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Modificazioni psico-fisiche legate all’invecchiamento

Come già scritto in precedenza l’invecchiamento è un processo che nel singolo individuo si accompagna a cambiamenti anatomo-strutturali a carico dei diversi tessuti. Questo comporta che essi modifichino la struttura, la morfologia e la funzionalità degli organi, sistemi ed apparati. Da qui la difficoltà di distinguere nell’anziano ciò che è da ricondurre alle modalità con cui ciascun individuo è arrivato all’età senile da quelli che sono segni e sintomi di una malattia incipiente ed a capire dove finisce l’una condizione ed inizia l’altra. In ogni caso la principale conseguenza dell’invecchiamento è la riduzione delle capacità di omeostasi dell’organismo, che rende l’anziano particolarmente vulnerabile ad eventi “stressanti”, quali ad esempio condizioni patologiche anche di lieve entità, variazioni marcate della temperatura ambientale ecc.

La minore capacità omeostatica è riconducibile principalmente a due fattori:

- una riduzione delle riserve funzionali dei vari organi, sistemi ed apparati a causa dell’invecchiamento di per sé (invecchiamento intrinseco), dell’ambiente in cui l’individuo ha vissuto e dallo stile di vita (invecchiamento estrinseco);

- una minore efficienza dei grandi sistemi di integrazione (nervoso, endocrino, immunitario) a cui compete il ruolo di coordinare la risposta omeostatica.

Le principali modificazioni fisiche

Le modificazioni a livello fisico nel soggetto anziano sono molteplici e colpiscono praticamente tutti gli organi e gli apparati. Ovviamente non tutti gli individui invecchiano allo stesso modo e anche all’interno dell’individuo stesso non tutti gli organi e apparati lo fanno. In ogni caso ci sono delle modificazioni che si vengono a creare nella maggior parte degli anziani. Queste sono le principali.

• La sarcopenia: questo termine deriva dal greco sarx (carne vivente) e penia (povertà). Nell’uomo il processo di invecchiamento è associato indissolubilmente ad una progressiva perdita di massa magra e ad una atrofia muscolare generalizzata, che comporta una diminuzione delle capacità di forza dell’individuo.

Si parla proprio di sindrome sarcopenica, in quanto generalmente è associata ad una serie di fenomeni anatomo-fisiologici interdipendenti, come l’osteopenia (progressiva diminuzione del contenuto minerale a livello scheletrico), da un aumento della massa grassa e da un abbassamento della temperatura basale.

Essa sembra essere correlata a diversi fattori scatenanti di ordine sia genetico, sia ambientale che comportano un difetto di sintesi proteica associato ad un aumento dei processi catabolici. Ci sono numerosi fattori che possono influenzare questo fenomeno di atrofia muscolare progressiva ad eziologia multifattoriale, e tra questi

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troviamo l’attività fisica, i cambiamenti ormonali, l’aspetto dietetico e lo stress

ossidativo. In ogni caso pare che questa sindrome sia inscindibilmente legata all’invecchiamento.

Molti studi hanno evidenziato come la sarcopenia sia legata ad una progressiva perdita di fibre muscolari. Infatti, in alcuni di essi sono stati effettuati dei prelievi bioptici sul muscolo vasto laterale di soggetti anziani, inclusi in un range compreso tra i 70 e i 73 anni, e confrontati con quelli raccolti in soggetti giovani (range 19-37 anni). Nei soggetti anziani è stata osservata una perdita media del 23% della massa muscolare totale.

Inoltre, questa atrofia sarebbe di tipo piuttosto selettivo, in quanto sembrerebbe interessare maggiormente le fibre di tipo II, ossia a contrazione rapida, coinvolgendo pertanto maggiormente i muscoli composti in maggior parte da questa tipologia di fibre. Ovviamente questa perdita di fibre e quindi di massa muscolare, porterebbe ad una perdita di forza muscolare, e ne risulterebbe particolarmente colpita la forza di contrazione concentrica.

Nel fenomeno della sarcopenia anche la muscolatura antigravitaria degli arti inferiori

è coinvolta. Ciò costituisce uno dei maggiori rischi di caduta nell’anziano e di

limitazione nella capacità di svolgere agevolmente alcuni movimenti, come lo scendere le scale, oppure l’alzarsi dalla posizione seduta.

Con l’avanzare dell’età, compare una progressiva sedentarizzazione dello stile di vita, alla quale, alcune volte, può accompagnarsi un’alterazione a livello della microcircolazione periferica degli arti inferiori. Questo quadro può essere ulteriormente aggravato da un regime alimentare non corretto e deficitario dal punto di vista dell’apporto proteico giornaliero.

È quindi fondamentale mettere in evidenza il ruolo dell’esercizio fisico regolare. Esso, pur rappresentando senza ombra di dubbio il mezzo più efficace per mantenere o accrescere la massa muscolare, non può comunque impedire la progressione dell’atrofia muscolare e dunque del processo sarcopenico, che si verifica nell’arco della vecchiaia.

La sua pratica è però comunque estremamente consigliabile per poter mantenere una funzionalità muscolare adeguata e preservare un’ottimale densità ossea. Per far questo, oltre al lavoro muscolare basato sull’utilizzo di sovraccarichi, è indispensabile svolgere un lavoro di tipo aerobico per aumentare l’accrescimento della rete capillare.

Infine, a fronte di programmi di lavoro idonei, numerosi studi hanno dimostrato che possono esserci incrementi di forza significativi (tra il 10 e il 200%) in funzione del livello fisico di partenza di soggetti di età superiore a 70 anni.

Cosi come l’ipertrofia registrata è stata del 2-15%, anche in soggetti molto anziani (98 anni), a conferma del fatto che il muscolo scheletrico si dimostra, anche in tarda età, capace di accrescere la sintesi proteica, a patto di ricevere uno stimolo funzionale idoneo.

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• L’invecchiamento dell’apparato scheletrico: le funzioni svolte da questo apparato sono principalmente tre: la prima e forse più nota funzione è quella di fornire un supporto architettonico a muscoli e tendini, in modo da permettere il movimento; la seconda è quella di proteggere gli organi vitali; mentre la terza consiste nel fornire una riserva organica di calcio rivolta alla stabilizzazione della calcemia.

Proprio per questi motivi lo scheletro non costituisce semplicemente una massa inerte ma, al contrario, un’entità plastica in continuo rinnovamento. Proprio questo comportamento plastico dell’impalcatura scheletrica è causato da due fenomeni fisiologici ben precisi: l’osteoassorbimento, ad opera degli osteoclasti, e l’osteoformazione, riconducibile all’attività degli osteoblasti.

Quindi, il rapporto che intercorre tra questi due fenomeni, tra loro antagonisti, risulta la possibilità per l’organismo di mantenere, perdere o acquisire massa ossea. Ciò

che regola l’osteoriassorbimento e l’osteoformazione sono numerosi fattori di tipo

genetico, ormonale, nutrizionale e meccanico. E in particolare proprio questo ultimo fattore, quello meccanico, riveste un ruolo cruciale nell’ambito del controllo dinamico del rimodellamento osseo, permettendo alla struttura ossea di potersi adattare nei confronti dello sforzo.

Ma come abbiamo già detto, molto spesso, il soggetto anziano è un soggetto che tende ad aumentare la sedentarietà, e quindi la conseguente diminuzione degli impegni di tipo meccanico a livello scheletrico può costituire un serio problema per il mantenimento della massa ossea.

A livello cellulare, sembrerebbe che solo gli osteoblasti siano forniti di meccanocettori, e che proprio per tale motivo siano in grado di aumentare la loro attività di osteoformazione in seguito ad un aumento delle forze di compressione. D’altro canto, per la stessa ragione fisiologica, una diminuzione delle forze meccaniche fa rallentare l’attività di osteoformazione, lasciando però inalterata quella di osteoriassorbimento, con conseguente diminuzione della massa ossea.

L’attività di questi meccanocettori però, è regolata e modulata dal livello ormonale e dall’età. Per questo la loro efficacia diminuisce nel corso del processo di invecchiamento. Perché a parità di carico compressivo, gli “osteoblasti anziani” diminuiscono la loro attività di osteoformazione.

L’ultimo aspetto da mettere in evidenza è quello del fatto che molto spesso l’anziano ha meno fame e riduce la quantità di cibo che mangia. Questo fa si che possano verificarsi delle carenze a livello di alcuni elementi, tra cui il calcio e la vitamina D, che vanno ad aggravare il fisiologico invecchiamento dell’apparato scheletrico. Fortunatamente il problema è facilmente risolvibile con una supplementazione di questi due elementi e con l’esposizione alla luce solare.

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• L’invecchiamento dell’apparato cardio-circolatorio: fino a pochi decenni fa c’era l’idea preconcetta che il sistema cardiaco andasse incontro ad un inesorabile deterioramento funzionale in rapporto all’età. Negli ultimi anni invece è emerso che questo apparato sarebbe perturbato più da cause patologiche piuttosto che dal solo avanzare degli anni. Infatti, numerosi studi dimostrerebbero come l’apparato cardio- circolatorio nell’individuo anziano sano sia perfettamente in grado di adattarsi alle varie richieste funzionali, sia a riposo che sotto sforzo. In ogni caso, risulta indispensabile riconoscere che dei cambiamenti età-correlati avvengono, soprattutto in un’ottica preventiva delle possibili patologie cardiache legate all’invecchiamento e della scelta di un idoneo programma di lavoro fisico per il soggetto anziano.

Una delle principali modificazioni che avvengono con l’età è l’aumento della rigidità vascolare. Nell’anziano infatti, si assiste ad un progressivo processo di perdita di elasticità dell’aorta e dei grossi vasi. Ciò determina un aumentata resistenza all’eiezione cardiaca che, a sua volta, comporta un’ipertrofia adattativa del miocardio. Si assiste anche ad una perturbazione del ritmo cardiaco, dovuta principalmente ad una riduzione irreversibile del numero e della qualità funzionale delle cellule del nodo del seno atriale, che perdono progressivamente la loro capacità di depolarizzazione. Questo si traduce in una diminuzione della frequenza cardiaca massima, che si stima essere di circa 1 battito per anno.

Aumenta anche la pressione arteriosa, e in particolare, aumenta la pressione sistolica senza che ci sia un aumento di quella diastolica (che in alcuni casi può anche progressivamente diminuire), così che tra le due possa esserci un divario significativo.

Tutte queste modificazioni portano ad una costante diminuzione del VO2max, che a sua volta comporta una minor tolleranza allo sforzo del soggetto anziano. Anche se questo declino fisiologico correlato non può essere evitato, con la pratica assidua e regolare di esercizi, soprattutto aerobici, di moderata intensità, potremo indurre una modificazione funzionale positiva in questi soggetti.

• L’invecchiamento dell’apparato respiratorio: nell’anziano si riscontrano modificazioni importanti a carico di questo apparato, sia a livello strutturale che funzionale. Innanzitutto, si assiste molto spesso ad un’atrofia muscolare da disuso, che non riguarda tanto i muscoli respiratori principali, come gli intercostali e il diaframma, quanto quelli accessori, causando così una limitazione della respirazione forzata.

Il torace tende ad assumere la cosiddetta “forma a barile” (per l’aumento della cifosi dorsale, l’aumento dei diametri antero-posteriori del torace e le calcificazioni delle cartilagini costali) che rende meno efficace la meccanica respiratoria. Si verificano alterazioni ossee e cartilaginee che colpiscono la gabbia toracica e la rendono più

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rigida. Di conseguenza i movimenti respiratori si trasferiscono sempre di più al diaframma.

Con gli anni diminuisce progressivamente la capacità di diffusione, ovvero la capacità del tessuto polmonare di permettere lo scambio di gas tra l’aria ed il sangue. Ciò è dovuto principalmente all’aumento dello spessore delle pareti alveolari ed al collabimento delle vie aeree di minor calibro.

Inoltre, l’invecchiamento dell’apparato respiratorio è fortemente influenzato da diversi fattori ambientali e dallo stile di vita. In particolare, l’inquinamento atmosferico e il fumo ne accelerano il declino.

• L’invecchiamento del sistema nervoso centrale e periferico: le basi biologiche del graduale e progressivo declino di alcune funzioni intellettive, che si manifestano nell’anziano anche in assenza di malattie neurologiche, sono da ricercare in una serie di modificazioni a cui il cervello senile va incontro sia a livello macro che microscopico, oltreché ovviamente di tipo funzionale-metabolico.

Si assiste ad un progressivo impoverimento di neuroni, assoni e dendriti, soprattutto di alcune aree cerebrali, in particolare quelle frontali (per le attività logico-procedurali) e quelle temporali (per i meccanismi della memoria). Da un punto di vista macroscopico, il cervello senile è caratterizzato da un minor peso (diminuisce di circa 2-3 grammi l’anno dopo i 60 anni), da un aumentata dimensione di solchi e ventricoli e da un minore volume degli emisferi.

Inizialmente queste modificazioni riguardano soltanto la sostanza grigia, mentre con il tempo anche la sostanza bianca.

Ovviamente, a queste modificazioni morfo-strutturali corrispondono importanti alterazioni della funzione della sfera centrale e periferica. Tra le principali troviamo la: riduzione della memoria (soprattutto quella a breve termine), diminuzione della capacità di apprendimento e dei tempi di reazione, alterazione dei riflessi, diminuzione di destrezza e coordinazione, ipotrofia muscolare e deficit di forza, diminuzione della velocità di conduzione nervosa, rallentamento psico-motorio, ridotta sensibilità dei barocettori, alterazione di alcuni neurotrasmettitori.

È ormai stato appurato che un moderato ma costante esercizio fisico di tipo aerobico può contribuire a ritardare l’invecchiamento cerebrale, andando a causare una maggior irrorazione e angiogenesi, un miglioramento delle interconnessioni nervose ed un aumento della liberazione dei fattori neurotrofici di origine cerebrale.

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• L’invecchiamento dell’apparato tegumentario: con l’età la cute ed i suoi annessi (terminazioni nervose, ghiandole, peli ed unghie) vanno incontro ad importanti modificazioni strutturali, morfologiche e funzionali come risultato dell’invecchiamento di per sé (invecchiamento intrinseco) e dell’esposizione ai raggi solari (fotoinvecchiamento).

In generale, l’epidermide si assottiglia in seguito ad una diminuzione nell’attività delle cellule germinali, rendendo gli anziani molto più esposti alle lesioni e alle infezioni cutanee; la produzione di vitamina D diminuisce di circa il 75%. Questo può condizionare l’assorbimento di calcio e fosfato, aumentando la debolezza muscolare e diminuendo la resistenza ossea; l’attività dei melanociti si riduce e la pelle dei caucasici diventa molto chiara. Con meno melanina nella cute, gli anziani diventano più sensibili all’esposizione solare e più a rischio di scottature.

Inoltre, diminuisce l’attività delle ghiandole e la cute diventa secca e spesso

desquama a causa della diminuzione del sebo. Anche le ghiandole sudoripare sono meno attive, e di conseguenza, gli anziani non riescono ad abbassare la temperatura corporea con la stessa velocità dei giovani. Per questo con temperature ambientali molto alte sono a rischio di surriscaldarsi.

Insieme alla diminuzione della sudorazione si riduce anche l’apporto vascolare al derma. Poiché il flusso sanguigno diminuisce, la cute diventa fredda e si ha la stimolazione dei termocettori; questo può dare una sensazione di freddo anche in una stanza calda. Comunque, con la riduzione della circolazione e della sudorazione gli anziani hanno una ridotta dispersione di calore rispetto ai giovani. Ne deriva che una esposizione a alte temperature può causare un aumento di temperatura corporea troppo elevato e quindi pericoloso.

Il derma si assottiglia e diminuisce il contenuto di fibre elastiche e la cute perciò diventa più debole e meno resistente, si formano così rughe e grinze. La guarigione delle ferite è relativamente lenta, e vi possono essere infezioni ricorrenti. La riparazione cutanea procede molto più velocemente nei giovani; es. la guarigione di una piccola ferita non infetta può impiegare da tre a quattro settimane, in un giovane, mentre in un anziano può durare da sei a otto settimane.

A seguito della compromissione degli organi ed apparati sopracitati, è importante sottolineare il fatto che il soggetto anziano avrà anche delle difese immunitarie indebolite, una ridotta capacità di termoregolazione e un minor equilibrio (con conseguente aumento del rischio di caduta). Aspetti da tenere fortemente in considerazione durante la scelta dell’attività fisica che gli andrà proposta.

46 Le principali modificazioni psicologiche

Il luogo comune è che la gioia e la felicità appartenga alla giovinezza e la tristezza alla vecchiaia, oppure che i sentimenti provati dagli anziani siano molto pacati e prevalentemente dolorosi. E purtroppo gli anziani finiscono molto spesso con l’immedesimarsi con questi stereotipi. Sicuramente si può dire che per le persone anziane la frequenza e l’intensità delle emozioni positive decresce con gli anni (però questo vale anche per le emozioni negative), perché probabilmente cambia il livello di aspettative e la capacità di adattamento alle situazioni nuove.

Con l’avanzare dell’età vi è una tendenza ad un appiattimento dell’umore, ma ciò che è importante constatare e sottolineare è che l’aumento dell’età non comporta necessariamente una riduzione del grado di benessere. Sul tema del benessere emotivo degli anziani sono stati compiuti recentemente numerosissimi studi, in cui si evidenzia in modo abbastanza prevedibile come una buona salute e un discreto reddito siano più importanti per il benessere emotivo degli anziani che non per i giovani.

Sicuramente l’anziano sperimenta perdite o lutti che spesso sono insostituibili: la morte del coniuge o di altre persone care; il pensionamento e relativa perdita di ruolo; la precarietà economica, la riduzione del vigore fisico e dell’autonomia. Questi fattori possono produrre marcate conseguenze psicologico-emotive, come l’angoscia, la paura, l’isolamento e la depressione, favorite e rinforzate da una passiva accettazione degli stereotipi negativi sulla vecchiaia.

In ogni caso in generale, con il rischio di cadere nei sopracitati stereotipi, l’anziano è un soggetto con un rischio aumentato di sviluppare depressione o stati pseudo-depressivi rispetto a soggetti più giovani. Ovviamente moltissimo dipende dalla personalità del soggetto. Le caratteristiche di personalità, infatti, possono contare anche più del numero o del tipo di eventi reali positivi e negativi che possono capitare nella vita di una persona. Una persona che tende ad assumere una prospettiva di vita prevalentemente ottimistica e una considerazione di sé positiva, sarà portata a riconoscere e a valorizzare più gli eventi positivi di quelli negativi e quindi proverà più emozioni piacevoli. Ma perché l’anziano tende a essere depresso? I motivi sono molteplici, ma un ruolo fondamentale lo gioca la solitudine.

Infatti, se ci pensiamo, in questa fase della vita termina l’attività lavorativa e di conseguenza in questo modo calano i rapporti sociali. Inoltre, negli anni magari sono state fatte o saranno fatte nuove amicizie, ma altrettante è probabile che per un motivo o per un altro se ne siano concluse di vecchie. Durante questa età è anche più probabile che il proprio coniuge muoia, o che diventi molto più difficile trovarne uno. Anche i figli, magari per motivi lavorativi, si trasferiscono lontani e i rapporti con loro divengono più sporadici. Il soggetto anziano ha poi molto spesso problemi di salute, con la presenza di molteplici patologie, che magari anche se non gravi, tutte insieme comportano limiti alla quotidianità o percezione di sofferenza e fine vita.

Tuttavia, l’anziano può riuscire a superare o ad attenuare l’entità di queste esperienze negative tramite la ricerca di nuove relazioni interpersonali significative. Ed in questo, ovviamente, può e deve aiutare anche l’attività sportiva.

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