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Strategie collettive di cambiamento

Strategie di cambiamento sociale, comprendono cambiamenti collettivi, del

gruppo intero, e di tipo comportamentale, e sono più facilmente attuabili, quando i confini tra gruppi sono percepiti come impermeabili quindi una defezione individuale è vista come poco attuabile.

Sono essenzialmente strategie incentrate sul conflitto e sulla competizione sociale, la quale secondo Tajfel consiste in “attività volte a sfidare apertamente il gruppo

dominante rivendicando pubblicamente cambiamenti economici o sociali”(Tajfel,

1978, in Sé e identità, Mancini, Roma, Carocci, 2001,pag. 131).

In particolare Turner (Turner, 1975) opera una distinzione tra competizione sociale e realistica.

La prima è funzionale a rafforzare la stima di sé attraverso una rivendicazione più positiva del gruppo di appartenenza.

La seconda nasce invece da un conflitto oggettivo di interessi, e, infatti, si esprime attraverso richieste di una più equa distribuzione delle risorse.

strategie di creatività sociale, prevedono risposte di tipo cognitivo.

Alcune di esse sono:

la ridefinizione delle dimensioni su cui avviene il confronto tra gruppi; la ridefinizione del valore attribuito alla dimensione saliente per il confronto; la creazione di nuove dimensioni di confronto che assegnino maggior valore alla posizione svantaggiata;

cambiamenti nell’oggetto del confronto (l’outgroup); negazione delle dimensioni proprie dell’outgroup;

attuazione del confronto solo con gruppi di status simile o inferiore al proprio. Il tipo di strategia identitaria adottata poi, corrisponderà all’esercizio di un tipo di influenza sociale che può muoversi in una direzione costruttiva e pacifica attraverso cui il gruppo minoritario tenta di migliorare la propria condizione, senza tuttavia stravolgere l’assetto sociale. O al contrario assumere una connotazione distruttiva incentrata sul conflitto aperto con il sistema sociale dominante al fine di cambiarne l’assetto e le gerarchie vigenti (Turner, 1975).

1.3.3 Nuovi contributi e sviluppi

Un importante contributo in seno al rapporto tra status dei gruppi e strategie identitarie, è dato dal modello a cinque fasi (MCF, Five_Stage Model; Taylor,

Mckirrnan, 1984) che dà una descrizione degli stadi attraverso cui passerebbero tutti i gruppi sociali in contesti caratterizzati dalla presenza di gruppi di status più elevato e gruppi si status minore.

Nello specifico esso rende conto delle condizioni che permettono il passaggio da strategie di mobilità individuale a strategie collettive di cambiamento sociale, assumendo che le prime verranno sempre attuate dai membri dei gruppi dominati fino a che esiste la possibilità di unirsi ai gruppi dominanti.

La prima e la seconda fase sono caratterizzate , rispettivamente, da un concezione statica della società e delle differenze di status esistenti tra i gruppi, le quali vengono considerate dovute a caratteristiche ascritte e quindi legittime da parte di tutti;e successivamente da un cambiamento sostanziale verso un sistema meritocratico per il quale l’appartenenza ad un determinato gruppo deriva dalle abilità e dalle capacità personali degli individui.

Se nella prima fase quindi il confronto sociale a livello intergruppi non può avvenire perché privo di senso dal momento che la differenza tra gruppi è legittimata dall’ordine costituito, nella seconda fase tale ordine può essere cambiato in funzione di caratteristiche personali, e quindi il confronto sociale a livello intergruppi è sostituito da quello interpersonale.

La terza fase vede un sostanziale verificarsi di strategie di cambiamento individuali:le persone muovono da un gruppo ad un altro cambiando il loro status e la loro identità sociale.

Se questi spostamenti hanno esito negativo, subentra il fattore che , secondo il modello determina l’adozione di azioni collettive per il cambiamento, ovvero proprio il fallimento di quelle individuali.

A questo punto le appartenenze e le posizioni delle persone cominciano ad essere lette a livello intergruppi e non più interpersonale,arrivando alla quarta fase in cui le differenze di status vengono considerate non più come legittime.

Il che porta alla quinta fase, nella quale vengono intraprese azioni collettive per modificare l’ordine costituito, il quale essendo percepito come illegittimo è suscettibile di essere sovvertito.

Come sottolinea Caricati,(Caricati, 2006), questo modello prevede che sia il

fallimento di azioni individuali in un contesto in cui le differenze tra gruppi sono

percepite come illegittime, a determinare l’adozione di strategie collettive di cambiamento.

Strategie individuali sono invece ricercate e attuate dai membri svantaggiati più facilmente, quando il sistema è percepito come illegittimo ma stabile, e quindi

l’unica soluzione vista come possibile è la defezione individuale.

Inoltre, sempre il modello a 5 fasi prevede che siano i membri con abilità più vicine ai gruppi dominanti a tentare strategie di mobilità individuali; altri studi

(Boen, Vanbeselaere, 2001), hanno rilevato come i membri più abili adottino strategie individuali contro-normative, mentre quelli meno abili sino più propensi ad adottare strategie normative in conformità con le regole sociali che di fatto legittimano la dominanza del gruppo a cui si vuole accedere.

Altri studi hanno confermato che anche la percezione di permeabilità dei confini induce queste persone a muoversi individualmente verso gruppi di status

maggiore (Ellemers,1993, Tajfel e Turner, 1979).

Ancora, tra i fattori che danno conto dell’adozione di comportamenti individuali vanno ricordati quelli relativi ad una bassa identificazione (commitment) con l’ingroup (Ellemers, Spears, Doosje, 1997). Questi studi mostrano che se

l’identificazione con il proprio gruppo di appartenenza è alta, più probabilmente verranno messe in atto strategie collettive per il cambiamento, in quanto l’individuo è motivato a restare con il suo gruppo.

Ancora gli studi di Wright sul tokenismo (Wright e al. 1990, Wright, 2001) hanno dimostrato che le strategie individuali sono quelle che le persone svantaggiate sono più inclini ad adottare, in quanto nei loro studi esse venivano attuate sia quando i confini tra gruppi venivano percepiti come completamente aperti che quando l’accesso ai gruppi dominanti era minimo, limitato a poche persone (tokenismo, ovvero concedere poco per dare una parvenza di possibilità che non corrisponde però alla realtà di fatto).

E inoltre in quest’ultima condizione gli individui intraprendevano azioni contronormative, ovvero che violano le regole sociali (Wright, 2001). Questi risultati mostrano che l’adozione di strategie collettive viene lasciata come ultima possibilità, preferendo sempre invece il vantaggio personale e il miglioramento al livello individuale (Caricati, 2006).

Come detto sopra però, le strategie individuali di fatto confermano lo status quo, in quanto trovano ragion d’essere nella constatazione dell’esistenza di differenze che sono riconosciute come illegittime, se no non avrebbero senso gli spostamenti individuali per migliorare le proprie condizioni. Di fatto quindi le azioni collettive, che comportano una volontà di cambiamento delle differenze sociali, vengono declassate e a loro vengono preferite i comportamenti che non modifichino l’ordine costituito ma che arrechino vantaggi personali.

In questo senso il tokenismo è stato letto come un modo attraverso cui i gruppi dominanti mantengono la loro posizione privilegiata, concedendo a poche persone di raggiungere uno status più alto e riducendo così le possibilità di un comportamento collettivo che invece metterebbe a rischio la loro posizione (Caricati, 2006).

Le strategie individuali tuttavia non sono le uniche a sancire una legittimazione delle disuguaglianze sociali, funzione che sembrano svolgere solo i comportamenti collettivi incentrati sulla competizione realistica o sociale, e che vengono messi in atto solo, quando falliscono i tentativi individuali e i confini sono percepiti come impermeabili ma le differenze come illegittime e il sistema come instabile.

Anche le strategie collettive incentrate sulla creatività infatti riconoscono di fatto le diversità tra i gruppi senza metterle in discussione, almeno fino a che mantengono il confronto sulla dimensione su cui si rilevano le differenze.

In questo senso se esiste una percezione sì di illegittimità, ma anche di stabilità del sistema e delle differenze sociali e /o di impermeabilità dei confini, più facilmente i gruppi svantaggiati ricorreranno a strategie incentrate sulla creatività che non sul conflitto, in quanto risulta difficile immaginare alternative allo status quo (così come l’attuazione di strategie individuali) e quindi si punta alla rivalutazione del proprio gruppo, pensando di non poter cambiare la società (Caricati, 2006).

In conclusione sono limitate le condizioni che portano ad un cambiamento sociale incentrato su azioni collettive,e cioè una percezione di illegittimità delle differenze necessariamente unita ad una percezione di instabilità del sistema e di impermeabilità dei confini. Queste tre condizioni devono essere compresenti in queste precise forme affinché ci sia cambiamento sociale; se anche una di queste scompare o assume altre forme infatti, il ricorso a strategie individuali o creative -che di fatto mantengono lo status quo –, risulta preponderante.

Questo implica anche che se la società è percepita come sicura (ovvero legittima e stabile), e spesso i gruppi sono portati a definirla tale, sia i dominanti che i dominati, i membri più svantaggiati possono mostrare più facilmente favoritismo verso l’outgroup in quanto non intravedono nessuna possibilità di cambiamento, e quindi ricorrono a discriminazioni positive per ridurre la dissonanza cognitiva derivante dall’appartenere a gruppi svantaggiati e dal bisogno di credere che un sistema che prevede tali differenze sia giusto (System justification Theory,SIT, Jost, Banaji, 1994).

Allo stesso modo i membri dei gruppi dominanti daranno portati a discriminare maggiormente e negativamente verso i dominati per giustificare e mantenere lo status quo che dà loro una posizione di prestigio (System justification Theory,SIT, Jost, Banaji, 1994).

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