Autorità plurale
Rifiutando il dialogo con i nemici, Crispi si preoccupa di intessere numerose relazioni e si circonda di «collaboratori all’altezza»92 che costituiscono uno degli elementi forti del suo governo e una delle peculiarità della sua gestione del potere93. La leadership crispina infatti, funzione di un processo di evoluzione in senso amministrativo dello Stato e di un’evoluzione in senso democratico della società, per cui l’autorità cessa di essere emanata da un’unica fonte riconoscibile, scindendosi e moltiplicandosi, accetta la sfida del riconoscimento e della coordinazione dall’alto di tali centri nevralgici (l’amministrazione dello Stato, la stampa, le realtà locali) «in via pacifica o almeno di conflitto regolato»94. Così il potere si parcellizza a sua volta, facendosi diffuso. In questo senso è possibile individuare vari livelli di relazione, diversi per importanza e per grado di innovazione. A un primo livello, il rapporto personale con influenti personaggi delle varie realtà locali permette a Crispi di organizzare il consenso e controllare la partecipazione politica dei cittadini, aggirando l’ufficialità95. Il premier siciliano porta avanti una pratica già in uso, comune ai governi della Destra e più attivamente a quelli della Sinistra, volta a superare la difficile impasse del «comando impossibile» della periferia – così come Romanelli l’ha definita – attraverso la cooptazione di individui o reticoli di individui che trovavano nella relazione con l’autorità appagamento personale pur non facendosi portavoce di determinati interessi di categoria96.
A questo primo livello di dialogo con lo spazio pubblico se ne aggiunge un secondo in cui il premier siciliano si fa portatore di una maggiore innovazione: in tutti i ministeri sostituisce
91 Tornata 11 luglio 1888, Discussione sulla legge comunale e provinciale, F. Crispi, Discorsi Parlamentari di Francesco Crispi, vol. III, cit., p. 113.
92 P. Pombeni, La ragione e la passione, cit., p. 656.
93 In questo senso Pietro Alberto Lucchetti ha rilevato: «l’abilità di Crispi si misura prima faciae nelle scelte degli uomini ai quali vennero affidate le responsabilità ministeriali, tecniche ed amministrative, in genere ben conosciuti, valutati, nonché, nella grande maggioranza dei casi, personalmente fidati». P.A. Lucchetti, Prefetti e amministrazione dell’Interno sotto Francesco Crispi, cit., p. 1078.
94 P. Pombeni, La ragione e la passione, cit., p. 541.
95 Cfr. L. Musella, Individui amici, clienti. Relazioni personali e circuiti politici in Italia meridionale tra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1994; Id., Clientelismo e relazioni politiche, «Meridiana. Rivista di Storia e Scienze Sociali», (2), 1988, pp. 71-84.
vecchi funzionari con l’immissione di una generazione nuova, selezionata tramite concorso97, dotata di competenze specialistiche e poteri più estesi98. Ha scritto Melis a tal proposito:
Negli anni di Crispi l’attribuzione allo Stato di nuove funzioni impose una revisione dell’impianto culturale del personale. […]. Parlo, ad esempio, degli uomini di vertice della pubblica sicurezza […]: Luigi Berti, Giuseppe Sensales, Giovanni Alfazio, Ferdinando Ramognino, il fondatore italiano della polizia scientifica Salvatore Ottolenghi, il questore Adriano Zaiotti, il futuro questore Giovanni Gasti, il questore Emilio Saracini. O dell’influente direttore generale delle carceri Martino Beltrani-Scalia e del suo successore Eugenio Cicognani. O dei medici della nuova Direzione di sanità, come Luigi Pagliani, Achille Sclavo, o di un funzionario-medico come Rocco Santoliquido che fu il successore di Pagliani alla direzione generale99.
Il corpo diplomatico, legato alla corte e agli ambienti conservatori, incorre nella stessa rivoluzione con la sostituzione di alcuni eminenti uomini come, tra gli altri, Luigi Corti e Giuseppe Greppi, rispettivamente ambasciatori a Londra e a San Pietroburgo, usciti di scena già dal 1887100. Stessa sorte tocca al potentissimo segretario generale degli Interni Malvano, che sfugge al trasferimento all’ambasciata di Tokyo solo grazie alla nomina nel consiglio di Stato. Queste cocenti uscite di scena, seguite da numerose e più morbide sostituzioni, non stravolgono in toto gli attivi dei vari ministeri: in diversi casi Crispi continua a servirsi di uomini nominati da Depretis101. Il suo scopo non è quello di creare un «partito crispino» bensì di far posto a funzionari di alto livello, capaci di organizzare e coordinare le branchie del potere.
Al centro di questo progetto, volto alla conoscenza, al controllo e alla trasformazione della società, vi è la Direzione di Statistica che, sotto Giovanni Bodio, «leale interprete del ruolo di funzionario al servizio della nazione»102, vede il proficuo lavoro di un’equipe che assicura «in quegli anni la stagione più proficua della statistica italiana»103 traducendo in sostanza l’idea che lo spazio sociale, regolato da leggi determinate al pari di quello naturale, possa essere studiato scientificamente104. Già segretario permanente della Giunta centrale di statistica,
97 Cfr. M.S. Piretti, Educare alla politica: il progetto della Scuola di scienze politiche di Bologna, «Clio», 2, 1994, pp. 355- 373.
98 Cfr. A. Varni, G. Melis (a cura di), Le fatiche di Monsù Travet, cit.
99 G. Melis, Fare lo stato per fare gli italiani, cit, p. 55-56. Cfr. anche: G. Melis, Uomini e culture, in AA.VV., Studi per la storia dell’amministrazione pubblica italiana (il Ministero dell’interno e i prefetti), Roma, SSAI, 1998, pp. 85 e sgg. 100 Cfr. M. Cacioli, La rete consolare nel periodo crispino 1886-1891, cit.
101 Quasi nessuna sostituzione, per esempio, fu operata al ministero degli Interni. 102 M. Soresina, Conoscere per amministrare, cit., p. 178.
103 G. Melis, Fare lo Stato per fare gli italiani, cit., p. 57.
Bodio aveva assunto la Direzione Generale nel 1883 innovando il settore grazie all’utilizzo di «metodi nuovi, matematici» e dimostrandosi da subito capace di riorganizzare il lavoro «con efficienza, diremmo oggi manageriale, nella rilevazione ed elaborazione dei dati statistici»105. Antico funzionario di Depretis, il direttore intesse un legame di stima e fiducia con Crispi106 ed entra ben presto nel gruppo dei «fedelissimi»107. Da questi, arrivano a Crispi rapporti a uso interno, numerosi e dettagliati, relativi alla produzione agricola, industriale, ai trasporti, alla criminalità, alla demografia, e a tutti quegli aspetti della realtà locale funzionali al centro per poter proficuamente dialogare con essa108.
Il momento dell’accumulazione e dell’analisi dei dati è integrato da una seconda fase che potremmo definire al contempo conoscitiva e gestionale, assicurata dalla figura di raccordo con la periferia: il prefetto. La legge dell’estate del 1887, voluta da Crispi ancora ministro dell’Interno109, che fornisce al governo i mezzi per controllare direttamente l’operato dei prefetti, non comporta di fatto alcuna novità sostanziale bensì riconosce a livello legislativo una pratica già diffusa per cui il funzionario è considerato uno strumento nelle mani del potere esecutivo, vero «agente elettorale»110 stanziato nelle più lontane realtà locali. Un cambiamento più importante avviene invece nella prassi: Crispi seleziona i funzionari personalmente, spesso in contrasto con i suoi più vicini collaboratori, previo studio della loro carriera e biografia111. La scelta ricade su uomini «professionalmente qualificati» «in grado di vegliare […] sulla crescita nazionale omogenea della vita delle istituzioni periferiche»112. Il funzionario risponde direttamente al primo ministro, con cui intrattiene una relazione quasi giornaliera, informandolo sull’andamento della realtà politica locale e divenendo vece dell’autorità nelle varie provincie. In questo senso ci si distanzia nettamente dal modus operandi del predecessore Depretis il quale era solito richiedere una relazione semestrale, riassuntiva,
105 E. Serra, L’altra vita di Carlo Dossi: Alberto Pisani Dossi diplomatico, Firenze, Le Lettere, 2015, p. 28. 106 Sul rapporto di Bodio con Crispi cfr. M. Soresina, Conoscere per amministrare, cit.
107 Luigi Bodio aveva conosciuto Pisani Dossi nel 1881 quando quest’ultimo era stato chiamato a collaborare con la commissione incaricata di compiere il censimento degli italiani all’estero di cui Bodio era vicepresidente insieme a Correnti. Tra i due, entrambi lombardi e uniti da «ricordi e tradizioni meneghine ed anche da analoghe curiosità positivistiche e internazionali» era nata una sincera amicizia che si protrarrà nel tempo. Negli anni dei mandati crispini Dossi diviene l’elemento di raccordo fra il primo ministro e il direttore generale. E. Serra, L’altra vita di Carlo Dossi: Alberto Pisani Dossi diplomatico, cit., p. 18. Cfr. anche: P. Dossi, Le note azzurre, D. Isella (a cura di), Adelphi, Milano 2010.
108 Cfr. D. Marucco, L’amministrazione della statistica italiana dall’Unità al fascismo, Torino, Pluriverso, 1992; Id., L’amministrazione della statistica nell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996.
109 Cfr. R. Romanelli, Il comando impossibile, cit.
110 L. Musella, Individui amici, clienti, cit., p. 20. Cfr. anche:G. Aliberti, Potere pubblico e società locale nel Mezzogiorno unitario, Roma-Bari, Laterza, 1987.
111 Cfr. E. Guastapane, I prefetti dell’Unificazione amministrativa nelle biografie dell’archivio di Francesco Crispi, cit.; N. Randeerad, Autorità in cerca di autonomia. I prefetti nell’Italia liberale, cit.; M. Casella, Prefetti dell’Italia liberale, Napoli, Esi, 1996; V. Pacifici, Angelo Annaratone (1844 – 1922). La condizione dei Prefetti nell’Italia liberale, cit.
in cui «molti problemi erano trascurati od omessi»113. Come pure risulta evidente dalle carte del suo archivio, l’uomo di Stradella non aveva particolarmente badato a curare il legame con i prefetti tanto che di riflesso i funzionari avevano sovente considerato la corrispondenza col primo ministro alla stregua di «un sovrappiù delle […] mansioni normali e, a quanto pare, non tenute in gran conto presso il ministero» tale da indurre «lo scrivente a tirar via e a non preoccuparsi sempre delle eventuali inesattezze»114. Superando «l’antitesi tra prefetto politico e amministrativo»115 il funzionario crispino è investito di un compito più ampio e complesso volto a corroborare gli sforzi dell’amministrazione centrale in termini di accumulazione di dati e informazioni sul paese. Ai prefetti si richiede il controllo dell’operato dei sindaci116, la notificazione delle riunioni del consiglio comunale, di banchetti o comizi, degli spostamenti di deputati o esponenti politici dalla provincia, lo svolgimento di indagini di natura economica o politica117 circa questioni inerenti alla provincia e alla supervisione dello spirito pubblico118. A questo compito di notifica dei maggiori eventi si aggiunge un’opera di coordinamento delle forze di pubblica sicurezza119 parallela a quella di mediare con gli enti locali nella risoluzione di possibili conflitti120. L’incarico più delicato cui il prefetto deve assolvere è quello di anticipare, molto più che reprimere, le mosse delle forze antisistema onde evitare movimenti ostili dell’opinione pubblica: coadiuvato da informatori sparsi nelle diverse province, il funzionario avverte il potere centrale della nascita di associazioni repubblicane, socialiste o radicali, delle riunioni indette, delle possibili manifestazioni
113 G. Carocci, Premessa, in Id., Agostino Depretis e la politica interna dal 1876 al 1887, Torino, Einaudi, 1956, p. 15. 114 Ibidem.
115 L. Montevecchi, Il Ministero degli interni: gli archivi e le informazioni, cit., p. 475.
116 Il 24 giugno del 1889 Crispi invia un telegramma al prefetto di Ravenna rimproverando il funzionario di aver saputo solo dalla stampa che il sindaco di Lugo ha pubblicato una lettera su «Il Resto del Carlino», ACS, CC, RE, b. 5, fasc. 12.
117 In ACS, CC, DSPP, b. 53, fasc. 332 si conserva l’indagine «Notizie sul colore politico dei membri dei Consigli Comunali e Provinciali 1889» in cui si raccolgono le notizie inviate dai prefetti delle varie provincie.
118 Il 29 gennaio del 1889 scrive al prefetto di Milano: «Personaggi autorevoli giunti da Milano mi affermano che costà la sera in alcune strade della città si canta una canzone la quale finisce con le parole: morte al re. Non comprendo come cotesta questura non se ne sia accorta e non ne abbia riferito ha lei», ACS, CC, RE, b. 5, fasc. 12.
119 Per esempio, a seguito dei fatti di Roma dell’8 febbraio 1889 Crispi scrive a tutti i prefetti del Regno: «Provveda in modo che, carabinieri e guardie nei casi sopra indicati si trovino sempre in condizioni da poter rispondere all’azione privata, e che quando siano in numero insufficiente possano essere in tempo soccorsi da altri carabinieri e da altre guardie. Loro ingiunga, che evitino i conflitti nei quali non possono uscire vittoriosi», 2 luglio 1889, ivi.
120 Nel marzo del 1889, mentre la crisi economica inizia a produrre i primi moti di protesta nelle Puglie, gravemente colpite, Crispi scrive al prefetto di Foggia indicazioni precise su come muoversi: è compito del funzionario «convincere» gli istituti di beneficenza a «soccorrere a domicilio» e «ove gli istituti manchino», obbligare «i municipi a soccorrere con mezzi suoi» ed anche, nella più nera delle ipotesi, incitare «i proprietari a riunirsi e contribuire per i poveri», 3 marzo 1889, in ivi.
preparate contro il governo e si occupa di sequestrare, previa comunicazione, spesso da parte di Crispi stesso, manifesti e locandine stampati e inviati illegalmente dall’estero121.
Nonostante il controllo costante dall’alto, i funzionari, che godono della fiducia di Crispi, operano con un certo grado di discrezionalità. Nel marzo del 1889 quando la crisi economica mette in ginocchio la Puglia e le prime manifestazioni di protesta di società operaie e mutuo soccorso accendono la tensione nelle provincie, Crispi scrive al prefetto di Bari: «lascio a lei di trovar modo perché sia arrestato cotesto movimento fittizio e fazioso»122. Il potere centrale delega i compiti, riservandosi il ruolo di riconoscere meriti e, di contro, colpe individuali. All’occasione della discussione alla Camera del 9 febbraio 1889 inerenti al ritardo con cui le truppe sono intervenute durante la manifestazione romana del giorno precedente, Crispi afferma:
Io non mi rifuggo da qualunque responsabilità. Né perché narrai come le cose procedettero nella giornata di ieri, io intesi rifuggire da tale responsabilità. Ma intendiamoci, o signori: il Ministero non ha se non la responsabilità politica, innanzi alla Camera; […]; ma ciò non toglie che vi sia anche la responsabilità gerarchica; vale a dire, che sui fatti di funzionari che dal Ministero dipendono, non si debba dare un giudizio; perché, altrimenti, noi confonderemmo le due responsabilità, e chiederemmo al Governo quello che esso non può dare. Il ministro non può scendere nella strada, mettersi la sciarpa tricolore, comandare esso stesso le truppe e gli agenti di polizia, per arrestare, o per impedire che un reato si possa commettere; il Governo non ha se non ordini da dare123.
Allo stesso modo, l’anno successivo, lo statista si prepara a rispondere alle interpellanze che lo aspettano alla Camera circa lo scontro tra polizia e manifestanti a Conselice annotando tra i suoi appunti: «Se il commissario regio fosse stato più previdente se il brigadiere dei carabinieri fosse stato meno diffidente, tutto sarebbe stato evitato»124.
Strettamente interconnesso al ruolo del prefetto è quello degli informatori e delle spie125 stanziati da Dossi e Damiani non solo per il controllo delle forze di opposizione ma pure per la sorveglianza di elementi integrati: nel 1888 Dossi richiede all’ispettore di polizia Sangiorgio due uomini da infiltrare alla Consulta «essendo sorti dubbi sulla fedeltà politica di alcuni
121 Numerosi esempi in ACS, CC, DSPP, b. 48, fasc. 290, e b. 82, fasc. 526; ACS, CC, Roma, b. 16, fasc. 353. Cfr. G. Tosatti, Il Ministero degli Interni: le origini del Casellario politico centrale, in AA.VV., Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica. Le riforme crispine, vol. I, cit. pp. 447-485.
122 Telegramma del 14 marzo 1889, ACS, CC, RE, b. 5, fasc. 12.
123 Tornata del 9 febbraio 1889, F. Crispi, Discorsi Parlamentari di Francesco Crispi, vol. III, cit., p. 261.
124 ACS, CC, DSPP, b. 53, fasc. 340. Sui casi di Conselice cfr. P.P. D’Attorre e F. Cazzola (a cura di), Conselice. Una comunità bracciantile tra Ottocento e Novecento, Ravenna, Longo, 1991.
125 Sulle spie crispine si veda: D. Adorni, Francesco Crispi, cit.; L. Montevecchi, Il Ministero degli interni: gli archivi e le informazioni, cit.
impiegati»126. Agli informatori nazionali si aggiungono gli informatori dall’estero, tra i quali il noto Ettore Sernicoli, pubblico funzionario di sicurezza stanziato a Parigi, che opera un serrato controllo sulle attività degli anarchici, sugli spostamenti di denaro o di individui e su possibili piani da attuarsi127. Meno noto di Sernicoli è un altro funzionario assoldato da Crispi, proveniente dagli ambienti di pubblica sicurezza, Cesare Garimberti128. Cancelliere di questura a Milano e poi Commissario a Fiume, Garimberti è al servizio di Crispi almeno dal 1887 e fino al 1891. Da Vienna gli invia numerosi e dettagliati rapporti sullo spirito pubblico austriaco, in particolar modo in riferimento allo spinoso problema della chiesa cattolica in Italia e alla crescita dell’irredentismo. L’intera corrispondenza rimane nell’ombra: Garimberti, in diretto contatto con il conte Kalnoky e Taeffe, invia lettere in Italia con uno pseudonimo femminile e le indirizza a Giuseppe Turco, direttore del «Capitan Fracassa», il quale recapita i rapporti al ministero e invia al funzionario laute ricompense da parte di Crispi129.
Il gruppo di fedelissimi
A questi diversi livelli di relazione che Crispi intesse nel corso dei suoi mandati, si aggiunge l’ultimo e il più peculiare: quello dei fedelissimi. Si tratta di un gruppo di uomini scelti per vicinanza personale e stima professionale, cui Crispi assegna incarichi di primo livello. Profondamente implicati nella politica crispina, uomini-ombra posti in ruoli di mediazione tutt’altro che secondari, questi ne seguono le alterne vicende e in diversi casi la loro carriera subisce una battuta d’arresto tra il 1891 e il 1893 per poi riprendere quando Crispi torna al potere. Con l’eccezione di Pisani Dossi, come vedremo, i fedelissimi continuano la loro carriera amministrativa e diplomatica anche dopo il tramonto definitivo dell’era crispina nel 1896. Tra i nomi che vale la pena ricordare, quello di Giuseppe Palumbo Cardella, siciliano, di due generazioni più giovane di Crispi, prima corrispondente de «La Riforma» da Palermo e poi, conosciuto Crispi in occasione dei Vespri siciliani del 1882, suo fedele amico e segretario particolare dal 1887. Al contrario degli altri uomini crispini, Cardella non riveste particolari cariche istituzionali ma è sempre vicinissimo al presidente del Consiglio, curandone l’attività forense e funzionando da tramite con gli altri fedelissimi e la famiglia.
126 Lettera del 20 dicembre 1888, ACS, Pisani Dossi, b. 13.
127 A titolo di esempio, il 13 febbraio 1888 Sernicoli informa Crispi degli spostamenti di Cipriani e Mulin e rivela che il gruppo di socialisti anarchici di Parigi, facente capo alla redazione del giornale «L’Attaque» ha inviato «la somma di 300 franchi allo scopo di provocare manifestazioni tra i contadini ed operai senza lavoro [a Corato]». ACS, CC, DSPP, b. 51, fasc. 305.
128 Le sole notizie pervenute sul personaggio di Cesare Garimberti sono tratte da G. Stefani, Cavour e la Venezia Giulia. Contributo alla storia del problema adriatico durante il Risorgimento, Firenze, Le Monnier, 1955.
Dopo il 1896 continua ad accompagnare Crispi alle sedute parlamentari e inizia, per volere del deputato, l’opera di censimento e riorganizzazione delle sue carte, di cui entra in possesso nel 1901130. Fino alla morte, sopraggiunta nel 1941, Cardella continuerà la sua carriera nell’amministrazione statale, pubblicando alcuni importanti contributi sull’opera crispina che, pur nei limiti interpretativi, restituiscono il senso della vicinanza e della stima che nutrì per lo statista siciliano131. Altre personalità di rilievo sono Roberto Galli132 e Giuseppe Pinelli133 nominati rispettivamente sottosegretario degli Interni e capo di Gabinetto del presidente del Consiglio nel 1893 quando, pur dovendo subire le imposizioni del centro e della destra nella nomina dei ministri, Crispi non rinuncia, per gli incarichi dei collaboratori, agli «amici fidati, vicini a lui anche negli anni della sfortuna»134.
Gli elementi di spicco dell’entourage crispino ruotano però soprattutto intorno al ministero degli Esteri e non senza un motivo preciso: per Crispi, che assume ad interim la carica di ministro, risulta fondamentale sostituire la «burocrazia di settore» della Consulta con «l’inserimento di un relais politico»135 di sicura appartenenza. È stato infatti notato come «l’istituzione del sottosegretario di stato e l’abolizione della figura del segretario generale, molto più che per gli altri ministeri, tende per la Consulta a colmare lo iato tra nuova dirigenza politica e vecchia burocrazia ministeriale»136. In funzione di tale cambiamento Crispi sceglie i suoi collaboratori migliori: Abele Damiani, e due delle “tre P” de «La Riforma», che grazie allo statista, entrano nella fase più alta della loro carriera, assurgendo a ruolo di eminenze grigie dagli eccezionali poteri. Damiani, garibaldino e amico intimo di Crispi, deputato della Sinistra da sempre interessatosi ai problemi di politica estera e autore della mozione che aveva portato alla caduta di Cairoli nel 1881, è chiamato a svolgere il ruolo di sottosegretario degli
130 A lui, Damiani e Carlo Giampietri viene chiesto di curare la sorte delle carte Crispi. Cfr. ACS, Palumbo Cardella, b. 11, fasc. 123.
131 P. Cardella, Crispi e i tempi nuovi, «Rivista d’Italia», V, 8, 1902; Id., Crispi e la politica mediterranea e coloniale, «Politica», X, 81, 1929; Id., L’Istituto di Sanità pubblica da Crispi a Mussolini, Roma, 1934; Id., Francesco Crispi nel diario di Alessandro Guiccioli, «Nuova Antologia», LXXVI, 1941.