IL COMPOUND A CARICA ORGANICA
12) Modello di realizzazione del coMpound
Nello scenario industriale, le informazioni riguardo i singoli componenti che formano il compound sono di secondaria importanza rispetto alle modalità che indicano come, queste componenti, vengono mescolate. Un materiale compound può infatti presentare caratteristiche completamente diverse pur mantenendo la stessa formulazione, semplicemente cambiando le metodologie con il quale gli “ingredienti”
vengono mischiati. Per questo motivo, successivamente all’identificazione delle singole matrici che compongono il compound, si devono definire tutte le procedure necessarie alle singole componenti per trasformarsi nel compound finale. Nei paragrafi che seguiranno andremo quindi ad approfondire le fasi che le componenti dovranno affrontare, in ordine sequenziato, cercando di chiarire al meglio in che modo vengono trattati i materiali e quali trasformazioni o alterazioni subiscono durante il processo.
12.1) preparazione e raccolta dello scarto poliMerico e del solido urbano.
L’origine del processo di trasformazione degli scarti parte da molto lontano rispetto ai laboratori nel quale viene svolto, parte infatti dalla preparazione dello scarto, svolta dagli operatori in stabilimento. Nella realtà del sistema ideato, la preparazione dello scarto consisterebbe in una corretta divisione delle tipologie di polimero
dopo una macinatura preliminare, con un adeguato input di tracciabilità allegato ai contenitori dei materiali. Attraverso accordi con il laboratorio esterno, si deciderà anticipatamente chi dovrà prendersi carico delle attività di pulizia; naturalmente a fronte dei requisiti gestionali ed economici da mantenere. Successivamente alla fase di preparazione dello scarto, comunque compresa di imballaggio e stoccaggio, seguirà la fase di raccolta da parte degli enti aziendali predisposti a tale attività.
Anche in questa fase, si dovrà valutare la divisione delle attività tra gli attori di mercato appartenenti alla filiera.
L’assegnazione delle attività di raccolta sarà gestita sulla base del modello di business che l’azienda intenderà seguire, definendo di conseguenza quale attore del sistema sarà incaricato delle attività di raccolta. La distribuzione dell’attività sarà valutata tra il laboratorio esterno, che andrebbe a raccogliere la propria materia prima, e gli attuali gestori della raccolta rifiuti, che dovranno apportare modifiche alle loro procedure di spostamento, non portando più i rifuti in discarica ma ad altre aziende specializzate nella trasformazione. L’implementazione del nuovo modello di produzione trasformerà le attuali attività di raccolta rifiuti in semplici attività di spostamento risorse; i costi di conferimento dei rifiuti diventeranno costi per la gestione della materia prima, mentre i costi di smaltimento verranno trasformati in costi di trasformazione, generanti valore economico ed un conseguente basso impatto ambientale.
La configurazione della tipologia di accordi commerciali sarà da valutare sulla base dei modelli di business che dialogano nel sistema, ma ricadrà essenzialmente su tre possibili soluzioni. La prima, molto semplice ma con una richiesta maggiore di investimenti, vedrà l’ente esterno di trasformazione acquisire gli asset fisici per lo spostamento dei rifiuti, attraverso l’acquisto o il noleggio a coloro che attualmente ne sono proprietari, gestendo internamente la fornitura. La seconda possibilità, richiedente maggior sforzo organizzativo ma con minore necessità di investimenti prolungati, consiste nella realizzazione di rapporti commerciali con gli attori dello smaltimento rifiuti, finalizzati alla riorganizzazione delle attività di raccolta; in modo da garantire ai conferitori dei rifiuti vantaggi economici maggiori nella fornitura del rifiuti al laboratorio piuttosto che alle discariche. La terza ed ultima possibile configurazione aumenterebbe notevolmente il carico gestionale dell’azienda produttrice rispetto alle precedenti, dovendo questa prendersi responsabilità della raccolta e del conferimento dello scarto fino al laboratorio esterno. In questa possibilità, l’azienda dovrebbe stringere accordi con gli attuali gestori dei rifiuti, convincendoli a destinare lo scarto al laboratorio e non alla discarica attraverso incentivi economici verso di loro, ma in favore di un minore prezzo della materia prima in ritorno allo stabilimento, da parte del laboratorio esterno. Sebbene con leggere variazioni di responsabilità, le possibilità di gestione della raccolta e della preparazione passano da queste tre strade, nel quale deve essere distribuita equamente la responsabilità gestionale ed economica, almeno tra i tre attori che svolgono un ruolo chiave: il laboratorio esterno, l’ente di smaltimento e l’azienda produttrice dello scarto.
12.2) preparazione chiMica/fisica degli input.
Una volta che lo scarto plastico ed il rifiuto solido urbano raggiungono fisicamente il laboratorio esterno, si può partire con la preparazione vera e propria dei materiali.
Da questo momento in poi, i materiali polimerici ed organici dovranno essere lavorati al fine di ottenere la processabilità della tecnologia finale. Il primo step che tali
materiali affronteranno è la divisione nelle rispettive aree di stazionamento, nel quale sono predisposte le attività ed i macchinari necessarie alle lavorazioni da eseguire.
Da questa fase in poi, è utile percorrere le attività necessarie alle due matrici in modalità separate, sebbene alcune attività siano le stesse; ad esempio, dopo la divisione, le due tipologie di materiale affrontano un processo di deumidificazione, nel quale verranno settati parametri e tempistiche specifiche, per il polimero termoplastico o per gli scarti di caffè.
Scarto di caffè: All’arrivo in laboratorio, lo scarto di caffè presenta numerose criticità, per cui bisogna provvedere necessariamente al fine di garantire la processabilità nella fase di compounding. Le maggiori criticità rilevate riguardano:
L’elevata carica di umidità dei campioni di caffè;
La muffa formatasi durante lo stazionamento;
La tendenza del macinato a compattarsi;
Un fortissimo odore emanato nelle aree di trasformazione.
Le problematiche appena esposte possono essere risolte prevedendo nella fase di pre-miscelazione un essicazione molto spinta, in grado di abbattere la carica di umidità del materiale. L’umidità residua viene successivamente ridotta dai processi di deumidificazione che, come anticipato, sono similari anche per il materiale termoplastico. In più, è importante che gli scarti di caffè processati non presentino contenuti inquinanti o impurità da parte di materiali diversi, per cui è importante effettuare una scrupolosa selezione dei campioni di caffè ricevuti. Nel caso si
volesse invece integrare la matrice organica con scarti di caffè provenienti anche da cialde, bisognerebbfare prima effettuare un’attenta analisi preliminare del materiale della cialda, verificando la compatibilità di tale materiale con la matrice polimerica.
Matrice polimerica: Nel caso del Polipropilene, appartenente alla famiglia dei termoplastici, vengono riscontrate minori criticità. I pochi vincoli sul quale bisogna porre attenzione riguardano prettamente la corretta tracciatura e pulizia dei polimeri
di scarto, assicurandosi che la percentuale di matrice inserita nel compound finale sia 100% PP proveniente da processi di rimacinatura fisica, senza la contaminazione di altri materiali. Il granulato finale non dovrà presentare contenuto di polveri dovuta allo stazionamento o sporcizia causata da una gestione superficiale dello scarto, e dovrà perciò essere pulito prima di transitare nella fase di compounding. In ultimo, i polimeri termoplastici, come il caffè, presentano la tendenza ad accumulare
umidità durante le fasi di stoccaggio e trasporto, anche in questo caso risulta quindi necessario deumidificare i polimeri prima di processarli, anche senza l’essiccazione iniziale.
12.3) fase di coMpounding.
La fase di compounding prevede la miscelazione della matrice organica, della matrice polimerica e degli additivi attraverso la tecnologia di estrusione bivite,
necessaria per la miscelazione di matrici con caratteristiche chimico/fisiche diverse.
In più, l’Impianto specifico di Ideaplast è nato specificatamente per ottenere compound caricati con prodotti di origine organica, fortemente umidi. La polvere di caffè ha presentato infatti, durante le prove sperimentali, una percentuale di umidità molto elevata, che si dovuta abbattere in modo considerevole prevedendo un impianto di caricamento dei materiali con un essicatore integrato, posizionato a monte. L’essiccatore deve infatti essere in grado di alimentare un dosatore
gravimetrico per il dosaggio delle polveri, all’interno dell’estrusore, ed essenziale per l’inserimento delle matrici.
Tutto l’impianto sarà a ciclo chiuso e permetterà, una volta inseriti i materiali, di non dover più effettuare trasferimenti tra le varie componenti. L’attività di compounding si avvia partendo dal corretto inserimento delle matrici nei dosatori, generalmente 2 o 3, collegati direttamente al nucleo principale dell’impianto, ovvero l’estrusore bivite.
Le parti dell’impianto che definiscono le fasi lineari del processo di compounding, partendo dall’origine, sono le seguenti:
Essicatore per polveri: componente novità di tale impianto nel quale si abbina alla fase di carimento un essicatore specifico per le polveri alimentari, così da abbattere l’umidità delle polveri e permetterne la lavorazione. L’essicatore dovrà perciò essere studiato in maniera specifica per permettere il dosaggio delle polveri in macchina, e parallelamente abbattere l’umidità del caffè in tempi rapidi. L’impianto è infine dotato di aspirazione e della cappa per raccogliere gli odori provenienti dalle polveri.
Impianto di aspirazione: lungo tutta la linea di trasformazione si raccolgono i fumi e gli odori dell’impianto, evitando che questi vengano rilasciati nell’ambiente di lavoro, rendendolo insalubre.
Dosatore per polveri: è l’elemento collegato all’essicatore che alimenterà la polvere di caffè all’interno dell’estrusore, permettendo un corretto dosaggio della polvere di caffè.
Dosatore per additivi: utilizzato per inserire gli additivi all’interno del compound, necessari da una parte per amalgamare matrice e polvere e dall’altro per ottenere le caratteristiche finali del materiale.
Dosatore per granuli: viene utilizzato un terzo dosatore per inserire la matrice plastica all’interno dell’estrusore, sempre mantenendo monitorati i parametri di inserimento del polimero.
Estrusore bivite: estrusore dotato di doppia vite co-rotante, adatto alla miscelazione di polveri organiche e polimeri plastici, con aspirazione e ingresso dosatori lungo diversi punti della linea di trasformazione.
Taglio ad immersione: a valle dell’estrusore avviene infine un taglio ad
immersione, ovvero, in una vasca contenente acqua, verrà tagliato il trafilato estruso dal macchinario per ottenere i singoli granuli, al termine del quale si prevederà un sistema per abbattere l’umidità dei granuli finali.
Polverizzatore: a valle dell’impianto si potrà facoltativamente adottare un polverizzatore sequenziato alla vasca di taglio, per diminuire la granulometria del prodotto, ma soprattutto per ottenere una configurazione della materia prima lavorabile anche dalla tecnologia rotazionale. Qualora si decidesse di dedicarsi solamente allo stampaggio ad iniezione, si potrà invece valutare, secondo la modularità dell’impianto, di collegarlo direttamente ad una pressa ad iniezione, modificando però l’impianto di alimentazione con la parte di essicazione del caffè.