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Il tiro con l'arco 3D nel soggetto anziano

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Academic year: 2021

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Il tiro con l’arco 3D nel

soggetto anziano

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Indice

Introduzione

Le finalità della tesi………5

Parte I

L'arco nella storia dell'uomo (strumento da caccia, da guerra e

sportivo)……….6

Fine del Paleolitico………6

Fino al Rinascimento, a Occidente……….7

A Oriente……….8

In epoca moderna e contemporanea……….9

Parte II

Cos’è il tiro con l’arco 3D?...10

Arco: struttura, funzionamento ed accessori……….11

Le varie tipologie………..15

Arco diritto………15 Arco ricurvo………..15 Arco compound………16 Arco a delta……….…..17 Arco asimmetrico……….17 Arco podalico………18

Arco petraio ed a aria compressa………..………18

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Prima del tiro……….19

Il tiro………...21

Errori frequenti……….23

Termini tecnici e altre cose da sapere………...24

Allenamento………25

Esercizi per il rinforzo muscolare………..25

Esercizi di allungamento muscolare……….26

Esercizi specifici per il tiro con l’arco……….27

Attività aerobica………28 Seduta di allenamento………28

Federazioni e gare……….29

FITARCO………..29 FIARC………30 Le gare………..31 I bersagli………32 Le classi………33

Parte III

L’invecchiamento………..34

Classificazioni dell’età anziana……….34

Il mondo sta invecchiando……….36

Perché invecchiamo?...38

Le teorie dell’invecchiamento………38

Teorie genetiche………..38

Teorie stocastiche………..39

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Le principali modificazioni fisiche……….40

Le principali modificazioni psicologiche………...46

Quale attività dovrebbe svolgere il soggetto anziano?...47

Esercizi a intensità moderata………47

Programma di esercizi………48

Parte IV

Vantaggi e svantaggi del tiro 3D nell’anziano………..49

Vantaggi………49

Svantaggi………..52

Parte V

Possibile protocollo di lavoro e programmazione………..54

Test funzionali per il soggetto anziano: la valutazione della funzionalità aerobica………..54

Test funzionali per il soggetto anziano: la valutazione della forza muscolare………..54

Test funzionali per il soggetto anziano: la valutazione della flessibilità………..55

Test funzionali per il soggetto anziano: la valutazione dell’equilibrio……….56

Programma annuale……….……..57

Esempio di una possibile settimana di allenamento………..57

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Introduzione

Le finalità della tesi

Il principale obiettivo di questa tesi è quello di cercare di capire se il tiro con l’arco 3D possa essere ritenuto uno sport adatto alla pratica in un soggetto anziano.

Dopo aver spiegato le generalità sul tiro con l’arco e quelle sul processo di

invecchiamento, andrò quindi ad evidenziare i principali vantaggi e svantaggi di questo sport nell’anziano.

Ma da dove nasce l’idea de il tiro con l’arco 3D e perché proprio per questa “categoria” di persone?

Dalla mia esperienza personale. Infatti, praticando questo sport da diversi anni, mi sono reso conto che, grazie ad alcune caratteristiche che possiede, è molto utile a migliorare lo stile di vita di chi lo pratica.

Da qui l’idea del fatto che potrebbe essere particolarmente adatto in soggetti molto spesso fisicamente, psicologicamente e socialmente fragili come gli anziani.

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Parte I

L'arco nella storia dell'uomo (strumento da caccia, da guerra e

sportivo)

L'arco è sicuramente ai primi posti nella classifica delle invenzioni dell'uomo.

Pensato ed elaborato in tempi diversi e indipendenti, sconosciuto agli aborigeni australiani e polinesiani, nonché in tutta la zona della Micronesia, è invece noto in tutto il resto del globo.

Il primo arco di cui abbiamo notizie appare in una rappresentazione graffitica di ventimila anni fa e, ovunque nel mondo, se ne ritrovano vestigia sotto forma di disegni e punte di freccia.

Dipinto rupestre del Levante spagnolo, 10.000 a.C.

Si può affermare che l'uomo sin dal Paleolitico conosceva, grazie a questa arma, il sistema di colpire la preda a distanza di sicurezza.

Fine del Paleolitico

È questo il primo periodo in cui nasce l'arco. Molto probabilmente esso diventa un vero e proprio "strumento di selezione" e modificazione di alcuni caratteri evolutivi della nostra specie.

Prima di questo attrezzo erano presenti bastoni da lancio, boomerang, bolas; anch'essi utili per colpire bersagli a distanza, ma totalmente inferiori all'arco, molto più evoluto e complesso nell'uso e rimasto praticamente invariato fino all'epoca moderna.

Come già accennato precedentemente, questo attrezzo modificò l'evoluzione dell'uomo e forse addirittura lo salvò dall'estinzione. Il periodo in cui è stato creato infatti coincide con quello in cui si verificò la scomparsa dei mammiferi di grossa taglia (mammuth, uro, cervo gigante ecc.) a opera nostra e del clima.

Gli animali più piccoli e veloci divennero inevitabilmente le nostre nuove prede, che richiedevano però, nel cacciatore, un rapporto braccio-leva molto vantaggioso, ottenibile

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attraverso una statura molto elevata. La caccia con il giavellotto (fino ad allora lo strumento più utilizzato per questo scopo) era però molto dispendiosa a livello energetico, in particolare se associata all'alta statura e alla grande massa muscolare dei cacciatori.

Sorse quindi un problema: coloro che riuscivano a procurarsi più efficacemente il cibo ne avevano anche un bisogno molto elevato per sopravvivere, e un organismo di grande volume consuma troppa energia quando scarseggiano le risorse.

Fortunatamente per la nostra specie la soluzione arrivò presto con la creazione di un’invenzione provvisoria: il propulsore.

Esempio dello strumento noto come "propulsore" o "catapulta a mano".

Dal propulsore all'arco il passo fu breve, e quest'ultimo fu un'ulteriore ottimizzazione in fatto di armi da getto. Finalmente anche gli uomini più minuti iniziarono ad essere più competitivi nella caccia per poi diventare addirittura più "funzionali" dei loro robusti predecessori.

Fino al rinascimento, a Occidente

Per molto tempo quindi, l'arco fu utilizzato dall'uomo esclusivamente per cacciare, ma successivamente divenne anche un formidabile strumento di morte da utilizzare durante le battaglie. Molte guerre vennero vinte grazie a quest'arma.

In Europa la diffusione dell’arcieria ha inizio nei territori di Danimarca, Svezia e Inghilterra, grazie alle popolazioni di Sassoni, Normanni, Vichinghi e Franchi, anche se a questa altezza viene utilizzato ancora come arma secondaria in caso di assedio o nelle fasi di avvicinamento al nemico.

Il popolo che contribuì enormemente all’evoluzione dell’arco fu quello dei Gallesi, che ne fecero la loro arma principale nelle lotte contro i Sassoni. Il salto di qualità si ha infatti con l’invenzione del long-bow (arco lungo), che i Gallesi mutuarono dall’arco dei Vichinghi. Dopo la conquista normanna del Galles (1282), questa tipologia di arco si diffonde in tutta l’Inghilterra divenendo un’arma di grande importanza tattico-strategica.

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Il long-bow entra a far parte degli strumenti bellici come armamento della classe povera della popolazione, visto il suo basso costo di realizzazione: inizialmente la maggior parte gli arcieri inglesi proveniva da villaggi e da contesti rurali e molti erano gli ex fuorilegge perdonati dalla Corona.

In seguito, però gli arcieri furono selezionati e "allevati" a parte (erano nutriti di più rispetto alle altre truppe). Venivano scelti i più alti e robusti, non dotati tanto di mira selettiva, quanto di forza e capacità di scoccare grandi numeri di frecce. I long-bow che dovevano tendere avevano una potenza compresa tra le 100 e le 150 libbre e richiedevano uno sforzo di trazione tra i 50 e gli 80 chilogrammi (più del doppio dei più potenti archi oggi in uso). Riuscivano a lanciare frecce pesanti 100 grammi a 200-250 metri, che perforavano le armature e abbattevano i cavalli.

Arcieri inglesi con i loro long-bow

Il conflitto che consacra la fama degli arcieri inglesi armati di long-bow è la Guerra dei Cent’anni (1337-1453): proprio in questo contesto nasce la leggenda di Robin Hood.

A Oriente

In Oriente l’evoluzione dell'arco ha sviluppi diversi rispetto all’Europa: i costruttori sembrano concentrarsi più sui materiali da impiegare che sulla forma delle braccia dello strumento. In particolare in Asia settentrionale e in Estremo Oriente si costruiscono archi corti, facili da maneggiare cavalcando e rinforzati con tendini animali. Si individuano inoltre materiali più resistenti del legno per realizzare archi a struttura mista: una sottile anima di legno, rinforzata con tendine sul dorso per sopportare lo sforzo di trazione e corno sul ventre per sopportare i carichi di compressione. La flessibilità dei materiali permette di tendere l'arco composto, in relazione alla sua lunghezza totale, molto di più di quanto si possa fare con un arco semplice, consentendo di scagliare una freccia con velocità e gittata maggiori a parità di sforzo di tensione.

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diverse culture lo abbiano sviluppato simultaneamente nel corso del III millennio a.C. in Mesopotamia, in Anatolia e nelle steppe dell' Asia settentrionale. Si pensa che l’invenzione sia legata al diffondersi dell'impiego del cavallo in battaglia.

Uno dei più antichi esempi materiali archeologicamente attestati è l’arco triangolare dell'Asia occidentale (III millennio a.C.): la sua caratteristica principale è di formare un triangolo ottusangolo quando è incordato e un semicerchio quando viene teso. Raffigurazioni di questi archi appaiono su sigilli mesopotamici, su pitture murali di tombe egizie e su rilievi monumentali assiri, testimoniando un periodo d’uso che va dal 2400 al 600 a.C.

Questa tipologia di arco viene soppiantata alla fine del VII secolo a.C. dall’arco detto “scita”, dotato di quattro curvature, impugnatura arretrata e flettenti riflessi terminanti in estremità ricurve.

Nel III secolo a.C. la popolazione dei Sarmati, passata alla storia per l’uso della cavalleria pesante corazzata, sviluppa e diffonde nuove tecniche di guerra che rendono necessaria la realizzazione di archi capaci di scagliare con maggior potenza frecce adatte a perforare le corazze.

Saranno Unni ed Avari, popoli nomadi dell’Asia centrale, a sviluppare la tecnologia necessaria a raggiungere lo scopo: irrigidendo le parti terminali dei flettenti con aggiunte in corno e facendo sì che queste puntino in avanti con un’angolazione accentuata, si crea un sistema che consente di tendere con meno sforzo un arco più pesante. Nell’operazione di tensione infatti la parte terminale del braccio si piega all'indietro aumentando la lunghezza della corda, mentre il riposizionarsi in avanti dei flettenti al momento del tiro, accorciando la stessa, imprime al dardo una maggiore velocità.

Nel XVII secolo nuove varianti vengono introdotte dai Turchi Ottomani e dalle tribù turche dell'Iran: le migliorie operate fanno sì che archi lunghi solamente 111-116 centimetri sviluppino una potenza paragonabile a quella dell'arco lungo inglese di dimensioni quasi doppie.

È proprio grazie a quest’arma che la cavalleria ottomana nel Medioevo muove alla conquista dell’Europa orientale.

In epoca moderna e contemporanea

Intorno al XV-XVI, con l'invenzione e il rapido miglioramento delle armi da fuoco, l'arco cadde più o meno rapidamente in disuso.

Venne "resuscitato" nel Novecento, dopo tre secoli di oblio, e trasformato da attrezzo di morte a strumento sportivo.

Compare per la prima volta ai Giochi Olimpici del 1900 a Parigi. Successivamente, dopo il 1920, viene escluso dai Giochi e riammesso solo a partire dalle Olimpiadi del 1972.

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Parte II

Cos’è il tiro con l’arco 3D?

Innanzi tutto, il nome “3D” deriva dal fatto che in questo sport sono utilizzate sagome tridimensionali di animali come bersaglio.

In corrispondenza dei punti vitali dell'animale rappresentato, ogni sagoma ha tre cerchi di cui i due centrali concentrici denominati "Super Spot" e "Perfect". A seconda del punto colpito variano i punteggi: più preciso è il tiro, più alto è il punteggio. A differenza della FIARC non ci sono distinzioni di punteggio relativamente all'ordine delle frecce. Colpire la sagoma in un punto qualsiasi di quello che nella realtà sarebbe una parte molle dell'animale (dunque ad esclusione di corna e zoccoli) comporta un punteggio di 5 punti. Lo "Spot" sono 8 punti, il "Super Spot" 10 punti e il "Perfect" 11 punti.

Allenamenti e gare si svolgono all’aria aperta, in campagna o, molto più di frequente, nei boschi. Ogni compagnia possiede il proprio campo di tiro con l’arco in cui dispone i bersagli. Questi sono posizionati, prima di tutto, in modo da garantire la sicurezza di coloro che accedono al campo, e secondariamente, assecondando la morfologia del terreno, così da creare tiri con variabili sempre diverse (tiri verso l’alto, verso il basso, in penombra ecc.). Le gare 3D sono molto simili, per ambientazione e percorsi, alle gare tiro di campagna FIARC e FITARCO (vedi cap. “Federazioni e gare”). Nelle gare 3D si tira esclusivamente su sagome tridimensionali. Su tutto il percorso sono disposte 24 piazzole con sagome che rappresentano animali (da 1 a 4, in base alle dimensioni e alla distanza), a distanze sconosciute e per ogni sagoma si possono tirare due frecce.

I Longbow, gli Archi Nudi e gli Archi Istintivi tirano alla distanza massima di 30 m; gli Archi Compound fino a 45 m. L'arco olimpico non è ammesso in questa tipologia di gara. Nelle gare 3D inoltre non valgono le classi di età (Giovanissimi, Allievi, Senior, Master) valide per le altre tipologie di gare, ma si hanno solo due classi: under 20 (o Juniores) e over 20 (o Seniores).

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Arco: struttura, funzionamento ed accessori

Quella dell'arco è una tecnologia molto semplice: si tratta di una trave elastica sollecitata da una corda tesa a entrambe le estremità che, mentre fa accumulare energia in trazione, al momento del rilascio la libera e la concentra tutta sulla coda della freccia (un'asta impennata che serve da vettore alla "punta-proiettile").

Ogni trave, e quindi ogni arco, sottoposto a un carico si curva, accumula energia sia nel suo lato interno, che si comprime e diventa concavo (detto ventre o faccia, cioè il lato verso l'arciere e la corda), sia nel suo lato esterno che si distende e diventa convesso (detto dorso, retro o back, cioè il lato verso il bersaglio). Questa doppia azione di compressione e trazione, per accumulare energia e rilasciarla velocemente, richiede un materiale non solo elastico, ma anche resiliente (capace di riassumere rapidamente, dopo lo stress del carico, la condizione originaria).

La parte centrale dell'arco, praticamente non lavora e viene definita "asse neutro", mentre a lavorare sono quasi esclusivamente le facce delle superfici esterne sottoposte a trazione e compressione, spesso composte non da un solo materiale reputato adeguato per la stessa funzione, ma da materiali diversi e più specificatamente idonei. Normalmente questi

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vengono incollati tra loro per assemblarli, e l'asse neutro centrale deve avere soprattutto la caratteristica di tener bene questo incollaggio, per evitare un "dislaminamento" nell'azione di lavoro in contro-tendenza.

Gli archi composti da più materiali assemblati si dicono compositi e quelli costruiti con un solo materiale si dicono semplici.

Le componenti e gli accessori comuni a tutti i tipi di arco sono:

• il riser, è il corpo centrale dell'arco, quella da cui si impugna questo attrezzo e che infatti comprende l'impugnatura. Negli archi monolitici è unito ai flettenti inscindibilmente, mentre in quelli smontabili è possibile la separazione riser-flettenti. • i flettenti, sono due e come dice il nome stesso, sono la parte dell'arco che si flette. Alle loro estremità presentano delle incisioni, chiamate nocche, che permettono di fissare la corda. Sono caratterizzati da due parametri, lunghezza e libbraggio. • la corda, è costituita da un intreccio di filamenti di diverso materiale, naturale o

sintetico. Al centro presenta una zona più robusta, rinforzata da un filamento detto "serving", dove vengono fissati i punti di incocco (indicano dove va posizionata la cocca della freccia). Inoltre, il serving rinforza anche le due estremità della corda, terminanti con un anello che andrà ad inserirsi nella rispettiva nocca.

• le frecce, sono costituite da asta, cocca, punta e impennaggio. L'asta è il corpo, la punta è la parte anteriore che andrà ad impattare sul bersaglio, la cocca è la parte posteriore che si inserisce sulla corda e l'impennaggio è costituito da, solitamente, tre penne con la funzione di stabilizzare il volo della freccia stessa.

• la faretra, è il contenitore delle frecce. Ne esistono moltissimi modelli che variano in base a design, materiali e posizione (da schiena, da fianco o applicabile all'arco stesso).

• il parabraccio, come suggerisce il nome, è una protezione da applicare sull'avambraccio sinistro (per gli arcieri destri) che evita i traumi dovuti ad un possibile impatto della corda.

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Le componenti e gli accessori presenti solo in alcune tipologie di arco sono:

• il rest, comunemente definito "poggiafrecce", è fissato al riser e serve come appoggio per il corpo della freccia quando questa viene incoccata.

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• il bottone, è un sistema di ammortizzazione che consente di adattare la flessibilità della freccia all'effettiva forza (libbraggio o peso di trazione) dell'arco.

• il mirino, è un sistema di puntamento regolato dall'arciere a seconda di criteri quali la distanza e le condizioni climatiche. Ne esistono numerosi modelli, da associare al rispettivo tipo di arco. Sono semplici per gli archi olimpici (misura fissa nel diametro e nella larghezza della diottria) e complessi per i compound (spesso associati ad una lente di ingrandimento ed a una bolla da livello per un impeccabile allineamento dell'arco).

• il clicker, è una linguetta metallica posizionata sul riser. Lo scopo di questo accessorio è quello di garantire un allungo costante tra un tiro e l'altro (scatta quando la trazione è completa e l'arciere rilascia).

• lo stabilizzatore, spesso si parla di stabilizzatori, uno centrale e due laterali. Come il nome suggerisce, lo stabilizzatore è un'asta di alluminio o carbonio che serve a limitare le oscillazioni dell'arco e quindi a stabilizzarlo.

• la dragona, è un cordino utilizzato quasi esclusivamente nell'arco olimpico, che lega la mano al riser. Questo impedisce all'arco di non cadere dopo lo scocco della freccia e permette di non stringere eccessivamente l'impugnatura (fattore destabilizzante). • il carichino, è una corda che presenta due cappucci alle estremità, che vengono

posizionati sulle rispettive punte dei flettenti per poter caricare e scaricare l'arco • il guanto, è appunto un guanto, solitamente di pelle, che ricopre soltanto parte della

mano (palmo e pollice e mignolo sono esclusi) e serve a limitare il dolore e abrasioni dovute alla trazione della corda.

• la patella, è un'alternativa al guanto, utilizzata soprattutto nell'arco olimpico, con la stessa funzione.

• lo sgancio meccanico, è un’alternativa sia al guanto sia alla patella, utilizzato nel compound. Questo accessorio offre il vantaggio di limitare al massimo le interferenze inevitabilmente presenti nel rilascio manuale.

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Le varie tipologie

Arco diritto

Sono gli archi più semplici, affidabili e di facile costruzione. Quando sono con la corda non tesa (scarichi), si presentano come dei fusti dritti, larghi al centro e che si assottigliano verso le estremità. A corda montata formano un arco geometricamente perfetto.

Di questa tipologia di archi fanno parte i long bow inglese e molti altri archi amazzonici e africani. Senza ombra di dubbio il primo arco creato fu un arco diritto ed è quindi affascinante vedere quanto questa invenzione abbia avuto vita lunga, dato che ancora oggi è utilizzato. Certo, gli scopi del suo utilizzo così come i materiali che adoperiamo per costruirlo sono cambiati, ma l'essenza è rimasta la stessa di migliaia di anni fa.

Arco ricurvo

La caratteristica principale di questi archi è quella di avere i flettenti piegati verso il bersaglio quando sono definiti "riflessi" e i flettenti e/o l'impugnatura piegati verso chi tira quando si dicono "deflessi".

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Al giorno d'oggi i primi sono senza dubbio i più diffusi, perché più potenti e veloci a parità di libbraggio, anche se poco stabili durante lo scatto di chiusura se non hanno stabilizzatori. I vantaggi si notano sia in trazione (i puntali rigidi svolgono una funzione di leva che riduce lo sforzo durante questa fase) sia in chiusura (garantisce una chiusura più rapida).

Di questa tipologia di archi fanno parte l'arco istintivo, l'arco nudo e l'arco olimpico. Il primo è un arco ricurvo in legno senza alcun riferimento per la mira. Il secondo è un arco

ricurvo sprovvisto di sistema di mira e stabilizzatori, sul quale è concesso tenere solo il

poggiafreccia, il bottone e un sistema di pesi posizionati sul riser.

Il terzo è un arco ricurvo che permette l'utilizzo di numerosi accessori, che oltre a quelli presenti nell'arco nudo sono: mirino, sistema di stabilizzatori e clicker.

Arco compound

Da alcuni considerati più delle macchine che degli archi, dato che utilizzano un sistema molto sofisticato di cavi, pulegge e carrucole per ridurre lo sforzo di trazione. All'estremità dei flettenti vengono applicate appunto delle carrucole ellittiche o circolari a doppia camme, che permettono di ottenere il triplo risultato di aumentare la potenza e la velocità e di ridurre di molto la fatica di restare in tensione.

In questi archi la prima fase di trazione è la più impegnativa. A metà circa dell'apertura c'è una diminuzione del carico che varia tra il 50% e l'80% e che permette dunque di rilassarsi proprio nella fase critica, quando si è arrivati al punto di ancoraggio. Inoltre, all'atto del rilascio, tutta la forza esercitata inizialmente viene reintrodotta di scatto nella fase di chiusura, con un incremento della velocità di circa il 30% rispetto ad un arco normale. Altri pregi da tenere in considerazione sono l'allungo fisso (l'arco non si apre più di un tot) e il fatto che la corda non deve essere smontata una volta terminata la sessione di tiro come negli altri archi. Inevitabilmente però possiede anche dei difetti come il costo e il peso elevati, e la complessità dei suoi marchingegni che devono essere sottoposti a taratura e manutenzione costanti.

Diritto, ricurvo e compound sono le tipologie di arco al giorno d'oggi più utilizzate, ma non sono le uniche.

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17 Arco a delta

Anche noti con il nome di archi triangolari, sono oggi piuttosto rari e desueti. Quando scarichi possono essere confusi con i ricurvi, ma a corda montata i flettenti si presentano praticamente diritti, ma molto angolati rispetto all'impugnatura. Il risultato finale è la forma triangolare.

Di solito sono corti e veloci perché già fortemente in tensione e quando raggiungono il massimo grado di trazione assumono la forma di un arco regolare molto accentuato e simile a un mezzo cerchio. Nell'antichità venivano utilizzati soprattutto da assiri ed egizi.

Arco asimmetrico

Contraddistinti da una diversa lunghezza dei flettenti (quello inferiore più corto). I più conosciuti sono quelli tradizionali giapponesi utilizzati nel Kyudo, un'arte nipponica del tiro molto particolare (marziale e filosofica).

Sono archi molto lunghi, composti da lamine di bambù, di circa due metri e semi-riflessi. Le frecce utilizzate sono molto lunghe e la trazione viene effettuata fin dietro all'orecchio del

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tiratore, anche per compensare la modesta potenza dell'arco.

Arco podalico

Sono particolari archi molto lunghi e potenti impossibili da aprire solo a mano. L'arciere deve infatti tirare sdraiato supino, la corda viene tesa con entrambe le mani mentre i piedi fanno opposizione sull'impugnatura. Un tempo venivano utilizzati presso alcune etnie, mentre oggi non sono più in commercio e vengono usati solo a livello sperimentale per il tiro lungo o di portata. Nel 1971 l'americano Harry Drake ha ottenuto con quest'arco un record di gittata di 1.854 metri.

Arco petraio ed a aria compressa

Forse l'unico esempio di arco che non utilizza frecce, bensì pallini di acciaio. Nel Medioevo era utilizzato per la caccia alla piccola selvaggina. All'altezza del punto di incocco veniva

applicato sulla corda un cestino contenente piccole pietre o palline d'argilla. Nella versione moderna è invece presente un tubo a pompa, da applicare al riser, che ospita

una freccia-pistone ancorata fissa sulla corda e impiegata per sparare pallini tramite l'aria compressa. Utilizzato di solito per allenarsi in casa.

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Tecnica

Ogni sport possiede una propria tecnica sportiva. Essa è indispensabile per risolvere un determinato problema di movimento nel modo più razionale ed economico possibile.

Nel tiro con l'arco, come in altri sport, vi sono più tecniche sportive che si sono sviluppate in base alle richieste delle varie specialità (Es. inevitabilmente il tiro con l'arco olimpico presenta differenze con quello istintivo). Quelle che andrò a descrivere saranno le basi della tecnica del tiro con l'arco valide per la maggior parte delle specialità di tiro. Nel caso vi siano marcate differenze, esse verranno evidenziate e spiegate.

Prima del tiro

Prima di iniziare a tirare con l'arco dobbiamo scoprire se siamo destri o mancini di braccio (probabilmente già ne siamo a conoscenza) e di occhio (se non abbiamo mai tirato con l'arco o sparato è probabile non avere tale informazione). Ciò che è importante sapere è che in alcuni casi al braccio dominante non corrisponde l'occhio dominante. Siamo quindi costretti a scegliere. La maggior parte dei potenziali arcieri che si trovano in questa particolare e spiacevole situazione preferirebbe favorire l'arto dominante invece dell'occhio, ma indubbiamente è consigliato fare il contrario. In ogni caso è possibile tirare, anche con successo, in entrambe le situazioni. Ma come capire qual è il nostro occhio dominante?

Esistono vari metodi per poterlo stabilire, tra cui il seguente: - distendere le braccia in avanti all'altezza del viso e unire le mani, con i pollici in basso e le

altre dita in alto, a formare una piccola apertura triangolare;

- guardare e mettere a fuoco un punto di riferimento posto ad almeno 5 metri di distanza da voi attraverso l'apertura, con entrambi gli occhi aperti;

- rimanendo immobili, chiudere prima un occhio e poi l'altro.

Senz'altro noteremo che solo uno dei due occhi vi avrà consentito di mantenere l'oggetto mirato al centro del campo visivo, mentre l'altro avrà causato lo spostamento dell'oggetto, a destra o sinistra, facendolo sparire. Ovviamente l'occhio dominante è quello che vi ha

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Sapendo questo, impugnerete l'arco con la mano opposta all'occhio dominante e tenderete la corda con l'altra mano. Nel tiro istintivo questo problema non sussiste dato che è

obbligatorio tirare con entrambi gli occhi aperti.

Come è facilmente intuibile, prima di iniziare a tirare con l'arco, è opportuno che esso sia carico. Inizialmente, ai principianti, viene consegnato già carico, ma è indispensabile che il prima possibile si inizi a imparare a farlo autonomamente. Ci sono principalmente due modalità con cui caricare un arco.

Il primo non prevede l'utilizzo di alcun attrezzo e riesce a garantire una distribuzione uniforme dello sforzo e del carico sui flettenti:

- alloggiamo solo il cappio inferiore nell'incisione della punta del flettente inferiore;

- impugniamo il flettente superiore poco al di sotto del puntale con la mano destra e incliniamo l'arco facendo sì che il ventre dell'arco sia girato in alto e in avanti;

- poggiamo il dorso concavo del flettente inferiore sulla parte anteriore della caviglia sinistra; - spostiamo la gamba destra davanti al ventre dell'arco, posizionando l'impugnatura sul retro della stessa gamba;

- tenendo il cappio della corda con la mano sinistra, iniziamo a spingere con forza in avanti il flettente superiore facendo leva sulla coscia (anche il flettente inferiore si piegherà facendo leva sulla caviglia);

- a questo punto indirizziamo la corda con la mano sinistra fino a raggiungere il puntale e posizioniamo il cappio nel suo alloggio. L'arco è carico.

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- alloggiamo solo il cappio inferiore nell'incisione della punta del flettente inferiore;

- posizioniamo i cappucci del carichino sul rispettivo puntale inferiore e superiore dell'arco e ruotiamo l'arco in modo che il ventre dell'arco guardi a terra;

- mettiamo uno o entrambi i piedi sulla corda del carichino e iniziamo a tirare l'arco verso di noi con il braccio sinistro;

- l'altra mano che sta reggendo il cappio della corda inizia a scorrere sul flettente fino a raggiungere l'alloggio sul puntale. L'arco è carico.

Il tiro

Dopo aver visto come caricare un arco è arrivato il momento di spiegare la tecnica di tiro. Torno a sottolineare che ci sono più gesti tecnici corretti che variano a seconda della specialità. Io personalmente adopero la tecnica di tiro che andrò a spiegare qui di seguito, la quale dovrebbe essere abbastanza completa e corretta.

- Prima di tutto posizioniamoci con i piedi paralleli tra loro e rispetto al bersaglio, in modo

che la distanza tra essi sia inferiore alla larghezza delle spalle. - Assumiamo una postura naturale, con le gambe estese e l'addome e i lombari tenuti in

tensione, senza però essere troppo rigidi (soprattutto a livello delle spalle). - Mentre siamo in questa posizione impugniamo l'arco con la mano sinistra, che quindi si

trova rivolto verso il bersaglio. Con la destra prendiamo una freccia dalla faretra, la poggiamo sul rest dell'arco e la facciamo scorrere fino a far incontrare cocca e punto di incocco. Con un piccolo scatto incocchiamo la freccia.

- Ora che la freccia è stata posizionata afferriamo la corda con le tre dita centrali in prossimità del punto di incocco. Possiamo usare vari tipi di presa, ma soltanto due sono i più utilizzati: nel primo dobbiamo posizionare l'indice subito sopra la cocca e il medio e l'anulare sotto di essa, nel secondo tutte e tre le dita vengono posizionate subito al di sotto della cocca.

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- Adesso siamo pronti per eseguire il movimento di trazione. Prima di iniziarlo però, effettuiamo una più o meno profonda espirazione che sarà seguita da una fase inspiratoria che accompagnerà i movimenti fino al punto di ancoraggio.

- Iniziamo a tendere la corda e contemporaneamente alziamo il braccio sinistro (non la spalla che deve restare bassa). Dobbiamo arrivare con il braccio sinistro all'altezza della spalla e la mano destra al punto d'ancoraggio sul viso nello stesso momento. Il gomito destro deve essere ad un’altezza superiore di quella delle spalle e il movimento deve essere il più fluido possibile.

- A questo punto restiamo qualche secondo a mirare, dopo di che, apriamo le dita della mano destra e lasciamo andare indietro il rispettivo braccio. Possiamo espirare.

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23 Errori frequenti

Dopo aver spiegato la corretta tecnica di tiro, cercherò di mettere in evidenza gli errori più comuni in cui possiamo incorrere:

- stringere troppo l'impugnatura: quasi tutti i neofiti lo fanno, ma non è assolutamente necessario ed anzi è dannoso perché fa contrarre inutilmente la muscolatura dell'avambraccio producendo piccoli movimenti destabilizzanti;

- stringere troppo la corda: stesso discorso dell'impugnatura, non è necessario ed è dannoso in quanto si esercita una pressione eccessiva sulla cocca, e questo può causare la fuoriuscita della freccia dal rest o comunque influenzare negativamente il volo della freccia; - rilascio parziale della corda: spesso compromette gravemente il tiro perché imprime movimenti oscillatori alla freccia;

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- respirazione invertita o parziale

- muoversi subito dopo aver rilasciato: la freccia per "uscire dall'arco" impiega qualche frazione di secondo. Ma se noi ci muoviamo subito dopo il rilascio rischiamo di farla urtare ad una parte dell'arco, compromettendo inevitabilmente il tiro.

- cambiare punto d'ancoraggio o allungo: è un errore molto grave. Il movimento di un tiro dovrebbe essere il più simile possibile a quello precedente. Se modifichiamo qualcosa e in particolare il punto d'ancoraggio e/o l'allungo, cambiamo totalmente l'assetto di tiro.

Termini tecnici e altre cose da sapere

Allungo: la distanza, alla completa apertura dell’arco, dal punto di incocco al punto più avanzato dell’impugnatura, più 1¾ pollici. L'allungo si misura in pollici.

Libbraggio: è il termine con il quale viene definita la potenza di un arco. 1 libbra = 0,4536 kg

Non far scattare la corda a vuoto senza la freccia: l'arco potrebbe danneggiarsi in quanto l'energia che normalmente si concentra sulla freccia, si scaricherebbe sui flettenti, danneggiandoli o addirittura rompendoli.

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Allenamento

Una volta che possediamo una buona tecnica di tiro non resta che provare a migliorarla. Di certo però non basta ripetere lo stesso gesto cercando di fare sempre meglio, in quanto questo è soprattutto un lavoro di "rifinitura" da fare poco prima della gara, ma bisogna dedicarci soprattutto agli esercizi specifici di tiro. Lo scopo è quello di migliorare la padronanza dell'attrezzo, sensibilizzarci rispetto ai cambiamenti interni ed esterni e riuscire ad acquisire un miglioramento per farlo diventare parte del nostro bagaglio tecnico.

In questo sport viene sottovalutata l'importanza della forma fisica dell'atleta. Naturalmente non è così importante come in altri sport, ma si deve tenere di conto che, soprattutto quando vengono utilizzati archi con libbraggi elevati, arrivare al termine di una gara non è un'impresa così semplice. Soprattutto, oltre ad arrivare a fine gara, dobbiamo vedere come arrivarci. Un arciere stanco sicuramente sbaglierà più facilmente di uno che non lo è.

Esercizi per il rinforzo muscolare

Come appena detto la forma fisica nell'arciere è indispensabile. Vediamo quindi alcuni esempi di esercizi per il rafforzamento dei muscoli che partecipano attivamente al tiro e dei loro antagonisti:

- trazione posteriore: afferriamo le estremità dell'elastico con entrambe le mani e solleviamo le braccia tese fino all'altezza delle spalle. Abduciamo gli arti superiori all'indietro inarcando le scapole, facendo tendere l'elastico sul petto. Di nuovo adduciamo le braccia davanti a noi e ripetiamo l'esercizio per almeno tre serie da almeno 10 trazioni l'una. Rafforza gli stessi muscoli che lavorano durante il movimento di tiro;

- trazione simulando il movimento di tiro: afferriamo entrambe le estremità dell'elastico (in modo da formare un anello) con una mano e solleviamo il rispettivo braccio, teso davanti a noi, all'altezza delle spalle. Con l'altra mano afferriamo l'estremità chiusa dell'elastico e iniziamo il movimento di trazione verso il nostro punto di ancoraggio. Cerchiamo di usare il più possibile i muscoli del dorso rispetto a quelli delle braccia, ripetendo l'esercizio per almeno tre serie da almeno 10 trazioni l'una (da entrambi i lati). Rafforza gli stessi muscoli che lavorano durante il movimento di tiro. Sarebbe inoltre consigliabile aumentare le serie e/o ripetizioni della parte controlaterale rispetto a quella utilizzata per tirare con l'arco;

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- trazione anteriore: afferriamo le estremità dell'elastico con entrambe le mani e solleviamo le braccia oltrepassando la testa e portando posteriormente l'elastico. Ora che l'elastico è dietro la schiena possiamo distendere le braccia lateralmente in modo che siano tese alla stessa altezza delle spalle ed iniziare il movimento opposto a quello svolto nel primo esercizio per almeno tre serie da almeno 10 trazioni l'una. Rafforza i muscoli antagonisti che lavorano durante il movimento di tiro.

Gli esercizi sopra riportati sono stati svolti utilizzando l'elastico perché permette una maggiore fluidità e costanza nei movimenti (simile a quella utilizzata nel movimento di tiro). Sono però altrettanto importanti gli esercizi con i pesi o con sovraccarico naturale.

Esercizi di allungamento muscolare

Evitare che i propri muscoli diventino rigidi e poco flessibili è un vantaggio sia a livello sportivo sia a livello generale. Quindi è indispensabile per un atleta svolgere esercizi di allungamento muscolare a inizio e/o fine allenamento. Ecco alcuni esempi particolarmente adatti ad un arciere:

- l'abbraccio: incrociamo le braccia davanti al torace, appoggiamo le mani intorno alle spalle ed iniziamo una protrazione, cercando di arrivare al punto più centrale della schiena. Controllando la respirazione, restiamo in questa posizione per almeno 15 secondi. Consente di distendere i muscoli del dorso;

- la distensione delle braccia: portiamo le braccia in alto distendendole al di sopra della testa. Incrociamo le dita e spingiamo i palmi verso l'alto. Controllando la respirazione, restiamo in questa posizione per almeno 15 secondi. Consente di distendere alcuni muscoli delle braccia e del torace;

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- la presa della mano: portiamo le braccia dietro la schiena, una dal basso e una dall'alto, e uniamo le mani in modo che una mano abbia il palmo e l'altra il dorso rivolte verso l'esterno. Controllando la respirazione, restiamo in questa posizione per almeno 15 secondi. Ripetiamo l'esercizio invertendo la posizione delle braccia. Consente di distendere alcuni muscoli di avambraccio, spalla e torace.

Esercizi specifici per il tiro con l'arco

Per migliorare il controllo dell'attrezzo e la tecnica di tiro è indispensabile inserire nel piano di allenamento degli esercizi che propongano delle variazioni rispetto alla normale modalità di tiro. Ecco alcuni esempi:

- tiri ad occhi chiusi da breve distanza dal paglione; - tiri con analisi delle singole parti del gesto;

- tiri con arco di libbraggio minore; - tiri con arco di libbraggio maggiore; - tiri in ginocchio;

- tiri con il busto spostato avanti, indietro e laterale; - tiri con appoggio mono podalico;

- tiri con variazioni dell'impugnatura; - tiri con variazioni della presa sulla corda; - tiri con variazione del punto d'ancoraggio;

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- tiri alla maggior velocità raggiungibile;

- tiri dopo una corsa a velocità sostenuta, senza recupero;

Attività aerobica

Nel tiro con l'arco, apparentemente, l'attività aerobica potrebbe sembrare inutile o comunque poco rilevante. Di fatti è così "direttamente" parlando, poiché durante una competizione di questa disciplina il lavoro aerobico è minimo (questo nell’arco olimpico). Tutt’altro discorso sono il tiro 3D e il tiro di campagna, in cui un moderato impegno aerobico è presente. Comunque, in ogni caso, si deve anche considerare un effetto dell'attività aerobica regolare sull'organismo, ovvero quello di abbassare la frequenza cardiaca. Questa bradicardia fisiologicamente acquisita grazie all'allenamento aerobico regolare è particolarmente utile all'arciere (ricordiamo infatti che i betabloccanti vengono considerati doping in questa e nelle altre discipline di precisione), perché aiuta a limitare tremori e oscillazioni del corpo.

Seduta di allenamento

Dopo aver brevemente spiegato le generalità, andremo a vedere un esempio di singola seduta di allenamento:

- riscaldamento a corpo libero, con elastico e stretching per circa 15'; - 20 frecce a occhi chiusi distanza minima dal paglione;

- 20 frecce con azione di tiro rapida;

- 30 frecce con appoggio mono podalico (15 con appoggio sul piede sinistro e 15 con appoggio sul piede destro);

- 30 frecce con la normale tecnica di tiro; - defaticamento e stretching per circa 10'.

100 frecce non sono poche da tirare (naturalmente dipende dal libbraggio dell'arco utilizzato e dalla propria forma fisica) e quindi questa sarà una seduta di allenamento da inserire preferibilmente lontano da gare importanti. Inoltre, conta più la qualità rispetto alla quantità di frecce scoccate.

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Federazioni e gare

FITARCO

Il Tiro con l'Arco è nato in Italia intorno agli anni Cinquanta, per opera di alcuni appassionati di Treviso, Gorizia, Milano, Bergamo e Roma. Nel 1950 la Compagnia Arcieri di Treviso organizzò la prima gara sull'Altopiano di Cansiglio, a cui presero parte una ventina di tiratori.

Nel 1961 le 6 Compagnie già costituite si riunirono all'Arena di Milano e dettero vita alla Federazione Italiana di Tiro con l'Arco (FITARCO), eleggendo a presiederla Massimiliano Malacrida che, era stato sin dagli inizi uno degli animatori più convinti. Sempre nel 1961 la neonata FITARCO ottiene l'affiliazione alla Federazione Internazionale di Tiro con l'Arco (FITA).

Nel 1962 venne disputato a Milano il primo Campionato italiano con formula della singola gara: tra gli uomini si impose Giuseppe Oddo, tra le donne Maria Zonta. Questa formula rimase in vigore fino al 1964 quando venne sostituita da un sistema di classifica che teneva conto delle prestazioni fornite su tutto l'arco della stagione. Oggi il Campionato si disputa secondo i regolamenti della Federazione Internazionale.

Nel 1965, per la prima volta, una rappresentativa azzurra prese parte ai Campionati del Mondo tenutisi a Vasteras, in Svezia.

Nel 1968 veniva riformato lo Statuto Federale ed eletto alla Presidenza Annibale Guidobono Cavalchini, da sempre promotore di un maggiore impegno internazionale degli arcieri italiani.

Con la crescita ed il potenziamento della Federazione, vennero anche i primi risultati agonistici di rilievo: nel 1966 la vittoria di Luigi Fiocchi nella Coppa Europa; nel 1972 il terzo posto di Ida Da Poian nel mondiale di tiro di campagna; nel 1974 la medaglia di bronzo agli Europei di Zagabria con la squadra formata da Ferrari, Massazza e Spigarelli (lo stesso trio che nel 1972 aveva portato l'Italia a partecipare ai Giochi Olimpici a Monaco di Baviera); la

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medaglia di bronzo "mondiale" e quella d'oro "europea" di Ida Da Poian e l'argento "europeo" di Giancarlo Ferrari nel tiro di campagna. Sempre nel 1974 veniva il record del mondo a squadre dalla Nazionale formata da Spigarelli, Belocchi e lo stesso Ferrari.

Nel 1969 alla presidenza della FITARCO veniva eletto Francesco Gnecchi Ruscone, mentre venivano radicalmente rivisti statuti e regolamenti. Finalmente, nel 1973, la Federazione veniva ammessa nel CONI come "aderente": cinque anni più tardi, nel 1978, la FITARCO divenne Federazione a tutti gli effetti nell'ambito del Comitato Olimpico Nazionale Italiano.

FIARC

La Federazione Italiana Arcieri Tiro di Campagna, viene fondata nel 1983 (con il nome di Federazione Italiana Arcieri Cacciatori, modificato nel 1990 per ragioni etiche).

Aderisce all'International Field Archery Association (IFAA), l'associazione internazionale per il tiro con l'arco di campagna.

Lo scopo di questa Federazione è promuovere e sviluppare il tiro con l’arco, in particolare la simulazione del tiro venatorio come attività sportiva. Si utilizzano infatti come bersagli solo sagome di animali tridimensionali (in materiale sintetico espanso) o stampate su carta, fisse o in movimento. Normalmente si sfrutta la morfologia del terreno per creare difficoltà di tiro (condizioni di luce variabile nella boscaglia, tiri in salita e in discesa) in modo che non ci sia mai un tiro uguale ad un altro, per rendere la simulazione venatoria e il tiro istintivo più stimolanti. Il tiro istintivo è inteso come una "filosofia di tiro", secondo la quale l'arciere - oltre a dover raggiungere una grande concentrazione durante l'esecuzione del tiro - riesce a proiettare all'esterno le proprie emozioni in modo che queste guidino la freccia verso il bersaglio. Attraverso questa pratica si ricerca il contatto con la natura e con le antiche tradizioni.

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31 Le gare

Esistono cinque principali tipologie:

1) il tiro indoor. Questo tipo di gare si svolgono prevalentemente nei mesi invernali in

ambiente coperto. Gareggiano arco nudo, arco olimpico e arco compound. Solitamente la competizione viene disputata sulla distanza di 18 m, con bersagli di 40 cm di

diametro, e più raramente sulla distanza di 25 m, con bersagli di 60 cm di diametro.

Il punteggio va dall'1 al 10 per l'arco nudo e l'arco olimpico e da 6 a 10 per l'arco compound. Ogni gara si svolge su 20 volée da tre frecce ciascuna, per un totale di 60 frecce tirate e un

massimo di 600 punti a cui poter arrivare. Più di rado, la competizione avviene sulla doppia distanza 18 + 25 m, per un totale di 120 frecce tirate e un massimo di 1.200 punti raggiungibili.

2) il tiro outdoor. Questo dipo di gare si svolgono tutto l'anno, con una preferenza per i mesi primaverili ed estivi, sui campi di tiro all'aperto. Garggiano arco nudo, arco olimpico e arco compound. Una tipologia di gara è disputata su quattro distanze: 30 m, 50 m, 70 m e 90 m per gli uomini, e 30 m, 50 m, 60 m e 70 m per le donne. Per ogni distanza si tirano 36

frecce, per un totale di 144 frecce e un punteggio massimo di 1.440 punti raggiungibili. Un'altra gara, il 900 Round, prevede invece solo tre distanze 40 m, 50 m e 60 m, con

bersagli di 122cm di diametro. Gli arcieri tirano 10 volée di tre frecce per ogni distanza, per un totale di 90 frecce e un massimo di 900 punti da raggiungere. Un terzo tipo di gara è la 70 m o Olympic Round, che si svolge attualmente alle olimpiadi. Consiste in una gara preliminare (di qualifica) seguita da una serie di scontri ad eliminazione diretta. Ogni atleta in gara tira 72 frecce da una distanza di 70 m, su un bersaglio di 122 cm di diametro. Seguono poi scontri diretti da 12 frecce alla medesima distanza. 3) il tiro di campagna. Queste gare si svolgono tutto l’anno in uno scenario naturale (può trattarsi di un campo, di un bosco o simili) su cui sono state piazzate dalle 24 alle 48 piazzole (in base al tipo di gara). In ogni caso gli arcieri devono seguire un percorso in cui sono presenti bersagli "hunter" a distanze sconosciute e con diametri variabili e a bersagli "field" a distanza dichiarata. I punteggi variano dall'1 al 6 e si tirano tre frecce per piazzola, per un

totale di 72 o 144 frecce, per un punteggio massimo di 720 o 1.440 punti. Sono ammessi tutti i tipi di arco.

4) il tiro 3D. Le gare 3D sono molto simili alle gare di campagna per quanto riguarda le zone

e i percorsi in cui si svolgono, ma si differenziano per alcuni aspetti del regolamento. Sul percorso sono piazzate 24 sagome su cui è consentito tirare 2 frecce (fino a poco tempo

fa era prevista una sola freccia a bersaglio). Su ogni sagoma sono presenti delle zone che valgono di più rispetto al resto del bersaglio, solitamente sono i punti vitali dell'animale, chiamati "spot" e "super spot". I punteggi sono: sagoma 5 punti, spot 8 punti; super spot 10 punti e "x" 11 punti. Long bow, archi nudi e istintivi tirano a massimo 30 m e compound fino a 45 m. L'arco olimpico non è invece ammesso.

5) lo ski archery. Si svolge sulla neve da arcieri sciatori. Le regole sono le stesse del Biathlon, alternando sci di fondo con tiri con l'arco.

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32 I bersagli

Nella maggior parte delle gare FITARCO vengono utilizzati bersagli di carta con cerchi concentrici di diverso colore. La grandezza di questi bersagli varia in base alla distanza a cui si disputa la competizione.

Nelle gare 3D vengono utilizzate esclusivamente sagome tridimensionali. Si possono trovare una notevole numero di animali, che variano per morfologia, dimensione e posizione. Come detto in precedenza i punteggi sono: “sagoma” 5 punti, “spot” 8 punti; “super spot” 10 punti e “perfect” 11 punti.

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33 Le classi

Corrispondono alle diverse fasce d'età e sono: - giovanissimi (9 - 12 anni);

- ragazzi (13 - 14 anni); - allievi (15 - 16 anni); - juniores (16 - 18 anni); - seniores (18 - 49 anni); - master (da 50 anni in su).

In alcune competizioni nazionali e internazionali sono presenti delle classifiche assolute, divise soltanto per sesso, che unificano le fasce d'età.

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Parte III

L’invecchiamento

Tra le numerose definizioni di invecchiamento, una tra le più complete lo definisce come “un processo biologico caratterizzato da cambiamenti età-dipendenti che comportano per l’organismo una diminuzione continua e progressiva delle capacità di adattamento all’ambiente, con una maggiore vulnerabilità e una conseguente diminuita probabilità di sopravvivere”.

Questa definizione permette di capire come durante l’invecchiamento si assista ad una

diminuzione delle riserve funzionali e dell’efficienza dei meccanismi che l’organismo utilizza per mantenere stabile il proprio equilibrio interno, ovvero la cosiddetta omeostasi. L’invecchiamento è quindi un processo continuo e progressivo che si realizza in modo graduale, ma che presenta notevoli differenze tra un individuo e l’altro. Ciò è dovuto al fatto che, oltre al proprio patrimonio genetico, su questo processo influiscono fattori ambientali e fattori legati ad eventuali patologie.

Risulta quindi molto difficile stabilire un’età-soglia in cui un soggetto inizi ad essere definito anziano. Ciononostante, la maggior parte della comunità scientifica sembra d’accordo nel fissarla intorno al sessantacinquesimo anno di età. In ogni caso, anche tra i soggetti anziani c’è un’ulteriore suddivisione.

Classificazioni dell’età anziana

L’Organizzazione Mondiale della Sanità propone la seguente classificazione dell’età anziana:

• l’età anziana, compresa tra i 65 e i 74 anni, il cui inizio, grossomodo, corrisponde all’età del pensionamento e quindi alla fine della fase produttiva individuale.

• i grandi anziani, la cui fascia di età è compresa tra i 75 e gli 85 anni. In questo periodo si registrano marcate e sostanziali perdite della funzionalità che abbassano notevolmente l’indipendenza individuale del soggetto.

• i longevi, con questo termine vengono definiti i soggetti che superano gli 85 anni di età. È frequente, in questa fascia di età, la necessità di ricovero o di assistenza infermieristica.

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Un’altra fondamentale suddivisione che deve essere fatta, forse anche più importante di quella soprariportata, è quella che distingue l’invecchiamento dal punto di vista qualitativo. Questo perché ci sono numerosissimi fattori (genetici, ambientali ecc..) che influenzano la senescenza, limitandone o favorendone la velocità di comparsa e progressione.

Si deve quindi distinguere tra:

• invecchiamento associato a malattia. È quello che riguarda la maggior parte delle persone in età avanzata, in cui oltre alla progressiva riduzione età-dipendente delle capacità psico-fisiche, si associa la presenza di malattie croniche.

• invecchiamento usuale o comune. Modalità in cui si manifestano i segni più caratteristici della senescenza in assenza di patologie età-correlate ed interessa la maggior parte dei soggetti sani.

• invecchiamento di successo.È quello proprio di una stretta minoranza di persone

che, in assenza di malattia, hanno in età anche molto avanzata prestazioni fisiche e mentali non dissimili da quelle di soggetti di età giovane-adulta.

In base a questa classificazione, si mette in evidenza l’importanza di distinguere quelle che sono le manifestazioni dell’invecchiamento, proprie di tutti gli individui con il passare degli anni e che rappresentano la normalità, da quelle che invece sono le manifestazioni di patologia età-associata che determinano invece la norma.

Per maggior chiarezza:

- normale è ciò che è presente in tutti gli individui di una determinata età;

- nella norma è invece ciò che è di comune riscontro in quegli stessi soggetti, ma non presente in tutti.

È inoltre fondamentale ricordare che la velocità di invecchiamento è diversa da individuo ad individuo e persino da organo ad organo nella stessa persona (variabilità inter/intraindividuale). Ciò fa sì che vi siano ulteriori difficoltà a distinguere i vari tipi di invecchiamento.

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Il mondo sta invecchiando

Negli ultimi decenni è ormai diventato evidente che la popolazione mondiale stia progressivamente e rapidamente invecchiando, ovvero che ci sia un aumento del numero delle persone anziane, in un dato periodo di tempo, in rapporto alla numerosità della popolazione medesima.

Le cause di questo aumento sono molteplici, ma tra le più importanti ci sono l’avvento della antibioticoterapia, l’avanzamento delle conoscenze scientifiche ed il miglioramento delle condizioni sociali ed igieniche, che hanno iniziato a verificarsi poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale. In questo modo, le cause di morte legate alle patologie infettive sono nettamente diminuite, per lasciare spazio alle patologie a carattere cronico-degenerativo come l’aterosclerosi e i tumori. Questi fattori, legati soprattutto ad un miglioramento della capacità di diagnosi e delle pratiche mediche in generale, hanno portato ad un aumento della durata di vita.

A questo aumento della durata della vita si è associato un decremento delle natalità, che ha portato in un lasso di tempo relativamente breve, ad una considerevole crescita della percentuale degli anziani nell’ambito della popolazione generale.

Tra l’altro l’Italia è al secondo posto, dopo il Giappone, nella classifica delle nazioni con la più alta percentuale di popolazione anziana. Inoltre, sempre nel nostro paese, le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (riferite all’anno 2010) riportano un valore di speranza di vita alla nascita che ha raggiunto i 79,4 anni nell’uomo e gli 84,6 anni nelle donne. È quindi impensabile che un sistema sanitario all’avanguardia come il nostro possa ignorare questo problema e quindi le inevitabili e necessarie considerazioni socioeconomiche legate a questo impatto.

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Sempre per far meglio comprendere la situazione a livello mondiale dal World’s Aging Trends è possibile capire che:

- La popolazione anziana sta crescendo a velocità enormemente superiore a quella delle altre fasce di età della società.

- Il gruppo degli ultrasessantacinquenni crescerà del 200% tra il 2000 e il 2050. - Nel frattempo, la popolazione tra i 15 e i 64 anni crescerà del 16%, e il gruppo

inferiore a 15 anni solo del 5%.

- Ma la crescita maggiore riguarderà gli ultraottantenni che aumenteranno del 400%. - Nel 2000 gli ultrasessantenni al mondo erano 600 milioni; nel 2025 saranno 1,2

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Perché invecchiamo?

In un certo senso può sembrare di conoscere la risposta a questa domanda, ma in realtà neanche la comunità scientifica è ancora arrivata ad una conclusione certa del perché l’uomo, e in generale tutti gli esseri viventi, invecchiano. Certamente è possibile affermare che la vecchiaia rappresenta il prodotto delle interazioni di numerosi fattori sia di natura genetica che ambientale, ma ancora non sono stati completamente definiti i meccanismi attraverso i quali questo avviene.

Le teorie dell’invecchiamento

Ci sono molteplici teorie dell’invecchiamento, che possono essere classificate in due grandi gruppi. Ognuna di queste pone un meccanismo specifico alla base del processo di invecchiamento

• Teorie genetiche: propongono che alla base dell’invecchiamento vi siano programmi genetici continui con quelli che determinano lo sviluppo e la morfogenesi.

• Teorie stocastiche: propongono che l’invecchiamento sia causato da danni casuali alle macromolecole. Occorre però precisare che l’organismo può riparare o ricambiare le macromolecole alterate.

Teorie genetiche

- Teorie neuroendocrine: la maggior parte si basa sul declino della funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che regola lo sviluppo, la crescita, la pubertà, il metabolismo e molte altre funzioni fisiologiche.

I livelli di numerosi ormoni variano con l’età e alcuni di essi sono stati messi in relazione all’invecchiamento, come ad esempio il GH.

- Teorie immunologiche: si basano sul ruolo importante del sistema immunitario nel mantenimento della salute e della sopravvivenza dell’organismo.

La risposta delle cellule T ai mitogeni (fattori di crescita) diminuisce, così come aumenta la suscettibilità alle malattie infettive.

Con l’invecchiamento aumentano i fenomeni di autoimmunità, come evidenziato dai livelli di autoanticorpi nel siero.

- Teoria della senescenza cellulare: in coltura le cellule si replicano raddoppiando il loro numero. Dopo un certo numero di divisioni si entra in una fase di diminuita capacità replicativa fino a che le cellule non si dividono più.

Sebbene oggi si pensi che la “senescenza replicativa” non riproduca l’invecchiamento cellulare in vivo, la teoria ha ripreso vigore in seguito alla scoperta dei telomeri, che vengono rimossi parzialmente ad ogni ciclo replicativo.

Per poter capire questa teoria è necessario sapere che il telomero è la regione terminale del cromosoma, da cui deriva il nome stesso, composta di DNA altamente

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ripetuto, che non codifica per alcun prodotto proteico. Ha un ruolo determinante nell'evitare la perdita di informazioni durante la duplicazione dei cromosomi. La DNA polimerasi, infatti, non è in grado di replicare il cromosoma fino alla sua terminazione; se non ci fossero i telomeri, che quindi vengono accorciati ad ogni replicazione, la replicazione del DNA comporterebbe in ogni occasione una significativa perdita di informazione genetica.

Teorie stocastiche

- Teoria delle mutazioni somatiche e della riparazione del DNA: con l’aumentare dell’età si accumulano mutazioni nelle cellule somatiche di cui i principali responsabili sono le radiazioni e sostanze chimiche.

Parallelamente si assiste ad un declino età dipendente dell’efficienza di riparazione del DNA.

Queste aumentate mutazioni somatiche sommate alle diminuite riparazioni del DNA sarebbero alla base del processo di invecchiamento.

- Teoria della catastrofe da errori: il processo di sintesi delle proteine è complesso, cosicché si può verificare la sintesi di proteine “errate”. Questo problema potrebbe essere superato dal normale ricambio delle proteine.

Purtroppo, quando le proteine che contengono errori sono quelle coinvolte nel meccanismo di sintesi delle proteine, si potrebbe verificare un’amplificazione che porterebbe ad un elevato numero di proteine alterate incompatibili con le normali funzioni cellulari.

- Teoria delle alterazioni delle proteine e del turn-over proteico: le proteine sono alterate da numerosi processi tra cui la glicazione e l’ossidazione. È stato ipotizzato che l’accumulo di proteine alterate (dopo la sintesi) possa contribuire al fenomeno dell’invecchiamento.

Questo accumulo di alterazioni potrebbe anche essere secondario ad una maggiore emivita delle molecole che avrebbero così maggiore probabilità di essere danneggiate.

Esiste una notevole evidenza sperimentale di un declino età associato dei processi di degradazione proteica che permetterebbero quindi un maggior accumulo di proteine alterate.

- Teoria dello stress ossidativo: le specie reattive dell’ossigeno (ROS, anione superossido, perossido di idrogeno, radicale idrossile) sono semplicemente il sottoprodotto del metabolismo aerobio indispensabile per la vita.

Purtroppo, il danno provocato da questi radicali è progressivo con l’aumentare dell’età e probabilmente correlato ad un calo contemporaneo delle difese antiossidanti.

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Modificazioni psico-fisiche legate all’invecchiamento

Come già scritto in precedenza l’invecchiamento è un processo che nel singolo individuo si accompagna a cambiamenti anatomo-strutturali a carico dei diversi tessuti. Questo comporta che essi modifichino la struttura, la morfologia e la funzionalità degli organi, sistemi ed apparati. Da qui la difficoltà di distinguere nell’anziano ciò che è da ricondurre alle modalità con cui ciascun individuo è arrivato all’età senile da quelli che sono segni e sintomi di una malattia incipiente ed a capire dove finisce l’una condizione ed inizia l’altra. In ogni caso la principale conseguenza dell’invecchiamento è la riduzione delle capacità di omeostasi dell’organismo, che rende l’anziano particolarmente vulnerabile ad eventi “stressanti”, quali ad esempio condizioni patologiche anche di lieve entità, variazioni marcate della temperatura ambientale ecc.

La minore capacità omeostatica è riconducibile principalmente a due fattori:

- una riduzione delle riserve funzionali dei vari organi, sistemi ed apparati a causa dell’invecchiamento di per sé (invecchiamento intrinseco), dell’ambiente in cui l’individuo ha vissuto e dallo stile di vita (invecchiamento estrinseco);

- una minore efficienza dei grandi sistemi di integrazione (nervoso, endocrino, immunitario) a cui compete il ruolo di coordinare la risposta omeostatica.

Le principali modificazioni fisiche

Le modificazioni a livello fisico nel soggetto anziano sono molteplici e colpiscono praticamente tutti gli organi e gli apparati. Ovviamente non tutti gli individui invecchiano allo stesso modo e anche all’interno dell’individuo stesso non tutti gli organi e apparati lo fanno. In ogni caso ci sono delle modificazioni che si vengono a creare nella maggior parte degli anziani. Queste sono le principali.

• La sarcopenia: questo termine deriva dal greco sarx (carne vivente) e penia (povertà). Nell’uomo il processo di invecchiamento è associato indissolubilmente ad una progressiva perdita di massa magra e ad una atrofia muscolare generalizzata, che comporta una diminuzione delle capacità di forza dell’individuo.

Si parla proprio di sindrome sarcopenica, in quanto generalmente è associata ad una serie di fenomeni anatomo-fisiologici interdipendenti, come l’osteopenia (progressiva diminuzione del contenuto minerale a livello scheletrico), da un aumento della massa grassa e da un abbassamento della temperatura basale.

Essa sembra essere correlata a diversi fattori scatenanti di ordine sia genetico, sia ambientale che comportano un difetto di sintesi proteica associato ad un aumento dei processi catabolici. Ci sono numerosi fattori che possono influenzare questo fenomeno di atrofia muscolare progressiva ad eziologia multifattoriale, e tra questi

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troviamo l’attività fisica, i cambiamenti ormonali, l’aspetto dietetico e lo stress

ossidativo. In ogni caso pare che questa sindrome sia inscindibilmente legata all’invecchiamento.

Molti studi hanno evidenziato come la sarcopenia sia legata ad una progressiva perdita di fibre muscolari. Infatti, in alcuni di essi sono stati effettuati dei prelievi bioptici sul muscolo vasto laterale di soggetti anziani, inclusi in un range compreso tra i 70 e i 73 anni, e confrontati con quelli raccolti in soggetti giovani (range 19-37 anni). Nei soggetti anziani è stata osservata una perdita media del 23% della massa muscolare totale.

Inoltre, questa atrofia sarebbe di tipo piuttosto selettivo, in quanto sembrerebbe interessare maggiormente le fibre di tipo II, ossia a contrazione rapida, coinvolgendo pertanto maggiormente i muscoli composti in maggior parte da questa tipologia di fibre. Ovviamente questa perdita di fibre e quindi di massa muscolare, porterebbe ad una perdita di forza muscolare, e ne risulterebbe particolarmente colpita la forza di contrazione concentrica.

Nel fenomeno della sarcopenia anche la muscolatura antigravitaria degli arti inferiori

è coinvolta. Ciò costituisce uno dei maggiori rischi di caduta nell’anziano e di

limitazione nella capacità di svolgere agevolmente alcuni movimenti, come lo scendere le scale, oppure l’alzarsi dalla posizione seduta.

Con l’avanzare dell’età, compare una progressiva sedentarizzazione dello stile di vita, alla quale, alcune volte, può accompagnarsi un’alterazione a livello della microcircolazione periferica degli arti inferiori. Questo quadro può essere ulteriormente aggravato da un regime alimentare non corretto e deficitario dal punto di vista dell’apporto proteico giornaliero.

È quindi fondamentale mettere in evidenza il ruolo dell’esercizio fisico regolare. Esso, pur rappresentando senza ombra di dubbio il mezzo più efficace per mantenere o accrescere la massa muscolare, non può comunque impedire la progressione dell’atrofia muscolare e dunque del processo sarcopenico, che si verifica nell’arco della vecchiaia.

La sua pratica è però comunque estremamente consigliabile per poter mantenere una funzionalità muscolare adeguata e preservare un’ottimale densità ossea. Per far questo, oltre al lavoro muscolare basato sull’utilizzo di sovraccarichi, è indispensabile svolgere un lavoro di tipo aerobico per aumentare l’accrescimento della rete capillare.

Infine, a fronte di programmi di lavoro idonei, numerosi studi hanno dimostrato che possono esserci incrementi di forza significativi (tra il 10 e il 200%) in funzione del livello fisico di partenza di soggetti di età superiore a 70 anni.

Cosi come l’ipertrofia registrata è stata del 2-15%, anche in soggetti molto anziani (98 anni), a conferma del fatto che il muscolo scheletrico si dimostra, anche in tarda età, capace di accrescere la sintesi proteica, a patto di ricevere uno stimolo funzionale idoneo.

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