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5. La liberazione e la morte

5.8 Miracoli e maledizioni

Secondo alcuni cronisti dell’epoca, Bonifacio VIII prima di morire avrebbe scagliato una maledizione nei confronti dei suoi nemici. De- snouelles, Giovanni Viktring e l’autore delle cronache di Fiandra scrissero circa cinquanta anni dopo i fatti. Secondo il loro resoconto, il re e Nogaret sarebbero morti tra rabbia e dispiaceri a causa di un’anatema pronunciato dal pontefice.

Giovanni Desnoulles: … Et fu li pappes grevés et empressés à l’entrer en se cambre: dont il

fut yrés, et en celle yre il maudist le roy de Franche et ses hoirs dusque en septime lignie, et tous chiaux qui che meffait luy faisoient. Et assez tost apprès il morut, moult irés et moult despaisiés. Puis avint que Guillames Longarés, qui estoit à la court du roy, morut et esraga, le langue traitte moult hideusement; dont li rois fu moult esmervilliez, et plui- seur qui avoient esté contre le pape Boniface.69

Cronaca di Fiandra: Et ne demoura gaires de temps après que le pape prist une si grant

douleur en son coeur, tant de ses bléceures comme de despaisir et courrouz, que, en petit de jours après, il en rendi l’âme. Aucuns ont dit que ce pape mauldist adont les roys de France jusques à la septiéme ligniée, et que depuis moult d’apparences en ont esté expé- rimentées; toutesvoies je m’en rapporte à la vérité.70

Giovanni Viktring: Fertur pontifex respondisse: «Non sum propheta nec filius prophete, sed

regem Francorum dico miserabiliter victurum, breviter moriturum et semen uteri sui de throno regni celeriter defecturum». Que omnia, sicut patebit suo tempore, sunt impleta.71

Non solo maledizioni e anatemi: alcuni testimoni riportano miracoli ed eventi straordinari avvenuti nell’Urbe nell’ultimo mese di vita di Boni- facio VIII. Hundleby afferma che mai erano avvenute così tante manife- stazioni divine dalla nascita di Cristo.

Sciatis insuper, quod postquam Christus natus fuit de Virgine numquam visa fuerunt tot et tanta mirabilia in uno loco in tam modico tempore sicut nos hic vidimus.72

Francesco Pipino riporta anche i dettagli di uno di questi avvenimenti straordinari, avvenuto proprio sul sepolcro del papa. Il volto della Ma- donna, che adornava la tomba, avrebbe mutato colore: dal candido marmo in cui era scolpito, si sarebbe oscurato completamente. Poiché fu opera divina, si decise di lasciarlo così com’era.

Sequenti vero die fuit in tumulo, quem sibi vivens ex marmoreo lapide et opere sumtuoso preparari fecerat, positus in ecclesia Sancti Petri. Alia die facies imaginis beate Virginis,

69 Extraits de la Chronique, p. 195. 70 Extraits d’une chronique, p. 374.

71 Iohannis abbatis Victoriensis Liber, pp. 370-371. 72 Beck, William, pp. 198-199.

que ex candido marmore sculpta in testudine monumenti erat, nigerrima apparuit; et quod divino contigerit miraculo, per hoc indicatur, quia postmodum albe fieri non potuit ulla appositione colorum.73

Infine, una cronaca riporta anche una scena che richiama alla mente la Commedia di Dante. I Flores temporum bavaresi sostengono che il Caetani sarebbe morto ad Avignone, dopo cinque giorni dalla cattura. La sua anima sarebbe stata rapita da alcuni demoni, i quali si sarebbero diretti in Sicilia, forse nei pressi dell’Etna; qui un marinaio li avrebbe uditi mentre ordinavano ad altri diavoli di aprire le porte degli inferi per far entrare l’anima del papa.

Animam eius demones rapientes per aerem vexerunt, ut nautis siculo mari manifestatum est; demones enim clamare audierunt: «Aperite, aperite Bonifacium papam ad tormenta sempiterna accipite».74

73 Pipini Chronicon, p. 741.

A questo punto, non resta che rispondere alla domanda posta nel preambolo: le fonti sull’affronto di Anagni possono ancora dire qualcosa? Dal riscontro dei dati raccolti e grazie a una nuova interpretazione, a quanto pare, la risposta è affermativa. Riguardo i responsabili dell’attacco, è chiaro che Filippo IV e i Colonna furono protagonisti assoluti. Tuttavia, si è visto come fin dall’inizio le deposizioni di Nogaret sono contraddi- stinte da una forte reticenza. Questo significa che il re non voleva apparire come mandante diretto dell’aggressione al papa. Solo sotto Clemente V, il clima tra la corte papale e quella francese mutò e Nogaret rivelò finalmente che dietro la sua missione vi era Filippo IV.

Per quanto riguarda le motivazioni che spinsero i Colonna e gli altri nobili di Campagna, è stato scritto molto e in maniera piuttosto esauriente. Riguardo Filippo IV, può essere fatta qualche considerazione aggiuntiva. In particolare, la recente storiografia ha dato poco peso ai possibili risvolti negativi che sarebbero maturati per il re se fosse stato colpito dalla sco- munica. Soprattutto se si fa riferimento alla difficile situazione che nel 1303 si era concretizzata ai confini orientali del regno francese. Rispetto alle altre fonti – come quelle italiche – alcune cronache continentali sono più attente a collegare l’affronto di Anagni a quanto stava accadendo a Est di Parigi. La recente acquisizione delle Fiandre era stata pagata a duro prezzo dal sovrano nel 1301. Nonostante i suoi sforzi, la regione conti- nuava a essere particolarmente insofferente al dominio francese. Inoltre, le ribellioni fiamminghe si sommavano ai difficili rapporti con il preten- dente al trono imperiale, il duca Alberto d’Austria. Dopo una fase interlo- cutoria, cortese e pacifica, i rapporti diplomatici tra quest’ultimo e Filippo IV si ruppero. Questa delicata situazione si sommava alla decisione di Bo- nifacio VIII di sostenere la candidatura imperiale di Alberto. In base a questo quadro, si comprendono meglio le ragioni di un tempestivo inter- vento da parte di Nogaret per evitare che la scomunica fosse resa pubblica, cosa che aveva intenzione di fare Bonifacio VIII l’8 settembre 1303.

Più che un piccolo contingente, come vorrebbe far credere Nogaret, si presentò dinanzi le mura di Anagni (forse presso porta Cerere) un eser- cito con molti effettivi, forse più di un migliaio di unità (tra i seicento e gli

ottocento cavalieri, più molti fanti che di sicuro dovrebbero aver egua- gliato o addirittura superato il numero della cavalleria). Anagni era pur sempre la città nativa del papa e i capi ribelli sapevano bene che non sa- rebbe stato facile prelevarlo e portarlo in Francia. È anche probabile che l’esercito fosse diviso in due contingenti: uno con a capo Sciarra Colonna, mentre l’altro guidato da Nogaret e dagli altri nobili campanini.

Non può essere accettata la notizia secondo cui Bonifacio VIII pre- sentiva l’attacco e scelse quindi di rifugiarsi opportunamente ad Anagni. Del resto, tale versione non è stata presa in considerazione nemmeno dalla recente storiografia. Nell’estate del 1303 non accadde nulla di nuovo. Come altri papi, anche Bonifacio VIII preferiva trascorrere i mesi estivi in zone laziali più fresche e ventilate rispetto a Roma. Non può neanche es- sere accolta l’ipotesi secondo cui egli avrebbe prolungato il suo soggiorno ad Anagni per timore di essere aggredito. Anche negli anni precedenti, il papa era rientrato a Roma nelle prime settimane di autunno.

È da escludere che Bonifacio VIII fosse stato all’oscuro dei movi- menti dei suoi nemici e soprattutto dell’arrivo di Nogaret in Italia. Il Cae- tani potrebbe non aver saputo il giorno e il momento preciso dell’attacco, ma certamente conosceva le intenzioni del giurista francese e dei suoi ac- coliti, che si trovavano a Ferentino il 5 settembre.

Semplicemente, Bonifacio VIII si sentiva sicuro nella sua città: le po- derose mura esterne rappresentavano un primo difficile ostacolo; le acqui- sizioni nel quartiere Castello, nella parte più alta dell’abitato, gli assicura- vano un ultimo baluardo interno, tanto più dopo l’opera di fortificazione attuata nei punti d’ingresso di questa zona. L’unico errore da parte sua potrebbe essere stato un eccesso di fiducia nei confronti dei suoi ufficiali. Senza alcun tradimento, è impensabile che un esercito, seppur corposo e munito, potesse effettuare un vero e proprio blitz e catturarlo. D’altra parte, Nogaret non era sicuramente giunto da Ferentino con mezzi per condurre una guerra d’assedio, quindi doveva essere certo che le porte della città si sarebbero aperte al suo arrivo. Il papa doveva essere catturato e prelevato, come agiscono le squadre speciali di assalto nei migliori film d’azione americani.

Si può quindi affermare che il tradimento di Goffredo Bussa e il com- portamento di una parte della popolazione furono determinanti per favo- rire l’ingresso indisturbato dei nemici del papa nella città.

Per quanto riguarda la numerosità e la collocazione sociale di quanti aderirono al colpo di mano, bisogna fare alcune riflessioni. Bonifacio VIII aveva attuato una politica a favore dei regimi di popolo nel Lazio meridio- nale. Secondo le sue intenzioni, questo avrebbe fornito alleati preziosi alla

sua famiglia da contrapporre ai suoi nemici, che aumentavano di pari passo all’ascesa dei Caetani. La strategia del papa andava a influire sulle lotte po- litiche interne ad Anagni, in cui non mancavano certamente le organizza- zioni di mestiere, ma potrebbero aver giocato un ruolo decisivo le fazioni basate su altre forme di coesione, come la provenienza da uno stesso rione, l’appartenenza a una medesima confraternita religiosa, i rapporti di clien- tela e di amicizia, e anche altre forme di solidarietà di tipo verticale. La politica aggressiva del papa e dei suoi congiunti aveva certamente determi- nato il rafforzarsi di un forte risentimento nei loro confronti a prescindere dalla provenienza sociale. Ne erano consapevoli Nogaret e Sciarra, che sfruttarono queste tensioni latenti per i propri interessi.

Quindi, Anagni era divisa politicamente da diverse anime, le quali po- trebbero essersi coagulate in tale frangente in due parti, una favorevole e una contraria al papa.

Tralasciando la sineddoche di Hundleby e le costanti affermazioni iperboliche di Nogaret, secondo i quali “tutta” la popolazione si sarebbe schierata a favore degli assalitori, all’inizio dell’affronto potrebbe essere avvenuto un vero e proprio “putsch”. Una parte della popolazione, nemica dei Caetani, potrebbe aver saputo in anticipo le intenzioni degli assalitori e aver atteso nei pressi della piazza principale il loro arrivo. A questo punto, in fretta e furia, dopo un primo suono delle campane, essa avrebbe appoggiato l’azione di Nogaret e nominato come capitano del popolo l’acerrimo nemico dei Caetani, Adinolfo de Papa; mentre l’altra parte della popolazione fedele al pontefice sarebbe stata colta di sorpresa e per questo motivo non avrebbe opposto alcuna resistenza. Si deve considerare, in- fatti, un aspetto tralasciato da molti contributi, anche da quelli più recenti. Checché ne dicano Nogaret e Hundleby, per riunire una concione in una città numericamente così popolosa come lo era Anagni in quel periodo, vi era bisogno di molto tempo, con banditori che annunciavano per le strade il luogo della riunione e il momento. Logicamente, tutto ciò sarebbe stato impensabile nel giro di qualche minuto. Evitando di peccare di anacroni- smo, la mattina del 7 settembre potrebbe essere avvenuto, come detto, un vero e proprio putsch; del resto questa ipotesi spiega la cacciata degli assa- litori a opera della cittadinanza appena due giorni dopo.

La nomina di Adinolfo de Papa come capitano del popolo non fu ca- suale: aveva certamente a disposizione numerose clientele nella sua città di origine. Questo garantiva una buona rappresentanza e un maggior con- trollo sul resto della popolazione. Con l’ufficio di capitano del popolo nelle sue mani, la parte favorevole a Bonifacio VIII era messa momentaneamente fuorigioco; si spiega così il fallimento da parte del papa di sobillare una

sollevazione in armi contro gli assalitori nel corso della tregua il giorno stesso dell’assalto.

Non è ancora ben chiaro quale fosse il palazzo nel quale il papa risie- deva ad Anagni nell’estate del 1303. Molto probabilmente si trovava nel vescovado, ovvero nel complesso edilizio addossato alla cattedrale di Santa Maria, che ospitava anche tutti i curiali nel corso del soggiorno estivo. Tale ipotesi concorda con la descrizione della spettacolare irruzione degli assa- litori nelle camere private di Bonifacio VIII, che sarebbe avvenuta prima con l’incendio delle porte della chiesa madre, chiuse per impedire l’accesso agli assalitori; poi con la corsa di questi ultimi sui tetti dell’edificio, che sarebbe terminata nel cortile interno della residenza papale.

Uno studio sull’affronto di Anagni non può non parlare del celeber- rimo aneddoto dello schiaffo. Tuttavia, basta rinviare alla recente biografia di Bonifacio VIII di Paravicini Bagliani per accertarsi che tale racconto fu frutto di un’interpolazione del Quattrocento, messa per iscritto da Nicola Gilles. In ogni modo, è bene ribadire che nelle fonti contemporanee non vi è alcuna traccia o accenno a riguardo. Ciò non significa che nelle inten- zioni degli aggressori non vi fosse il desiderio di colpire il papa, magari mortalmente. Tuttavia, tranne qualche attimo di tensione e la prostrazione psicologica in cui precipitò (non trascorse certamente i giorni più felici della sua vita), sembra che Bonifacio VIII non sia stato nemmeno sfiorato. Nel processo del 1310, Francesco Caetani e gli altri sostenitori del papa defunto non fanno alcun cenno a violenze fisiche subite da Bonifacio VIII. Se realmente vi fossero state, costoro avrebbero senza dubbio fornito un grave capo di accusa ai danni di Nogaret e Sciarra.

Nell’Inferno, Dante pone Bonifacio VIII tra i simoniaci, in compagnia di Nicola III Orsini; invece nel Purgatorio lo idealizza come figura di Cristo, per narrare quanto avvenne ad Anagni. Tuttavia, bisogna precisare che il poeta non fu l’unico né il primo a descrivere la sorte del papa utilizzando le sacre scritture.

Già Hundleby si servì della figura biblica di Giobbe per sottolineare lo stato di “indigenza” del papa dopo la sua liberazione. Inoltre, è anche il primo ad alludere a Bonifacio VIII come nuovo Cristo, in particolare fa- cendo esplicito riferimento alla spartizione delle vesti sul Golgota.

Come per il sostegno agli assalitori, secondo la maggior parte delle fonti, la liberazione del papa avvenne grazie a tutta la popolazione di Ana- gni. Hundleby fu un testimone oculare degli eventi ma era un uomo inglese poco abituato al melting pot politico dell’Italia comunale. Innanzitutto, non è possibile pensare alla cittadinanza di Anagni come a un monolite che cambia in maniera schizofrenica fronte da un giorno all’altro. Come per

l’ingresso dei nemici di Bonifacio VIII, anche in questa fase agirono senza dubbio le divergenze politiche interne alla città di cui purtroppo le fonti non danno conto. Non è possibile pensare all’intera popolazione che si sarebbe riunita in un luogo, per giunta segreto e all’insaputa di Adinolfo de

Papa. Furono certamente giorni in cui la tensione era alta e tutto era con-

trollato nei minimi dettagli. Se fosse vero quello che afferma Hundleby, Adinolfo lo avrebbe certamente saputo e avrebbe preso provvedimenti per evitare il peggio. Plausibilmente, si trattò solo di alcuni rappresentanti di una parte della popolazione favorevole al pontefice che, dopo il colpo sferrato dalla parte avversa due giorni prima, si riorganizzò per rovesciare le sorti dello scontro.

L’azione della parte filo-bonifaciana fu certamente favorita da qualche passo falso degli assalitori, come un eccessivo tentennamento sul destino del papa; oppure a seguito di qualche decisione che avrebbe leso il senso civico della popolazione (come la volontà di esporre in bella mostra la ban- diera di Francia, o addirittura di emanare ordinanze in nome di Filippo IV).

In ogni caso, sono ragionevolmente accettabili le motivazioni fornite da Hundleby circa il “ravvedimento” che avrebbe scosso le coscienze di una parte degli Anagnini. Le conseguenze giuridiche e politiche della morte di un papa all’interno delle mura della città sarebbero state deva- stanti. L’interdetto papale e la scomunica sarebbero presto o tardi arrivati; ciò avrebbe spinto i centri vicini ad attaccare non solo per ragioni religiose, ma anche per gli interessi sul contado. Anagni e i suoi abitanti rischiavano di ripercorrere in maniera sinistra la sorte di Palestrina avvenuta un lustro prima. Anche questi timori potrebbero aver favorito la cacciata degli assa- litori e, soprattutto, del capitano del popolo, Adinolfo de Papa.

Forse l’errore più grave di Nogaret fu quello di non aver portato via il papa il giorno stesso dell’arrivo ad Anagni.

La liberazione di Bonifacio VIII potrebbe essere avvenuta anche gra- zie a personalità di curia molto influenti rimaste nei paraggi del palazzo papale, come i cardinali Nicola Boccassio e Luca Fieschi. Addirittura, quest’ultimo viene descritto dalle fonti dell’epoca come un “capo popolo” all’assalto dei nemici del pontefice. È certamente difficile da credere. Del resto, è un aneddoto che è presente solo nelle fonti narrative e non in quelle ufficiali. È molto più probabile invece che i due cardinali abbiano utilizzato i mezzi retorici per coinvolgere gran parte della popolazione nella liberazione del papa.

Come sottolinea Paravicini Bagliani, è poco verosimile che il Comune di Roma abbia inviato una delegazione (armata o meno) per liberare il papa. Come già detto precedentemente, questa versione potrebbe essere il

frutto di una distorsione prospettica in cui sarebbero caduti alcuni cronisti. È accertato che gli Orsini di Matteo Rosso, cardinale decano del sacro collegio, fornirono una scorta armata al papa per tornare sano e salvo a Roma. Era tra l’altro necessaria, in quanto i Colonna erano tutto fuorché sconfitti e tentarono più volte di aggredire il convoglio papale che viag- giava verso Roma. Gli Orsini e le loro clientele erano romani e chi narrò l’aneddoto della delegazione proveniente dall’Urbe potrebbe aver fatto in- consapevolmente una sineddoche, indicando tutta la città al posto di una parte sola.

Dopo il ritorno a Roma di Bonifacio VIII, la situazione era alquanto complessa. I lavori in curia non procedevano. Il papa si era rifugiato in Vaticano – che si trovava in un quartiere degli Orsini – e si faceva vedere ben poco in pubblico. Questo ha condotto alcuni cronisti (tra cui Ferreto Ferreti) ad affermare che la guida della Sede apostolica fosse caduta nelle mani del cardinale Matteo Rosso Orsini. Non vi sono fonti ufficiali che lo confermino. In effetti, se si crede al profondo stato di prostrazione in cui cadde il papa dopo l’affronto (e questo è un dato confermato da tutte le fonti), qualcuno dovrebbe aver agito come suo vicario. Come si è accer- tato, dopo il ritorno a Roma, la complessa macchina della curia rallentò drasticamente il suo lavoro, funzionando quasi al minimo essenziale. Il cardinale Orsini era il più anziano del sacro collegio, era fedele a Bonifacio VIII ed è probabile che sia stato lui – benché in maniera informale – a prendere le decisioni più importanti in questa delicatissima fase.

Tra le incombenze dell’esperto porporato vi era ovviamente anche la difesa della persona del pontefice. I nemici del papa (tra cui soprattutto i Colonna) non si erano dati per vinti e rappresentavano una pericolosa mi- naccia per la sua incolumità. Uno studio sul funzionamento della curia nel periodo di sede vacante del soglio petrino aiuterebbe certamente a capire meglio l’ultimo mese del pontificato di Bonifacio VIII. Peraltro, anche in quel caso, i paragoni devono essere fatti con le dovute cautele: il Caetani era tutt’altro che morto e la sede papale era a tutti gli effetti occupata.

Bonifacio VIII preparava una ritorsione nei confronti dei suoi nemici dopo il ritorno a Roma? È difficile crederlo con il suo stato d’animo. Così come è difficile sapere se, dopo essersi ripreso dall’umiliazione, avrebbe scatenato la sua ira. Come si è visto, aveva perdonato i suoi nemici e quanti li avevano sostenuti. Il suo non fu un caso isolato: come si è appurato, la pratica della risoluzione era diffusa in quel periodo sia nelle città italiane che nella stessa curia romana – come dimostra anche l’emblematico caso

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