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Mobili e indipendenti: l’autorappresentazione dei posator

Il mestiere del posatore è un lavoro nomade: già il lavoro di per se stesso porta la persona a una permanenza massima di qualche settimana in uno stesso cantiere; ma questo avviene solo nei lavori di una certa entità, perché nella maggior parte dei casi ci si ferma una settimana e poi si cambia. Ne risulta che chi fa questo lavoro non ha nessun tipo di legame fisso, sia di colleghi che di committenti. Anche la strada che si fa per andare al lavoro è diversa quasi ogni mattina: a differenza di altri artigiani, il posatore non ha una bottega o un laboratorio dove recarsi ogni giorno. Queste caratteristiche di mobilità e indipendenza sono vissute con orgoglio da chi fa il posatore, sono cioè un tratto della sua identità di mestiere, come dice Federico:

“…non ho obbiettivi anzi, a volte mi piace cambiare, anche cambiare settore, anzi se vado all’estero non mi dispiace per niente, se ho l’occasione lavorative ,mi porto via anche la famiglia, forse è meglio anche delle vacanze, vedi Formentera (ride) …”85

Forse i rapporti di lavoro più durevoli sono quelli con i venditori, ma anche questi non sono definitivi, non durano una vita lavorativa e nei tempi non di crisi sono facilmente intercambiabili, sia da parte del posatore che del rivenditore. Tuttavia, qualcosa si è modificato negli ultimi dieci anni, da quando l’introduzione della legge sugli sgravi fiscali e l’iva agevolata nelle ristrutturazioni edilizie ha reso i posatori molto più dipendenti dai venditori di piastrelle, che esercitano una sorta di monopolio:

“…E penso che anche i posatori di adesso e ga un po’ più dura perché non poe fare quello che i voe …

Quindi diventano come dei dipendenti praticamente i posatori di adesso? Mi go l’impression che sia ciappà peggio de un dipendente (ride) Peggio, addirittura?

84 Intervista ad Alfonso 85 Intervista a Federico

Si perché … una volta mi se dicevo ma va a quel paese e lo mandavo e amen, adesso, se te disi l’indoman bisogna che te cati un altro lavoro, gheto capio? Perché non te trovi più lavoro …”86

Tuttavia, il datore di lavoro come rivenditore è solo “parziale”, visto che il posatore trova molti clienti da solo, o per lo meno cerca di trovarli su un mercato reso sempre più difficile dalla crisi e dalla concorrenza al ribasso da parte soprattutto di imprese composte da stranieri. Il cliente è quindi una persona che varia, resta presente nella vita del posatore solo un mese e difficilmente a breve ricompare.

Federico, Paolo e Sandro sono le persone che hanno espresso con maggiore chiarezza quale è il senso del loro mestiere, dando parole a quello che è un comune sentire tra i miei colleghi. Federico, ad esempio, mette un discrimine molto netto tra il suo mestiere di adesso e il lavoro in fabbrica.

“… ma non solo per il discorso del lavoro che risulta più pesante o meno, proprio per una sorta di limitazioni, cioè solo il fatto di fare la stessa strada , fare la stessa strada era micidiale …”87

La fabbrica è il luogo della ripetitività e mancanza di autonomia: lavorarci non dà soddisfazione, non premia l’impegno, anche quando ci si entra pieni di aspettative, come era capitato a lui in Aprilia:

“…In Aprilia, era un po’ un aspettativa come tutti i fioi qua a dea zona… Bé tra l’altro collegato un po’ con gli studi che avevo fatto io, non su carta, però, si insomma collegato un po’ alla meccanica, per cui, andare a lavorare su una società che era anche abbastanza interessante, era una bella roba , l’idea di andare a lavorare in Aprilia era il sogno di tutti i boce dea zona…”88

Visto dall’interno, anche il mondo dei motori si rivela noioso e alienante, perché spersonalizzava i lavoratori ridotti a sentirsi degli automi, delle macchine.

“… tisch, tisch ..” e anche la sera,stavo la un ora in più per studiare, per far prima, per aiutare per … però alla Si fare numero, automi, macchine … infatti è stato pesantissimo lavorare là, ero un numero in una catena di montaggio e veniva meno un po’ di

86 Intervista a Genesio 87 Intervista a Federico 88 Intervista a Federico

manualità un po’ di meccanica, sentivi sempre fine vedevo che non venivo ripagato e nessuna soddisfazione e alla fine io mi trovavo a fare anche il lavoro di quei altri …”89

Per chi fa l’artigiano, la fabbrica è un mondo dove vieni ridotto ad un numero, dove non contano l’impegno e la professionalità, dove va chi non vuole assumersi delle responsabilità. Non ci sono nuove esperienze che ti fanno arricchire personalmente; non si imparano nuove tecniche di lavoro; non hai modo di uscire e conoscere piccole cose che ti danno qualcosa in più, come può invece capitare più facilmente a un artigiano:

“… che te ne vieni fuori arricchito, che vedi sempre situazioni nuove e impari sempre qualcosa, adesso per dire … a Formentera c’era una cosa importantissima che era l’acqua … gli angoli dell’acqua, con gli smalti, butta giù, no, veniva riciclata tutta l’acqua, veniva fatto un bacino grande come una piscina, veniva fatto un deposito,decantà, tu pensa a noialtri che buttiamo via l’acqua che è un bene prezioso, invece là veniva riciclata, perché c’è n’era poca e anche ti inquini e invece là che è una località bella, interessante, come quella là, butti via acqua e cemento e tutte quelle robe, inquini i fossi e anche ricordo altre cose che noi qua non abbiamo nemmeno lontanamente …”90

La fabbrica è mal sopportata, è vista come un posto dove non si cresce, dove professionalmente si è bloccati: un “lavoro con il fermo”, come dice Paolo, che ha fatto due anni alla OCLL a Villanova di Camposampiero:

Il lavoro metal-meccanico era un lavoro con il fermo, abituale sempre quello. Io vedevo gente più grande di me che erano venti o trent’anni che magari saldavano, altri erano venti anni che usavano la molla a disco. Io non mi vedevo tutta la vita a restare là con queste cose… il tempo non passava mai, stavo sempre a guardare l’orologio. Il lavoro … era un lavoro che non era per me! Perché avevo avuto delle piccole esperienze all’esterno cioè … a me … io non riuscivo ad accettarlo.91

Nei suoi due anni di fabbrica metalmeccanica nel suo paese, alla fine degli ’70, Paolo si ricorda un ambiente non sicuro, dove gli infortuni quotidiani non vengono segnalati per non esporre l’azienda ai controlli del medico del lavoro ma risolti in loco con pericolose automedicazioni di fortuna; ricorda anche un luogo molto gerarchico, dove il bullismo era presente tra i vecchi ed i giovani, quasi un ricordo del mondo militare trasportato nella vita di tutti i gironi; insomma, la fabbrica come una caserma o una prigione a ore.

89 Intervista a Federico 90 Intervista a Federico 91 Intervista a Paolo

“…Ho smesso e dopo sono andato in una ditta metal-meccanica di Murelle, la Ocll, e li ho fatto un’esperienza di fabbrica per circa 2 anni. Due anni dove ho conosciuto la vita dentro le fabbriche dove i più anziani comandano, secondo me in quel periodo c’era proprio bullismo, dove potevano fare quello che volevano e tu dovevi sottostare. E … anche quella li è stata un’esperienza che non mi piaceva, non mi piaceva di restare chiuso dentro la, era un lavoro …, non era una cosa per me!... […]

La fabbrica era sindacalizzata?

No, non era sindacalizzata, non c’erano sindacati.

Era una realtà piccola? Con quanti dipendenti più o meno?

Era una realtà piccola con circa 10/15 dipendenti. Una realtà molto piccola, ma tra i lavori che ho fatto nella mia vita lo metto tra i più brutti, il lavoro in fabbrica è un lavoro senza soddisfazione dal mio punto di vista, nessuna soddisfazione: zero!

A livello di sicurezza, arrivando dal mondo edile in fabbrica hai visto un miglioramento nella sicurezza individuale, tipo dpi (protezioni individuali) o come andavi in cantiere andavi in fabbrica?

Non ho visto una grande differenza di sicurezza in quel periodo là, perché in cantiere si lavorava già con l’impalcatura da pittore, ed era un’impalcatura abbastanza buona, mentre in fabbrica li ho visto tanta tanta gente farsi male: le schegge negli occhi erano all’ordine del giorno, addirittura c’erano più di qualcuno chiamati gli specialisti delle schegge che invece di portarti in ospedale ti portavano in bagno e con un “ filetto di una scopa di saggina” piano piano ti toglievano davanti allo specchio la scheggia nell’occhio. Ho visto parecchia gente farsi male le gambe e le mani…”92

Provenendo dallo stesso paese (cioè Murelle di Villanova di Camposampiero), e cominciando a lavorare più o meno nello stesso periodo (intorno al 1982, cioè durante il grande boom industriale del Nord-Est) Sandro ha conosciuto un altro aspetto del sistema industriale dell’epoca. Subito dopo il diploma come perito confezionista è stato mandato in Sicilia, dove le aziende venete del settore avevano cominciato a delocalizzare la produzione (prima che di spostarsi nell’Europa orientale dopo il 1989 e poi in Estremo Oriente). Ma la Sicilia gli pare un luogo non meno esotico, dove c’è un altro sistema di lavorare e di vivere.

Sono arrivato a Bronte, in provincia di Catania, là era stato verto 13 laboratori, tutti sui 20-25 persone ed io ero drio, sembrava che … ma là ghe iera una situazione … quasi tutti in nero, cioè un centinaio di persone in nero, ve ghera una taglieria che tagliava… ve ghera… come si ciamava… Puma, diverse marche, Americanino, e la tagliava dai jeans a giacche a vento felpe etc e dopo ve gera l’assemblaggio, praticamente tutti queli

che erano nella taglieria erano tutti tosi diplomati in chimica che avevano fatto la scuola a Gela che lavoro non gli e ghera e andavano tutti là, tutti maschi che tagliava…

In nero? Tutti in nero o quasi?

Probabilmente si … insomma ghe iera gente che veniva a torsi un lavoro … gente … mafiosi … te li vedevi con la pistola piega sulla cintura, iega qua davanti sulla maglietta […]

Si ma ve ghera guarda… non terzo mondo, ma vorrei dire, quarto, quinto mondo, la ghi sera ragazze che veniva a lavorare tutti vestite di nero, ma tantissimi, non perché vi gera la moda nero, era dark, voglio dire…tutti i gaveva magari uno zio morto 2-3anni fa, o un parente o sua la mamma o suo nonno e gli era un lutto continuo, per trovarsi con il moroso, ghe doveva fare finta, mettersi d’accordo, che l’una accompagnava a casa quell’altra, invece dopo veniva fora che… ogni tanto scappava qualcuna, faceva la fuitina e tornava a casa magari dopo che i sera incinta o che i genitori si erano arresi in qualche modo perché non volevano che le famiglie se mettesse …. Capio? Come i Montecchi e i Capuleti, cossia e…il sistema di lavorare là ghi iera, praticamente gli scarti di fabbrica dove che te tagliavi etc ,gli era stò cappanon, tutti quanti gli scarti buttati fuori dalla finestra, praticamente gli scarti arrivava al primo piano, dalla gente al primo piano, gli è arrivà la un camionista… e questi non capiva niente, proprio sulla testa non gli ga ne ordine, ne niente, cioè una mentalità non voglio dire quella parola la perché…

Va bè dilla…

Io non ho niente contro i meridionali ma questi se terroni, cioè proprio un terron, non perché è meridionale, perché lè un terron…”93

Sandro torna in Veneto e trova lavoro come tecnico in una grande impresa di confezioni. Ma anche l’ufficio è visto come un posto chiuso: Sandro ricorda che da bambino gli piaceva tanto andare per i campi e dalla finestra del suo ufficio con lo sguardo svaria sulla campagna che ha intorno. Cerca l’evasione anche da un po’ di luce che passa dalle finestre, e quando queste vengono chiuse da un collega le riapre subito.

L’ufficio è come l’ambiente della fabbrica, un luogo dove non si vive, dove si cova rabbia per i colleghi, siano essi superiori o sottoposti.

“…senonchè mi ero stato assunto al terzo livello, di entrata così uscito da scuola ciapavo 600mila lire di uno stipendio e praticamente me li magnavo con la macchina andare su e giù a Treviso, insomma così…e ghe iera un tipo che era il direttore solo di mi cioè il mio responsabile in un certo senso che era al 6^ livello, dopo me la raccontà, dopo 2 anni ste robe qua, e questo qua però seguiva il reparto taglio, voveva imparare anche eo a usare

il computer però non ne aveva il tempo perché doveva seguire il reparto taglio e tutte ste robe e stava là un ora al giorno ma per il resto andava là…io va bè ho ciappà piede su stà roba, mandavo avanti e in due anni sono andato 3 o 4 volte a chiedere aumenti e mi me ga porta fino al 6^ livello come eo, e una mattina sono arrivà a lavoro tutto contento e “ ghe ma aumentà un ‘altra volta, me ga portà al 6^ livello…” non avevo mai detto niente a eo, questo qua incazzato nero “ come ti te si andà a domandare aumento? Era a mi che dovevi chiedere l’aumento perché so mi sovra de ti….te de disevi andavo mi…” “ma ti a che livello sei?” “6^ come ti…” “ma da quanti anni è che lavori qui?” “ 10 anni…mi ero arrivà al 6^ livello dove che iero mi hanno portato qui mi hanno dato qualcosa di più…” “ In 10 anni non ti hanno mai aumentato e ti non sei mai andato per ti e voi andare per mi? Se vuoi vado io per ti…” questo qua se andà in escandescenza, e diventato tutto rosso come una stua, ga tirà fora 2 boccette “ ma ti me ghe fa sta roba qua, prima me ga fatto venire la gastrite, poi mi hai fatto venire fuori l’ulcera e adesso me toccherà operaeme…” insomma gli fatto venire fuori dai sentimenti, questo qua ga covà nei miei confronti, per 2 anni, un invidia grandissima che mi me so reso conto, io non pensavo a ste robe qua e comunque si capiva, perché è la ghe sera 2 finestrelle, per esempio su questo ufficio, e io avevo il desiderio di guardare fuori ogni tanto perché te se stare 8-9 ore dentro sul computer, e la ghe sera la campagna, ogni tanto mi giravo e là aprivo la veneziana che ghi iera, eo entrava e la serrava e ogni volta sempre su sta musica qua 10 volte al giorno… oppure mi me ciappavo i miei 10 minuti, andavo a bere un caffè oppure parlare con la modelista la in fondo sentire se e… anche perché erano bee tose, ma comunque uno non può stare 9 ore al giorno… ma ti va a ricontrollare queo che ghe te fatto, pare che i non abbia niente da fare…no, guarda che mi il mio lavoro l’ho fatto, solo che non te poe… cioè ui aveva un invidia e non sapeva come…”94

Appena ne ha l’occasione, quasi per caso, Sandro lascia il posto come dipendente e comincia a fare il posatore. Dopo i primi quindici giorni si rende conto che sta meglio anche fisicamente.

Io se 15 giorni che so qua non ho più male allo stomaco me era sparia la gastrite, nervoso, era una liberazione per mi la mattina me svegliavo contentissimo e non vedo l’ora di avere la giornata davanti par… e non ero mai stufo… avevo 28 anni e li ho incominciato un'altra vita, un altro lavoro, un altro mondo, esperienze e questo e quell’altro e se sta da un certo punto di vista la mia fortuna.

L’idea di indipendenza e mobilità nell’artigiano posatore è tutta sintetizzata nel suo furgoncino: con esso si gira da cantiere in cantiere, si va a lavorare anche lontano, sia in Italia che all’estero. La mobilità dei posatori si trova tutta nei racconti di Luigi che, dopo essersi diviso professionalmente dal fratello va a lavorare in Liguria, Savona e Ventimiglia, e poi arriva a Vieste in Puglia 94 Intervista a Sandro

“…No quando si andava via per lavoro era sempre per palazzine o appartamenti, roba di una certa entità. Lavori abbastanza grossi, la prima volta che sono uscito per un lavoro […] il primo lavoro grosso l’ho fatto a San Remo, tramite un artigiano che conoscevo. Dopo di la, di San Remo abbiamo preso un lavoro grosso che è durato un anno a Ventimiglia… Parliamo del cantiere di Vieste Puglia”95

I ricordi dei primi furgoni fanno quasi sorridere, ora. Il primo modello che viene citato nelle interviste era l’850 T della Fiat, che venne prodotto dal 1964 al 1976:

“…L’850 aveva ( ride) L’850?

(ride) e ghe ierano quei all’epoca…”96

“…Ha fatto chilometri questo 850 … No, nostro aveimo un 850 …

Oh … è lo stesso che aveva il papà di Dimitri o no?

Si una volta anche il papà di Dimitri … uguale gheimo incomincià ad andare tanto all’estero allora gireimo con la vettura normale, te portavi via solo … non se che te portavi via stage o roba cossì, se portava via solo il flessibile la cassola e due o tre monate, perché là in cantiere troveimo tutto …”97

L’evoluzione dei furgoni ha portato poi alla creazione da parte delle varie ditte automobilistiche di mezzi con portata “variabile” ed accessori che potevano essere messi sul furgone. È così che i furgoni Daily sono stati progettati per poter essere usati da tutti i possessori di una patente di guida “B”, ma poi sono stati usati con portate ben oltre i limiti consentiti dalla leggi.

Per i miei testimoni il lavoro, già negli anni ’60 e ’70, era compreso nella zona tra Padova, Treviso e Mestre: ci si muoveva all’interno di questo triangolo che ha un lato di circa 30 chilometri: una distanza percorribile in giornata; si partiva alla mattina e si tornava alla sera in famiglia:

“…Massimo facevo 50 chilometri. Tra Padova, Mestre e Treviso. 50 chilometri ma massimo…”98

95 Intervista a Luigi 96 Intervista a Dimitri 97 Intervista a Genesio 98 Intervista ad Alfonso

“… La zona di lavoro di tuo papà te la ricordi più o meno? Ma nel circondario, prendi un raggio di azione di 15-20 km … Castelfranco, Cittadella, Padova, Mestre?

Ma secondo me Castelfranco era già un limite, si Mestre, un raggio di questa zona qua … Sempre vicino comunque…”99

“…Quando lavorava come pavimentista, girava, che zona? Più o meno …

Bè girava … Padova e Venezia, Venezia zona Mestre, quee zone là…”100

Ogni tanto però, poteva capitare di uscire da questo perimetro per andare in località più lontane, in Italia e all’estero; Genesio, ad esempio, ha lavorato in Germania ed Austria:

“… e allora andaimo a fare una villa qua, una villa in Piemonte, una a Benevento, semo andai in Austria, la Germania l’abbiamo vista da sotto e sopra dappertutto , a Vienna, abbiamo fatto come si chiama? Ginevra, comunque abbiamo giraito tanto ….”101

L’esperienza dell’emigrazione è comune a molti, si intravede in tutte le storie personali e familiari. Molti hanno avuto in famiglia il padre o uno zio che si era trasferito in Lombardia o proprio a Milano negli anni ’50: la metropoli era in pieno boom e aveva bisogno di lavoratori edili. E’ lì che essi imparano l’“arte” della posa

“…È andato a fare il posatore a Milano o … Si è spostato per lavoro e dopo …

Ma è diventato posatore a Milano o è diventato posatore qua e dopo si è trasferito … Posatore e muratore a Milano

Ah, quindi lui aveva già fatto il posatore e muratore là ….

Si perché ha fatto 25 anni via, quindi, il grosso del lavoro lo ha fatto comunque là …”102

“…Contadini esattamente, mio papà, mia mamma, mio nonno tutti sono sempre stai contadini dopo se stà i zii sono partiti, sono andati a Varese di qua, di là insomma … Qindi quando sei andato a Varese sei andato a raggiungere …

C’era mio nonno e mio zio che si erano già trasferiti là … Sei andato a fare cosa. Per una curiosità a Varese?

99 Intervista a Massimo 100 Intervista a Dimitri 101 Intervista a Genesio 102 Intervista a Massimo

Con mio nonno, con mio nonno sono andato là a provare, a vedere se prendevo qualche