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IL MITO ALLA PROVA Il concetto incarnato della Patria

«Io sono un principio, io sono un sistema di governo, dal quale può dipendere l’avvenire della patria»1 Il 25 ottobre del 1887 quando Luigi Roux, Giolitti e Bottero organizzano un banchetto in onore del nuovo presidente del Consiglio a Torino, Crispi coglie l’occasione per dare al suo discorso il significato di un «fatto nazionale più che politico»2 mirante non tanto a esporre un programma quanto piuttosto a definire e legittimare un «sistema di governo»3. Durante l’orazione Crispi si difende dall’accusa, più volte mossagli, di autoritarismo affermando che «un’autorità» sia necessaria al «quotidiano svolgimento dello Stato» quando sia «sotto ogni aspetto legittima» e dunque discenda dalla volontà popolare e si dimostri capace «di trarre per tutti il maggior bene possibile».In «eccezionali momenti» – continua – il potere

può […] essere consentito dall’universale, […], a un solo uomo; e tutto un paese, tutta una nazione, tutto un Parlamento può stringersi intorno ad esso; ma ad un solo intento ei deve usarne: a quello di adoperarsi perché nel più breve tempo e nel modo migliore si torni alle condizioni normali4.

All’alba del primo mandato, con poche parole di rilevante spessore politico, Crispi abborda alcune questioni fondamentali che definiscono la sua leadership. In primo luogo, parlando di autorità legittima, egli riconosce la centralità del problema del consenso per cui, a partire dal primo allargamento del suffragio del 1882, la relazione tra potere politico e società civile dipende sempre più dalla capacità del primo, di «attrarre l’adesione libera e spontanea di coloro che a esso si avvicinano nella convinzione che sia giusto e vantaggioso accettare di adeguarsi»5. Distinto il potere legittimo da quello arbitrario, il primo ministro afferma che a «presiedere all’essenza fondamentale» dello Stato debba essere chiamata una figura che

1 F. Crispi, Pensieri e profezie, a c. di T. Palamenghi-Crispi, Roma, Tiber, 1920, p. 202. 2 Così scrive a Tommaso Villa, 7 settembre 1887, ACS, CC, DSPP, b. 49, fasc. 296. 3 Così scrive il deputato Delvecchi a Crispi, 31 agosto 1887, ivi.

4 F. Crispi, Discorso di Torino, 25 ottobre 1887, in AA.VV., La politica italiana dal 1848 al 1897. Programmi di governo, vol. III, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, Ripamondi e Colombo, 1899, p. 8.

5 P. Pombeni, La ragione e la passione, cit., p. 534. Nel 1889 l’estensione del suffragio amministrativo avrebbe segnato un’altra importante evoluzione. Paolo Pombeni ha scritto a tal proposito: «La riforma dell’elettorato amministrativo […] non riveste importanza minore di quella del 1882, anzi per molti versi ha avuto una maggiore influenza sul lungo periodo. È infatti con il 1889 che si aprono terreni di competizione in cui vi è uno spazio maggiore per la società civile […] e non a caso è, a mio giudizio, la competizione elettorale amministrativa che dà fiato in misura rilevante alla nuova forma partito». Id., Autorità sociale e potere politico nell’Italia contemporanea, cit., p. 38.

incarni al contempo «il dovere, il volere e il sapere», la quale può, in particolari momenti, operare arbitrariamente in vista della salvezza della patria.

Crispi si autopropone dunque nei panni di un leader autorevole le cui caratteristiche sembrano ipostatizzare l’idealtipo weberiano del Mosè6, del «profeta» che, scelto tra gli altri per «la divina irruzione di grazia», «si leva tra la folla»7 e conduce la comunità dalla miseria alla salvezza «con il passaggio attraverso una terra incognita di cui nessuno [ha] le mappe»8. Alla fine del suo discorso, ascoltato in silenzio da seicento invitati nel Teatro Regio di Torino, il presidente siciliano chiede la fiducia alla nazione in nome del patriottismo che paragona «rispetto ai […] differenti colori» «al raggio di sole dal quale emanano tutti e in cui tutti si confondono»9.

Le idee espresse da Crispi, «calorosamente applaudite»10, fanno il giro della nazione, presentate da «La Riforma» in termini quasi evangelici: «il capo del governo ha parlato», si scrive il 26 ottobre nell’articolo in prima pagina Locutus est!11. I prefetti telegrafano dalle varie provincie l’unanime «favorevolissima impressione», esponenti dell’amministrazione scrivono per congratularsi, dalla Sicilia arrivano saluti commossi12. Il direttore della «Gazzetta di Saluzzo», comune piemontese, gli scrive:

finalmente, tutti gli inciampi che si erano posti sul Vostro cammino per tenervi indietro si sono dissipati, – e che, finalmente, il tempo ha fatto giustizia, niente più che giustizia, all’esule modesto, al patriota ardente, indefesso, senza macchia, alla mente politica dell’epopea garibaldina, al fortissimo cittadino, al grande oratore13.

La stampa internazionale risponde entusiasta, dedicando ampio spazio al discorso. Il «St. James’s Gazette» di Londra scrive:

For a long time past many an Englishman has “only wished” […] the England had such a Minister as Prince Bismarck; and if he is to be judged by his later acts and deeds, we many now add, or as Signor Crispi14. Lo segue pochi giorni dopo il «Die Post»:

6 Cfr. M. Weber, Economia e società, vol. I, Milano, Donzelli, 1961. 7 Cit. in E. Biagini, Il liberalismo popolare, cit., p. 455.

8 P. Pombeni, La ragione e la passione, cit., p. 647.

9 F. Crispi, Discorso di Torino, 25 ottobre 1887, in AA.VV., La politica italiana dal 1848 al 1897, cit., p. 15. 10 C. Duggan, Creare la Nazione, cit., p. 608.

11 Loctus est!, «La Riforma», 26 ottobre 1887. 12 Cfr. ACS, CC, DSPP, b. 49, fasc. 296. 13 Lettera del 25 ottobre 1887, ivi.

Un popolo […] il quale è in grado di riporre piena fiducia nella volontà d’un sol uomo quando ciò è necessario, e di dargli un mandato illimitato rinunciando ad ogni tentativo di sollevargli delle difficoltà dimostra di essere degno della libertà, appunto perché a tempo opportuno depone le armi di cui è fornito a difesa di essa15.

Il discorso di Torino è un evento politico decisivo: si tratta infatti della prima presa di parola pubblica del presidente del Consiglio a seguito del suo incontro con Bismarck a Friedrichsruch che aveva convertito molti al sogno crispino di grandezza nazionale16. In numerose altre occasioni egli avrebbe fatto riferimento a quella «autorità del nome», acquisita «con la sapienza e l’energia, dopo un lungo corso di opere fortunate»17, come fonte di legittimità del suo mandato: «tutto sta nella tempra dell’uomo che dirige le cose dello Stato», e «io non farò alcun uso politico di essa; lo prometto»18, dichiara in Senato all’occasione della discussione della legge sui prefetti nell’estate 1887.

In un altro importante discorso, tenuto tre anni dopo a Firenze, chiude la sua orazione richiamandosi all’unità di intenti dell’intero paese:

In questa condizione, bene poss’io dirigendomi a voi, che avete voluto ascoltarmi, dirigermi a tutta Italia, chiamando a difesa di questi beni supremi, al rispetto di questi supremi doveri, quanti sono italiani che non acciechi ira di parte, e il cui patriottismo sia confortato dal senno19.

La «condizione» assunta dallo statista, «sulla cima di una piramide», non solo gli permette di vedere «le cose in modo diverso»20, di riconoscere la verità e la salvezza21, ma gli dà la possibilità di comunicare direttamente con l’intera nazione: proprio come nella disquisizione teorica di Weber, Crispi non si accontenta di comunicare ai «chierici» (i parlamentari) ma anzi li scavalca, per arrivare ai «laici» (l’intero corpo della nazione). La «vera politica nazionale»22 che egli rappresenta non ammette distinzioni tra le parti in quanto mira alla difesa dei «beni

15 S.t., «Die Post», 30 ottobre 1887, AMAE, Eredità Crispi, fasc. I.

16 A proposito dell’incontro tra Bismarck e Crispi, il conte Solms, ambasciatore tedesco a Roma, scrive: «Ho l’impressione che finora gli italiani sentissero di aver soltanto vestito i panni di una grande potenza, e che soltanto a Friedrichsruh, per la prima volta, Crispi abbia ottenuto per loro le lettere patenti che confermano il suo status», cit., in C. Duggan, Creare la Nazione, cit., p. 607.

17 F. Crispi, Pensieri e profezie, cit., p. 182.

18 Tornata dell’11 luglio 1887, F. Crispi, Discorsi Parlamentari di Francesco Crispi, vol. II, cit., p. 867.

19 F. Crispi, Discorso di Firenze, 8 ottobre 1890, in AA.VV., La politica italiana dal 1848 al 1897, cit., p. 764. 20 Id., Discorso di Torino, 25 ottobre 1887, ivi, p. 8.

21 «Non è permesso a nessuno di dubitare di ciò che dico», tuona Crispi in parlamento contro Bonghi, tornata del 18 febbraio 1889, relativa al decreto del 27 dicembre col quale era stato collocato in disponibilità il tenente generale Emilio Mattei; F. Crispi, Discorsi Parlamentari di Francesco Crispi, vol. III, cit., p. 282.

supremi» e dunque nasce per essere sostenuta da ogni cittadino. Il volere del paese e quello del governo entrano così in cortocircuito, fondendosi in un’unica volontà che il leader incarna. Tale concetto unitario di popolo, inteso, in maniera più o meno forzata, come una compatta, quanto illusoria, comunità «dove l’insieme supera la somma delle parti di cui è composto, dove l’individuo si fonde col tutto»23, ritorna come una costante dei suoi discorsi e costituisce un elemento dal forte potenziale evocativo posto in essere contro i processi di trasformazione cui si imputa la frammentazione sociale. Nel corso dei primi due mandati, «La Riforma» insisterà sul concetto di coesione tra governo e paese lodando il valore del premier, evidente «anche agli occhi di coloro che pur non consentono in tutto col Governo attuale, ma che pensano che l’onore e gli interessi del paese debbano prevalere sulle divergenze personali e sulle passioni dei partiti»24.

La leadership crispina implica dunque una caratterizzazione in senso populista del rapporto con la società sebbene si tratti di un «appello al popolo» che non ha come scopo la demolizione del sistema istituzionale in essere25 ma che nasce e muore nel dominio del costituzionalismo vigente: dichiarando di voler realizzare l’agognata grandezza della patria26 tale appello mira alla «cooptazione di nuovi e ben individuati spezzoni di elettorato»27. In questi momenti di dialogo con la comunità di destino, il leader dichiara di porre se stesso e la propria vita al servizio della nazione. Nella tornata del 19 marzo del 1888 cosi afferma in parlamento:

Vi hanno, è vero, momenti in cui l’animo si esalta ed il cuore riceve qualche consolazione; ma sono così rari tali momenti, che si richiede una gran dose della virtù del sacrifizio, per non abbandonare il posto che si occupa28.

Di riflesso, al popolo chiede fedeltà e unitarietà di intenti nonché la capacità di sacrificarsi per il bene comune. L’oggetto sacrificato si modifica a seconda del contesto politico e può riguardare le manovre economiche e gli inasprimenti fiscali cui il premier sottopone il paese per rafforzare l’esercito o per stanziare nuovi fondi per l’Africa, un impegno di tipo militare

23 L. Zanatta Il Populismo, cit., p. 20.

24 La parte della politica, «La Riforma», 29 maggio 1889; cfr. anche Il mandato di fiducia, ivi, 14 maggio 1888; Il programma di Torino, ivi, 28 ottobre 1887; Paese e Camera, ivi, 29 maggio 1888; Uniti nei fatti, ivi, 11 giugno 1888; Unità nazionale e sociale, ivi, 18 ottobre 1889; Governo e Paese, ivi, 2 aprile 1890; Libertà e autorità, ivi, 24 marzo 1890. 25 Sulla distinzione teorica tra due diverse tipologie di populismo, cfr. P. Pombeni, La ragione e la passione, cit.; L. Zanatta, Il populismo, cit.

26 «Pensi l’Italia al suo bene, e lo faccia uscire dall’urna», dichiara nel discorso di Torino il 18 ottobre 1890, in AA.VV., La politica italiana dal 1848 al 1897, cit., p. 145.

27 F. Cammarano, Nazionalizzazione della politica e politicizzazione della nazione, cit., p. 150.

nelle colonie, o da ultimo una rinuncia parziale alla libertà in vista di un ristabilimento dell’ordine sociale in pericolo29. Il 29 febbraio del 1888, in occasione della discussione sui negoziati economici per le tariffe doganali tra Italia e Francia, Crispi afferma:

Ma qui bisogna, o signori, che l’accordo fra nazione e Governo sia completo. In ogni guerra vi ha morti e feriti; si cade sui campi di battaglia, fra i colpi di cannone, e morti e feriti ci possono essere pure nelle battaglie economiche. Tuttavia un popolo forte non si scoraggia per ciò. Noi dobbiamo guardare allo scopo, al fine che ci siamo posti innanzi: ebbene, questo scopo, questo fine è tale, che merita tutti i nostri sforzi, e son sicuro che sapremo raggiungerlo. Dopo aver conquistato la indipendenza nazionale; dopo esser diventati politicamente un grande Stato, certo dei suoi destini, bisogna che ci rafforziamo anche economicamente e finanziariamente, per renderci indipendenti dalle altre nazioni. Aiutateci e vinceremo30.

Più volte il concetto di sacrificio è utilizzato per far passare la fiducia sul bilancio della guerra, tasto dolente delle discussioni parlamentari:

Signori, quando il soldato ha fatto il suo dovere, anche la sconfitta è gloriosa! Ricordatevi, o signori, e qui parlo ai vecchi più che ai giovani, ricordatevi quanto sangue fu sparso dal 1848 in poi nel nostro paese. Ricordatevi il sei febbraio, ricordate Sapri, ricordatevi tutti i grandi sacrifizi fatti dal popolo nostro, i quali non furono perduti, poiché fruttarono l’unità d’Italia! Ma credete voi, o signori, che i favori della fortuna si possano ottenere senza sacrifici! Tutte le grandi conquiste, che furono fatte dalle varie Potenze, nei primi tempi costarono e molto! I benefici si raccolsero tardi. E dobbiamo noi, ora che siamo alla vigilia di trarre profitto del denaro speso e del sangue versato, oggi che possiamo avere in Africa, a poca distanza dall’Italia, un territorio da colonizzare, che ci permetta di dirigervi tutta quella massa di sventurati che corre in America a cercarvi fortuna, dobbiamo noi rinunciare a questo beneficio che stiamo per assicurare alla patria nostra?31

In tutti i casi la rinuncia richiesta è rivestita di un’aura di sacralità per cui l’atto del sacrificio, in quanto azione morale, assicura l’appartenenza «a un gruppo valutabile in termini unici e umanamente superiore»32.

In questo modo Crispi investe i normali processi di compromesso tra potere esecutivo e legislativo (come anche tra potere esecutivo e società) di significati fortemente evocativi,

29 Questa terza declinazione del concetto di sacrificio, inteso come una parziale perdita della libertà in vista del ristabilimento dell’ordine, trova senso, come vedremo, nei tumultuosi anni dell’ultimo mandato.

30 Tornata del 19 febbraio 1888, F. Crispi, Discorsi Parlamentari di Francesco Crispi, vol. III, cit., p. 3. 31 Tornata del 17 giugno 1998, ivi, p. 359.

recuperando parte dell’eredità del periodo cospirativo risorgimentale33. In particolare egli delinea la relazione tra leader e nazione su quella vigente tra le figure de «l’eroe» e del «popolo», basata sul culto della patria di cui egli si fa «concetto incarnato»34, e cementificata grazie all’atto del giuramento che «sancisce […] quanto sia consapevole e sacramentale la loro adesione»35 e al sacrificio nelle sue varie accezioni, fino a quello supremo della morte per la patria36.

La tensione permanente e il nemico interno

All’interno di tale cosmologia ideale, nella quale si muovono come protagonisti indiscussi il leader e il popolo, la saldatura delle parti è assicurata dalle note d’urgenza immesse nel discorso politico, funzionali a ricompattare periodicamente la fiducia. Durante gli anni dei primi due mandati «i timori di guerra» che spirano in Europa, in cui la stagione di successi del «liberalismo più aperto e coerente»37 lascia spazio allo statalismo, al protezionismo e all’imperialismo38, sono per Crispi «politicamente utilissimi»39. Soprattutto tra il 1887 e il 1888 egli ribadisce più volte che, pur desiderando la pace, il paese ha il dovere di tenersi pronto per la guerra:

Noi, in tanti pericoli, in causa delle possibili minacce, in un’Europa la quale è armata, e dove è latente un fuoco sotterraneo che può da un momento all’altro divampare, noi non possiamo che avere una politica di difesa40.

Definendo un contesto dalle tinte fosche e immaginando un futuro incerto e pieno di pericoli, Crispi, che aveva costruito la sua immagine di «uomo di guerra e uomo di governo»41,

33 Sull’utilizzo dei concetti di «giuramento» e «sacrificio» e sulle loro derivazioni cfr. A.M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2000.

34 Così Crispi si autodefinisce in occasione del discorso di Palermo del 14 ottobre 1889, in AA.VV., La politica italiana dal 1848 al 1897, cit., p. 31.

35 A. Petrizzo, Feste e rituali, in A.M. Banti, A. Chiavistelli, L. Mannori, M. Meriggi (a cura di), Atlante del Risorgimento. Lessico del linguaggio politico dal Settecento all’Unità, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 75-85, p. 81. 36 Cfr. O. Janz, L. Klinkhammer (a cura di), La morte per la patria. La celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, Roma, Donzelli, 2008.

37 F. Cammarano, Liberalismo e democrazia: il contesto europeo e il bivio italiano (1876-1880), in M. Ridolfi (a cura di), La democrazia radicale nell’Ottocento europeo, cit., p. 162.

38 Cfr. E.J. Hobsbawm, L’età degli imperi 1875-1914, Roma-Bari, Laterza, 2005.

39 C. Duggan, Creare la Nazione, cit., p. 631. Sulla posizione di Crispi in politica estera cfr. F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, cit.

40 Tornata del 27 giugno 1888, Discussione sui provvedimenti finanziari, in F. Crispi, Discorsi Parlamentari di Francesco Crispi, vol. III, cit., p. 82.

si propone come condizione imprescindibile alla salvezza nazionale42 e al contempo promuove un linguaggio politico dai toni fideistici e religiosi.

La liturgia dell’apostolo e degli adepti è completata dall’immagine del nemico interno ed esterno43 il cui scopo è quello di minare l’unità e la vita della comunità nazionale.All’interno di tale visione manichea è ascrivibile la narrazione che Crispi propone del difficile e teso rapporto con la Francia negli anni dei suoi mandati. Causa lui stesso, in varie occasioni, dell’inasprimento delle relazioni con la repubblica, egli presenta il problema alla Camera e al paese in termini di difesa nazionale: «Si tratta di difenderci; non di offendere»44 dichiara nel 1888 in parlamento. «La Riforma» sostiene ossessivamente che la stampa del paese vicino danneggi l’immagine dell’Italia agli occhi del resto d’Europa e che la presunta gallofobia attribuita a Crispi non sia che la risposta di un patriota e di un uomo di Stato di fronte alla presa di posizione politica ed economica di un paese vicino che rischia di minacciare l’onore della nazione italiana45. In occasione dell’espulsione di tre giornalisti stranieri, due francesi e un tedesco, a opera del governo, nel maggio del 1890, Crispi risponde all’interpellanza di Cavallotti definendo un’immagine del nemico straniero che riecheggia l’archetipo del «barbaro» della narrazione risorgimentale46:

Oggi non si tratta di politica, né di relazioni internazionali che si sieno volute tutelare. Oggi si tratta di una cospirazione che da due anni si è tentata contro l’Italia e contro il suo credito pubblico. […]. Da due anni, io dissi, si cospirava contro il nostro credito: e ne ho le prove. […]. E quando uno straniero è qui per combattere l’Italia nelle sue istituzioni, negl’interessi i più vitali, volete voi che noi restiamo con le braccia incrociate e, per amor di teorie poetiche, lasciamo continuare quest’opera dissolvente e perniciosa a danno del nostro paese?47

42 Alessandro Guiccioli scrive nel suo diario all’inizio del 1888: «Ogni giorno mi persuado che, data la situazione, Crispi è meglio di qualsiasi altro», cit. in C. Duggan, Creare la Nazione, cit., p. 642.

43 Sulla categoria del “nemico” cfr. F. Cantù, F. Di Febo, R. Moro (a cura di), L’immagine del nemico. Storia, ideologia, rappresentazione tra età moderna e contemporanea, Roma, Viella, 2009; M.L. Salvadori, Italia divisa. La coscienza tormentata di una nazione, Roma, Donzelli, 2007; L. Di Nucci, E. Galli della Loggia (a cura di), Due nazioni. Legittimazione e delegittimazione nella storia d’Italia, Bologna, Il Mulino, 2003; A. Ventrone, Il nemico interno. Immagini, parole e simboli della lotta politica nell’Italia del Novecento, Roma, Donzelli, 2005; Id. (a cura di), L’ossessione del nemico. Memorie divise nella storia della Repubblica, Roma, Donzelli, 2006; F. Cammarano, S. Cavazza, Il nemico interno in politica, Bologna, Il Mulino, 2010.

44 Tornata del 29 maggio 1888, discussione sui negoziati con la Francia, F. Crispi, Discorsi Parlamentari di Francesco Crispi, cit., p. 3.

45 Cfr. La stampa francese, «La Riforma», 31 gennaio 1887; L’on. Crispi e la Francia, ivi, 9 febbraio 1887; Italiani soltanto, ivi, 3 agosto 1887; Il trattato franco-italiano, ivi, 26 febbraio 1888; Italia e Francia, ivi, 9 marzo 1888; E la gallofobia?, ivi, 13 maggio 1890; Italia e Francia, ivi, 9 marzo 1888; L’Italia in Francia, ivi, 14 gennaio 1891; La logica dell’inimicizia, ivi, 16 gennaio 1891.

46 Cfr. A.M. Banti, La nazione del Risorgimento, cit.

Alla categoria di nemico interno Crispi ascrive, pur se non sempre con la stessa convinzione48, i cattolici italiani, «l’eterno nemico d’Italia» in silenziosa lotta con lo scopo di riprendersi «quel potere che la rivoluzione e lo Stato italiano hanno distrutto per sempre»49. I radicali, già condannati alla conventio ad excludendum ante litteram a seguito del tentativo di governo Cairoli-