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Modernizzazione ecologica: la ristrutturazione ecologica della modernità

Capitolo I: La questione ambientale in una prospettiva sociologica

7. Modernizzazione ecologica: la ristrutturazione ecologica della modernità

All’interno di quelle che Buttel (2003) definisce le scienze sociali della riforma ambientale, la modernizzazione ecologica svetta tra i più forti e diffusi concetti che hanno dato origine ad un apparato teorico. La nozione di modernizzazione ecologica viene definita da Mol come l’interpretazione sociale e scientifica dei processi e delle pratiche di riforma ambientale su di- versa scala (Redclift, Woodgate, 2010: 64). Il presupposto di questa teoria sta nel sostenere la trasformazione - un vero e proprio shift - dei processi industriali verso una traiettoria che tenga conto dei limiti ecologici della cosiddetta base di sostentamento. In tale visione la crisi ambien- tale può essere superata senza uscire dal percorso della modernizzazione, ma piuttosto attraver- so una ristrutturazione dei processi di produzione e consumo.

Il termine ‘modernizzazione ecologica’ è stato lanciato negli anni Ottanta da Martin Janicke e Joseph Huber e inserito nel dibattito sociologico negli anni Novanta per opera di Arthur Mol e Gert Spaargaren, i padri di questo concetto e della sua problematizzazione teorica,

dell’applicazione empirica e del suo utilizzo da parte del mondo politico come quadro in cui in- serire le proprie riforme ambientali (soprattutto in Germania, Olanda, Gran Bretagna e Cina).

Nel dibattito che ruota attorno alla modernizzazione ecologica, il termine assume una doppia accezione: da una parte la modernizzazione diviene un concetto teorico utile per l’analisi dello sviluppo richiesto alle istituzioni delle società moderne per fronteggiare l’onerosa questione del- la crisi ecologica (Spaargaren, Mol, 1991). «A questo livello, la modernizzazione ecologica può essere vista come un’alternativa ad altri concetti ed analisi della relazione che intercorre tra lo sviluppo istituzionale in diversi settori della modernità e dell’ambiente» (Spaargaren, 1997: 76). Dall’altra parte, ad un livello più concreto, il concetto di modernizzazione ecologica diviene un programma volto ad indirizzare le politiche ambientali, incorporando tutte quelle strategie e quelle misure utili a contrastare i problemi ambientali.

Uno dei più importanti fautori della teoria della modernizzazione ecologica è Huber (1982, 1985), che inserisce le sue riflessioni nel quadro delle teorie sulla società: la modernizzazione ecologica si configura come una fase storica della società industriale, riconoscendo alla logica dell’industrializzazione un ruolo chiave nello sviluppo delle società moderne16. Huber (1985) sostiene che al cuore della modernizzazione ecologica ci stiano due intenzioni progettuali fina- lizzate alla ristrutturazione dei processi produttivi e di consumo. Da un lato c’è il cambiamento fisico di tali processi mediante lo sviluppo e la diffusione di nuove tecnologie, che rendano la produzione più pulita e più smart. Obiettivo primario di questa trasformazione è quello di sgan- ciare lo sviluppo economico dall’uso di grandi quantità di risorse naturali, abbassando altresì l’emissione di sostanze di scarto nocive. L’autore definisce questo processo come ecologizza-

zione economica. Il secondo progetto sotteso alla modernizzazione in chiave ecologica è quello

dell’economizzazione ecologica mediante l’assegnazione di un valore economico alla natura, in modo che l’ambiente venga riconosciuto come elemento chiave dei processi economici e politi- ci. Come scriveva Simonis (1989: 358): «Aldilà del lavoro e del capitale, la natura è il terzo fat- tore di produzione veramente quiescente e sfruttato. Come si può rinforzare la posizione della natura nel gioco economico?». La teoria della modernizzazione ecologica concettualizza la na- tura come una delle due sfere (insieme al mondo vitale) che il sistema industriale e le sue dina- miche minacciano. Alla base dei due necessari processi - l’ecologizzazione economica e l’economizzazione economica - c’è l’idea che, alla fine del secondo millennio, le società assiste- ranno ad un “movimento centripeto degli interessi ecologici, delle idee e delle considerazioni rispetto alla strutturazione delle proprie istituzioni” (Redclift, Woodgate, 2010: 65). Tale movi- mento si tradurrà in una ristrutturazione ecologica della modernità, con particolare attenzione ai processi produttivi delle società moderne. Per Mol e Spaargaren (citati da Redclift, Woodgate,

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Le tre fasi che Huber rintraccia nello sviluppo della società industriali sono a) la svolta industriale; b) la costru- zione della società industriale; c) la trasformazione ecologica del sistema industriale attraveso percorsi di “super in- dustrializzazione”. Per il passaggio ad una ecologizzazione dell’industria hanno un ruolo centrale l’invenzione el a diffusione di nuove tecnologie.

2010: 66), questa ristrutturazione ecologica è concettualizzabile ad un livello analitico come la crescente autonomia, indipendenza o differenziazione di una razionalità ecologica a fronte delle altre razionalità. Razionalità ecologica che iniziò a svilupparsi tra gli anni Settanta e gli anni Ot- tanta, concretizzatasi ed istituzionalizzatasi in diverse forme: leggi volte alla protezione dell’ambiente, dipartimenti ed organizzazioni governativi, partiti politici verdi, etc. Contempo- raneamente in quegli stessi anni andava diffondendosi nella società civile l’ideologia verde, rappresentata dai movimenti ambientalisti e dalle organizzazioni non governative17. Siamo negli anni Ottanta, la razionalità ecologica è sempre più sconnessa ed indipendente dalle razionalità socio-ideologiche e questo processo sta lentamente contagiando la sfera economica, step decisi- vo per il consolidamento della questione ecologica, all’interno della quale rientrano gli innova- tivi strumenti dell’analisi e del giudizio dei processi di consumo e produzione sia dal punto di vista economico sia ecologico. Seguendo Huber (1985), di fondamentale importanza risulta il monitoraggio degli effetti ambientali di produzione e consumo e, insieme ad esso, la monetariz- zazione degli effetti ambientali: queste due pratiche consentono di tenere sempre in considera- zione i costi dell’uso che facciamo delle risorse ambientali. Una volta valutati e resi visibili i co- sti della gestione e del trattamento dei beni ambientali, le aziende razionalmente operanti intra- prenderanno quel processo di modernizzazione ecologica della produzione volto a massimizzare l’output produttivo minimizzando al contempo gli input (risorse naturali), ricorrendo anche a nuovi modi di produzione volti a ridurre le esternalità ambientali negative. Negli anni Novanta in molti paesi occidentali si inizia a parlare di raccolta differenziata, di gestione ambientale nelle aziende, di valutazione degli impatti ambientali; emergono in questo periodo le cosiddette eco- tasse e le prime ecolabels: queste innovazioni e questi cambiamenti, nel quadro della teoria del- la modernizzazione ecologica, si configurano come cambiamenti istituzionali, ovvero a carattere semi-permanente. Produttori, consumatori, ma anche istituti di credito, associazioni di commer- cianti e settori di multi utilities entrano progressivamente nei processi di ristrutturazione eco- nomica, di innovazione e riforma, andando a sommarsi alle agenzie adibite alla tutela ambienta- le e ai movimenti ambientalisti. Questi attori contribuiscono alla costruzione di una nuova rela- zione tra stato e mercato nell’ambito della governance ambientale, mirando ad un progressivo coinvolgimento del mercato alla preoccupazione ecologica, ad esempio mediante un rinnovato valore monetario delle merci a seconda del loro impatto ecologico e spesso ripensando i prodotti e i servizi stessi (Redclift, Woodgate, 2010: 68). Emerge con forza dall’approccio della moder- nizzazione ecologica come la crisi ambientale possa essere considerata un mezzo per un proces- so di ulteriore razionalizzazione della società, in cui vanno a formarsi nuovi sottosistemi per fronteggiare le questioni ecologiche, non adeguatamente trattate dalle istituzioni esistenti. Il framework di riferimento è quello della teoria della modernizzazione, dibattuta da Weber e Par-

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Tuttavia Giddens (1994) sostiene che solo a partire dagli anni Ottanta l’ideologia verde raggiunge uno status indipendente non più riconducibile alle vecchie ideologie politiche (socialismo, liberalismo e conservatorismo).

sons e più recentemente da Habermas e Luhmann. Anche Touraine è una figura molto citata dal- la letteratura sulla modernizzazione, anche quella ecologica, in particolare nel dibattito sulla ra- zionalizzazione e sul rapporto conflittuale tra razionalizzazione formale, tecnica e sostanziale (Touraine, 1995).

La teoria della modernizzazione ecologica non rappresenta solo un framework teorico per analizzare le relazioni tra la struttura istituzionale della società moderna e la questione ecologi- ca, ma si presenta altresì come vero e proprio programma politico volto a costruire un percorso d’uscita dalla crisi ambientale. La modernizzazione ecologica come programma socio-politico fa riferimento allo sviluppo storico-empirico delle politiche in ambito ambientale che ha coin- volto diversi paesi occidentali tra gli anni Settanta e gli Ottanta. A tal proposito, esistono molti studi rispetto ai cambiamenti nelle pratiche discorsive e nella comparsa di nuove ideologie nell’arena politica e sociale. La politica globale ha a diversi livelli riconosciuto l’importanza (e l’interesse) di preservare l’ambiente e le risorse naturali anche nel quadro della solidarietà inter- generazionale: a partire dagli anni Settanta l’agenda politica ha recepito sempre di più la neces- sità di una riforma ambientale, nonostante le interpretazioni e la traduzione in strategie e prati- che rimanga estremamente eterogenea da nazione a nazione.

Nel quadro teorico della modernizzazione ecologica, la trasformazione in chiave ecologica è vista ed analizzata come «la logica, necessaria ed inevitabile fase nello sviluppo del sistema in- dustriale: il sistema si auto-corregge per la sua colpa di negligenza ecologica» (Spaargaren, 1997: 79). Questa forma di ottimismo tecnologico, ma anche politico, è strettamente correlato al concetto di sviluppo sostenibile come elaborato nel celebre Rapporto Brundtland (WCED, 1987).

L’idea che gli sviluppi indotti dalla tecnologia nel sistema industriale siano il motore del cambiamento socio-ecologico mostra come la modernizzazione ecologica si caratterizzi per una visione tecnologicamente deterministica dello sviluppo sociale, propria di tutte le teorie sulle società industriali, focalizzata sugli aspetti industriali piuttosto che su quelli capitalistici della società moderna, collocandosi in diretta opposizione alle tesi della contro produttività e a quelle della de-modernizzazione, identificando nella industrializzazione stessa (nella superindustrializ- zazione) la possibile via d’uscita dalla crisi ambientale (Spaargaren, 1997). Questo determini- smo tecnologico si riscontra negli studi tipici degli anni Ottanta sulla costruzione sociale dello sviluppo tecnologico (si vedano ad esempio Hughes, 1986 e Bijker, Hughes, Pinch, 1987) che dal punto di vista teorico cercavano di combinare gli approcci orientati all’attore e quelli orien- tati al sistema per spiegare il cambiamento sociale.

Il focus centrale nello sviluppo del sistema industriale, e quindi nella ristrutturazione ecolo- gica della produzione e del consumo, non coinvolge nemmeno il treadmill della produzione di Schnaiberg (1980).

Come abbiamo visto, l’innovazione tecnologica e i suoi attori giocano un ruolo centrale all’interno di questa teoria, primo fra tutti il sistema industriale. Il ruolo dello stato invece risulta abbastanza marginale nel reindirizzare i processi di produzione e consumo. Huber (1989a) addi- rittura vede nell’intervento dei governi un ostacolo per lo sviluppo a lungo termine dei processi innovativi18. Tuttavia oggi sembra impossibile pensare al processo di modernizzazione ecologi- ca senza un coinvolgimento multilevel dello stato. Negli anni Ottanta, quando questa teoria di- venne ufficialmente il paradigma dominante, non solo essa contribuì a soppiantare la visione an- titetica tra ambiente e crescita economica con il concetto positivo di sviluppo sostenibile, ma portò con sé una ridefinizione del ruolo dello stato nel suo rapporto con la società civile, rivalu- tando anche il ruolo dei movimenti ambientalisti, responsabili attivi del nuovo interesse politico per le questioni ambientali proprio degli anni Ottanta (Spaargaren, 1997).

La modernizzazione ecologica come teoria del cambiamento sociale ha contribuito alla rottu- ra con le prospettive di demodernizzazione, dominanti negli anni Settanta, sia rispetto alla teoria della contro produttività, sia rispetto a tutte le visioni radicalmente orientate all’ecologia. Il suo obiettivo, in quanto teoria formalmente riconosciuta, è ben sintetizzato da Hajer: «(…) definire la natura come un nuovo ed essenziale sottosistema e sviluppare una specifica gamma di concet- ti sociali, economici e scientifici che renda le questioni ambientali calcolabili e - facendo questo - facilitare l’integrazione della razionalità ecologica come variabile chiave nel social decision making» (Hajer, 1996: 252).

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Huber ricorre alla metafora del Leviatano di Hobbes per dipingere un’immagine minacciosa e poco desiderabi- le dell’intervento statale.

Capitolo II

Modernità riflessiva e questione ambientale

Nel precedente capitolo abbiamo presentato una breve rassegna sulla nascita e sullo sviluppo della sociologia dell’ambiente, descrivendo i principali approcci teorici che hanno plasmato ne- gli anni la disciplina, inserendoli nel contesto socioculturale e temporale che via via li ha visti maturare.

Abbiamo visto come a partire dagli anni Settanta i temi ecologici si sganciano dagli interessi politici ed ideologici, favorendo l’apertura di un dibattito ambientale dapprima nella società ci- vile e nel mondo accademico e successivamente in quello politico, raggiungendo la cosiddetta istituzionalizzazione delle questioni ambientali. Ma è solo nel decennio successivo, seguendo anche quanto sostenuto dai modernizzatori ecologici (si vedano ad esempio Huber, 1985a, 1991a; Spaargaren, Mol, 1992), che i problemi ambientali iniziano a “fuoriuscire” dall’agenda politica dei paesi occidentali industrializzati facendo il loro ingresso anche nella sfera economi- ca19. Di questo decennio anche il Rapporto Brundtland (WCED, 1987) che ha introdotto il con- cetto chiave di sviluppo sostenibile veicolandolo al mainstream. Siamo in quella che i teorici della modernizzazione ecologica definiscono “la seconda ondata ambientalista”, che negli anni Ottanta vede mutare la relazione tra economia ed ecologia e dove quest’ultima si sviluppa come sfera autonoma in quanto settore specifico, dotato di una propria razionalità nella relazione con le dimensioni politica, culturale ed economica. È in questa fase che prende avvio la transizione dalla società industriale verso una organizzazione della produzione e del consumo ecologica- mente più razionale. Meccanismi come le ecotasse, le valutazioni di impatto ambientale ed un nuovo stimolo per una produzione (ed un consumo) ecologici sono stati i principali mezzi per una economizzazione dell’ecologia che a sua volta porta con sé una ecologizzazione dell’economia (Huber, 1982), che a partire dagli effetti su produzione e consumo investe via via le varie istituzioni della società moderna. Per Huber (ibidem) l’ecologia come l’economia pos- sono beneficiare delle moderne tecnologie, e la costruzione di una razionalità ecologica non ri- chiede di smantellare o rinnegare le istituzioni moderne, si tratta piuttosto di un processo di pro- gressiva modernizzazione della e all’interno della stessa società moderna.

È proprio in questa fase temporale, tra gli anni Ottanta e Novanta, che si situano le opere di Beck e Giddens che andremo di seguito ad analizzare. I due sociologi si collocano in linea con il dibattito sulla questione ecologica portato avanti dalla sociologia dell’ambiente e precedente- mente affrontato, proponendo due visioni delle società - rispettivamente della risk society e della

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Seguendo Huber (1985), questa istituzionalizzazione prima politica e poi economica della questione ambientale è il punto di svolta tra la prima ondata ambientalista e la seconda, poiché è proprio a partire da quest’ultima che l’ambiente inizia ad essere concepito come elemento intrinseco - e non più esterno - rispetto alle dimensioni di pro- duzione e consumo.

juggernaut society - volte all’analisi del rapporto tra modernità e crisi ambientale (Beck, 1987,

1991, 1992a, 1992b, 1995a, 1995b, 1997, 1998a; Beck et al. 1994; Giddens, 1991, 1994, 1998, 1999a, 1999b, 2009).

Prima di loro le conseguenze sociali della modernità sono state indagate da diversi sociologi a partire da Weber (1945 [1904-5]), Tonnies (1979 [1887]), Durkheim (1962 [1893]) e Marx (1945 [1889]), ma negli ultimi decenni l’approccio allo studio della modernità è cambiato in modo significativo in particolare per due ordini di questioni, le cui origini sono entrambi attri- buibili ai cambiamenti sociali, economici e tecnologici intercorsi nell’ultimo secolo. Innanzitut- to, la cornice in cui i sociologi contemporanei si collocano è quella del capitalismo “avanzato”, spesso definito “postindustrializzazione” (si veda ad esempio Bell, 1976), “capitalismo avanza- to” (Habermas, 1970, 1975, 1998) o “nuova modernità” (Beck 1992a, 1992b, 1995a, 1998a; Beck et al. 1994). In questa condizione della modernità post, nuova, particolare attenzione è de- dicata a come le strutture del capitalismo avanzato agiscono - e agiranno - sulle proprie infra- strutture biofisiche. Siamo nel campo delle relazioni tra società e ambiente naturale, che diviene un interesse di ricerca progressivamente rilevante dato l’aggravarsi della questione ecologica a livello globale. Nel suo L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo Weber sottolineava co- me la “gabbia d’acciaio” del sistema capitalistico avrebbe resistito “fino a quando l’ultima ton- nellata di carbone non fosse bruciata” (Weber, 1945 [1904-5]), indicando con la metafora della gabbia d’acciaio l’abilità del sistema a perpetuarsi per un periodo di tempo lunghissimo ed inde- finito. Sebbene le società odierne siano molto più dipendenti dal petrolio che non dal carbone, le riserve di oro nero non riusciranno a soddisfare il fabbisogno globale di petrolio, in continua crescita, per più di un secolo (si veda il capitolo VII). Questi calcoli sulla disponibilità di risorse fossili e in generale i dati oggi disponibili sull’emergenza ambientale (si vedano ad esempio Stiglitz, Sen, Fitoussi, 2008; Stern, 2009; Jackson, 2009) mostrano la gravità della questione e- cologica e la necessità che quest’ultima venga fronteggiata dalle istituzioni. Non solo la socio- logia dell’ambiente, ma anche la disciplina generale sta dedicando un’attenzione crescente a quella che Habermas definì «la crescita esponenziale della popolazione e della produzione (…) che un giorno dovrà scontrarsi con i limiti della capacità biofosica dell’ambiente» (Habermas, 1975: 42). Problemi ambientali più o meno nuovi richiedono nuovi modi di pensare e teorizzare la relazione tra la questione ambientale globale e la modernità globale.

La questione ecologica rientra tra le trasformazioni della società tardo-moderna descritte e teorizzate, tra gli altri, da Ulrich Beck e da Anthony Giddens. Allarmi ambientali - il clima che cambia, eventi naturali distruttivi come uragani o inondazioni o i disastri tecnologici - che gene- rano crescenti incertezze ed ansie nel sistema sociale.

Lo stato di incertezza descritto in particolare da Beck non riguarda solo gli enormi rischi e- semplificati dall’autore con il disastro nucleare di Chernobyl, (pensiamo anche alla deforestazio- ne, alla perdita di biodiversità e al cambiamento climatico, questioni dalle conseguenze globali),

ma investe anche una dimensione su scala più micro, sia a livello di rischio sia a livello spaziale, in cui rientrano, ad esempio, problemi locali legati alla fornitura di acqua potabile nelle reti do- mestiche o le questioni sociali ed ambientali che scaturiscono dall’apertura di una discarica20.

Inserire i problemi ambientali nel frame della modernità, qualunque sia la scala spaziale che essi investono, significa dare la priorità all’analisi del rischio insito nella modernità stessa (Beck, 1992a; Dietz, Frey, 1992; Giddens, 1991), e al modo in cui le persone gestiscono questa dimensione della crisi ambientale nella loro vita quotidiana. Il focus sulla dimensione del ri- schio ambientale propria di questa nuova fase della modernità diviene un elemento cerniera tra la sociologia generale e la sociologia dell’ambiente, in particolar modo con la teoria della mo- dernizzazione ecologica.

Il presente capitolo risponde all’esigenza di inserire il nostro lavoro in una cornice teorica che fornisca categorie concettuali spendibili sia nella descrizione dei problemi ambientali sia per l’indagine del mutamento sociale e culturale e dei suoi attori. Inserirsi nel framework della teo- ria sulla seconda modernità permette di focalizzare l’attenzione sui processi ambientali come motori del cambiamento sociale, sia all’interno del più ampio dibattito sulla questione ecologi- ca, sia rispetto alle varie prospettive sociologiche utilizzate per leggere le complesse relazioni tra società ed ecosistemi. Attraverso il dibattito teorico sulla modernità è possibile inoltre con- nettere la tematica ambientale alla crescita economica, al tema dell’evoluzione della scienza e della tecnologia, così come all’indagine degli attori, istituzionali e non, che contribuiscono alla degradazione, così come alla gestione e al controllo delle problematiche ambientali.

Per questo riteniamo che le teorie di Beck e Giddens rappresentino un framework significati- vo, introducendo categorie concettuali nuove e utili per indagare il dibattito ambientale in corso (e gli attori coinvolti) nella presa di coscienza globale rispetto ai rischi ambientali. Pur nella loro diversità (come si vedrà nel paragrafo VII) riteniamo che la modernizzazione ecologica abbia in sé elementi di continuità con la teoria della modernità riflessiva e che possano entrambi rappre- sentare un approccio importante ai fini di questo lavoro.

Il “modernizzatore ecologico” Huber, come Beck, rintraccia un nesso causale tra la trasfor- mazione istituzionale propria della tarda modernità e la crescente rilevanza dei problemi am- bientali nella nostra società. Inoltre entrambi gli autori concordano sui tempi della transizione tra prima e seconda modernità: la fine del periodo di costruzione economica (Huber, 1991), do- minato dalla logica della distribuzione materiale della ricchezza (Beck et al., 1994) è per en- trambi collocabile negli anni Settanta. Spaargaren (1997) è un deciso sostenitore del contributo che Beck e Giddens possono fornire alla teoria ambientale della modernizzazione ecologica e ha rintracciato una serie di punti comuni, pur riconoscendo anche le profonde divergenze tra i due approcci.

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L’ampiezza e la complessità dei problemi ambientali e della varietà di scale che essi investono, dal locale al globale, rendono il rischio un oggetto molto complesso da indagare (Beck, 1992a).

La teoria sulla società del rischio inserita nel framework della modernità riflessiva fornisce importanti spunti alla modernizzazione ecologica rispetto alle seguenti tematiche: 1) le ansie degli attori civili non specializzati rispetto alle tematiche ambientali e ai rischi ad esse connessi