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La progressiva detronizzazione del monopolio di scienza e tecnologia

Capitolo I: La questione ambientale in una prospettiva sociologica

4. La progressiva detronizzazione del monopolio di scienza e tecnologia

Abbiamo visto come una caratteristica saliente della nostra società globale sia il raggiungi- mento di elevatissimi livelli di diffusione di scienza e tecnologia, ambiti che, ci dice Beck, nes- suno comprende appieno e che generano un ampio ventaglio di scenari possibili. È nella transi- zione dalla fase della modernizzazione semplice a quella della modernizzazione riflessiva che queste due istituzioni diventano progressivamente più rilevanti e al contempo più problemati- che. Nella fase della modernizzazione semplice, scienza e tecnologia rappresentavano le chiavi per aprire le porte della prosperità materiale, e la loro legittimazione sociale stava proprio nella loro funzione di attenuazione/compensazione dei bisogni materiali. Ma questa legittimazione viene posta sotto pressione alla fine della prima modernizzazione, innanzitutto perché i bisogni materiali della civiltà occidentale (i cosiddetti Fahrstuhleffekt31) sono stati attenuati, e poi per- ché le stesse tecnologia e scienza hanno significativamente contribuito alla modernizzazione dei rischi.

Nelle società industriali la questione principale è sempre stata, per Beck, la legittimazione della distribuzione (iniqua) della ricchezza prodotta socialmente. Ma all’interno della società del rischio la prima fonte di preoccupazione diviene la problematica mole delle conseguenze dello sviluppo economico e tecnologico, così che la logica negativa della distribuzione del rischio soppianta la logica positiva della distribuzione della ricchezza. Naturalmente sono riscontrabili delle sovrapposizioni tra la distribuzione della ricchezza e quella del rischio, grazie all’opportunità che i paesi più avanzati hanno, da un lato, di minimizzare la loro esposizione al rischio e anche per la loro maggiore possibilità d’accesso ad informazioni sul rischio. I rischi a cui le parti meno avanzate del globo sono esposti invece sono persino incrementati dall’agire dei paesi occidentali. Ad esempio, le nazioni più sviluppate ricorrono a crescenti porzioni delle ri- sorse naturali localizzate nei paesi più poveri che, oltre a vedersi sottrarre la maggior parte di tali risorse, fungono anche da depositi per gli scarti dei paesi ricchi e per tutte le attività più in- quinanti che le nazioni sviluppate - anche quelle investite da processi di modernizzazione eco- logica - allontanano dai propri spazi vitali al fine di salvaguardare questi ultimi. Questi processi socio-economici, politici ed ecologici stanno compromettendo i beni comuni globali dai quali dipende la vita dell’intero pianeta. Sintomi diffusi di quella che Giddens definisce “modernity

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under a negative sign” (Giddens, 1998: 8), che mostra non solo come non esista per le periferie del sistema mondiale un modo per sganciarsi dai paesi sviluppati, ma anche come il mondo oc- cidentale non sia minimamente in grado di sconnettersi dalla folle corsa allo sfruttamento delle risorse naturali (che giacciono oggi su gran parte del sud del mondo) e dalla smisurata emissio- ne globale di gas inquinanti, che mantengono e garantiscono i nostri elevatissimi standard di vi- ta (anche là dove uno stile di vita alto è rappresentato da frutta esotica trasportata per migliaia di chilometri perché sia disponibile sugli scaffali dei nostri supermercati a Natale).

Da una parte dunque, scienza e tecnologia hanno contribuito a soddisfare i bisogni materiali della civiltà occidentale, ma al contempo lo sviluppo di queste due dimensioni del progresso ha accresciuto il rischio potenziale dell’autodistruzione umana. Lo shock antropologico del disa- stro di Chernobyl (Beck, 1987) ha contribuito ad accrescere la consapevolezza intorno a questa reale possibilità di autodistruzione e al tempo stesso si è evidenziata la quasi totale dipendenza della società civile e della politica dal mondo dagli esperti in campo scientifico e tecnologico, che detengono tutt’ora un ruolo chiave in quanto mediatori del processo sociale di percezione, sperimentazione e valutazione dei rischi. Tuttavia nell’era della modernità riflessiva la scienza dimostra come non sia più in grado di fornire quella sicurezza di cui la popolazione necessita per ridurre le proprie ansie e le proprie paure. Non è più in grado di fungere da arbitro, dice Beck, aiutandoci a distinguere tra paure razionali ed irrazionali in maniera persuasiva (Beck, 1995b).

Secondo l’autore (Beck, 1995b, 1998a), scienza e tecnologia rappresentano due istituzioni semi-moderne che ricorrono ad idee vecchie ed obsolete nel rispondere a nuove domande: en- trambi tendono a mantenere le incertezze all’interno della loro sfera cercando al contempo di mostrare autorità nell’interazione con il mondo esterno. Ma l’odierna società globale ha assistito ad una trasformazione delle relazioni tra attori non specialisti (i lay-actors) ed esperti (gli scien- ziati), tra la scienza e gli attori “profani” interessati alle questioni ambientali, altamente infor- mati, e in queste nuove relazioni l’incertezza scientifica non è più solo una questione interna, riconosciuta e gestita solo dalla comunità scientifica, ma fuoriesce all’esterno, nel mondo dei non specialisti. È proprio questa fuoriuscita che, secondo Beck, porta ad un’auto- demistificazione di scienza e tecnologia, che vengono progressivamente detronizzate nel corso del processo di modernizzazione. Nella transizione verso la modernità riflessiva, ci dice Beck (ib.), il ruolo sociale della scienza viene progressivamente minato da due fattori, uno interno ed uno esterno. Internamente, vi è la problematica posizione tipica della scienza naturale positivi- sta32 che attribuisce un indiscutibile primato al metodo scientifico e alla possibilità di scoprire

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Quella scienza positivista per certi aspetti assai affine all’illuminismo, che nella visione di Beck ha rappresen- tato una potentissima combinazione di ideali laici ed epistemologie razionaliste, poi articolate attraverso la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico. A livello collettivo, ciò ha permesso una rivoluzione del pensiero ed una nuova organizzazione sociale, politica ed economica, gettando così le basi per il progetto modernista: la conquista della na-

mediante esso le leggi generali dell’universo e di ricostruire i meccanismi insiti nella realtà, ar- rivando così a spiegare e prevedere gli eventi33.

Contemporaneamente dal mondo esterno arriva una critica sociale alla scienza là dove non è in grado di prevedere il rischio. Ci ritroviamo dunque in una situazione in cui l’istituzione che aveva condotto ad un disincantamento del tradizionale sistema di credenze, si è auto- disincantato. L’egemonia detenuta della tecnocrazia sulla società è ben illustrata dal modo in cui la scienza e la tecnologia gestiscono il rischio attraverso procedure finalizzate al mantenimento del monopolio nella diagnosi del rischio, anche quando tale monopolio viene messo in discus- sione sia dall’interno, dalla dimensione degli esperti e dei contro-esperti, sia dal mondo esterno, là dove la società civile si trova a fronteggiare nuovi rischi e ricerca delle risposte. La transizio- ne verso la modernità riflessiva e la relativa demistificazione della scienza porta con sé una isti- tuzionalizzazione del dubbio. Ma in una società in cui “la coscienza determina l’essere”, ci dice Beck (1992a), tale istituzionalizzazione del dubbio significa che gli attori non specializzati, la società civile, sono costantemente immersi nell’insicurezza. Là dove assistiamo ad un disincan- tamento rispetto alla scienza e alla tecnologia, «vivere nella società del rischio significa vivere accompagnati da un atteggiamento perenne di calcolo verso le possibilità di azione, positive e negative, con le quali ci confrontiamo continuamente, come individui e globalmente, nella no- stra esistenza contemporanea» (Giddens, 1991: 28).