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La montagna presa in giro: la denuncia dello stereotipo nella fotografia di montagna

II. Il giovane Giuseppe Mazzotti e le origini dell’interesse per la fotografia

II.III. La montagna presa in giro: la denuncia dello stereotipo nella fotografia di montagna

[…] quell’aureo libretto «La Montagna presa in giro» che fece grande clamore per la coraggiosa, caustica analisi delle negative conseguenze del turismo di massa in montagna allora molto sostenuto dal regime; un’analisi profetica che ancor oggi è pienamente valida e verificabile [BERTI 1981:76].

Come già accennato, l’attenzione di Rey alla cura e alla salvaguardia dell’ambiente montano si tramutò, nell’erede Mazzotti, in una vera e propria battaglia, palesata in La montagna presa in giro103, caustico e profetico libretto privo di fotografie, ma istoriato da disegni di Sante Cancian, nel quale Mazzotti denunciò l’abitudine degli escursionisti contemporanei di utilizzare la montagna più come una sorta di parco dei divertimenti che come un luogo da rispettare e conoscere104

[MAZZOTTI 1936].

In questo libretto Mazzotti riprendeva uno slogan riprodotto su tutti i giornali dell’epoca, «Le vacanze senza una macchina fotografica sono sciupate», per dimostrare quanto fosse diffusa all’epoca l’abitudine di viaggiare con uno o più apparecchi fotografici. Costruì poi una parodia delle abitudini del fotografo dilettante e della tipologia di fotografie prodotte, nelle quali, solitamente, occupavano gran parte della scena le persone fotografate e non le montagne, i paesaggi o i monumenti degni di nota.

Nei tre capitoli dedicati alla fotografia105 Mazzotti definì, spesso con sarcasmo e schiettezza, la propria teoria. Notava, innanzitutto, come gli slogan pubblicitari “obbligassero” l’alpinista a dotarsi, nelle escursioni, di uno o più apparecchi fotografici. Senza alcuna consapevolezza tecnica, però, ne risultavano fotografie molto simili:

I luoghi universalmente noti, o per varie ragioni interessanti, vengono fotografati senza eccezione; il risultato è sempre lo stesso: un gruppo di amici disposti a semicerchio, con gli occhi fissi all’obiettivo, e un sorriso di beatitudine sulle labbra. È vero che qualche “dilettante” evoluto, avverte ogni volta: - Non guardate l’obiettivo, e state indifferenti - ma sarebbe come dire a della gente che si trovasse nella gabbia del leone: - Voltatevi e non pensate al leone [MAZZOTTI 1936:100].

La montagna diventava, dunque, soltanto «un pretesto» per fotografare amici o compagni di avventure, «come la chiesa di San Marco per quelli che fanno il ritratto alla moglie con due colombi in bilico sulla mano aperta» [MAZZOTTI 1936:102]. Anche coloro che si impegnavano a cercare nuovi soggetti finivano poi per riprodurli all’infinito, senza un criterio. Si riprendeva la montagna «dal punto di vista più comodo e caratteristico» ricalcando l’iconografia diffusa delle cartoline illustrate [MAZZOTTI 1936:105].

Contro coloro che apprezzavano “la montagna in fotografia” chiosava:

[…] molta gente si gode la montagna in fotografia: la montagna dieci per quindici ha su quella di sasso e di neve l’immenso vantaggio di esser maneggevole [MAZZOTTI

1936:106]. […] Gli piace la montagna in fotografia: la «sente» di più; appunto perché la sua sensibilità s’è ricoperta di polvere. L’aria libera e il cielo vasto gli darebbero uno stordimento simile all’ebbrezza alcoolica [sic]: sicuramente ne avrebbe sgomento; si sentirebbe smarrito in un mondo e in una luce che non sono per lui [MAZZOTTI

1936:107-108].

Conoscere le montagne dalle fotografie rischiava perciò di deludere l’esperienza: come per «San Pietro, le Piramidi, il Colosseo. Si immaginano immensi e perfetti, e nella realtà disilludono» [MAZZOTTI 1936:109]. Mazzotti non lo affermava per sminuire la bellezza di tali monumenti, ma, chiaramente, per sottolineare che un eccessivo consumo di fotografie, spesso simili, rischiava di creare stereotipi e pregiudizi.

II.III. La montagna presa in giro

Quanto in fotografia risultava immenso e perfetto veniva scalzato dall’immagine reale, dinamica e mutevole a seconda dei punti di vista, del tempo, delle condizioni di luce:

Quasi tutte [le montagne] sono illustrate e descritte nelle guide fin nei più piccoli particolari: chi le sale, segue passo per passo le vie indicate, preoccupandosi solo di non variare il percorso. Quello che non si trova sulla via descritta, è come se non esistesse: lo scalatore impara a vedere con gli occhi degli altri, e a scriver sotto dettatura sulla falsariga comune. […] così si va disseccando una sorgente di meraviglia che potrebbe durare eterna. […] Ma ormai le montagne, note e catalogate sasso per sasso, sono diventate facile svago di moltitudini. Centomila le salgono, e nessuno più le comprende [MAZZOTTI 1936:110].

Il fatto che le guide anticipassero i percorsi con descrizioni e immagini, ad esempio, conduceva l’escursionista a notare soltanto quanto gli veniva indicato togliendo spontaneità al personale spirito di osservazione e di avventura. Al contrario, per Mazzotti, i “veri artisti fotografi della montagna” erano coloro i quali, anche “sospesi sull’abisso”, fossero pronti a far scattare l’otturatore.

In una lettera a Mazzotti, datata 26 maggio 1931, Rey ringraziò l’amico per il dono de La montagna presa in giro che, anche se in maniera implicita, giudicò polemico. Rey definì il testo «giocondo» e «senza malizia» e aggiunse di attendere con maggiore trepidazione «la fioritura» de Il giardino delle rose che, si augurava, «sarebbero state senza spine»106:

Grazie pel libro e per la dedica: questa mi lascia dubbioso, il libro no, ché mi fa vedere chiaro quanto io sia rimasto indietro nel cammino dell’alpinismo, ove a’ miei tempi certi tipi non c’erano o forse non si notavano. E sì che io stampai un mio primo volumetto a quattro mani in collaborazione con l’amico Saragat, il mite e benigno umorista dell’Alpi di quarant’anni addietro; collaborazione che non piacque ai Catoni del Club Alpino di quel tempo. O assai più progredito e più libero il vostro tempo!

Come che sia il libro è più giocondo e scritto senza malizia: perciò mi piace, ma più assai mi sta a cuore quell’altro promesso “Il giardino delle rose” che non avrà spine. Con impazienza ne attendo la fioritura.

La fotografia fu, dunque, presente nella maggior parte dei testi di Mazzotti sulla montagna, inizialmente come corredo e oggetto di speculazione teorica.

Si forma in questo periodo e in questo ambito l’opinione di Mazzotti rispetto alla fotografia, anche grazie al contatto con il professionista Guido Rey.

Quando, nel 1935, Mazzotti curò la redazione della rivista Rassegna del Comune e, a partire dallo stesso anno, allestì la prima mostra fotografica nell’ambito delle Mostre

d’Arte a Villa Margherita, aveva già alle spalle queste esperienze che avrebbero

determinato il suo interesse inesauribile per la fotografia, non soltanto quale mezzo di espressione personale, ma anche di comunicazione istituzionale.

Il medium fotografico divenne così, a poco a poco, uno strumento pervasivo anche della sua opera di promozione culturale in ambito turistico.

In ogni caso, anche nell’ambito specifico della rappresentazione fotografica della montagna, come corredo di scritti, in mostre e per la promozione turistica e per il CAI di Treviso107, l’interesse di Mazzotti si rivelò altrettanto inesauribile.


La prima edizione risale al 1931. Questo testo vide la luce poco prima de Il giardino delle rose.

103

Mazzotti combatté anche contro le insegne pubblicitarie che ne sciupavano il paesaggio.

104

Intitolati, rispettivamente: Sviluppo della pellicola, Praticità del succedaneo, La montagna rivelata

105

[MAZZOTTI 1936:99-111].

Il manoscritto originale è riprodotto in MCMAHON 2004, p. 18.

II.III. La montagna presa in giro

Nel 1954 Mazzotti ricevette la nomina di Accademico del Club Alpino Italiano (CAI)

107

[PELLEGRINON 2001:18].

Nell’articolo commemorativo della scomparsa di Mazzotti, Berti lo ricordò come colui che tenne a battesimo la rivista Le Alpi Venete: Rassegna delle Sezioni Trivenete del Club Alpino Italiano nel 1947 sulla quale pubblicò numerosi articoli [BERTI 1981].

A partire dal 1951 [MCAI 1951] e, almeno fino al 1970 [ACAI 1970], inoltre, Mazzotti collaborò, nelle vesti di appassionato, all’organizzazione di mostre fotografiche organizzate dalla sezione trevigiana del CAI. Queste mostre si basarono sempre sul dispositivo che prevedeva un bando di concorso per selezionare le migliori immagini da esporre. Le fotografie raccolte furono poi conservate e utilizzate dalle diverse sezioni del CAI anche per illustrare calendari e dépliant. Svolte, in principio, con cadenza biennale [MCAI 1953; MCAI 1955; MCAI 1959; MCAI 1966; MCAI 1969], le esposizioni divennero in seguito meno frequenti.

Molto significativa dal punto di vista della promozione turistica attraverso l’illustrazione fotografica fu la rivista Le Dolomiti, periodico dell’EPT di Bolzano. Mazzotti vi collaborò come redattore, insieme con il direttore dell’EPT di Bolzano, Marcello Caminiti, e l’alpinista e scrittore di montagna, Arturo Tanesini, come componente del comitato di direzione e come fotografo. La rivista, sorta per promuovere le Dolomiti, dedicò grande cura e rilievo all’immagine fotografica. Comparvero autori quali AFI, Böhm, Burloni, Farina, Giuseppe Fini, Fiorentini, Egoni, Göstner, Marino, E. Pedrotti, Sciliaria, Steiner, Stefani, Trenker. La rivista da un punto di vista della «propaganda» turistica e della cura tipografica e della raffinatezza dei testi e dell’illustrazione fu celebrata come un modello [L’ARENA

1949] da applicare alla promozione di altre località.

Mazzotti scrisse anche diversi testi illustrati sulla montagna che vennero tradotti in francese, tedesco, spagnolo e ristampati sino a oggi. Inoltre partecipò all’allestimento e alla redazione del catalogo di due mostre. Nel primo caso si trattò di una mostra storica internazionale su «la montagna nel manifesto pubblicitario» [MAZZOTTI 1959], nel secondo caso di un’esposizione su «la montagna nel manifesto e nel francobollo» [MAZZOTTI 1967]. Anche in questo campo, dunque, seppe declinare il suo interesse e l’opera di promozione in numerosi media.