contrario lo sfalcio della vegetazione verde emergente durante l’estate può comportare una riduzione di produttività e talvolta anche l’eliminazione del canneto (Graneli 1990). Si deduce in definitiva che, in una prospettiva a lungo termine, il taglio e la raccolta invernale potrebbero produrre una risorsa di valore ed essere di benefico effetto per la natura (Graneli 1990).

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Il quadro gestionale è dunque complicato dalla variabile temporale, ovvero il periodo in cui operare gli interventi. La fenologia e i meccanismi eco fisiologici di P. australis hanno, infatti, grande rilevanza nella pianificazione d’interventi sostenibili nei canneti (Graneli 1992). La finalità delle operazioni (rimozione inquinanti o vari utilizzi della biomassa) può indirizzare poi la gestione verso azioni più o meno precoci, secondo varie modalità. L’andamento annuale del peso secco (Dry Weight) di un individuo di canna palustre dipende dal ciclo di vegetazione, come mostrato in fig.9.

Figura 9 - Peso fresco (Fresh Weight) e peso secco (Dry Weight) di culmi di Phragmites australis campionati in 3 siti di prelievo all’interno della stessa wetland – Laguna di Venezia. (Bragato et al., 2006)

La biomassa dei rizomi decresce durante la primavera, aumenta in estate e diminuisce nuovamente in inverno, in quest’ultimo caso anche a causa di un considerevole tasso di mortalità rizomica (Hocking 1989; Graneli et al., 1992). Alla ripresa vegetativa primaverile Phragmites trasloca i carboidrati negli organi epigei, per supportare la crescita dei nuovi culmi. Lo stesso andamento in primavera-inizio estate è stato osservato per i nutrienti minerali P, K e N, anche se la traslocazione rizomi-culmi più consistente riguarda l’azoto (Graneli et al., 1992). Di conseguenza in tarda primavera-inizio estate i rizomi presentano la più bassa quantità riserve energetiche dell’intero ciclo vegetativo e si apprestano nuovamente ad accumulare riserve nei rizomi (Karunaratne et al., 2003). Questo processo inizia nelle prime fasi della stagione estiva, in modo da consentire il ricaccio di Phragmites nella primavera successiva (Graneli et al., 1992). Tagli troppo precoci nella stagione estiva, dunque, potrebbero ridurre notevolmente la capacità di ricaccio l’anno successivo, in virtù dell’insufficiente traslocazione di nutrienti agli organi di riserva ipogei (Weisner and Graneli 1989). Al contrario gli sfalci autunnali rimuovono solo una piccola

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parte dei nutrienti immagazzinati dalla pianta (Graneli et al., 1992), garantendo una maggior produzione di biomassa alla stagione vegetativa successiva (Graneli 1990). In una prospettiva a lungo termine di gestione dei canneti naturali, dunque, è importante tenere presente tutte queste considerazioni. Pertanto, in caso di degrado dell’habitat, può essere opportuno adottare uno schema gestionale a mosaico, alternando aree sfalciate e aree da rilasciare per il taglio negli anni successivi, modulate in relazione alla vicinanza delle sponde, in modo da conciliare le esigenze di biodiversità con quelle di salvaguardia dei canneti (Cuizzi, 2005; Parco del Mincio, 2011; van Rooyen et al., 2004).