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1.3 STORIA DEL COLORE ROSSO: DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO

1.3.4 IL MONDO COLORATO DEI GRECI

Facendo un passo avanti nella storia, anche i greci, così come gli egizi, in ambito religioso possedevano delle divinità legate al fuoco e quindi al colore rosso e allo stesso modo

117 Pastoureau nota inoltre che anche la lingua e la scrittura mettono in luce il carattere malefico del rosso: «Uno stesso vocabolo, a seconda del contesto, può significare arrossire o morire; talvolta atterrire. Espressioni come avere il cuore rosso (adirarsi) o commettere atti rossi (fare del male) sono altrettanto negative. Alla stessa tregua gli scribi tracciano talvolta in rosso i geroglifici che evocano il pericolo, la sventura e la morte.» Pastoureau 2016, p. 20.

118 Cfr. Brunello 1968, pp. 14-15.

convivevano nella loro mentalità sia delle connotazioni positive, sia negative dello stesso colore.

La mitologia svolgeva un ruolo fondamentale, perché era il mezzo attraverso il quale gli individui davano delle spiegazioni a quello che accadeva nel mondo che li circondava e allo stesso tempo dava loro una parvenza di controllo sul reale e i sui suoi meccanismi di funzionamento.

Efesto (Vulcano per i Romani) nella mitologia greca era il dio del fuoco, delle fucine, dell'ingegneria, della scultura e della metallurgia, presentava duplici caratteristiche: ingegnoso e benevolo creatore da una parte, mago vendicativo e malefico dall'altra120.

Era il figlio di Era, venne gettato dalla madre stessa dall'Olimpo per non far scoprire il suo tradimento al marito Giove e forse per questo motivo venne sempre presentato goffo e zoppo. Dopo essere caduto nell'oceano si racconta che sia stato allevato dalle Nereidi, le quali gli diedero una grotta da utilizzare come fucina, dove fabbricò un trono d'oro attraverso il quale intendeva vendicarsi della madre. È una divinità quindi con tratti positivi legati all'artigianato, ma allo stesso tempo, come il fuoco può essere un elemento vitale e distruttivo, anche Efesto presenta delle caratteristiche crudeli e calcolatrici.

Allo stesso modo i fabbri, a partire da questa divinità che li rappresentava, nella cultura greca e romana, vennero considerati delle persone ambigue e potenzialmente pericolose121.

Leggendo i testi antichi che ci sono pervenuti e che trattano di riti sociali e di aspetti del vivere comune, si può notare come in passato i colori venissero descritti in modo diverso rispetto a come facciamo oggi, poiché differente era la percezione degli uomini a questo proposito.

La letteratura greca ci mostra come la maniera di definire i colori fosse estremamente personale, il lessico li descrive in primo luogo sulla base di criteri quali la luminosità e la capacità di riflettere la luce, non a caso la parola glaukos (colore) significava “brillante”. Delle osservazioni importanti in proposito sono state fatte da Goethe all'interno della “Teoria dei colori”122, opera nella quale afferma che i nomi dei colori nella lingua greca erano mobili e oscillanti, non fissi e stabili come sono diventati nel corso del tempo, dove ogni sfumatura ha un nome ben definito, la descrizione delle tinte quindi era sostituita da una concezione psicologica e soggettiva del colore. 123

Xantos in greco antico era un termine indefinito che indicava una gamma cromatica che

120 Su Efesto e il suo aspetto fisico nell'iconografia e nelle leggende greche cfr. Delacourt 1957.

121 Cfr. Pastoureau 2016, p. 24.

122 Cfr. Troncon 2017, p. 180.

spaziava dal giallo al rosso, veniva utilizzato sia per parlare del grano, dei capelli biondi degli eroi, sia per descrivere il tramonto. In particolare l'aggettivo porphyreos (agitato) veniva usato per indicare il porpora che dal rosso va verso il blu, questa ambivalenza di cromia si spiega facendo riferimento alla tecnica di realizzazione del colore a partire dai molluschi e alla loro lavorazione, poiché in base al dosaggio e al momento di arresto del processo si ottenevano tinte diverse.

Talvolta in letteratura all'interno di un testo o in pittura in un dipinto, rimaniamo stupiti della grande quantità di dettagli che riusciamo a scorgere e quindi dalla grande bravura di chi scrive o dipinge, e sono proprio quelli a trasmettere delle sfumature di significato che spesso ci aiutano a capire cosa c'è sotto ad un racconto o ad una rappresentazione.

Ritornando all'aggettivo porphyreus, è interessante notare che in seguito si aggiunsero associazioni simboliche legate al sangue e alla morte riscontrabili anche il letteratura: ad esempio nell'“Agamennone”124 di Eschilo, dove Clitemnestra stende ai piedi di Agamennone, reduce da Troia, uno sfarzoso tappeto purpureo, preannunciando attraverso di esso la sua morte richiamata e resa evidente proprio dalle scelta di quel preciso colore.

Purtroppo non conosciamo a fondo la pittura del mondo greco, con l'unica eccezione di quella su vaso, della quale ci sono pervenuti moltissimi esemplari.

Questo tipo di forma artistica è utile perché permette di indagare molti aspetti del reale, non solo legati alla religione, ma anche alla mitologia, alla guerra, all'abbigliamento e molto altro. I vasi più antichi presentano principalmente delle decorazioni geometriche di colore policromo, a partire dal VII secolo da Corinto si diffuse una nuova tecnica per decorare i vasi, dove le figure erano realizzate con il colore nero su sfondo naturale. Un altro passo avanti risale al 530-520 a.C., quando ad Atene si iniziò ad utilizzare il rosso su sfondo nero125.

Questo colore era presente anche nella statuaria greca, più in epoca arcaica che classica e soprattutto nel periodo ellenistico, in quanto con il procedere del tempo si assiste ad una progressiva diversificazione ed impiego dei colori.

Per quanto riguarda i pigmenti il rosso in scultura veniva ottenuto dall'ematite e veniva utilizzato per il chitone, ma anche per colorare la pelle, gli occhi, i capelli, le criniere dei leoni e i ciuffi degli animali126.

124 Cfr. Agamennone, ed. Del Corno 2005.

125 Per la storia approfondita sullo sviluppo della tecnica del dipingere su vasi cfr. Boardman 1984.