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PRODUZIONE SOSTENIBILE DI BIOMASSA: ASPETTI AMBIENTALI, SOCIALI ED ECONOMICI

3. BIOMASSE DA WETLAND

3.4. PRODUZIONE SOSTENIBILE DI BIOMASSA: ASPETTI AMBIENTALI, SOCIALI ED ECONOMICI

La produzione di energia dovrebbe essere considerata alla luce dei costi integrati di ciascuna filiera, che includono acqua, suolo, capitali, operazioni varie, manutenzione, trasporto, stoccaggio, smaltimento rifiuti, rischi, possibili interazioni con il mercato alimentare, cambiamenti climatici, ecc. Lo stesso discorso vale per le biomasse, che per questo sono al centro di numerosi dibattiti.

Tra le soluzioni proposte per mitigare le emissioni antropogeniche di GHG (greenhouse gases) vi sono i biofuel. La coltivazione delle energy crops può però comportare rischiosi cambiamenti dell’uso del suolo, diretti (direct land use change, o dLUC) se su terreni precedentemente non coltivati e indiretti (indirect land use change, o ILUC) se su terreni destinati al comparto agricolo. Studi internazionali di prestigio (Searchinger et al.; 2008; Crutzen et al., 2008; Campbell et al., 2009) hanno così dimostrato che, a livello globale, i biofuel costituiscono una minaccia per la stabilità climatica, essendo la loro filiera di produzione fondata su meccanismi che incrementano la deforestazione, lo sfruttamento e l’acidificazione dei suoli e l’uso intensivo di fertilizzanti azotati. Gli impatti negativi sul clima

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aumentano ulteriormente se si considera la coltivazione intensiva delle colture energetiche su wetland bonificate (IPCC, 2006).

Johannsen et al. (2010) giunsero alla conclusione che “se i biofuel diventeranno una necessità nel futuro sistema energetico, sarà cruciale che i veicoli non ci ‘ruberanno’ il cibo”, a conferma che il loro maggior potenziale risiede nell’utilizzo di scarti e rifiuti organici. Ne consegue che le implicazioni socio-economiche di questa filiera vanno a intaccare anche gli ambiti geopolitici, per cui è importante considerare il concetto di sostenibilità, che include aspetti ambientali, sociali ed economici.

La produzione di biomassa nei singoli siti può essere considerata sostenibile se viene preservato il potenziale naturale dei suoli e se i metodi gestionali si allineano con le esigenze e le condizioni puntuali dell’ecosistema. Minimizzare gli impatti ambientali (inquinamento delle falde, emissioni GHG, erosione), considerare gli effetti sulla biodiversità, pianificare la gestione a lungo termine di un sito costituiscono prerogative per salvaguardarne le funzioni naturali. Dal punto di vista economico e sociale la produzione di biomassa dovrebbe creare valore aggiunto, fornire nuovi posti di lavoro e assicurare un reddito duraturo ai soggetti coinvolti nella filiera (Wichtmann and Wichmann, 2011). I requisiti minimi per la produzione sostenibile di biomassa sono dunque:

- bilancio di GHG positivo per l’intera filiera;

- differenziazione della filiera energetica dagli usi locali della biomassa a scopi alimentari e industriali (edilizia, medicina, ecc.);

- conservazione e, possibilmente, incremento della biodiversità;

- produzione e processamento della biomassa devono preservare o migliorare la qualità di acque superficiali e sotterranee, suolo e aria;

- la produzione deve contribuire alla prosperità e al benessere sociale dei lavoratori e della popolazione locale.

Tuttavia le richieste non sono sempre tutte conciliabili, alla luce della necessità di ottimizzare le filiere di utilizzazione energetica e industriale. La coltivazione deve risultare economicamente sostenibile ed è quindi richiesto un certo grado d’intensivazione delle produzioni. Di conseguenza si presentano problemi di gestione dei sottoprodotti (emissione di radionuclidi, ceneri, fanghi, digestati). Inoltre la bassa densità delle biomasse fa si che si debba operare con ingenti volumi di materiale. Ciò comporta elevati costi di trasporto ed esigenze di carattere infrastrutturale (strade, siti di stoccaggio, ecc.) (Wichtmann and Wichmann, 2011). Ulteriori minacce potenziali delle biofuel crops sono dovute a:

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- sviluppo d’infrastrutture industriali in aree di campagna;

- dilavamento di nutrienti in acque di falda, a causa della fertilizzazione e dei processi di mineralizzazione.

Alla luce di tutti questi aspetti negativi, le sfide per i biocarburanti del futuro si incentrano sullo sviluppo di tecnologie in grado di produrre composti migliori al minor costo, minimizzando lo sfruttamento di risorse limitate come suoli arabili e acqua (Farrell and Gopal, 2008). Per ottemperare a tali esigenze, le importazioni di biomasse dall’estero andrebbero regolate tramite sistemi di certificazione degli standard produttivi, privilegiando prodotti di scarto e materiale proveniente da operazioni di gestione del territorio. Biofuel sostenibili che riducono le emissioni di GHG e che proteggono l’ecosistema dovrebbero essere ottenuti da biomasse non agricole (residui e scarti) e da specie in grado di crescere su terreni di bassa qualità, cioè non destinabili all’agricoltura (Tilman et al., 2006), attenendosi comunque sempre alle buone pratiche agricole e incentivando colture permanenti invece che colture annuali sottoposte a fertilizzazione intensiva (Wichtmann and Wichmann, 2011). I nuovi substrati includerebbero dunque materiali lignocellulosici e algae (2nd and 3rd generation biofuel), risolvendo così il conflitto per i terreni fertili.

3.4.1. “PALUDICOLTURA” A SCOPI ENERGETICI

La paludicoltura su zone umide bonificate e ri-esondate, oltre a rispondere a gran parte dei requisiti di sostenibilità socio-economica, contribuirebbe anche a mitigare i cambiamenti climatici (Wichtmann et al., 2010):

- riducendo le emissioni di GHG da suoli bonificati ricchi di torba; - rimpiazzando fonti fossili con un’alternativa rinnovabile (biomassa).

Ulteriori risvolti positivi sul clima locale sono dovuti all’effetto di raffreddamento indotto dall’ingente traspirazione del complesso suolo/vegetazione.

Attualmente nelle regioni temperate si assiste al progressivo abbandono delle wetland bonificate, dopo anni di sfruttamento. Il motivo può coincidere con il graduale degrado del suolo, la riduzione della produttività, la perdita di qualità dei foraggi, ecc. La produzione di biomassa per scopi energetici in wetland ri-esondate consente invece di integrare la conservazione del sito con il suo sfruttamento agro-silvicolo, secondo una gestione ambientale sostenibile. Sebbene siano necessari speciali macchinari di raccolta adatti per tali ambienti, in Germania l’utilizzo a scopo energetico di alcune colture palustri può già competere con quello di Miscanthus e paglia da suoli minerali anche senza sussidi o pagamenti per i servizi ecosistemici (Wichtmann et al., 2010).

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Le varie vie di utilizzo energetico della biomassa differiscono notevolmente quanto a efficienza di produzione. Alla luce delle problematiche etiche relative alla produzione di biomassa per scopi non alimentari, alcuni sostengono che le bioenergie andrebbero sfruttate solo in caso di filiere realmente efficienti dal punto di vista energetico. Hampicke (2010) (fig.5) considera la produzione di etanolo da grano, biodiesel da barbabietola e biogas da mais opzioni di valorizzazione non valide a causa delle loro basse prestazioni annuali per ettaro.

Figura 5 - Produzione di energia per ettaro da differenti fonti di biomassa (Wichtmann and Wichmann, 2011, da Hampicke, 2010). DM = Peso secco

In aggiunta anche i costi di mitigazione della CO2 (costo dei sussidi per la riduzione di 1 unità equivalente di CO2) variano a seconda della biomassa e dei processi di utilizzazione. Le opzioni più costose in questi termini risultano essere i processi convenzionali (produzione di biogas e di etanolo da grano) (fig.6).

Figura 6 - Costi di mitigazione della CO2. Il punto di riferimento riguarda fonti rinnovabili non agricole (20-30 Euro/t) (Wichtmann and Wichmann, 2011)

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Dal grafico (fig.6) si deduce che, ad eccezione del legno, la maggior parte delle opzioni di produzione bioenergetica proposte presentano ridotte prestazioni di mitigazione delle emissioni di GHG.

Rispetto alle altre vie, la paludicoltura comporta maggiori performance energetiche se si considerano specie palustri come Phragmites (una potenziale coltura energetica secondo Sathitsuksanoh et al., 2009) e per coltivazioni non intensive anche minori costi di mitigazione (Wichtmann and Wichmann, 2011). A tal riguardo si è sviluppata una metodologia per accreditare la riduzione di emissioni legata alla produzione di energia in paludicoltura (German Council for Sustainable Development, 2008). In questo modo, oltre ai guadagni derivanti dall’energia generata, si potrebbero trarre ulteriori benefici economici dalla vendita di “crediti carboniosi” (carbon credits).

Un esempio di paludicoltura dagli effetti positivi sul clima è la coltivazione della canna palustre. Un raccolto di 15 t DM/ha*year pare conciliabile con il continuo accumulo di torba (Wichtmann, 1999) e questa sua elevata produttività ha da tempo suscitato interesse nell’ambito della produzione di energia (Graneli, 1984). Ad esempio, se si considera una resa conservativa di 12 t DM/ha*year e un potere calorifico di 17 Mj/kg DM, le canne raccolte in un ettaro di canneto possono rimpiazzare combustibili fossili in un impianto CHP (Combined Heat and Power) che altrimenti emetterebbe 15 t CO2-eq. A ciò si aggiunge che le wetland sottoposte a rewetting comportano una riduzione di emissioni di GHG dovute ai processi di mineralizzazione della torba quantificabile in circa 15t CO2-eq/ha*year. Assumendo che le emissioni di GHG legate alle varie operazioni della filiera energetica (sfalcio, trasporto, stoccaggio, operazioni all’impianto di cogenerazione, ecc.) corrispondano a 2 t CO2-eq/ha, si può prevedere un risparmio emissivo di quasi 30 t CO2-eq/ha*year derivante dalla paludicoltura di Phragmites.

In virtù di tutte queste considerazioni e della crescente domanda di biomassa a livello globale (Farrell and Gopal, 2008), la paludicoltura pare essere un’opzione economica ed efficace di gestione delle zone umide (Wichtmann and Wichmann, 2011), la cui diffusione è spesso ostacolata da sussidi agricoli che sostengono un uso competitivo ma non sostenibile del suolo (Wichtmann and Wichmann, 2009). La paludicoltura è, infatti, ancora agli albori perché agri-, silvi- e orticoltura si sono tradizionalmente focalizzate su terreni bonificati. Di conseguenza in questa fase di transizione verso la nuova destinazione d’uso delle wetland, è ammissibile che l’economicità delle filiere di utilizzazione dipendano da sussidi, così da compensare le iniziali incertezze di produttività e la mancanza di efficienza (Wichtmann and Wichmann, 2011). La priorità rimane dunque individuare per ogni zona

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climatica le specie sfruttabili per questo tipo di gestione e le varietà meglio adattate (Wichtmann and Joosten, 2007).