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Fra le misure di prevenzione applicabili nella produzione del polline, alcune hanno particolare rilevanza ai fini del perseguimento degli obbiettivi di igiene.

3.3.1 Efficacia preventiva delle buone pratiche apistiche

Per buone pratiche apistiche si intendono le procedure ed i comportamenti adatti al raggiungimento degli obbiettivi di igiene dei prodotti alimentari realizzati dalle api.

Innanzitutto, la corretta produzione del polline deve partire dall’acquisizione delle competenze necessarie per ottemperare agli adempimenti legali, gestire l’allevamento delle api, la produzione del polline, valutarne il livello igienico e lo stato sanitario (D’Ascenzi, 2017).

Fra i primi atti si considera l’adempimento degli obblighi amministrativi di registrazione dell’apiario e delle comunicazioni su entità e localizzazione apiari/arnie ai sensi del Regolamento 852/2004, e del DPR 320/1954 (Regolamento di Polizia Veterinaria) e norme regionali correlate.

Riguardo alle attrezzature utilizzate, occorre avere certezza che le arnie impiegate diano la garanzia sull’identificazione del fornitore e sull’idoneità dei materiali.

Nell’ottica di filiera, l’impiego di sciroppo e candito per le api deve ottemperare a garanzie sull’identificazione del prodotto, del fornitore e sulla sussistenza dei requisiti igienici (Reg. 183/2005), come l’assenza di contaminanti pericolosi o indesiderabili.

Particolare rilievo ha poi la localizzazione della postazione dell’alveare e la conduzione dei trattamenti terapeutici, così come l’attenzione nei confronti di tutte le attività svolte negli alveari. Attraverso la preliminare valutazione dell’area visitata dalle api (raggio d’azione circa 3 km) è possibile prevenire la contaminazione dai pericoli chimici di origine ambientale riportati sopra. In generale sono da evitare grandi vie di comunicazione, zone industriali, colture/ allevamenti intensivi; potenziali fondi di contaminazione da metalli pesanti e fitofarmaci, luoghi pubblici, quali abitazioni e parchi pubblici.

Legge 313/2004 all’Art. 4 “1. Al fine di salvaguardare l’azione pronuba delle api, le regioni, nel rispetto della normativa comunitaria vigente e sulla base del documento programmatico di cui all’articolo 5, individuano le limitazioni e i divieti cui sottoporre i trattamenti antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api sulle colture arboree, erbacee, ornamentali e spontanee durante il periodo di fioritura, stabilendo le relative sanzioni”.

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3.3.2 Deumidificazione

Gli obbiettivi di disidratazione devono mirare a raggiungere valori di contenuto idrico corrispondenti a condizioni incompatibili con lo sviluppo dei microrganismi patogeni ed indesiderabili (Canale e Benelli, 2017). Alcuni autori hanno evidenziato che la relazione tra UR e aw varia in relazione all’origine botanica del polline. Quindi, se i campioni di polline appartengono a specie botaniche differenti, a un medesimo valore di UR possono corrispondere valori di aw diversi (Canale e Benelli, 2017).

Collin e altri riferiscono che nel polline secco (5-8% di UR) si raggiunge la massima stabilità microbiologica, corrispondente a valori di aw di circa 0,3.

Tra gli agenti biologici alteranti più resistenti ai bassi valori di aw ritroviamo lieviti appartenenti al genere Saccaromyces. L’aw limite per escludere lo sviluppo di questi lieviti è circa 0,60, che, secondo quanto riportato da Collin, nel polline sarebbe corrispondente a valori di UR di circa 14.5%. Il valore soglia minimo per lo sviluppo di lieviti tossinogeni del gruppo Aspergillus è superiore, fissato a valori di aw di circa 0,7 (corrispondenti nel polline a circa 20 % di UR), così come superiori sono i valori soglia per lo sviluppo di pericolosi batteri patogeni quali, per esempio, lo Staphylococcus aureus (0.83 aw, corrispondente a circa il 30 % di UR) (Canale e Benelli, 2017).

Spesso capita che i pollini freschi lavorati in azienda manifestino già alla raccolta bassi valori di UR, tali da non giustificare alcun trattamento di disidratazione, ma solo una loro conservazione in contenitori ermetici a temperatura controllata (Canale e Benelli, 2017).

Il polline secco, disidratato con l’uso del calore fino al 6-8 % di umidità relativa, conservabile a temperatura ambiente in vasetti di vetro a chiusura ermetica, potrebbe avere un ridotto valore biologico, oltre che sensoriale, per la perdita dei nutrienti termolabili, già durante lo stesso processo di condizionamento (Canale e Benelli, 2017).

Uno studio condotto da Collin e altri su alcune tipologie di polline ha evidenziato che 20 ore di trattamento termico in stufa a 30°C riducono l’aw a valori di 0.60 (UR 15-16 %), senza modificarne in maniera sostanziale il contenuto in aminoacidi liberi, preservando anche dal rischio di formazione di composti indesiderati che ne modificherebbero le caratteristiche sensoriali (Canale e Benelli, 2017).

Tuttavia, è sufficiente aumentare la temperatura (40 o 60°C) e/o prolungare i tempi di trattamento per determinare la formazione di solfuro dimetile (aroma di cipolla cotta), in particolare nei pollini ricchi di S-metilmetionina. In più, a tali temperature, la concentrazione di composti derivanti da reazioni di

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Maillard e di derivati solforati raggiunge spesso la soglia di percezione sensoriale, rendendo il polline poco gradevole, e in alcuni casi, potenzialmente non idoneo al consumo (Canale e Benelli, 2017).

3.3.3 Comunicazione al consumatore

La comunicazione al consumatore è lo strumento di prevenzione efficace per gestire i pericoli allergenici, la corretta conservazione e l’utilizzo appropriato del polline.

Il consumatore costituisce l’unico strumento con cui poter fare prevenzione nei confronti degli allergeni che possono essere presenti nel polline.

La composizione del prodotto, determinata dalle essenze botaniche che le api trovano sul loro territorio e da componenti proprie delle api, non è predeterminabile. I consumatori sensibili alle punture di api o agli allergeni vegetali, sia per via respiratoria che alimentare, quali cereali, arachidi, soia, frutta a guscio, sedano, senape, sesamo, lupini e altri, poiché non è possibile escludere i granuli pollinici di queste piante, devono essere invitati a non consumare polline o quantomeno di consumarlo con molta attenzione (D’Ascenzi, 2017).

La comunicazione può essere realizzata con frasi come le seguenti:

• “Il prodotto non è adatto per individui che soffrono di allergie al polline o alle punture di api”. • “Il polline può contenere essenze vegetali in grado di produrre reazioni allergiche in individui

sensibili. Raccomandiamo quindi chi fosse allergico al polline o ad essenze vegetali di utilizzarlo con attenzione”.

Inoltre, è attraverso la comunicazione al consumatore che può essere gestita la vita commerciale del prodotto. Il produttore deve garantire per tutto il tempo che intercorre tra vendita e scadenza, oltre che la conservazione dei pregi nutrizionali e organolettici, la minimizzazione dei fenomeni alterativi, particolarmente quelli attivi anche in un prodotto stabile dal punto di vista microbiologico, come l’irrancidimento ossidativo.

Alcuni Autori ritengono che il polline possa sostenere periodi di conservazione superiori ai 12 mesi, estensibili a 24 se conservato a basse temperature in ambienti asciutti e bui (Bogdanov, 2012). Infine, l’utilizzo del polline dovrebbe essere correttamente comunicato. Il polline potrebbe essere percepito come adatto all’alimentazione di chiunque in qualsiasi condizione. In realtà, proprio la sua caratteristica di prodotto naturale, non lo abilita ad essere somministrato a lattanti e bambini con età inferiore ai 2 anni, a causa del rischio relativo al botulismo infantile.

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4. La valutazione del rischio di contaminazione da micotossine nel

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