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Il modello bidimensionale delle strategie di acculturazione (Berry) (Berry)

CATEGORIZZAZIONE-CONFRONTO-DISCRIMINAZIONE IN/OUT GROUP

1.2.4 Il modello bidimensionale delle strategie di acculturazione (Berry) (Berry)

Un altro aspetto fondamentale delle relazioni tra individui e gruppi si gioca su un piano fortemente dinamico, chiamando in causa fattori quali l’interazione tra culture diverse, e soprattutto tra i vissuti psicologici dei singoli e dei gruppi in relazione alla propria cultura di origine e a quella della società ospitante in cui si vengono trovare le persone che emigrano.

Questi elementi rientrano tra gli studi sull’acculturazione, i quali hanno come

oggetto appunto il focus sui cambiamenti cognitivi, comportamentali e di valore che intervengono quando due o più culture diverse s’incontrano.

Il livello di analisi di tali cambiamenti è quello sia del singolo, soprattutto per quanto concerne la creazione e la conservazione dell’identità etnica, ma anche dei gruppi, con particolare interesse per l’incontro tra le minoranze migranti e la cultura ospitante, che si configura come gruppo maggioritario (Mancini, 2001).

Tra i due principali modelli sull’acculturazione esistenti, questa ricerca ha come base teorica quello BIDIMENSIONALE di Berry, (Berry, 1974,1980). Esso si differenzia da quello unidimensionale (Gordon, 1964) che individua un continuum di posizioni sul quale collocare quella dell’individuo nei confronti della sua cultura di origine e della società ospitante. Tale modello prevede due posizioni estreme, ovvero:

1. La separazione assoluta dalla cultura ospitante, che comporta l’identificazione completa con la propria cultura di origine.

2. L’assimilazione totale con la cultura maggioritaria.

L’unidimensionalità del modello emerge dal fatto che, secondo i teorici, l’individuo può identificarsi o con la propria cultura o con quella ospitante, ma una possibilità esclude l’altra, in quanto nel momento in cui si acquisisce un’identità, si esclude automaticamente l’altra.

Il principale fautore di tale posizione è stato Gordon (1964). L’ autore approfondisce il concetto di continuum unidimensionale sovrapponendolo al percorso di vita di una persona (life span), nel senso che è proprio in questa prospettiva temporale che si svolgerebbe un processo di progressivo abbandono, da parte dell’immigrato, della sua cultura di origine, per arrivare a adottare quella della società ospitante, a costo proprio della perdita e della rinuncia del proprio bagaglio culturale di appartenenza.

In quest’ottica Gordon parla di biculturalismo secondo un’accezione differente

da quella che ne darà Berry. Per il primo, infatti, il termine designa una fase transitoria lungo questo percorso, una fase necessaria per arrivare ad un’assimilazione ottimale alla nuova cultura; una fase in cui la persona immigrata ancora conserva alcuni elementi del suo patrimonio culturale e allo stesso tempo comincia ad assimilare e fare propri alcuni tratti caratteristici della cultura della società ospitante (Bourhis et al., 1997).

Anche il termine assimilazione per Gordon assume una connotazione differente

da quella che ne dà Berry, e cioè esso descrive i cambiamenti che gli immigrati mettono in atto nell’adattarsi alla nuova cultura, al fine di diventare membri a pieno titolo della stessa. Emerge quindi una dimensione di legittimazione della condizione di nuovo membro della società ospitante che non appare nel concetto di assimilazione di Berry.

Non a caso una premessa del modello unidimensionale dell’assimilazione è proprio quella per la quale nel contatto tra gruppo e società ospitante quest’ultima risulta dominante e quindi maggioritaria -secondo l’accezione di Moscovici, (Moscovici, 1976)- in quanto detentrice di quelle norme e valori che risultano più diffusi e a cui quindi il gruppo minoritario si deve adattare e che deve far propri per poter far parte della società.

Dove tale modello fallisce è invece nel trascurare quanto anche il gruppo maggioritario, quindi la società ospitante, venga modificata e cambiata dal contatto steso con quello minoritario; e quanto questo contatto implichi una modificazione delle norme considerate dominanti (Bourhis, 1997).

Se, infatti, come sostiene il modello, una persona di cultura differente può diventare “membro legittimo” di una società assumendone le norme e i valori, è altrettanto vero che la stessa persona resta comunque portatrice dei suoi valori, radicati in automatismi comportamentali e cognitivi difficili da eliminare anche qual ora il soggetto si dichiari fermamente volenteroso di rinnegare il proprio patrimonio culturale -cosa per altro poco frequente e probabile-.

Esiste invece un’altra prospettiva in proposito, quella espressa dal modello di Berry e collaboratori, dove si sostiene che i due processi identitari non siano mutuamente escludentesi, ma possano coesistere nella formazione dell’’identità

etnica di una persona e questo secondo sfumature e gradi differenti d’identificazione

con l’una o l’altra cultura.

Secondo l’autore, infatti, l’appartenenza alla cultura d’origine e l’identificazione con quella nuova rappresentano due dimensioni indipendenti più che i due poli di un continuum, e come tali possono coesistere nell’identità etnica del soggetto in questione senza che l’acquisizione dell’una comporti la perdita dell’altra (Berry, Kalin, Taylor, 1977, Berry, 1984).

Nello specifico la formulazione teorica di Berry prevede che ogni persona immigrata in una società nuova debba porsi due quesiti fondamentali, che rappresentano per altro le due dimensioni sopracitate:

1. il primo quesito riguarda la decisione se la cultura d’origine ha o meno un valore tale da dover essere conservata,

2. il secondo ha lo scopo di decidere se i contatti con i gruppi della società ospitante vanno coltivati o rifiutati.

Tali questioni sono state indagate in relazione a vari ambiti della vita di una persona immigrata, come l’educazione dei figli, il lavoro, il matrimonio;e sono state utilizzate come base per la costruzione di uno strumento -immigrant acculturation scale (IAS; Berry, Kim, Power, Young, Bujaki, 1989)- che è stato poi somministrato ad una parte della popolazione immigrata degli Stati Uniti permettendo di rilevare essenzialmente 4 strategie di acculturazione che le persone di una popolazione di questo tipo possono mettere in atto, quando si trovano a dover gestire la propria identità in un nuovo contesto.

In particolare esse possono essere adottate dagli individui o dai gruppi di immigrati con le stesse origini culturali (Berry,1984):

1.BICULTURALISMO (ACCULTURAZIONE)

Comporta una forte identificazione con entrambi i gruppi , e nel particolare vengono distinte due modalità di biculturalismo, a seconda che l’individuo si collochi internamente o esternamente rispetto alle due culture. Nel primo caso infatti si parla di blended bicultural,in quanto l’identità etnica è il frutto di un’integrazione dei valori di entrambe le culture di riferimento. Se invece l’individuo elabora la sua identità etnica ponendosi non all’interno, ma al contrario,vivendo le due culture da fuori,facendone perciò un uso strumentale, più facilmente egli oscillerà tra le due, alternando l’appartenenza secondo i compiti e degli interessi emergenti nelle varie situazioni (alternating bicultural).

2.MARGINALITA’

Prevede un’identificazione assente sia nei confronti della propria cultura che di quella ospitante. La persona non si sente parte di nessuno dei due gruppi.

3. SEPARAZIONE

Si verifica, quando l’individuo sottolinea la propria identificazione con il proprio gruppo di origine, e la condivisione dei suoi valori e delle sue norme;altrettanto fortemente viene sottolineata la non appartenenza alla cultura maggioritaria.

4. ASSIMILAZIONE Al contrario della separazione, questa modalità prevede un’identificazione esclusiva con la cultura della società ospitante, quasi rinnegando quella di appartenenza.

Riguardo alla strategia della marginalità è opportuno evidenziare alcune argomentazioni portate dall’autore stesso a seguito dei suoi studi applicati su vere popolazioni di immigrati.

Alcune persone infatti possono dissociarsi da entrambe le culture in questione, ma non perché si sentano emarginate ed escluse da entrambi i sistemi di riferimento;piuttosto perché categorizzano se stessi come individui -ad un livello che potrebbe corrispondere sia a quello sovraordinato del sé che a quello subordinato (livello dell’identità personale) secondo la SCT di Turner (Turner,1987)-.

Si parla allora di individualizzazione piuttosto che di marginalizzazione, in quanto

chi adotta tale strategia acculturativa rigetta ogni forma di appartenenza, se non quella al genere umano (Bourhis,1997).

Rilevare questi aspetti è sembrato importante in questa sede in quanto il processo di formazione dell’identità etnica- concepita come “la componente o la

parte dell’immagine di sé che deriva dalla consapevolezza di essere membro di un gruppo etnico, unita al valore e al significato emotivo attribuiti a tale appartenenza

(Tajfel, 1982, in Mancini, 2001, Sé e identità, Roma, Carocci, pag. 211 -risulta complesso soprattutto per quelle minoranze che si trovano di fronte a più possibili identificazioni, come avviene ad esempio per i figli degli immigrati (Mancini, 2006).