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2. Le diverse tesi etimologiche degli elementi u/mu

2.2. Il modale potere

Assieme ai dialetti di Crotone e Squillace e paesi limitrofi sono state esaminate alcune varianti della zona tirrenica (Maierato, Pizzo Calabro, S. Onofrio), rilevati in altre ricerche19 (Trumper-Rizzi 1985, Pristerà 1987), a loro volta riprese da Lombardi (2000) e Cristofaro (2000). In questa analisi faremo alcuni confronti anche con altri paesi vicini all’area di riferimento (dati rilevati da Manzini-Savoia 2005).

La tecnica principale usata per i rilevamenti è stata quella del dialogo in dialetto con i parlanti, favorita anche dalla conoscenza personale come parlante nativo di quelle zone.

Cominciamo con una prima serie di esempi col modale potere:

(62) Sta machina po portari cincu perzuni Vibo Valentia,

19

Per gli esempi con i dialetti della fascia tirrenica (Vibo Valentia, Maierato, S. Onofrio, Pizzo Calabro), e per i dialetti della zona Salentina mi sono avvalso degli esempi rilevati nelle ricerche riportate da Cristofaro 2000.

(63) Sa machina po portara cincu perzuni Squillace

(64) Sa machina po portarə /portari cincu perzuni Crotone

Questa macchina può portare cinque persone.

Come si può vedere da questi dati, il modale potere, ha una connotazione epistemica, e cioè basata sulla mera credenza del parlante, ma comporta anche una possibilità effettiva, o capacità intrinseca del mezzo di avere quella capienza, Il modale in questo contesto vuol significare: “è possibile che questa macchina possa portare cinque persone”, ma anche: “questa macchina ha la capacità di portare cinque persone”. Il parlante esprime una modalità epistemica possibile, realizzabile. Il parlante in un enunciato epistemico esprime sempre un proprio giudizio scalare di verità sulla realizzabilità del predicato.

Negli esempi in (62-64), registriamo sempre l’uso dell’infinitiva. Ma vediamo altri rilevamenti:

(65) u pozzu20 hara (Manzini-Savoia 2005) Gizzeria-Davoli lo posso fare

(66) on pozzu u li parru Squillace non posso prt gli parlo

non posso parlargli

(67) on ponnu u m u vidanu e nenta Squillace non possono prt prt lo vedono per niente

non lo possono tollerare affatto

(68) no pozzu m u viju Bagnara

non posso prt lo vedo

20

I dialetti di questa zona centro meridionale della Calabria presentano un indebolimento della labiodentale f, in alcuni contesti intervocalici. Indebolimento che porta il parlante ad una pronuncia semi aspirata della labiodentale

no posso sopportarlo

(69) on pozzu u ti tegnu cca senza u fai nenta Squillace non posso prt ti tengo qui senza prt fai niente

non posso tenerti qui senza far nulla

(70) pozzu u l a cercu sa cosa secundu tia? Squillace posso prt gliela cerco questa cosa secondo te?

posso chiedergliela questa cosa secondo te

Da queste analisi vediamo che potere ammette l’uso della costruzione finita dopo la particella u. Nell'esempio (65), dove si afferma la capacità di fare un qualcosa, troviamo tranquillamente l’uso dell’infinitiva.

Gli esempi (66-69) mostrano frasi introdotte dalla negazione on, che denotano un evento non ancora realizzato, o impossibile da realizzarsi (66), difficilmente realizzabile in (67-68), o anche una mancanza di volontà nel realizzarlo (69). In realtà questi costrutti predicano l’impossibilità di un evento. Questa impossibilità rimane comunque nell’esclusiva credenza di chi parla e non siamo di fronte ad un’effettiva incapacità di concretizzare un qualcosa. In (70) ci troviamo di fronte ad una domanda e anche qui la realizzazione dell’evento predicato è in ogni caso in divenire. La presenza della particella u in questi contesti non sembra casuale. Ricordiamo infatti che queste varianti selezionano gli introduttori frasali operando un discrimine tra gli eventi già avvenuti e gli eventi non ancora realizzati o in divenire , come riproponiamo in (71-72) :

(71) prima u ti nda vai chiamalu Squillace

(72) doppu ki ti nda jisti ncignau u k’iova Squillace

dopo che te ne andasti iniziò prt piove dopo che te ne sei andato è iniziato a piovere

Anche in questo caso, la particella u viene usata in un contesto semantico che denota l’evento non ancora realizzato nella secondaria, mentre in (72) è un elemento diverso, ki, ad introdurre la subordinata che descrive al contrario un evento già avvenuto.

Una seconda spiegazione di natura strettamente sintattica evidenzia il fatto che le frasi che presentano potere con la particella mostrano contesti nei quali il modale interagisce con un clitico.

In italiano, in questi contesti, i verbi modali sono soggetti a ristrutturazione, e cioè, possono essere considerati come facenti parte di una struttura monofrasale che permette ad esempio la risalita del pronome clitico. L’idea originaria della ristrutturazione nasce nel quadro teorico della grammatica generativa degli anni settanta. In particolar modo Rizzi (1976,1978), nella sua regola di ristrutturazione propone che una struttura bifrasale possa trasformarsi in una struttura monofrasale per consentire tutta una serie di fenomeni come: la salita del pronome clitico, il cambio di ausiliare, la possibilità dell’oggetto di essere spostato nella posizione del soggetto con il ‘si impersonale’.

In italiano possiamo tranquillamente posizionare il clitico oggetto in enclisi sul verbo retto dal modale, oppure possiamo ritrovare il clitico in proclisi sul modale dopo il suo movimento di risalita. Infatti possiamo tranquillamente dire:

(73) posso mangiarlo (74) lo posso mangiare

Non è altrettanto possibile: (75) *posso lo mangio.

Come possiamo vedere in (75), in italiano il clitico oggetto, nel suo movimento di risalita non può collocarsi in posizione intermedia tra il modale e il verbo infinitivale, il che avvalora la tesi della monofrasalità di questi costrutti.

Ciò non avviene per le varianti dialettali calabresi:

(76) on u ponnu vidira Squillace non lo possono vedere

(77) * on ponnu vidir (l)u Squillace non possono vederlo

(78) on ponnu u m u vidanu Squillace non possono prt prt lo vedono

non lo possono tollerare

(79) * on ponnu u vidanu Squillace non possono lo vedono

non possono tollerarlo

L’esempio in (76) ci mostra il clitico oggetto in proclisi. Abbiamo detto che questo movimento di risalita da una sua posizione più bassa all’interno della struttura frasale favorisce la costruzione della frase infinitiva. La differenza sostanziale presente in queste varietà sta nella posizione nella quale il clitico oggetto è generato. Infatti l’impossibilità di (77) ci mostra che il clitico oggetto non può collocarsi in enclisi sul verbo retto dal modale, mentre (78) ci fa vedere che la sua posizione prima del movimento è in proclisi sul verbo di modo finito

retto dal modale. Inoltre, comparando gli esempi (78-79) osserviamo che il clitico oggetto non può occupare quella posizione senza essere preceduto dalle particelle subordinanti u e m. In questo caso non è possibile non ipotizzare una stretta correlazione tra il clitico oggetto e le particelle subordinanti. La particella subordinante u che in questo caso raddoppia in presenza del clitico oggetto dando luogo alla sequenza u m, introduce una secondaria di modo finito.

In questo caso è lecito ipotizzare che, sebbene ci si trovi in presenza di una costruzione modale, in (78) non abbiamo un costrutto monofrasale, ma bifrasale. Infatti i verbi modali quando selezionano la particella, selezionano sempre u: (80) [ I vogghju [ C u ……….]]

D’altro canto, sappiamo che le varietà meridionali non ammettono l’enclisi del clitico oggetto sul verbo retto dal modale. Potremmo anche ipotizzare che l’arretramento delle forme infinitive non permetta l’enclisi dei clitici, ma ciò non è necessariamente vero perché molte varietà meridionali non hanno un arretramento delle infinitive, ma in ogni caso non permettono l’enclisi dei pronomi clitici: (81) a voglia e te vedè *te Napoli

la voglia di te vedere *ti

la voglia di vederti

(82) a ghjutu a ru pijarə *ru Crotone ha andato a lo prendere *lo

è andato a prenderlo

Le varietà come quella di Squillace, non ammettono una struttura senza particella subordinante in contesti come quello in (83):

(83) * [ I pots:u [cl u [I viju………]] * posso lo vedo

Sembra chiaro, data questa impossibilità, che le particelle subordinanti, che agiscono nella periferia sinistra della frase secondaria siano l’unico mezzo per collegare le due frasi. Il sintagma C è pertanto l’unico in grado ospitare gli elementi u/mu, come supponiamo in (84) sulla base degli schemi di Rizzi (1997):

(84) [ Neg on [ I pots:u [ C u [ Ci m [ cl u [ I viju]]]]]]

Occorre sottolineare come diverse teorie (Ledgeway 1998, Manzini-Savoia 2005) non collocano questi elementi nel sintagma C. Rivero (1994), per le lingue balcaniche, ipotizza la presenza di un sintagma modalizzante MoodP all’interno del sintagma della flessione. Tuttavia, abbiamo visto come analisi più recenti (Manzini-Savoia 2009 e Roussou 2009) collochino le particelle subordinanti di area balcanica nella stringa clitica che agisce nel sintagma del Complementatore. Abbiamo pertanto ipotizzato che anche le particelle subordinanti calabresi operino in quel sintagma. In questa analisi non le collochiamo tuttavia in posizioni clitiche. Le particelle u/m(u) entrano in competizione con i complementatori tradizionali, e specialmente nei casi di raddoppiamento impediscono l’occorrenza dei complementatori ka/ki. I fenomeni di raddoppiamento sono frequenti in questa varietà. Li subisce anche il complementatore infinitivale d(e):

(85) a de d essara propriu stancu Squillace ha di di essere proprio stanco

Anche l’esempio in (85) ci mostra un raddoppiamento dell’introduttore frasale, cosicché, ci sembra ancora una volta corretta l’ipotesi che questi introduttori, quando raddoppiano, si distribuiscono nel sintagma C, le cui posizioni non risultano occupate.

Per il modale potere, abbiamo riscontrato un’alternanza tra costruzioni finite e infinitive. Anticipando qualche esempio inerente al modale volere, vediamo che il quadro d’insieme cambia perché questo modale ammette tendenzialmente i costrutti bifrasali come vediamo nella comparazione tra (55) e (56):

(86) om bola u m u ha jocara Squillace non vuole prt prt lo fa giocare

non vuole farlo giocare

(87) *on u vola hara jocara Squillace non lo vuole fare giocare

Riassumendo i dati sul modale potere abbiamo visto come questo modale ammetta sia la costruzione infinitiva, sia quella di modo finito. In generale, è la costruzione infinitiva ad essere preferita, specialmente nei contesti con potere epistemico. In questi casi però il predicato espresso dal parlante riflette una oggettiva capacità di realizzazione dell’azione:

(88) a pots:u portara Squillace la posso portare

(89) on pots:u u m a portu Squillace no posso prt prt la porto

non posso portarla

capacità di portare a compimento l’evento predicato. In (89) il parlante afferma un’incapacità di compiere o concretizzare un’azione, una non volontà.

Quando l’evento predicato è in divenire, oppure qualora risultasse l’incapacità o la non volontà di portare a compimento un evento, abbiamo la costruzione con la particella u che regge una dipendente con verbo finito:

(90) on ponnu u m u vidanu Squillace

non possono prt prt lo vedono non lo possono tollerare

In (90) notiamo che i contesti nei quali potere seleziona la secondaria di modo finito introdotta dalle particelle u e m vedono l’interazione del modale che con un clitico oggetto:

(91) on ponnu u m u tenanu Squillace non posso prt prt lo tengono

non possono tenerlo

(92) * on ponnu u tenanu Squillace non possono lo tengono

non possono tenerlo

(93) on u ponnu vidira Squillace non lo possono vedere

In (93) il movimento di risalita del clitico è determinante nella realizzazione della costruzione infinitiva, ma quando rimane in proclisi sul verbo retto dal modale, deve per forza essere preceduto dalla particella modale u, come notiamo rilevando

l’impossibilità del costrutto in (92).

La particella modale in (91) raddoppia, e blocca il movimento di risalita del clitico

(94) [ Neg on [ I ponnu [ C u [ Ci m [ cl u [ I tenanu]]]]]]