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Miniere e sicurezza nell’Europa del secondo dopoguerra

conda settimana dell’ottobre 1950, si riuniva il comitato amministrativo della Uism (Union international des syndicats des mineurs), aderente alla Fsm (Fé- dération syndicale mondiale)3, per discutere di sicurezza e «prevenzione degli

accidenti», il ciclo otto-novecentesco delle industrie estrattive pareva ancora, a dispetto di tutto, foriero di un futuro possibile: con meno sofferenze si pen- sava, se non proprio radioso. Speranze, immaginazione ed un malcelato otti- mismo sembravano finalmente sopravanzare la tragica realtà delle cose. Inoltre il notevole peso istituzionale dei comunisti e delle sinistre nell’Europa occi- dentale era considerato un viatico formidabile.

La Uism con sede ufficiale a Bruxelles, presieduta dal mitico sindacalista fran- cese Henri Martel – appena costituita a seguito di un imponente congresso di fondazione tenutosi a Firenze nel luglio 1949 – non aveva trovato, almeno fino a quel momento, né tempi né occasioni per affrontare con il piglio necessario lo spinoso problema della sicurezza4. A parte le azioni di solidarietà internazionale

con le lotte dei minatori statunitensi e giapponesi, l’attenzione era stata rivolta piuttosto o alle stringenti questioni organizzative interne o, significativamente, allo scenario politico internazionale ormai dominato dalla guerra fredda.

In quei pochi mesi trascorsi dal congresso costitutivo gli articoli pubblicati nel «Bulletin d’information» dell’Unione, detta in sintesi, avevano perlopiù svi- scerato, con dovizia di particolari, le questioni riguardanti la «unité croissante des Mineurs dans la lutte pour la paix et de l’accroissement du bien-être ma- tériel des mineurs dans les pays de Démocratie Populaire et en Union Sovié- tique». Poi non era nemmeno mancato l’impegno pubblico costante nell’attività di propaganda del movimento dei Partigiani della pace, secondo le direttive Fsm5. A Parigi, poche settimane prima dell’incontro ungherese, la Uism aveva

anche organizzato una partecipata Conferenza internazionale «contro il car- tello del carbone e dell’acciaio», contro il Piano Schuman6. Sulla sicurezza però

3Dieci mesi dopo la fondazione gli associati alla Uism ammontavano a 3.427.900; i paesi prin- cipali di provenienza erano Francia, Italia, Belgio, Lussemburgo, Venezuela, Messico, Cile, Tunisia, Germania Orientale, Cecoslovacchia, Urss, Polonia e Romania. Componevano il Comitato ammi- nistrativo nel 1950: presidente H. Martel (Francia); segretario A. Schroeder (Lussemburgo); vice- presidenti S. Zaitsev (Urss), M. Mari (Italia), M. Czerwinski (Polonia); consigliere M. Fritsh (Germania Orientale). Seggi di rappresentanza erano inoltre riservati a delegazioni sindacali africane, indiane, cinesi e dell’America latina. Cfr. Rapport sur l’activité des Uis (Fédération syndical mondiale. Con-

férence consultative des Unions internationales des syndicats. Budapest, 10-14 mai 1950), ciclostilato, s.l., s.d.,

in Archivio Cgil cit.

4Henri Martel (1898-1982), operaio minatore, dirigente sindacale e militante comunista attivo fin dagli anni Trenta nel Nord della Francia. Segretario generale della Fédération nationale du sous- sol Cgt, sarà poi presidente della Uism dal 1947 al 1961. Membro del comitato centrale e dell’ufficio politico del Parti communiste français (Pcf) , deputato nazionale fino al 1967. Cfr. Dictionnaire bio-

graphique mouvement ouvrier mouvement social. 5e période 1940-1968, Editions de l’Atelier, Paris 2006-2014,

tomo 8, ad nomen.

niente di niente, né pensiero né azione. E bisognerà aspettare il 1954 per una nuova Conferenza internazionale, questa volta a Praga, dedicata però ad ar- gomenti più tecnico-professionali inerenti le miniere.

Una stasi di tipo analogo sull’argomento riguardava anche la confedera- zione concorrente alla Fsm: la Confédération internationale des syndicats li- bres (Cisl internazionale)7appena fondata a Londra nel 1949. Che comunque,

in linea di principi generali, proclamava la lotta al totalitarismo e all’oppres- sione, il sostegno alle cause della libertà, della giustizia e dei diritti dei lavoratori, dichiarando di impegnarsi per rimuovere ogni discriminazione, per un giusto orario e un giusto salario, per la fine del lavoro minorile, per le assicurazioni sociali, il pieno impiego, la piena produzione e la piena distribuzione.

BUDAPEST, OTTOBRE 1950

Ancora nel secondo dopoguerra il minatore, in quanto mestiere cosiddetto «non fordista», rimaneva di fatto ancorato a peculiari mentalità e culture an- tropologiche. L’orgoglio identitario e professionale («l’arte mineraria»), la piena coscienza di svolgere una missione rischiosa (da «aristocrazia del sacrificio»), venivano in genere declinati attraverso conflitto e solidarietà: una cifra che, nel tempo, aveva prodotto: epica letteraria, ethos e una marcata e persistente dimensione comunitaria. Protagonisti nella ineluttabile modernizzazione in- dustriale, ma anche attivi sostenitori di un forte esprit libertario e antifascista, compartecipi del mutamento socioeconomico indotto dai nuovi assetti geo- politici postbellici, i lavoratori del comparto estrattivo sembravano ormai tutti accomunati dal medesimo destino, al di qua e al di là delle cortine di ferro dell’Europa e oltreoceano.

Il rapporto presentato alla riunione svoltasi nella capitale magiara, redatto da Mario Mari, vicepresidente italiano del neocostituito organismo sindacale inter- nazionale dei minatori, seppure scarno di dati, non lesinava sulle esortazioni8.

6Cfr. Uism (Fsm), Bruxelles, Convocazione conferenza internazionale di Parigi 22-24 settembre 1950, 30/8/1950, in Archivio privato famiglia Bigiandi, Arezzo, busta n. 3; Filie, Segreteria, 5/9/1950, prot. 3367, Convegno nazionale e internazionale di Genova e di Parigi contro il cartello del carbone e dell’acciaio, Ivi, busta n. 2; Peggy Higgs, Mobilisation des mineurs et métallurgistes contre le Plan Schuman, in «Le Mou- vement syndical mondial», 20 ottobre 1950, pp. 24-30.

7Cfr. Louis Botella, Les syndicalismes en Europe (1 continent, 47 pays et territoires), Le Petit Pavé/Te- chnologia, Saint- Jean-des-Mauvrets 1999, p. 16; Roy Church, Quentin Outram, Strikes and Solidarity.

Coalfield Conflict in Britain, 1889– 1966, Cambridge University Press, Cambridge 1998, pp. 219-268.

La Cisl internazionale si era costituita sotto la spinta delle due centrali statunitensi American fede- ration of labor (Afl) e Congress of industrial organizations (Cio) e delle Trade unions britanniche. 8Mario Mari (1888-1974), figlio e nipote di internazionalisti fiorentini, sindacalista rivoluzionario e anarchico, emigrato negli Stati Uniti rientra a Firenze nel 1913. È segretario della sezione cittadina dell’Unione sindacale italiana e dirigente del sindacato minatori del Valdarno insieme ad Attilio Sassi

«Dovremo perciò combattere la nostra lotta, che non dovrà essere in avvenire imperniata unicamente sulle rivendicazioni di carattere salariale […] Quali saranno i mezzi di lotta dei quali noi dovremo servirci? Io non credo che non vi sia da escludere alcuno fra quelli che ognuno di noi conosce, ma anche sarà bene escogitarne dei nuovi, ed intanto mobilitare inter- nazionalmente la massa dei minatori servendoci della stampa, di pubblici manifesti, della radio, creando comitati locali di agitazione, indicendo comizi e scioperi di protesta, specialmente quando avvengono luttuose catastrofi, presentando formali richieste ai governanti ed ai capi- talisti senza tergiversazioni e senza ingiustificati ripiegamenti, su forme compensative di carat- tere pecuniario che tradirebbero il principio animatore della lotta. Se noi, o compagni, mediante un intenso lavoro di preparazione inizieremo questa battaglia, io sono certo che, quando avremo raggiunto gli obiettivi che ci prefiggiamo, potremo dire ai minatori di tutto il mondo che questa nostra Unione non ha mancato ai presupposti sui quali venne costituita un anno fa, a Firenze, e che essa sarà un movimento di avanguardia nella grande famiglia proletaria della Federazione Sindacale Mondiale»9.

Certo ciascuno dei delegati presenti era in cuor suo fiducioso che l’incrol- labile forza del progresso avrebbe potuto interrompere quell’ecatombe senza fine che, sotto ogni latitudine politica, aveva fino ad allora caratterizzato l’at- tività estrattiva in ambito mondiale. Ma il futuro, purtroppo, non sarebbe stato immune da sciagure. Ribolla (1954), piccola miniera del grossetano con i suoi 43 morti, e Marcinelle (1956), tragedia europea con 262 vittime, erano ancora di là da venire, lontanissime nel tempo ma incombenti, di sicuro inimmaginate. Se a nessuno, e quindi neanche a un dirigente sindacale «mondiale» dell’epoca, era dato vaticinare, certo ad un osservatore odierno potrebbe apparire del tutto incomprensibile come in un sinedrio così superselezionato fosse mancata una qualsiasi cognizione precisa e circostanziata, ma perfino una memoria, dei di- sastri minerari passati; compresi quelli del decennio appena trascorso. La guerra e i mondi chiusi del dopoguerra non avevano di sicuro facilitato la cir- colazione delle informazioni. Nessuno così sapeva nulla dell’immane incidente accaduto nel 1942 nel bacino carbonifero di Benxi nella Cina orientale (vicino al confine coreano), nel quale erano periti oltre 1.500 minatori10. Nessuno sa-

peva nulla del «doppio disastro» della Valle dell’Arsa in Istria dove, sotto Mus- solini nel 1940 e sotto Tito nel 1948, si era replicata la medesima tipologia di quando, nel 1919, i lavoratori del bacino lignitifero conquistano la giornata di sei ore e mezza. Con- finato e carcerato durante il fascismo, aderisce al Pci in clandestinità e partecipa, nel 1944, alla rico- struzione della Cgil unitaria. Nel secondo dopoguerra è segretario nazionale responsabile della categoria, vicepresidente della Uism e membro del Consiglio superiore delle miniere. Cfr. Giorgio Sacchetti, Mari Mario, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, diretto da Maurizio Antonioli, Giam- pietro Berti, Santi Fedele e Pasquale Iuso, Bfs, Pisa 2004, vol. 2, pp. 90-91; Giorgio Sacchetti, Ligniti

per la Patria. Collaborazione, conflittualità, compromesso. Le relazioni sindacali nelle miniere del Valdarno superiore (1915-1958), Ediesse, Roma 2002, pp. 95-109.

9M. Mari, Rapporto sulla sicurezza cit., pp. 42-43.

10 Cfr. Terra Pitta, Catastrophe: A Guide to World’s Worst Industrial Disasters, Alpha Editions, New Delhi 2015, pp. 169-204.

incidente minerario, esplosione di grisou in sotterraneo, con 185 morti nel primo caso e 92 (o forse più) nel secondo11.

Mari avanzò la sua proposta articolandola in 14 punti, delineando l’inizio di un possibile lungo percorso verso una legislazione mineraria sovranazionale. Intanto si sarebbe nominato un comitato tecnico che, a sua volta, partendo proprio da quel testo base, avrebbe dovuto quanto prima presentare ufficial- mente al Bureau international du travail (Bit) di Ginevra, un documento espli- cativo da recepire come possibile «direttiva» per gli organi legislativi statali.

L’analisi sull’Europa mineraria, peraltro basata su dati scarsi e informazioni poco approfondite12, si addentrava soltanto sulle questioni che riguardavano i

paesi occidentali. Per il resto indugiava parecchio su giaculatorie fideistiche in- neggianti al mitologico modello comunista. Segno evidente di una soggezione ideologica che ormai pervadeva l’intero milieu sindacale.

Ai «paesi capitalistici» si rimproverava, con buone ragioni: di ignorare qual- siasi principio base sulla sicurezza in miniera; di mantenere volutamente il si- stema dell’industria estrattiva in uno stato di evidente arretratezza tecnica e con disposizioni antiquate; di non far rispettare agli industriali neppure le blande norme esistenti. Questi erano i motivi principali individuati quali cause di disastri, incidenti, morti, invalidità e malattie professionali. Nel caso italiano si notava una certa disillusione rispetto alle speranze che si erano evidenziate qualche anno prima quando, dalle pagine governative della «Relazione sul ser- vizio minerario» del 1945 e 194613, si annunciava con enfasi e ottimismo la

buona ripresa dei lavori nei vari bacini minerari, la riparazione degli impianti danneggiati, il prosciugamento delle gallerie allagate causa abbandono, il trac- ciamento e la coltivazione di nuovi livelli in sotterraneo, la risistemazione di pozzi e cantieri franati, il ripristino del macchinario dei piazzali e dei trasporti ferroviari, l’utilizzo di nuovi autocarri. E si prometteva massima assistenza ai minatori con gli spacci aziendali, la fornitura gratuita degli attrezzi ma anche di scarponcini e abiti da lavoro, di copertoni e ricambi per le biciclette ai pen- dolari, ecc.; fermo restando però l’incremento della produzione con l’istitu- zione del terzo turno di notte, con l’utilizzo di tabelle di cottimo calibrate a seconda della tipologia di miniere e di mansione. Sacrifici e «ideologia della ri- costruzione»: così si cercava di superare la fase acuta della crisi bellica. Il cot- 11 Cfr. Giorgio Sacchetti, Arsia 1940. Disastro minerario nell’Istria autarchica, in «Studi Emigra- zione/Migration Studies», LI, 196, 2014, pp. 597-604.

12 «Fra le fitte tenebre di una situazione oltremodo deficitaria, irradia la situazione esistente in Russia Sovietica e negli altri paesi di democrazia popolare, nei quali è garantito il massimo di sicu- rezza e di igienicità di miniera, le misure assistenziali e previdenziali; il lavoro reso agevole in quanto alleviato dalle attrezzature moderne e da una gamma di provvedimenti capaci di diminuire la fatica e di preservare la vita del minatore…» (M. Mari, Rapporto sulla sicurezza cit., p. 38).

13Cfr. «Relazione sul servizio minerario e statistica delle industrie estrattive in Italia nell’anno» (d’ora in poi «Rsm»), LVI, 71, 1945, passim; e «Rsm», LVII, 72, 1946, passim.

timo rimaneva l’asse portante di tutta l’organizzazione del lavoro, di un sistema che faceva riferimento al capo compagnia e quindi al capo servizio, ad un con- trollo sulla produzione «a scheda o a medaglia» (il contrassegno applicato sui vagoncini). I contratti confermavano i criteri di monetizzazione dei rischi14,

concedendo al massimo la copertura da parte delle aziende delle spese per utensili ed esplosivo. In caso di infortunio mortale alla famiglia del deceduto veniva corrisposto, a titolo di «elargizione», un sussidio corrispondente a cin- quanta giornate. La struttura caotica del salario del minatore italiano, specchio della realtà, era essa stessa espressione – per la parte accessoria – di quei con- cetti perversi di incentivazione15.

Passato un lustro dalla guerra, molto restava da fare. Ecco allora, nella loro essenza, i punti della piattaforma presentata a Budapest nel 195016; si trattava,

in buona sostanza, di marchingegni di controllo sulle procedure produttive dannose e sui trattamenti assistenziali e previdenziali riservati al personale di- pendente dell’industria estrattiva in caso di disgrazia o malattie. Rivendicazioni che sembravano ambiziose e puntuali.

1) Istituzione di commissioni locali dotate di funzioni ispettive, formate da tecnici specialisti delle diverse attività minerarie designati o comunque approvati dai lavoratori, che potessero denunziare le infrazioni e im- porre il rispetto integrale dei regolamenti.

2) Elezione da parte delle commissioni locali o di settore di una omologa struttura nazionale quale organo consultivo/ispettivo con compiti di studio e indirizzo.

3) Oneri assicurativi a totale carico dei datori di lavoro.

4) Riduzione drastica dell’orario ai lavoratori in sotterraneo ed agli addetti alle mansioni debilitanti.

14 «Art. 15 – Nei casi di lavori all’interno eseguiti in condizioni di particolare disagio, quali presenza di gas tossici, forte calore, soggezione d’acqua, ecc., saranno corrisposte progressive percentuali d’au- mento sulla paga base o sulle tariffe di cottimo» (Federazione italiana lavoratori industrie estrattive,

Contratto collettivo nazionale per gli operai addetti all’industria mineraria. 11 maggio 1950, La Tipografia Pratese,

s.l. s.d., p. 11). Cfr. inoltre: Associazione mineraria italiana, Contratto nazionale di lavoro per gli addetti al-

l’industria mineraria (16 ottobre 1946), Stabilimento grafico F. Lega, Faenza s.d., p. 11.

151945, salario del minatore italiano: paga base all’ottobre 1943; aumento 70% disposto dal go- verno militare alleato; integrazione residua aumento 30% ex governo repubblicano; aumento 2% 19/10/1944 n. 384; più aumenti accordi provinciali. Parte accessoria (2/3 del tutto): indennità di sottosuolo; premio assiduità; caropane; indennità di presenza; primo carovita; secondo carovita; complemento secondo carovita; maggiorazione cottimo 15%; tre lire premio presenza cottimo. Paga giornaliera, esclusi gli accessori: minatore lire 86,28; caricatore 73,02; manovale dell’interno 67,92; all’esterno, operaio specializzato 88,24; qualificato 83,14; manovale 68,04. Cfr. Archivio storico Enel, Napoli, ex Compartimento di Firenze «Piero Ginori Conti», Società Mineraria del Valdarno, «Do- cumentazione attività sindacali delle organizzazioni dei minatori, 1945-1949», Appunto sulle paghe at-

tuali dei lavoratori in Miniera, Firenze 12 dicembre 1945.

5) Prestazioni compensative per infortunati e ammalati a decorrere dal primo giorno.

6) In caso di morte: pensione ai superstiti commisurata con il salario per- cepito al momento del decesso, rapportata alla composizione familiare e all’età degli orfani, con l’aggiunta di un contributo per le spese fune- rarie.

7) Assistenza medica e sanitaria gratuita, rendita vitalizia e salario integrale nei casi di abbandono del lavoro per infortunio o malattia professionale che avessero determinato la totale invalidità.

8) Salario integrale, assistenza sanitaria, cure e somministrazione gratuita di farmaci in caso di malattia o invalidità temporanea. Da rivedere anche l’elenco considerato troppo ristretto delle patologie professionali. 9) Misure preventive per la sicurezza in miniera e per l’igiene, visite medi-

che di controllo a tutti con cadenza trimestrale o comunque quando qualsiasi lavoratore ne facesse richiesta.

10) Approntamento di cliniche del lavoro17, case di cura e istituti traumato-

logici per minatori con rilascio gratuito di apparecchi ortopedici e pro- tesi dentarie.

11) Istituzione in luoghi ameni di case di vacanza per le ferie18e costruzione,

nelle adiacenze delle miniere, di abitazioni igieniche e confortevoli per le famiglie.

12) Regolamenti con severi divieti all’impiego di donne e fanciulli in man- sioni eccessivamente gravose o in sotterraneo e che, in via eccezionale, limitassero tale utilizzo a non più di quattro ore giornaliere.

13) Rilascio gratuito degli indumenti protettivi e eventuali spese di trasporto a carico del datore di lavoro.

14) Pensione19di vecchiaia a 50 anni di età e dopo vent’anni di lavoro in

17Fra le eccellenze citate da Mari, la clinica del lavoro «Luigi Devoto» di Milano, intitolata al fondatore, inaugurata nel 1910 (cfr. William F. Bynum e Helen Bynum, a cura di, Dictionary of medical

biography, Greenwood Press, Westport Ct 2007, vol. 2, p. 413). In un’ipotetica classifica europea se-

guono l’Italia: l’Urss, con la sua «tradizione trentennale in fatto di assistenza al lavoro»; la Germania federale con i suoi ospedali per minatori ad Hamm nella Ruhr e a Monaco; la DDR con istituti per le malattie professionali a Berlino est e in Turingia; la Gran Bretagna, la Svizzera, la Norvegia e la Danimarca per la riabilitazione degli infortunati. Cfr. M. Mari, Rapporto sulla sicurezza cit., pp. 29-30. 18Al 1950 la situazione del diritto alle ferie per i minatori europei era la seguente: 6 giornate al- l’anno in Belgio, 10 in Lussemburgo, un numero di giornate tra 10 e 20 per l’Italia e per quasi tutti gli altri paesi. Cfr. Ivi, p. 31.

19«Alcuni esempi: in Italia la pensione per vecchiaia è data a 60 anni, come ad ogni altro lavo- ratore, e non supera le 5.000 lire mensili; in Francia a 55 anni, dopo 30 anni di servizio, con diritto a franchi annui 105.000 più 0,60% per ogni anno di sottosuolo; nel Lussemburgo a 65 anni, ma, date le disagiate condizioni di lavoro, solo il 2% raggiunge il limite di detta età; nel Belgio dopo 30 anni di lavoro un minatore percepisce una pensione che non supera i 15.000 franchi all’anno, ma deve poi completamente abbandonare il lavoro» (Ivi, p. 32).

miniera, con rendita vitalizia non inferiore al 50% dell’ultimo salario percepito e mantenimento dell’assistenza medica sanitaria gratuita. Sulla propensione del Bit e del suo qualificato «comitato miniere» a recepire sempre, almeno in linea di massima, siffatti memoriali sindacali si nutrivano ferree certezze. L’ostacolo più grosso era casomai costituito dal dopo: cioè dall’oggettiva impotenza strutturale dell’organismo che rendeva di fatto inap- plicabile qualsiasi direttiva. Era già successo nel 1946 con le solenni risoluzioni adottate dal Bureau riunito per l’occasione a Londra. Nella fattispecie i punti salienti fissati, sempre accogliendo alcuni suggerimenti dei sindacati, erano stati di meno, ma ugualmente pregnanti. Si parlava della assoluta necessità di un’occupazione dei minatori che fosse costante nel tempo; si auspicavano – anche allora – orari ridotti e trattamenti salari che fossero più sostanziosi ri- spetto agli altri comparti dell’industria. Si invocavano più garanzie di sicurezza e migliori condizioni igieniche di lavoro, si sollecitavano provvedimenti urgenti in materia di previdenza e pensioni. Si indicava, infine, la strada maestra da se- guire per cercare di cambiare lo stato delle cose: addestrare sistematicamente i giovani minatori; sviluppare una più attiva collaborazione tra maestranze, tec- nici e datori di lavoro20.

Tutto però – ahimè – sarebbe rimasto sulla carta. Accantonate così le que- stioni, annose, della sicurezza già nei primi mesi dopo la guerra, altre tematiche avevano preso il sopravvento; la crisi economica, occupazionale e sociale in atto nel settore minerario imponeva di pensare più che altro alla mera difesa dei posti di lavoro, ad un possibile rilancio dell’industria estrattiva. Nel corso degli anni Quaranta il fabbisogno impellente dei combustibili e lo stallo del- l’import-export dovuto agli eventi bellici avevano indotto molte nazioni eu- ropee a forzare oltremodo, spesso con tecniche d’arrembaggio, produzioni e produttività; ciò senza badare alle implicazioni gravi che ne sarebbero scaturite. Poi la paralisi dei trasporti, le distruzioni e i danneggiamenti agli impianti ave- vano reso difficoltosa la ripresa. Passata la guerra c’erano stati gli aiuti Unrra (United nations relief and rehabilitation administration); il largo afflusso di carbone estero regalato dagli Stati Uniti ai vari governi, e da questi distribuito a prezzi politici, aveva indotto una marcata flessione delle vendite dei prodotti nazionali (spesso di qualità inferiore, come le ligniti ad esempio). Per questo si era anche richiesto, invano, che i proventi del carbone americano fossero utilizzati come sussidi per la manodopera espulsa dalle miniere21.

20Le risoluzioni adottate dal Bit londinese furono oggetto di informativa nel quasi contestuale I congresso della Federazione italiana minatori e cavatori (Fimec). Cfr. Ripercussioni internazionali del