• Non ci sono risultati.

Il concetto di Moral Disengagement (MD) fu introdotto da Bandura (1986), il quale sosteneva che ci fossero meccanismi di Disimpegno Morale che ci permettono di liberare temporaneamente la condotta dai principi morali. Infatti, secondo l’autore, un soggetto che mette in atto comportamenti aggressivi non è necessariamente privo di norme morali, ma riesce ad attivare o disattivare tali norme a seconda delle circostanze e della convenienza personale in modo da poter trasgredire alle regole morali senza però avere un calo dell’autostima, ed ottenendo anche vantaggi personali. Queste strategie permettono dunque al soggetto di conciliare i propri valori morali con le azioni che intraprende, anche se queste sono palesemente in contrasto. Bandura (1986) individua otto meccanismi di Disimpegno Morale che agiscono su tre fasi del processo di regolazione della condotta morale:

1. Valutazione della condotta in sé 2. Valutazione delle conseguenze 3. Giudizio nei confronti delle vittime

Per quanto riguarda i meccanismi, ritroviamo i seguenti:

• Giustificazione morale: attraverso questo meccanismo viene operata una ridefinizione cognitiva del comportamento trasgressivo, ristrutturandolo in modo moralmente accettabile, come se avesse uno scopo morale. Ad esempio, la tortura può essere considerata accettabile, se vista come unico mezzo per ottenere informazioni necessarie a proteggere la nazione, oppure le guerre vengono giustificate in nome di ideali più alti, come Dio o la patria. Allo stesso modo un bambino si può sentire giustificato ad aggredire un compagno per difendere un amico.

• Etichettamento eufemistico: meccanismo attraverso cui un’azione trasgressiva è resa accettabile attenuando la violenza semantica delle espressioni con cui viene indicata. Ad esempio, possiamo parlare di “danni collaterali” per giustificare la morte di innocenti durante una guerra, o di “pulizia etnica” per

35

riferirsi allo sterminio di popolazioni. Quindi un ragazzo potrà definire ad esempio “dare una lezione” il fatto di aver arrecato danni ad un compagno. • Confronto vantaggioso: con tale meccanismo il proprio comportamento è

paragonato a quello di altri individui che operano violazioni più gravi e immorali, così da banalizzare le proprie. Per esempio viene paragonata la molestia ad una ragazza con uno stupro, oppure la presa in giro di un compagno rispetto all’uso della violenza sullo stesso.

• Dislocamento di responsabilità: con tale meccanismo la responsabilità dell’azione è attribuita ad altre figure più autorevoli, così che il soggetto sente di avere un ruolo meno attivo e consapevole. Per esempio questo accade durante la guerra, quando i soldati sparano per ordine delle gerarchie militari, rispettano i loro doveri nei confronti delle autorità e non si sentono personalmente responsabili per gli effetti causati dalle proprie azioni.

• Diffusione della responsabilità: è un meccanismo che viene messo in atto quando vengono commesse delle azioni immorali che coinvolgono un gruppo di persone e consiste nel percepire una minore responsabilità personale ritenendo che gli altri siano ugualmente responsabili. Le azioni collettive infatti garantiscono l'anonimato e ciò consente un indebolimento del controllo morale. È questo il caso degli stupri di gruppo o delle violenze negli stadi. • Non considerazione o distorsione delle conseguenze: tale meccanismo fa sì

che non ci sia una valutazione delle conseguenze negative del proprio comportamento. Perseguendo un'azione dannosa al fine di ottenere un vantaggio personale, le persone tendono a minimizzare il danno compiuto, oppure evitano di confrontarvisi non considerando le conseguenze negative ma solo i vantaggi ottenuti. Facendo così si disattiva l'autocensura.

• Deumanizzazione della vittima: tramite questo processo, la vittima viene degradata ad un rango non più umano, facendo così venir meno il meccanismo della corrispondenza empatica. L’individuo che subisce l’azione dannosa non è più visto come una persona con sentimenti e preoccupazioni e che prova sofferenza, ma è paragonata ad un oggetto inanimato.

36

provocazione, vi si trova una giustificazione prendendosela con gli avversari o con le circostanze. In questo meccanismo l’altro non è soltanto un avversario, ma anche colui che ha dato inizio alla violenza.

2.2.1 Moral disengagement e l’antisocialità

La relazione tra Moral Disengagement e comportamento antisociale è stata confermata in numerosi studi, che hanno anche evidenziato come i meccanismi del Disimpegno Morale agiscano fin dalla nascita e che i loro effetti permangano nel tempo (Bandura, Barbaranelli, Caprara e Pastorelli, 1996; Mulford, 2004; Pelton, Gound, Forehand e Brody, 2004). Secondo uno studio condotto da Paciello e colleghi (2008) il MD è stabile fino ai 13 anni, per poi iniziare a decrescere lievemente tra i 14 e i 20 anni; tuttavia, alti livelli di Disimpegno Morale durante la preadolescenza predicono la messa in atto di comportamenti antisociali negli anni successivi.

L’antisocialità e il Disimpegno sono due concetti facilmente correlabili, dal momento che se una condotta antisociale, che comporta dunque un vantaggio personale al soggetto, viene giustificata dal punto di vista morale, allora l’individuo tenderà a metterla in atto più spesso e facilmente (Bacchini, 2011).

Il Moral Disengagement è stato associato ai comportamenti antisociali anche dal momento che è molto frequente in contesti in cui illegalità e violenza fanno parte della vita quotidiana, facendo sì che i giovani sperimentino fin da subito i vantaggi che possono trarne (Bacchini, 2011). Secondo Wilkinson e Carr (2008) infatti una prolungata esposizione alla violenza ambientale rende possibile l’interiorizzazione di modelli d’azione, detti anche script, caratterizzati dalla violenza e assimilati nel corso delle normali relazioni sociali; sostengono inoltre che vengano poi utilizzati più frequentemente da coloro che sono più frequentemente esposti a situazioni in cui può essere elicitato il comportamento violento. A conferma di quanto appena detto, è utile citare uno studio condotto in Italia (Pastorelli, Incatasciato, Rabasca e Romano, 1996) che è andato ad indagare le relazioni tra i meccanismi di Moral

Disengagement rispetto alla propensione all’aggressione e alla violenza, in contesti

sociali a rischio. I ricercatori hanno creato due gruppi di adolescenti di Napoli; uno definito a rischio, dal momento che, i membri appartenevano ad un contesto sociale

37

con un’alta percentuale di gruppi camorristici, mentre l’altro era detto non a rischio, poiché, nel loro contesto sociale di provenienza non vi era la presenza dei gruppi delinquenziali. Ad entrambi sono state somministrate sei diverse scale di autovalutazione volte ad indagare l’irritabilità, la suscettibilità emotiva, la ruminazione, la paura nei confronti di una punizione, la tolleranza rispetto alla violenza e il Disimpegno Morale. Dai risultati è emerso che i giovani provenienti dall’area a rischio presentavano una più alta propensione sia al Moral

Disengagement, che all’aggressione di tipo offensivo e cognitivo-strumentale,

rispetto all’altro gruppo.

Un ulteriore studio in questo ambito è stato condotto da Bandura, Barbanelli, Caprara e Pastorelli (1996), i quali hanno preso in esame la struttura e l’impatto del Disimpegno Morale sulla condotta aggressiva e sui processi psicologici attraverso i quali esercita la sua influenza. Ad un campione di 799 soggetti, tra i 10 ed i 15 anni, sono state somministrate diverse scale che avevano la funzione di indagare: il Disimpegno Morale, il comportamento delinquenziale, la ruminazione delle offese e l’irascibilità, la popolarità ed il rifiuto tra i coetanei, il comportamento aggressivo e prosociale ed infine il senso di colpa. Analizzando i risultati, è emerso che il Moral

Disengagement influenza il comportamento delinquenziale sia direttamente, che

indirettamente, cioè riducendo la prosocialità dell’individuo e il senso di colpa anticipatorio per le trasgressioni; ciò favorisce la propensione all’aggressività.

Uno studio di Paciello e colleghi (2015) ha valutato il ruolo dei processi morali e cognitivi per cercare di comprendere i comportamenti aggressivi e delinquenziali in un gruppo di adolescenti con Disturbo da Comportamento Dirompente. I ragazzi presi in esame sono stati divisi in due gruppi, quello di controllo era costituito da 85 partecipanti e mentre quello clinico da 30. Comparati al campione di controllo, gli adolescenti del campione clinico, erano più inclini ad utilizzare i meccanismi di Disimpegno Morale per legittimare la loro condotta aggressiva e/o di violazione di regole.

Per quanto concerne lo studio dei predittori e precursori del Disimpegno Morale è utile fare riferimento a due contributi. Il primo è quello di Hyde, Shaw e Moilanen (2010), i quali ipotizzarono che i bambini apprendano atteggiamenti e credenze che giustificano l’uso delle condotte antisociali dal rapporto con i genitori, in particolare

38

quando la relazione è basata sul rifiuto e sull’aggressività. Ciò tende a verificarsi soprattutto in contesti dove è normale violare le regole sociali. Quindi, un’educazione basata sulla durezza e la conflittualità coniugale può essere un precursore di futuri comportamenti antisociali nel bambino. Inoltre, secondo Kochanska (1997a, 1997b, 2002) lo stile genitoriale influenza lo sviluppo delle capacità empatiche.

Il secondo contributo da evidenziare è quello di Detert e collaboratori (2008), i quali attribuiscono un ruolo centrale alle differenze individuali ed in particolare si riferiscono all’empatia, al cinismo, al locus of control e all’identità morale. L’empatia, studiata anche da Bandura (1986), risulta essere un fattore protettivo, poiché inibisce il Disimpegno Morale, mentre invece il cinismo, caratterizzato da sentimenti di frustrazione e disillusione, può essere considerato come un precursore del disturbo.

Per quanto riguarda, invece, le differenze di genere nel mettere in atto meccanismi di MD, non se ne evidenziano nei primi anni di vita, ma durante il percorso di sviluppo i maschi diventano più propensi ad usare tali meccanismi rispetto alle femmine (Bandura,1999).

2.3 La

relazione

tra

tratti

Callous-Unemotional

e

Moral

Documenti correlati