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L’assedio

La cooperazione politica tra le varie anime della sinistra ha un’importanza considerevole a due diversi livelli: in una prospettiva più ampia l’apertura alla collaborazione dei socialisti di Turati e la loro immissione, in appoggio esterno, alla campagna elettorale, è stata definita da Fausto Fonzi «una svolta d’importanza eccezionale per le sue conseguenze non soltanto nella storia interna del socialismo italiano, ma pure in quella generale del nostro paese»168; dalla nostra prospettiva, è proprio la convergenza degli affini di sinistra a fare la forza del movimento anticrispino, raddoppiando le possibilità di mobilitazione dell’opinione pubblica e rendendo decisivo lo scontro col governo in piazza.

Già nei primissimi giorni di gennaio del 1894 Roma si accende: nei principali teatri romani e nei più importanti rioni della città vengono lanciati cartellini inneggianti ai fasci. Il 6 gennaio gli operai del cantiere di Palazzo di giustizia innalzano una bandiera nera con un cartello su cui si legge «Solidali ai martiri di Sicilia». Il giorno dopo un centinaio di persone del circolo repubblicano collettivo e delle associazioni socialiste, secondo il rapporto del questore, si radunano in Trastevere per stabilire una linea comune contro il governo. Per le strade si grida «viva la rivoluzione sociale, viva i martiri di Sicilia, abbasso il parlamento, abbasso all’esercito, abbasso Crispi»169. Viene indetto uno sciopero di due giorni e le associazioni romane sono invitate, senza distinzione, ad esporre le bandiere abbrunate. Il sequestro di giornali e numeri unici e di un gran numero di manifesti, nonché il lavoro notturno dei funzionari per liberare

165 Dott. Calce, Italia o Crispalia?, cit., p. 19. 166 Ivi, p. 19.

167 Ivi, p. 96.

168 F. Fonzi, Crispi e lo “Stato di Milano”, cit., p. 229.

i muri dalle affissioni170, non vale a soffocare la battaglia tra crispini e anticrispini. Ai volantini lanciati nei teatri, l’associazione Sempre Avanti Savoia risponde distribuendo a Via del Corso un manifesto a favore del presidente che «in breve tempo seppe arrestare i malvagi attentati contro la libertà e la proprietà individuale nella patriottica Sicilia»171. Per tutto gennaio i muri della capitale172 sono coperti da scritte a mano o a stampa: «abbasso Crispi» cui rispondono fogli volanti lasciati nei rioni romani di «W Crispi / W il Re / Morte a De Felice»173.

Passato il fermento per l’assedio, nel clima di terrore dei mesi primaverili e estivi, in cui le manifestazioni, gli scioperi e anche la detonazione di alcune bombe, si susseguono, dando filo da torcere alla pubblica sicurezza174, il nome di Crispi continua a dividere l’Italia. Il 6 maggio quando il presidente si reca a Milano in occasione dell’inaugurazione delle Esposizioni Riunite, alcune centinaia di socialisti e repubblicani lo fischiano sonoramente. L’episodio suscita clamore e polemiche non solo nel capoluogo lombardo «polarizzando per parecchi giorni l’attenzione e i commenti della pubblica opinione»175. Lo stesso Turati ne fa menzione in una lettera del giorno successivo a Engels:

Notizie del nostro grandissimo uomo F. Crispi che abbiamo sonoramente, epicamente, fischiato, in risposta lo stato di assedio tutto il resto. Certo non sono questi che i minori episodi e più comici della gran lotta, ma anche questo, credo, vi farà piacere. Furono mezzo migliaio di fischi socialisti, cui se ne aggiunse qualche centinaio di repubblicani. Come effetto musicale è stato stupendo. Ora, poi, attendiamo i fulmini del nume176.

I giornali radicali amplificano l’eco prodotta dalla manifestazione di dissenso con articoli di aperta ostilità al presidente, tacciandolo di aver tradito i suoi ideali giovanili e abbracciato la reazione. Così si scrive su «La Capitale»:

C’erano alla stazione quelli che quella politica approvavano, e quelli hanno applaudito. C’erano quegli altri che non l’approvavano e quelli l’hanno fischiato. Il pubblico, in maggioranza, in quel momento, non era ben disposto verso il capo della compagnia che recita a Montecitorio, ed ha fischiato: era nel suo pieno diritto, come erano nel loro pieno diritto quegli

170 Parte dei manifesti sequestrati si trova in ivi. 171 Volantino datato 18 gennaio 1894, ivi.

172 Seppur la capitale rimane il luogo simbolo dello scontro anche in altre città del Regno, come a Napoli, in quei giorni si verificano gli stessi disordini: il 19 gennaio si affiggono a Castellamare cartellini rossi con le parole a stampa «abbasso tasse, viva Sicilia viva socialismo». Un’enorme documentazione sulla gestione della sicurezza pubblica e sui disordini avvenuti tra il 1893-1896 si trova in ACS, CC, Roma, b. 34-35-36, fasc. unico 645. 173 ASR, Serie Questura, b. 56, fasc. 233.

174 Cfr. ACS, CC, Roma, b. 37, fasc. 651.

175 Casella, Democrazia, socialismo, movimento operaio a Roma (1892-1894), cit., p. 331. 176 Cit. in F. Fonzi, Crispi e lo “Stato di Milano”, cit., p. 38, n. 19.

altri quando applaudivano? Che c’entra qui il vecchio, il patriota, il garibaldino? Qui è il presidente del Consiglio che s’è fischiato. […]. Che cos’è questa melliflua pietà per il vecchio? Ritorni semplicemente il signor Crispi, l’avvocato Crispi, e tutti rispetteranno le sue canizie, e qualcuno, anche dei fischiatori di eri, ricorderà che qualche cosa per l’unità nostra ha fatto anche lui, non dimenticando però che all’Italia quel qualche cosa ha costato non poco177.

L’immagine del garibaldino sembra non bastare più a legittimare la politica crispina. Scrive «L’Italia del popolo»:

Non era dunque tutta Milano. Per aver tutta Milano fischiante – dagli uomini ai sassi – ci voleva qualche giorno di più: dieci ore non bastano a raccoglierla. Ma dove si vide tutta Milano è nella completa continua, perfetta indifferenza. Non ombra di reazione ai fischi. Non un applauso. In molti punti grandi risate. E aggiungiamo: mai, dacché facciamo i giornalisti, ed è un quarto di secolo, vedemmo un uomo così fischiato, così entusiasticamente fischiato. Nessuno mai, in questa bella e pacifica Milano, fu più fischiato di lui. Di nessuno mai ai milanesi importò così poco che fosse fischiato, sonoramente fischiato. E quei fischi volevano dire una moltitudine di cose. Erano pel carnefice di tanta gente in Sicilia e in Lunigiana. Erano per puffista, pel deplorato delle Banche d’emissione, che – supremo scorno del paese – si è incaricato di restaurare la moralità. Erano per l’avvocato-politicante impositore di sempre nuove tasse, che è notissimo per non aver pagato tasse mai sui suoi pingui redditi di avvocato e sensale delle grandi Compagnie mungenti lo Stato. Erano per l’ignoranza fatta ministro, che non conosce nemmeno l’aritmetica del senso comune e crede si possano far grandi i popoli scorticandoli e dissanguinandoli a morte. Erano per il vecchio Rabegas che brutta la sua canizie. Erano pel più grottescamente superbo e presuntuoso uomo che ci sia mai stato al mondo, quando ha da fare coi deboli e coi fiacchi, o è ben al sicuro dietro le spalle dei forti. Vedi Germania. Erano pel borioso esumatore dei “galli cisalpini”. Erano pel bugiardo del dispaccio “firmatissimo”, pel leccatore dei piedi di Bismarck una volta e degli imperatori adesso, pel miles gloriosus, pel “patriota” che ha reso il patriottismo la cosa più ridicola del mondo a forza di vanterie e di rodomontate. Erano pel decoratore di Cornelius Hertz – con relativa specifica di 50 milioni di lire. Erano per il mormone, ingannatore fraudolento di donne. Erano pel corrotto, pel prepotente, pel rimbambito178.

Alla figura del Mosé si contrappone quella di Rabegas, avvocato intrigante e demagogo protagonista del dramma omonimo di Victorien Sardou in cui l’autore sbeffeggia la figura dell’agitatore rivoluzionario179. L’immagine del deputato incorruttibile è coperta di ridicolo,

177 I fischi di ieri sera, «La Capitale», 7-8 maggio 1894, cit. in M. Casella, Democrazia, socialismo, movimento operaio a Roma (1892-1894), cit., p. 332.

178 Fischiato via, «L’Italia del popolo», 7-8 maggio 1894, ACS, CC, Roma, b. 37, fasc. 655.

179 «Victorien Sardou», voce a cura di G. Bergner, in S. D’amico (a cura di), Enciclopedia dello spettacolo, Torino, Le maschere, 1975, vol. VIII, pp. 1507-1510.

se ne smorzano i toni e si ironizza sulla magniloquenza con cui è stata presentata al pubblico. Più di una volta si riduce il peso del suo contribuito all’epopea dei Mille, su cui Crispi aveva basato gran parte della sua fortuna politica:

Ma il fatto vero è che egli partecipò ad una sola impresa di guerra, i Mille, e vi partecipò da borghese. Non gli si vuol togliere il merito per questo. Quantunque Garibaldi non lo dica nelle sue memorie, vogliamo supporre che Crispi sia stato il più bravo di tutti. Ma e poi? Ha egli, insieme con la pensione dei Mille, acquistato il diritto a rompere continuamente le scatole al prossimo con le sue fanfaronate? L’Italia – per sua gloria – ha avuto una plejade di eroi. Ma erano dei modesti. Lui è il più insopportabile dei fanfaroni180.

Mai come in questo momento la penisola appare percorsa da forti correnti di anticrispismo, messe in circolo dalla durezza della repressione siciliana. I crispini però, così numerosi all’alba del terzo mandato, non si sono dileguati nei pochi mesi succeduti al decreto e anzi rispondono con fermezza all’attacco: mentre i giornali governativi sminuiscono l’episodio milanese, opera «di un gruppo di cinquanta giovani a cui il Secolo ha distribuito fischietti»181, e pubblicano telegrammi di anonimi pervenuti al presidente, i sostenitori romani organizzano, al rientro di Crispi da Milano, «una calorosa dimostrazione» a Piazza Colonna per compensarlo «dai fischi milanesi»182.

Crispi, «con spirito tipicamente ottocentesco»183, taccia i milanesi di anti-italianità e nei suoi appunti scrive: «il contegno della borghesia milanese non deve meravigliarci, ove si guardi alla storia degli ultimi 43 anni. Mazzini non poté averli mai con sé, e sta in ciò la causa dell’insuccesso del 6 febbraio 1853»184. Secondo la stessa idea spiegano l’evento i crispini in parlamento, come il presidente della Camera Bianchieri che definisce i fischiatori del capoluogo lombardo indegni di portare il nome di italiani185. Fuori le aule del potere, i giornali ministeriali parlano dei «depositari fedeli di tutto il materialismo italiano» e della vita «utilitaria»186. Guiccioli nel suo Diario scrive:

180 Ben altri fischi, «L’Italia del popolo», 7-8 maggio 1894, ACS, CC, Roma, b. 37, fasc. 655. 181 L’Esposizione di Milano, «La Riforma», 6 maggio 1894.

182 E. Perodi, Roma Italiana, cit., p. 511.

183 F. Fonzi, Crispi e lo “Stato di Milano”, cit., p. 6. 184 Appunto s.d., MRR, b. 668, fasc. 3.

185 «Io ho usato la parola incivile per non usarne un’altra più dura, poiché io considero come reati certi atti, che hanno offeso la tradizionale ospitalità ed il decoro della citta di Milano, e che feriscono quanto il paese ha di più caro, specialmente quando sono diretti contro persone, che, per tutta la vita, hanno servito e servono il paese, ed hanno reso al paese i più segnalati servigi. Quando vi sono individui che a questi sentimenti non s’inchinano, vuol dire che sono indegni di appartenere all’ Italia». S. Banchieri, presidente della Camera, AP, Legislatura XVIII, I sessione, Discussioni, Tornata del 9 maggio 1894, p. 8532.

A Milano alcuni birbaccioni pagati dal Secolo, hanno accolto Crispi con una sguaiata dimostrazione ostile. Quello è un ambiente che non comprende la politica di un vero uomo di Stato. I milanesi sono spesso brava gente, attivi energici, abili negli affari, ma poco dotati di tatto politico e perlopiù incapaci di sollevarsi a una visione superiore delle cose e delle idee. Sono sempre gli stessi che hanno preso a fucilate Carlo Alberto e fischiato Wagner e Boito187.

Lo scontro, pur se in maniera più ridotta, investe anche altri settori dell’opinione pubblica. Crispi riceve lettere da privati e associazioni che deplorano le condizioni della Sicilia e invitano a colpire «senza misericordia i sobillatori, ed infami traditori di questa nostra insidiata patria!»188. Già a metà dicembre del 1893 il direttore della scuola professionale di Foggia aveva scritto a Crispi chiedendo di intercedere per una visita del re nelle provincie del Sud condotte «all’esasperazione da abili agitatori»189. Dopo lo stato di assedio i commenti positivi continuano ad arrivare, spesso inviati da società operaie e giunte siciliane che plaudono «alla misura giustamente severa che rinfranca gli onesti» e «rimette l’impero della legge profondamente violata da pochi malevoli nemici della società civile»190.

La paura

Il 1894 prosegue all’insegna dell’ostilità al governo. Antonio Marinuzzi, inviato in Sicilia da Crispi per sondare l’opinione pubblica e riorganizzare le file dei sostenitori, già il 6 gennaio scrive che «le misure adottate hanno fatto eccellente impressione tanto più che si ritiene felicissima la scelta del Morra energico e cortese» ma avverte che «l’opinione pubblica attende […] dei provvedimenti radicali e durevoli»:

Non ci illudiamo: i provvedimenti arditi e necessari che si sono attuati giovano al mantenimento dell’ordine ma sono di pura contingenza. Occorre ben altro perché si stabilizzi una calma duratura. Diversamente torneremo daccapo e peggio di prima, con grave danno nostro e con soddisfazione dei nemici!191

187 A. Guiccioli, Diario, «Nuova Antologia», 1° gennaio 94, p. 74, cit. in F. Fonzi, Crispi e lo “Stato di Milano”, cit., p. 20, n. 39.

188 Napoleone Calvi (garibaldino) a Crispi, 7 gennaio 1894, ACS, CC, Roma, b. 48, fasc. 753. 189 Lettera del 14 dicembre 1893, ivi.

190 Società operaia di Mistretta, s.d., ACS, CC, DSPP, b. 91. Così scrivono anche la società agricola di Torregrotta le la società di mutuo soccorso dei lavoratori di Castiglione, s.d., ivi.

Il governo vorrebbe muoversi in questa direzione ma l’opposizione non lo permette. Mentre il paese è tormentato dalla crisi economica e dai disordini, la proposta finanziaria del ministro Sonnino, presentata alla Camera nel febbraio, che avrebbe assicurato riforme di ampio respiro, tra cui l’imposta sul reddito, la reintroduzione dei due decimi sulla terra, l’aumento della tassa sul sale e l’incremento dell’imposta sugli interessi dei buoni del tesoro, è bloccata dalla cordata dai latifondisti siciliani guidati da Rudinì, dai capitalisti agrari della Destra lombarda e dall’Estrema. L’impressione nel paese, scrive De Luca dalla Sicilia, è «grandemente penosa» e nelle camere Crispi non ha più la fiducia necessaria. Così l’anticrispismo pare aver inferto l’ultimo colpo sulla questione finanziaria costringendo il governo alle dimissioni il 4 giugno di quell’anno: la conferma del mandato da parte del re, la sostituzione di Sonnino con Boselli al ministero delle Finanze e la rinuncia alla reintroduzione dei due decimi non bastano a dare nuovo slancio alla compagine ministeriale. A sollevare nuovamente i venti del crispismo nel paese interviene però un’ondata di terrore, capace di far dimenticare le accuse di oltraggio alla costituzione dei mesi precedenti e di ricompattare le voci in un più forte plebiscito in nome della salvezza della patria.

L’attentato a Crispi del 16 giugno in Via Gregoriana a Roma per mano dell’anarchico romagnolo Paolo Lega «costituisce […] una grossa fortuna oltre che fisica, politica»192. L’episodio ricompatta il consenso del paese attorno all’uomo di Stato e permette, «nel plebiscito di congratulazioni per lo scampato pericolo»193, il passaggio delle misure finanziarie che la Camera aveva bloccato in primavera, rendendo impotenti le opposizioni194. Sotto il segno della paura gli oppositori perdono voce: gli attentati a Crispi, Carnot e Bandi, nel breve giro di tempo in cui si verificano, diffondono la sensazione del pericolo imminente e impressionano non solo i moderati «ma pure molti della Sinistra, molti democratici»195. Nonostante le diverse interpretazioni sulle cause della violenza196, i più sono concordi nel

192 Su Lega cfr. E. Diemoz, A morte il tiranno, cit., Id. L’estate di terrore del 1894. L’attentato contro Crispi e le leggi anti- anarchiche, «Contemporanea», IV, 2010, pp. 633-648; G. Galzerano, Paolo Lega. Vita, viaggio, processo “complotto” e morte dell’anarchico romagnolo che attentò alla vita del primo ministro Francesco Crispi, Salerno, Galzerano Editore, 2014. 193 P.C. Masini, Storia degli anarchici all’epoca degli attentati, cit., p. 36.

194 Scrive Stillman che il giorno successivo all’attentato di Lega i radicali sentendosi impotenti sono colti da «un’insana frenesia», cit. in Duggan, Creare la Nazione, cit., p. 788.

195 F. Fonzi, Crispi e lo “Stato di Milano”, cit., p. 32.

196 Mentre i giornali governativi sposano le teorie lombrosiane sugli anarchici e parlano di setta antisociale, socialisti e radicali rintracciano le cause della diffusione della violenza nell’ambiente economico e sociale in cui vivono gli individui delle classi meno abbienti. I giornali cattolici, per lo più, riconoscono nella violenza una deriva del liberalismo. A titolo di esempio: La difesa, «Corriere di Napoli», 9 luglio 1894; L’attentato contro Crispi, «Il Resto del Carlino», 17 giugno 1894; L’assassinio politico, «L’Osservatore Romano», 27 giugno 1894.

condannarla197 e chiedono «una energica politica a difesa della pace sociale»198. Lega contribuisce enormemente a rivitalizzare il mito del Crispi titanico che appare imbattibile nonostante l’età grazie a una tempra fuori dal comune:

Si ha un bel dire, ma quell’uomo esce dal comune livello, superando di gran lunga tutti coloro che in questi ultimi anni ci governarono e vorrebbero oggi ritornare a governarci199.

Accompagnato da una folla esultante, Crispi arriva alla Camera il 16 giugno ed è accolto da una selva unanime di applausi. L’Estrema prende subito le distanze dalla violenza anarchica, Imbriani stesso scrive al presidente per congratularsi dello scampato pericolo mentre i giornali radicali romani addolciscono la critica a Crispi e arrivano a chiedere misure severe contro la violenza. Scrive «La Capitale»:

Lo stato d’Europa è gravissimo. L’anarchia approfittando del disagio sociale, all’ombra degli statuti e delle leggi liberali cospira contro l’ordine e contro la vita. I governi disarmati da una vecchia legislazione che non contemplava reati simili, né li credeva possibile, tentano invano di colpire il delitto nella sua preparazione. […]. Occorre fare le debite distinzioni. Noi desideriamo che a tutte le scuole e a tutte le oneste opinioni sia garantita la pacifica propaganda. Amici degli operai, di tutti i diseredati, comprendiamo il loro attuale disagio, li seguiamo nelle loro aspirazioni d’eque riforme sociali, e ei loro diritti saremo sempre banditori e difensori. Fra essi o i dinamitardi, ai pugnalatori, corre un abisso che bisogna ben delineare nell’interesse di tutti. […]. A noi sembra che in questo momento un gran compito incomba tanto ai governi che alla Democrazia d’ogni gradazione. Ai governi quello della difesa dell’ordine con ogni mezzo il più severo, se non il più sanguinoso; alla Democrazia l’altro di tirarsi in disparte, proteggere le proprie libertà, ma non inceppare l’opera di risanamento sociale, di cui ogni onesto sente la necessità. Nessun seguace di oneste teorie, di santi ideali, può coprire l’assassino senza farsene complice200.

Numerose sono le dimostrazioni di solidarietà espresse dal paese verso il primo ministro: nelle città del Regno si scende in piazza per protestare «contro l’Estrema sinistra in generale», qualcuno dà alle fiamme le copie de «Il Secolo»201. Il 18 giugno, poco prima delle nove, in Piazza Colonna a Roma, un corteo spontaneo attraversa una città commossa e partecipe:

197 Fa eccezione la Sezione socialista di Roma che non riconosce la natura delittuosa dell’attentato a Carnot, cfr. M. Casella, Democrazia, socialismo, movimento operaio a Roma (1892-1894), cit., p. 344.

198 Ivi, p. 346.

199 A. Guiccioli, Diario di un conservatore, cit., p. 78. Cit. in M. Casella, Democrazia, socialismo, movimento operaio a Roma (1892-1894), cit., p. 342.

200 La democrazia e l’ordine, «La Capitale», 26-27 giugno 1894. 201 C. Duggan, Creare la Nazione, cit., p. 787.

Gli evviva e gli applausi risuonarono altissimi. Quella folla imponente, in cui si notavano anche non poche signore con tanti cappelli e fazzoletti […] rappresentava uno spettacolo originalissimo202.

Un vero plebiscito segue l’attentato: «infinito» è il numero di telegrammi inviati a Crispi (18 mila secondo alcuni quotidiani203). Anche in questo caso il dato da rilevare, oltre a quello quantitativo, forse più significativo che in qualunque altro momento, è quello della diversa estrazione sociale dei mittenti. Ai telegrammi degli ambasciatori e dei ministri di Stati esteri, si aggiungono quelli provenienti dalla corte, dai senatori e dai deputati; molti sono i sindaci di città grandi e piccole che scrivono a Crispi, gli impiegati del ministero dell’Interno, i prefetti e i funzionari locali più o meno importanti. Numerose sono le missive inviate dalle camere di commercio, dalle congregazioni di carità, dai sindacati, dalle banche, dalle casse di risparmio e dalle borse. L’associazionismo di varia natura è abbondantemente rappresentato: società di reduci, di ginnastica, associazioni monarchiche, liberali, patriottiche, progressiste, democratiche e società operaie si rivolgono a Crispi, seguite da istituti scolastici, società di tiro assegno e di mutuo soccorso. Dalle colonie si inviano numerose testimonianze di vicinanza e congratulazioni. Moltissimi sono i cittadini che scrivono in forma privata: tra questi numerosi sono gli appartenenti ai ceti popolari e cospicua è la presenza delle donne. I concetti si ripetono: la salvezza del presidente è considerata «opera della divina e santa