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La teoria della società mondiale del rischio e la modernizzazione ecologica:

Capitolo I: La questione ambientale in una prospettiva sociologica

7. La teoria della società mondiale del rischio e la modernizzazione ecologica:

Dopo la breve analisi compiuta sulle teorie di Beck e Giddens, si nota come la prospettiva della società del rischio appaia in deciso conflitto con l’approccio della modernizzazione ecolo- gica, là dove le visioni dei due sociologi si pongono in netta contrapposizione con l’idea di cambiamento e di passaggio ecologicamente orientato insito nella modernità, come invece so- stenuto dai modernizzatori ecologici. Questi ultimi offrono una visione più costruttiva della scienza e della tecnologia moderne, assunti come mezzi per fronteggiare e risolvere la crisi eco- logica. Posizione peraltro preponderante nell’odierno dibattito ambientale, soprattutto nei paesi occidentali.

Le differenze sostanziali tra i due approcci riguardano soprattutto la relazione tra società ed ambiente e le diverse idee del cambiamento sociale. Usando le lenti della teoria della modernità riflessiva, la modernizzazione ecologica è un programma attribuibile alla fase della prima mo- dernità sia per la fiducia cieca riposta nella tecnologia e nella scienza, sia per la mancata atten- zione per le complesse dinamiche che intercorrono tra globale ed individuale, concentrando l’attenzione sulla riforma ambientale ad un livello meso, operata localmente dai governi, dai movimenti ambientalisti e dalle imprese private. Nelle condizioni della modernità riflessiva, comunque, lo sviluppo di problemi che sono sia sociali che ambientali e il tipo di soluzioni in- trodotte (le tecnologie per la produzione di energia pulita ad esempio) dipendono largamente dall’evoluzione trasversale del discorso ambientale, ovvero dalle dinamiche che si innescano tra tutti gli attori coinvolti: cittadini, movimenti, governi centrali e locali ed imprese private. Una gestione ambientale che preveda misure innovative in termini di modernizzazione ecologica po- trebbe essere compromessa dalla condotta ansiogena e diffidente degli attori non specialisti ver- so la tecnologia (Spaargaren, 1997): una turbina idroelettrica ad esempio, dai più misconosciuta, richiede in primis un uno stravolgimento del paesaggio, per cui molte persone già in prima bat- tuta potrebbero mettere al secondo posto l’obiettivo di produzione di energia pulita che un tale macchinario raggiunge, accusarlo di degradazione e deturpazione e dunque lottare perché esso non venga installato nel proprio quartiere, nella propria città (not in my backyard).

Un argomento chiave della teoria della modernizzazione ecologica è quello della razionalità

ecologica che pervade tutte le dimensioni della società nel suo processo di modernizzazione

(Mol 1995, 2001). I modernizzatori ecologici, in linea con Beck, Giddens e Lash (1996), rico- noscono la riflessività come elemento chiave della tarda modernità: le società sono propense ad un’autoanalisi critica e razionale, guidata in particolar modo dai movimenti sociali, da organiz- zazioni non governative ma anche da attori governativi, del mondo privato e del mondo scienti- fico. Questi attori, attraverso un processo riflessivo, identificano e correggono i problemi, tra cui quelli ambientali. Se nelle prime fasi della modernità era la razionalità economica a dominare, con il progredire della modernizzazione emergono nuove forme di razionalità che danno sempre più importanza alla questione ambientale. Per i teorici della modernizzazione ecologica il rico- noscimento e la consapevolezza rispetto ai temi ambientali vengono progressivamente incorpo- rati nelle scelte economiche e nello stesso tempo la valutazione economica ha fatto il suo in- gresso nella sfera degli impatti ambientali.

Altro punto centrale per la teoria della modernizzazione ecologica quello che vede le istitu- zioni della modernità - comprese i governi e le imprese multinazionali - come soggetti che agi- scono nel proprio interesse ma in una logica di sopravvivenza a lungo termine, che non possono quindi non porre la questione ecologica al centro delle loro strategie (York, Rosa, Dietz in Re- dclift, 2010). È proprio attraverso queste trasformazioni istituzionali (dunque da un approccio che potremmo definire top-down) che la riforma ecologica potrà efficacemente diffondersi, sen-

za richiedere un cambiamento sociale, politico o economico radicale (Mol, Spaargaren, 2000, 2005). «Tutte le principali alternative proposte al presente ordine economico mostrano la loro inattuabilità rispetto a vari criteri (economici, ambientali e sociali)» (Mol, Spaargaren, 2000: 23), motivo per cui gli sforzi verso un modello di sviluppo sostenibile devono mirare ad un’ulteriore modernizzazione delle istituzioni piuttosto che cercare di rimpiazzarle.

Beck invece traccia una distinzione netta tra la società industriale e la società del rischio, do- ve quest’ultima richiede cambiamenti strutturali radicali dello stato e della società civile, e a questa linea di pensiero possiamo ascrivere studiosi come Colin Campbell e Tim Jackson che sottolineano la necessità di abbandonare il nostro modello di sviluppo odierno per cercare un percorso di prosperità senza crescita (Campbell, si veda il capitolo VII; Jackson, 2009), così come la maggior parte dei movimenti ambientalisti mondiali. Peraltro Mol e Spaargaren non si soffermano molto sul ruolo che i gruppi ambientalisti o i nuovi movimenti sociali (Scott, 1990; Goldblatt, 1996; Martell, 1994) potrebbero avere nei processi di modernizzazione ecologica, mentre uno dei fulcri del ragionamento di Beck è proprio la crescente importanza assunta dai nuovi movimenti sociali e in generale dagli attori sub-politici, e del loro ruolo decisivo anche per la ristrutturazione del discorso politico. Come sostenuto anche da Buttel (2000), è sempre più importante che la sociologia ponga attenzione rispetto alla crescente ascesa dei movimenti ambientalisti come forza sociale che potrebbe rappresentare il necessario precursore rispetto ad un'effettiva riforma culturale ed ambientale.

Abbiamo visto come nella teoria di Beck - la società del rischio da un lato e la sua visione sui cambiamenti che si sviluppano nel quadro teorico della modernità riflessiva dall’altro - le questioni ambientali divengono esempi e prove del suo ragionamento. La sua visione risulta piuttosto pessimistica e non ripone molta fiducia nelle politiche e nei governi che a suo parere risultano obsoleti rispetto ai processi in corso. Mentre il sociologo tedesco stava lavorando al suo volume sulla società del rischio, i governi e successivamente il mondo delle imprese private iniziavano a prendere coscienza del fatto che i problemi ambientali generati dall’attività antropi- ca - dalla produzione industriale in primis - si sarebbero “rivoltati” sulla società come un boo- merang. Seguendo le osservazioni di Spaargaren al corpus teorico di Beck (Spaargaren, 1997), nell’opera del sociologo tedesco questo ultimo aspetto è scarsamente preso in considerazione, privilegiando invece una aspra critica rispetto al mondo industriale e alle istituzioni politiche. In secondo luogo Spaargaren sottolinea come gli scienziati ambientali (specialmente quelli che af- feriscono alle scienze naturali), non appartengano massivamente a quel mondo degli esperti ge- neratori di nuovi insicurezze e rischi oppure al circolo dei green washers, ma come spesso inve- ce vadano a creare quella rete dei cosiddetti “controesperti”, fondamentale per generare e a vei- colare nuove scoperte ed informazioni scientifiche.

Abbiamo visto anche come Giddens assuma il rischio (ad elevato tasso di conseguenza) co- me categoria centrale della tarda modernità globalizzata e come nella società sia riscontrabile

una diffusa incapacità di controllo da parte degli individui ad un livello meso rispetto a proble- matiche che sono allo stesso tempo globali e locali. Spaargaren fa notare come molti problemi ambientali - il diffuso inquinamento dovuto alle tecnologie agricole intensive o l’inquinamento chimico o idrico di certe aree - non siano completamente ascrivibili alla categoria degli high

consequence risks (Giddens, 1990) e per questo motivo rappresentano altro rispetto alla prospet-

tiva ecoallarmistica delineata dal sociologo inglese. Se possiamo ad esempio avere acqua pota- bile e non contaminata nelle nostre abitazioni, ci dice Spaargaren (1997), lo dobbiamo in primis alla tecnologia, ovvero ad un approccio di modernizzazione ecologica che investe proprio il li- vello meso.

Sia Beck sia Giddens sembrano discostarsi in maniera netta dalla prospettiva della moder- nizzazione ecologica intesa come corpus teorico e come riforma proposta, tra gli altri, da Spaar- garen, Mol ed Huber (si veda ad esempio Spaargaren, Mol, 1992; Huber, 1991). Sebbene i mo- dernizzatori ecologici riconoscano le profonde divergenze tra la loro teoria e l’impianto teorico di Beck e Giddens, hanno comunque sostenuto e promosso nel tempo il prezioso apporto che questi ultimi possono fornire allo sviluppo della sociologia dell’ambiente e alla modernizzazio- ne ecologica nella fattispecie.

Buttel, in un articolo del 2000, riconosce in maniera critica l’impossibilità di accostare la modernizzazione ecologica alle teorie della risk society e alla modernità riflessiva, individuando alcune ragioni che avrebbero spinto Mol e Spargaaren a enfatizzare il possibile legame tra la lo- ro sociologia dell’ambiente e Beck. Innanzitutto i due modernizzatori ecologici sono olandesi ed è l’Olanda il paese più interessante per i loro studi, così come lo è la Germania per Beck. Olan- da e Germania, come nota Buttel, hanno diverse analogie strutturali, in primis sono entrambi due democrazie parlamentari in cui le ideologie ambientaliste sono profondamente radicate a livello di cultura politica nazionale. Questo elemento strutturale potrebbe far dialogare le due teorie e, potenzialmente, creare una sintesi o quantomeno una base comune di lavoro (soprattut- to empirico). Ma nonostante questo humus comune da cui partono i rispettivi ragionamenti, But- tel sostiene che il vero motivo che ha spinto i teorici della modernizzazione ecologica a colle- garsi a Beck sta nel valore aggiunto che quest’ultimo, in quanto più influente sociologo degli anni Ottanta e Novanta in tutti i circoli accademici europei, può fornire ai loro lavori nel conte- sto della sociologia dell’ambiente del vecchio continente. Trovare un filo di collegamento con Beck ed i suoi lavori avrebbe fornito una maggiore legittimazione alla teoria della modernizza- zione ecologica, ovviando il vecchio problema per cui la sociologia dell’ambiente riveste un ruolo ancillare rispetto alla sociologia generale, e molti sforzi vengono orientati a trovare possi- bili legami e validazioni con quest’ultima (Buttel, 2000).

Anche ai fini di questo lavoro che ha come oggetto di studio principale un movimento che si autodefinisce culturale ed ambientalista, la sociologia dell’ambiente - la teoria della moderniz- zazione ecologica nella fattispecie - risultava insufficiente per dialogare e contenere le evidenze

empiriche che la ricerca di sfondo sul movimento delle Città di Transizione presenta e gli inter- rogativi che lo studio progressivo di questa realtà movimentista ha aperto.

Tuttavia il punto di vista da noi adottato non individua un’incompatibilità tra la teoria della modernità proposta da Beck e Giddens e quella proposta dai modernizzatori ecologici: Huber (1985) sostiene che tutte le strade percorribili per ovviare alla crisi ambientale ci conducono an- cora di più alla modernità poiché, usando le parole di Bauman (1993), le strategie per fronteg- giare la società del rischio richiedono più, non meno modernità. Se assumiamo inoltre che la modernità riflessiva “ritorna su se stessa” per indirizzare i problemi da essa stessa creati in ma- niera ecologicamente orientata, allora non si può escludere che l’ecologizzazione dell’economia e l’economizzazione dell’ecologia non rappresentino due processi insiti ed indispensabili alla modernità. Tuttavia, in accordo con Beck e Giddens, le moderne istituzioni (politica, economia, scienza e tecnologia) risultano inadeguate, obsolete a fronteggiare la società globale del rischio e, focalizzando l’attenzione sulla questione ambientale, questo è dimostrato dalla lentezza istitu- zionale della politica nazionale e transnazionale con cui, ad esempio, viene affrontato il cam- biamento climatico (definito da Stern come il peggior fallimento del mercato a cui il pianeta ab- bia mai assistito [Stern, 2006]) ed altre questioni squisitamente ecologiche37.

Ma, ci dice Beck (1992a), se le persone riescono a scongiurare il cieco fatalismo che la se- conda modernità (ed il suo rischioso profilo) porta con sé, allora probabilmente in molti sceglie- ranno di diventare membri attivi di un movimento ambientalista: è il caso del movimento ecolo- gista tedesco degli anni Settanta, che Beck definisce come espressione proiettiva delle paure e delle ansie interiori di una middle-class ben istruita e dunque cosciente rispetto ai rischi ambien- tali38. Tuttavia, continua Beck, non ci sono molte possibilità che un movimento ambientalista possa arrestare la risk society (ibidem), che si configura come un inarrestabile processo di dege- nerazione che condurrà ad una situazione sociopolitica comparabile ad un permanente stato di emergenza, in cui il governo centrale accentrerà sempre più potere appropriandosi di crescenti

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Pensando alla campagna elettorale per la presidenza statunitense, che ha visto sfidarsi Romney ed Obama, solo in occasione dell’ultimo confronto televisivo (26 Novembre 2012) i due candidati hanno sentito l’esigenza di affron- tare brevemente la questione ambientale e le possibili strategie verdi perseguibili nei loro prossimi mandati. Ipoteti- camente questa scelta potrebbe essere stata dettata dall’uragano Sandy, atteso per il giorno seguente, che ha poi colpi- to il New Jersey e la West Coast provocando ingenti problemi e costi economici, oltre a notevoli disagi all’accesso ai seggi.

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Il fatto che siano proprio le persone afferenti alla middle class ad avere una più spiccata sensibilità (e dunque consapevolezza) verso le questioni ambientali è un aspetto che riteniamo molto significativo ai fini della ricerca. In una nota al suo volume del 1997, Spaargaren osserva come in questo passaggio del volume di Beck in cui si rintraccia una correlazione tra consapevolezza ambientale e movimentismo sia chiaramente rintracciabile la connessione tra la tematica dell’individualizzazione e quella della società del rischio. È la classe media ad essere particolarmente indi- vidualizzata o “institutionally homeless” e a possedere una maggiore informazione e conoscenza rispetto ai rischi. Vi è dunque una correlazione (già indagata da Hofstee negli anni Settanta) tra l’insicurezza percepita dalla classe media, esito dei rapidi mutamenti sociali da un lato e la crescita e la diffusione dei movimenti ambientalisti dall’altro (Spaar- garen, 1997: 119).

aspetti della vita quotidiana39. Tuttavia, in questo scenario apocalittico, sono proprio i movimen- ti sociali che lasciano intravedere degli scampoli di futuri possibili, e in un certo senso sono uno dei pochi strumenti per tradurre in pratica questi futuri. Come sostenuto anche da Campbell, le istituzioni della prima modernità che oggi mostrano la loro inadeguatezza trovano legittimazio- ne nel solo obiettivo di crescita economica e, in questo quadro, solo alcuni movimenti, tra i qua- li quelli ambientalistici, promuovono un’opposizione ed un rinnovamento morale e culturale della società per trovare nuove fonti di legittimazione - slegate dalla promessa di una ulteriore crescita della ricchezza - per le decisioni collettive.

Il movimento delle Transition Town si configura come un attore sub-politico nuovo (è nato tra il 2005 e il 2007 in Gran Bretagna e conta oggi più di mille iniziative in tutto il mondo), fi- glio dell’era globale del rischio, che costruisce la propria identità e i propri obiettivi a partire da due allarmi globali che Giddens fa rientrare nella sua categoria di high-consequence risks: il ri- scaldamento globale e il picco del petrolio. A partire da un processo di presa di coscienza indi- viduale rispetto a queste problematiche (che, dice il fondatore del movimento, genera nei sog- getti consapevoli un’ecoansia simile a quella dipinta da Beck), i cittadini di una realtà locale stabiliscono di mettersi insieme e di cooperare per la transizione verso un futuro de- carbonizzato ed ecocompatibile, mettendo in atto pratiche locali volte alla sostenibilità e, al con- tempo, cercando di agire concretamente contro le distorsioni del sistema globalizzato e dei suoi attori non territoriali (il capitale, la finanza, il commercio internazionale) attraverso una valoriz- zazione del territorio locale, dei suoi soggetti e delle sue risorse, riscoprendo così un nuovo mo- do di vivere la propria città e una rinnovata socialità legata alle tematiche ambientali. Seguendo Giddens (1990), nell’inevitabile intreccio dialettico tra dimensione globale e locale, le strutture globali incidono con forza sulle azioni locali, ma allo stesso tempo queste ultime possono ripro- durre o trasformare le dinamiche globali, esercitando su di esse un impatto significativo. Le

Transition Towns, attraverso il loro progetto di rilocalizzazione40, propongono una visione che sembra andare in questa direzione, combattendo la sovra determinazione delle strutture globali sulle dinamiche locali partendo dal basso (e dal locale), mediante individui e ed azioni locali.

Sebbene la filosofia ed il modus operandi delle città di Transizione presentino molti limiti e problemi (si veda il cap. V), questa rete di iniziative contribuisce a nostro modo di vedere a po- tenziare il ruolo dei movimenti sociali e della società civile all’interno dei processi di riforma ambientale cui questa seconda fase di modernità deve far fronte, per salvaguardare la specie umana ed il pianeta.

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La società del rischio è secondo Beck incline alla legittimazione del totalitarismo nell’ambito della difesa con- tro i disastri (Beck, 1992a, 1996b).

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Con il termine rilocalizzazione intendiamo qui quei processi e quelle azioni volte a riportare investimenti e fi- liere di produzione ad una scala locale, valorizzando le risorse materiali ed immateriali di uno specifico contesto loca- le.