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le ricadute in termini di infortuni e malattie professionali nei “lunghi anni Settanta”

volse gli equilibri di un intero territorio, le due guerre mondiali, la Resistenza, la costruzione delle superpetroliere e dei sommergibili negli anni Settanta, la grande crisi del Cantiere nel decennio successivo e infine l’ultima fase – che prosegue da oltre un ventennio – con la produzione delle navi da crociera.

La ricostruzione dell’evoluzione della sicurezza sul lavoro in Cantiere non aveva dunque rappresentato finora una chiave di lettura per interpretare e pe- riodizzare la storia dello stabilimento. Questo saggio, che nasce da una tesi di dottorato3, cerca di colmare tale vuoto storiografico riflettendo sui rischi per la

salute operaia e sulla loro gestione nel Cantiere di Monfalcone, all’interno del contesto legislativo e socio-economico italiano dei “lunghi anni Settanta”4. Tale

periodo, caratterizzato da profonde trasformazioni e conquiste come l’emana- zione dello Statuto dei diritti dei lavoratori nel 1970 e la Riforma sanitaria del 1978, beneficia di abbondanti fonti a disposizione degli studiosi, che permet- tono di ricostruire le dinamiche di alcuni incidenti mortali oppure di conoscere le specifiche statistiche su infortuni e malattie professionali nel Cantiere.

Si segnala una bibliografia di massima per il primo filone storiografico: Associazione Culturale Tempora, Sommergibili, tecnologia e cantieristica: Monfalcone 1907-2007, Itinera Progetti, Bassano del Grappa 2008; Matteo Martinuzzi (a cura di), Cantiere 100 anni di navi a Monfalcone, Fincantieri, s.l., s.d. (ma 2008); Paolo Valenti, Storia del cantiere navale di Monfalcone: centenario 1908-2008, Luglio, Trieste 2007.

Per il secondo: Galliano Fogar, Gli scioperi del marzo 1943 in Alta Italia. La situazione a Monfalcone

e nella regione, in «Il Territorio», II, 3, 1979, pp. 45-52; Id., L’antifascismo operaio monfalconese fra le due guerre, Milano, Vangelista, 1982; Sergio Parenzan, Le lotte dei lavoratori al cantiere di Monfalcone. Dal do- poguerra alle esperienze nel “Consiglio di Fabbrica” Italcantieri, in «Il Territorio», VI, 9, 1983, pp. 19-28;

Marco Puppini, Costruire un mondo nuovo. Un secolo di lotte operaie nel Cantiere di Monfalcone. Storie di uo-

mini, di passioni e di valori, Comune di Monfalcone, ANPI Monfalcone, Centro L. Gasparini, Gorizia 2008; Enrico Cernigoi, Marco Puppini, Sergio Valcovich, Cento anni di Cantiere. Un secolo si storia di

emancipazione umana e sociale al cantiere navale di Monfalcone, Ediesse, Roma 2010; Silvano Benvenuti, La nascita del cantiere di Monfalcone e le prime lotte operaie (1908-1910), in «Il Territorio», III, 4, 1980, pp. 23-

30; Anna Di Gianantonio, Ristrutturare, che passione!, in «Il Territorio», XI, 23, 1988, pp. 14-23. Per alcune pubblicazioni dove coesistono sia gli aspetti produttivi sia quelli sindacali: Matteo Martinuzzi, Dalla crisi al primato. La navalmeccanica Monfalconese dopo le ristrutturazioni degli anni Settanta, tesi di laurea in storia, Università degli studi di Trieste, a.a. 2002-2003; Giulio Mellinato (a cura di),

I mestieri e la formazione di una Comunità. Monfalcone 1908-2008, Comune di Monfalcone, Cormons

2009; Roberto Covaz, Le abbiamo fatte noi. Storie dei canterini e del cantiere di Monfalcone, Biblioteca del- l’Immagine, Pordenone 2008; Loredana Panariti, La fabbrica delle crociere. Il settore cantieristico e il turismo

sul mare (1980-2007), in Paola Massa (a cura di), Andar per mare, De Ferrari, Genova 2009; Loredana

Panariti, Tute blu e principesse. L’organizzazione del lavoro nel cantiere di Monfalcone (1987-2007), in Romeo Danielis (a cura di), Il sistema marittimo-portuale del Friuli Venezia Giulia. Aspetti economici, statistici e storici, Edizioni Università di Trieste, Trieste 2011.

3Enrico Bullian, La sicurezza sul lavoro e la navalmeccanica dal secondo dopoguerra a oggi. Il caso del Can-

tiere di Monfalcone, tesi di dottorato in storia, Università degli studi di Trieste, a.a. 2011-2012. Si veda

in particolare il cap. 5, L’evoluzione della sicurezza sul lavoro nel cantiere di Monfalcone con particolare riferimento

al periodo fra gli anni Sessanta e Ottanta.

4Si impiega la formula dei “lunghi anni Settanta”, proposta dallo storico Luca Baldissara. Se- condo l’autore, che non si occupa specificamente di sicurezza sul lavoro, era attraverso tale pro- spettiva che andava affrontato quel decennio per essere compreso e calato nella storia d’Italia. Si tratta «di volgere lo sguardo a quegli anni come a delle rapide, attraverso le quali lo scorrere dei pro- cessi storici viene repentinamente accelerato» (Luca Baldissara, Il conflitto ai tempi della crisi. I “lunghi

LA SVOLTA DEI “LUNGHI ANNI SETTANTA”

A cavallo fra anni Sessanta e Settanta è collocabile la principale data perio- dizzante del secondo dopoguerra italiano in relazione alla questione della si- curezza sul lavoro. All’epoca il movimento sindacale nazionale e, in generale, i lavoratori iniziarono a rivendicare e a ottenere una maggiore tutela della salute nelle grandi fabbriche e ciò avvenne anche al Cantiere di Monfalcone.

I “lunghi anni Settanta”, nel caso del Cantiere, rappresentano una finestra temporale che si apre con la seconda metà degli anni Sessanta e si chiude quasi un ventennio dopo, con la grande crisi dello stabilimento culminata nel 1983- 1985. Questa fase si sovrappone alla nuova ragione sociale: nel 1966 furono sciolti i Cantieri Riuniti dell’Adriatico (Crda) e il Cantiere di Monfalcone fu inglobato nell’Italcantieri (Itc), assieme agli stabilimenti di Genova e Castel- lammare di Stabia. L’Itc nel 1984 confluì a suo volta all’interno di Fincantieri, che ancora oggi raggruppa i maggiori cantieri italiani. Il polo dell’Itc e, in par- ticolare, il Cantiere di Monfalcone affermarono in questo periodo (1966-1984) la loro leadership a livello nazionale, con la produzione di navi cisterna e di sommergibili in serie5.

Dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Sessanta, il clima rimaneva ancora sfavorevole per gli operai e si potrebbe definire “difensiva” la fase vissuta (e in parte subita) dalle maestranze per quanto riguarda le condizioni di lavoro. Tuttavia, nonostante il periodo fosse ancora segnato dalle discriminazioni sin- dacali e dalla pratica della monetizzazione del rischio6, si crearono le premesse

anni settanta” come problema storico in Luca Baldissara (a cura di), Tempi di conflitti, tempi di crisi. Contesti e pratiche del conflitto sociale a Reggio Emilia nei “lunghi anni settanta”, l’ancora, Napoli-Roma 2008, p. 10).

Infine, conclude l’autore, «Non sarà un caso che proprio in quel decennio si svolga il più importante e significativo ciclo riformatore della storia italiana», segnato anche da due provvedimenti fonda- mentali quali l’approvazione dello Statuto dei lavoratori nel 1970 e la Riforma sanitaria del 1978 (Ivi, pp. 29-30).

5Il Cantiere di Monfalcone consegnò nel 1968 l’Enrico Toti, «il primo sommergibile che venne realizzato in Italia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale» (M. Martinuzzi, Dalla crisi al primato cit., p. 20).

6A titolo dell’esempio, sulla monetizzazione del rischio si può visionare questo documento: Ar- chivio storico sindacale “Sergio Parenzan” della Cgil di Gorizia (d’ora in avanti, Acgil), Lettura Re- cord: n°7_1958_doc16 accordo 1958, Fiom-Cgil Trieste, Accordo aziendale CRDA e Arsenale Triestino

firmato a Roma il 12 febbraio 1958, p. 4. Il primo punto dell’accordo riguardava le Indennità per lavori no- civi, pesanti e pericolosi. Il sindacato considerava una grande conquista che le nuove tabelle predisposte

dall’azienda d’intesa con i lavoratori «verranno calcolate aumentando del 55% le precedenti misure». Tutta la trattativa sindacale era stata praticata dentro una logica di monetizzazione della salute. Tale prassi è un argomento complesso. Servì innanzitutto per aumentare i salari: dovendo constatare che la nocività c’era e che non era all’ordine del giorno la sua eliminazione, le organizzazioni dei lavoratori decisero la linea de “la salute non si regala”. Il ruolo del sindacato fu importante nel promuovere questo primo passo nelle politiche di tutela della salute. Se non altro fece prendere coscienza del debito di salute dei lavoratori, necessario per poter dire, qualche anno più tardi, che quelle norme contrattuali andavano “capovolte ”, affermando che “la salute non si vende”.

per la prima fase di lotta contro i rischi professionali in Cantiere. Infatti, negli anni Cinquanta si investì per aumentare la prefabbricazione a terra con la co- struzione dello scalo gigante e della salderia A che riducevano il lavoro a bordo notoriamente più rischioso; nel 1953 aprì la sede dell’Inail di Monfalcone e nel 1958 la sezione dell’Ispettorato del lavoro di Gorizia, con giurisdizione su tutta la provincia; nel 1961 fu istituito il servizio di sicurezza aziendale con compiti anche formativi e sicuramente era presente un Comitato antinfortunistico, al quale non partecipavano ancora i rappresentanti degli operai; ci furono i primi sporadici interventi sulla sicurezza delle Commissioni interne e delle organizza- zioni sindacali. Si ampliava così la rete di soggetti che si occupavano della sicu- rezza sul lavoro in Cantiere. Le difficoltà dei lavoratori dello stabilimento derivavano anche dall’interpretazione, abbastanza univoca, che l’azienda dava al termine sicurezza, considerata ancora dal punto di vista prevalentemente repres- sivo. Per questo esisteva il servizio dei guardiani, con il quale la direzione dei Crda voleva assicurarsi quello che si può chiamare l’ “ordine aziendale”. L’orga- nizzazione interna della sicurezza, prima del 1961, si riduceva alla presenza dei guardia fuoco7e delle infermerie. Il 1960, nonostante i miglioramenti tecnologici,

fu un annus horribilis per i decessi in Cantiere, con tre infortuni mortali e un sui- cidio collegato fra marzo e luglio. Non può considerarsi un caso che la direzione aziendale decise di correre ai ripari, istituendo un Comitato per la sicurezza e at- tivando dei corsi specifici per la formazione dei giovani lavoratori, con pubbli- cazione di una dispensa collegata. Questo manuale sulla sicurezza per gli apprendisti, risalente al 1962-1963, risulta essere il primo promosso dalla dire- zione attraverso il proprio tecnico della sicurezza Mario Millo8. Nel 1964, sulle

prime visite mediche ai lavoratori esposti a nocività, intervenne la Commissione interna, criticando esplicitamente tali visite, prefiggendosi d’interessare l’Ispet- torato del lavoro e addirittura invitando «gli operai a [non] sottoporsi alle visite se le stesse saranno ancora superficiali come è stato finora»9.

7Sui guardia fuoco, a titolo d’esempio, si veda: Archivio istituto di ricerca Livio Saranz, Fondo Itc di Monfalcone (d’ora in avanti Fitc), faldone 1964, fasc. 21, Comunicazione da Commissione Interna Crda stabilimento di Monfalcone alle organizzazioni sindacali Fiom, Uil, Cisl, Vertenza guar-

diafuoco, Monfalcone, 20 ottobre 1964. La lettera è molto interessante per vari aspetti: le richieste

dei lavoratori sono ancora “di minima”, dentro il quadro della monetizzazione del rischio e della concessione di palliativi, come la dose giornaliera di latte; dimostra l’uso generalizzato dell’amianto, anche per categorie che non erano classificate come “coibentatori”; i metodi ancora molto rudi- mentali a disposizione di alcune categorie di lavoratori (in questo caso i secchi di acqua e di sabbia per spegnere gli incendi); evidenzia la gestione caotica degli appalti.

8Mario Millo (a cura di), (con la supervisionee di Antonio Cergna), Scuola apprendisti. Appunti

sulla sicurezza del lavoro, Crda Stabilimento di Monfalcone, Monfalcone 1963 (per l’acquisizione del

documento si ringrazia il Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione del gruppo Fincan- tieri Giovanni Andreani).

9Fitc, faldone 1964, fasc. 1, Comunicato Straordinario, Commissioni Interne Crda Monfalcone,

Ad ogni modo, la prima pubblicazione che segnò l’inizio della nuova fase fu il Libro Bianco sulle condizioni dei lavoratori dei C.R.D.A. di Monfalcone, redato dalla Fiom nel 196510. In realtà, lo spazio dedicato nell’opuscolo all’infortuni-

stica e alle malattie professionali era ancora ridotto, mentre rientravano nel- l’indagine soprattutto i soprusi subiti dai lavoratori per le violazioni delle libertà sindacali, i licenziamenti discriminatori, gli orari di lavoro, gli appalti, la situa- zione della mensa, ecc. Non è un caso che il documento precedette l’emana- zione dello Statuto dei lavoratori nel 1970, che rappresentò – come si disse senza troppa retorica – l’ingresso della Costituzione in fabbrica11. Sulle 40 pa-

gine complessive del Libro Bianco solo 2 (il 5%) sono dedicate espressamente all’infortunistica e alla prevenzione. Ecco un estratto dal capitolo:

«La direzione si è sempre rifiutata di consegnare alla Commissione Interna i dati riguardanti gli infortuni mensili ai CRDA; ha respinto la richiesta che rappresentanti dei lavoratori entrino a far parte del Comitato antinfortunistico di stabilimento, mentre, per i ritmi lavorativi e per le condizioni alle volte insopportabili del lavoro sugli scali e a bordo, la percentuale di infortuni aumenta penosamente ogni anno (nel solo 1964 gli infortuni ai CRDA superiori ai 3 giorni sono stati 530 pari al 13% della forza operaia [corsivo nell’originale]). L’Ufficio antinfortuni- stico, pagato dall’azienda, si limita a richiamare e a dar multe ai lavoratori che non ottemperano ad alcune delle norme antinfortunistiche, guardandosi bene dall’imporre alla direzione tutti quegli accorgimenti previsti dalla legge. Per i servizi di igiene si specula persino riducendo il personale di pulizia dei gabinetti con le conseguenze facilmente intuibili»12.

Le rivendicazioni della Commissione interna facevano emergere nitida- mente la lotta ancora difensiva condotta dal sindacato. Si richiedevano: im- pianti docce, servizi igienici, fontanelle di acqua potabile e, alla mensa, l’«inclusione nelle posate anche del coltello»13. Una sola istanza, presentata alla

Direzione aziendale il 9 novembre 1963, prevedeva «una indagine sulle condi- zioni di nocività della plastica, indagine fatta dall’E.N.P.I. il 22 settembre 1964. Sessanta non sono molti i documenti specifici sulla sicurezza sul lavoro nel Cantiere. Per la tratta- zione approfondita di questa fase si rimanda a E. Bullian, La sicurezza sul lavoro e la navalmeccanica cit., pp. 159-193 (il sottocapitolo 5.3 Dal secondo dopoguerra al 1965), dove si presentano una serie di ma- teriali significativi. In questa sede ci si limita a citarne due: Archivio del Consorzio Culturale del Monfalconese (non inventariato), Luciano Luciani, Relazione sul viaggio in Inghilterra dal 29 gennaio al

18 febbraio 1947, s.n., s.l. 1947 (nel 1947 una delegazione di 13 italiani con rilevanti ruoli nel mondo

industriale effettuò una visita conoscitiva in 8 importanti fabbriche della Gran Bretagna. I Crda erano rappresentati dall’ingegnere Luciani che redasse questa dettagliata relazione sul viaggio, che affrontava diversi aspetti legati alla sicurezza sul lavoro); Atti del Convegno Nazionale sulla Sicurezza nei

Cantieri Navali. Trieste, 29-30 giugno 1958, Enpi, Roma 1959.

10Fiom Provinciale Monfalcone, Libro Bianco sulle condizioni dei lavoratori dei C.R.D.A. di Monfalcone.

Documentazione della FIOM-CGIL sulle violazioni contrattuali, l’intensificazione dello sfruttamento e l’attuale condizione operaia negatrice dei diritti della personalità del lavoratore, s.n, Monfalcone 1965.

11Guido Crainz, Così ha segnato l’immaginario politico, in «la Repubblica», 12 ottobre 2007. 12Fiom Provinciale Monfalcone, Libro Bianco sulle condizioni dei lavoratori cit., pp. 27-28. 13Ivi, p. 29.

La direzione si impegnava a consegnare l’esito alla C.I., ma tale impegno non è stato mantenuto»14. Non era dunque neppure possibile consultare i risultati

dello studio che il sindacato aveva richiesto: evidentemente non sussistevano ancora le condizioni per svolgere un’adeguata attività di tutela dei lavoratori. Di lì a poco esplose il problema degli infortuni a causa dell’intensificazione dei ritmi di lavoro e della costruzione del nuovo bacino, di dimensioni impo- nenti (allora pensato per le superpetroliere, oggi usato per le navi da crociera). Fra il 1966 e il 1972 ci furono in Cantiere ben 17 “omicidi bianchi” – come aveva iniziato a chiamarli il movimento sindacale –, oltre a un migliaio di in- fortuni più o meno gravi ogni anno. Nell’impossibilità di analizzare nel detta- glio ogni evento luttuoso, si riportano i casi che videro delle condanne in sede penale e quelli che scatenarono delle manifestazioni e dei cortei di denuncia. In particolare nel maggio del 1968 si assistette a una prima svolta, dal mo- mento che in 3 mesi (da marzo a maggio) ci furono ben 4 infortuni mortali sul lavoro.

In uno di questi, perse la vita l’operaio Sergio Zampar: per tale decesso si aprì il procedimento penale e questo risulta il primo infortunio mortale con- clusosi – in un caso di morti bianche al Cantiere di Monfalcone – con una condanna in via definitiva, con un iter processuale molto complesso arrivato due volte in Corte di Cassazione e con diversi imputati del delitto di cui agli articoli 113 e 589 (cooperazione nel delitto colposo e omicidio colposo) del Codice penale (Cp)15.

Verso le ore 12.20 dell’8 marzo 1968, l’operaio Zampar, dopo aver ultimato la saldatura di alcuni profilati metallici sulla sommità di una parete di un’offi- cina in costruzione (con ogni probabilità la cosiddetta salderia B) presso lo

14Ivi, p. 28.

15L’iter giudiziario per il decesso di Zampar vide due filoni processuali. Primo filone: Tribunale penale di Gorizia, Giudice Presidente del Collegio dott. Raffaele Mancuso, 16 luglio 1971, sentenza n. 207/71 (Reg. Sent.);

Corte d’Appello di Trieste, Giudice Presidente del Collegio dott. Pietro Marsi, 27 aprile 1972, sentenza n. 153/72 (Reg. Sent.);

Corte Suprema di Cassazione, 7 novembre 1972 (rimanda alla Corte d’Appello);

Corte d’Appello di Trieste, Giudice Presidente del Collegio dott. Gino Franz, 28 giugno 1973, sentenza n. 269/73 (Reg. Sent.);

Corte Suprema di Cassazione, 15 gennaio 1974. Secondo filone:

Tribunale penale di Gorizia, Giudice Presidente del Collegio dott. Raffaele Mancuso, 5 ottobre 1973, sentenza n. 163/73 (Reg. Sent.);

Corte d’Appello di Trieste, Giudice Presidente del Collegio dott. Pietro Marsi, 26 giugno 1975, sentenza n. 256/75 (Reg. Sent.).

Tecnicamente il pronunciamento del 15 gennaio del 1974 non è la prima sentenza definitiva di condanna, dal momento che ciò avvenne il 22 giugno del 1972 quando la Corte di Cassazione rigettò il ricorso dei condannati per l’omicidio colposo di Giuseppe Furlan risalente al 1970, infortunio mortale del quale si tratta in seguito.

stabilimento Itc, cadde da circa 20 metri di altezza mentre stava scendendo dal posto di lavoro per andare a consumare il pasto. L’Itc aveva appaltato la costruzione del capannone-officina alla ditta Ing. G. Fontana, che – a sua volta – affidava in subappalto alla Iccif il montaggio di parte delle strutture metal- liche. Di quest’ultima era dipendente Zampar; pertanto nel primo filone del processo penale vennero imputati i vertici della ditta Iccif: Gino Caron quale datore di lavoro; Valneo Buttignon come preposto alla direzione del cantiere e il preposto alla sorveglianza dell’esecuzione dell’opera, che fu l’unico as- solto16. Secondo l’accusa, avevano omesso di disporre e vigilare affinchè gli

operai «facessero uso di cinture di sicurezza costantemente collegate ad ap- posita fune di trattenuta»17(si citava l’art. 10 del Dpr 7.1.1956 n. 164). Per i

giudici di primo grado del Tribunale di Gorizia,

«Non v’è dubbio pertanto che il Caron, quale titolare dell’impresa, aveva l’obbligo di assi- curare l’osservanza delle disposizioni di legge e di curare l’effettiva adozione delle misure di sicurezza previste (tale obbligo è previsto dall’art. 77 del DPR 7.1.1956 n. 164): il comporta- mento colposo dell’imputato appare tanto più macroscopico qualora si consideri che pochi giorni prima del sinistro la sua impresa era stata invano diffidata dall’ispettorato del lavoro ad apprestare le opportune cautele (cfr. teste Bernobini).

Del resto gli stessi operai (cfr. teste Frasson) avevano invano ripetutamente fatto presente la insufficienza delle misure di sicurezza»18.

Alla fine dell’iter processuale, Caron e Buttignon (quest’ultimo come di- rettore responsabile dei lavori) furono condannati, con la concessione delle attenuanti generiche, alla pena di 8 mesi di reclusione e al risarcimento della parte civile, prevedendo una provvisionale di 1.000.000 lire ciascuno, che in moneta corrente corrisponde a poco più di 9.000 euro. Nel primo caso fu in- teramente condonata la pena, nel secondo fu ordinata la sospensione condi- zionale della pena e la non menzione nel certificato penale.

Nel maggio del 1968 si registrarono altri due eventi drammatici: il 14 de- cedeva Pietro Soresini e il 17 Claudio Delaidelli, a causa dell’infortunio avve- nuto il giorno precedente. In entrambi i casi ci furono indagini della magistratura e i processi si conclusero con l’assoluzione degli imputati, nono- stante si fossero accertate violazioni legislative gravi (rispettivamente: mancato uso della cintura di sicurezza agganciata ad apposita fune di trattenuta; opera- zioni di lavoro sottostanti a carichi sospesi e non utilizzo del casco).

La reazione di una parte del sindacato – la Fiom – fu molto vigorosa. Subito 16Furono assolti anche tutti gli imputati del secondo filone processuale, che erano i responsabili della ditta Ing. G. Fontana.

17Tribunale penale di Gorizia, Giudice Presidente del Collegio dott. Raffaele Mancuso, 16 luglio 1971, sentenza n. 207/71 (Reg. Sent.), pp. 1-2.

dopo ognuno degli infortuni si diffuse un ciclostilato: con il primo si annunciò il corteo contro gli “omicidi bianchi”, che fu “ufficializzato” con il secondo volantino. Il 15 maggio, in seguito al decesso di Soresini, la Fiom distribuì l’opuscolo La vita di chi lavora va salvaguardata. Farla finita con gli omicidi bianchi, nel quale si sosteneva:

«Cosa pensano di fare i dirigenti dell’Italcantieri [corsivo nell’originale], tanto facili a dare comodi giudizi di “fatalità agli infortuni mortali”, mentre continuano a lasciare mano libera ai padroni delle ditte private a non osservare le norme antinfortunistiche ed a gonfiarsi i portafogli sulla pelle degli operai???! Cosa pensa l’Ispettorato del Lavoro [corsivo nell’originale] al quale è stata più volte segnalata la grave situazione all’Italcantieri ed alle ditte private??? (Esempio: Perché non esiste un responsabile che imponga alle Ditte di attenersi a lavorare nei limiti di si- curezza previsti; perché nei lavori in altezza non ci sono perlomeno due operai assieme in modo che un operaio garantisca la sicurezza dell’altro???; perché lavorano, in continuo grande pericolo, come tutti possono vedere, gli operai addetti alla demolizione dei castelli sostegno delle nuove gru giganti???) […]