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Rapporto tra Moral Disengagement e tratti Callous-Unemotional in adolescenti con Disturbo del Comportamento Dirompente: uno studio clinico

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica

Corso di Laurea in Psicologia Clinica e della Salute

Tesi di Laurea

Rapporto tra Moral Disengagement e tratti Callous-Unemotional in adolescenti con Disturbo del Comportamento Dirompente: uno studio

clinico

Candidato: Relatore: Sara Sanesi Dott. Pietro Muratori

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INDICE

ABSTRACT ... 5

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO 1 DISTURBI DA COMPORTAMENTO DIROMPENTE, DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI E DELLA CONDOTTA, E LA MORALE ... 7

1.1 Disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta ... 7

1.1.1 Disturbo oppositivo provocatorio ... 8

1.1.2 Disturbo esplosivo intermittente ... 9

1.1.3 Disturbo della Condotta ... 11

1.1.4 Disturbo Antisociale di Personalità ... 15

1.1.5 Piromania e cleptomania ... 16

1.2 La morale ... 17

1.2.1 Approccio cognitivo-evolutivo ... 17

1.2.2 La teoria degli ambiti ... 20

1.2.3 Affettività e morale ... 21

1.2.4 Approccio biologico ed evoluzionistico ... 23

1.2.5 Teoria sociale cognitiva: il contributo di Bandura ... 24

CAPITOLO 2 TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL E MORAL DISENGAGEMENT ... 26

2.1 Tratti Callous-Unemotional ... 26

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2.1.2 Neurobiologia dei tratti Callous-Unemotional ... 28

2.1.3 Evidenze empiriche sui tratti Callous-Unemotional ... 31

2.2 Moral Disengagement ... 34

2.2.1 Moral disengagement e l’antisocialità ... 36

2.3 La relazione tra tratti Callous-Unemotional e Moral Disengagement ... 38

CAPITOLO 3 STUDIO CLINICO ... 40

3.1 Obiettivi dello studio ... 40

3.2 Metodo ... 41

3.2.1 Partecipanti e procedure ... 41

3.2.2 Misure ... 42

3.2.3 Analisi dei dati ... 43

3.2.4 Risultati... 44

3.3 Discussione ... 46

BIBLIOGRAFIA ... 50

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ABSTRACT

La categoria dei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta (DCD) comprende condizioni che comportano problemi di autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti, che si manifestano attraverso azioni che violano i diritti degli altri e/o che mettono l’individuo in contrasto significativo con norme sociali o figure che rappresentano l’autorità.

Una componente importante nello studio dei Disturbi della Condotta è la morale, poiché viene frequentemente riscontrata la sua perdita nei soggetti che presentano tale disturbo. Per morale si intende l’abilità di discriminare tra giusto e sbagliato, sulla base di regole etiche e di norme sociali e comportamentali.

In riferimento ai Disturbi della Condotta e alla morale si possono riscontrare due importanti componenti: i tratti Callous-Unemotional (CU) ed il Moral

Disengagement (MD). I primi possono essere definiti come un persistente pattern

temperamentale che riflette la mancanza di empatia, colpevolezza, rimorso ed indifferenza nei confronti degli altri e molti studi evidenziano il loro coinvolgimento nei DCD.

Il Disimpegno Morale, invece, permette di liberare temporaneamente la condotta dai principi morali tramite degli specifici meccanismi che vanno a disattivare tali norme, in modo da poter trasgredire alle regole morali senza avere un calo dell’autostima; come dimostrato da numerosi studi è associato a comportamenti aggressivi.

Inoltre i tratti CU e il MD sono tra loro correlati.

Partendo da tali premesse, abbiamo condotto uno studio per valutare come e se la relazione tra questi due fattori di rischio legati alla morale possa modulare la gravità della diagnosi di Disturbi da Comportamento Dirompente, del Controllo degli Impulsi e della Condotta. Dai risultati sono emersi tre Cluster caratterizzati da livelli diversi di MD e tratti CU. Gli adolescenti inclusi nel Cluster A, quello caratterizzato dai valori più alti in entrambi i fattori, hanno riportato maggiori comportamenti aggressivi e di trasgressione delle regole, rispetto agli altri due Cluster.

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INTRODUZIONE

Negli ultimi anni, in letteratura, sembra essere aumentato l’interesse nei confronti della relazione tra tratti Callous-Unemotional e Moral Disengagement. È possibile ipotizzare che ciò sia dovuto ad una crescente attenzione nello studio del secondo fattore, in particolare del suo coinvolgimento nei Disturbi da Comportamento Dirompente, del Controllo degli Impulsi e della Condotta (ad esempio, Pastorelli, Incatasciato, Rabasca e Romano, 1996; Wilkinson e Carr, 2008).

A tale riguardo, uno dei principali studi in questo ambito è quello condotto da Muratori e collaboratori (2016), il quale era volto a valutare le reciproche relazioni longitudinali fra il Disimpegno Morale ed i tratti CU. È emerso che punteggi più elevati di Moral Disengagement sono associati a successivi livelli più alti dei tratti

Callous-Unemotional e viceversa. Dunque è possibile evincere che questi due fattori

siano in interazione tra loro e diano luogo ad una condizione di reciproca influenza, in cui il variare dell’uno comporta una variazione dell’altro. Sulla base di tale considerazione è ipotizzabile che possano avere anche un ruolo nella modulazione della gravità dei Disturbi da Comportamento Dirompente, del Controllo degli Impulsi e della Condotta; in modo particolare, potrebbero essere coinvolti nell’aumento dei comportamenti aggressivi e di trasgressione delle regole.

Alla luce di tali ipotesi, abbiamo condotto uno studio per andare a valutare se effettivamente i tratti CU e MD possano modulare la gravità della diagnosi di DCD in adolescenti.

Il mio elaborato prende spunto dallo studio sopra citato, al quale ho preso parte presso l’ospedale IRCCS Fondazione Stella Maris di Pisa; nello specifico il mio lavoro di tesi consiste nell’andare a descriverlo in maniera esauriente, in modo da evidenziarne i risultati ottenuti.

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CAPITOLO 1

DISTURBI DA COMPORTAMENTO DIROMPENTE,

DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI E DELLA

CONDOTTA, E LA MORALE

1.1 Disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli

impulsi e della condotta

Nel DSM 5 è stata introdotta la categoria dei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta (DCD), la quale comprende condizioni che comportano problemi di autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti, che si manifestano attraverso azioni che violano i diritti degli altri e/o che mettono l’individuo in contrasto significativo con norme sociali o figure che rappresentano l’autorità (APA, 2013). Ritroviamo dunque un ampio spettro di problemi, i quali, essendo altamente correlati tra loro, possono manifestarsi in concomitanza (Frick et

al., 1993).

I disturbi compresi nella categoria sopra citata sono: • Disturbo Oppositivo Provocatorio;

• Disturbo Esplosivo Intermittente; • Disturbo della Condotta;

• Disturbo Antisociale di Personalità; • Piromania;

• Cleptomania;

• Disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta con altra specificazione;

• Disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta senza altra specificazione.

Questa categoria di disturbi è, in molti paesi, uno tra i motivi più comuni per cui i giovani si rivolgono alle cliniche per la salute mentale (Steiner et al., 2007). Gli

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adolescenti con tali caratteristiche, infatti, rischiano di sperimentare vari problemi fra cui i fallimenti scolastici, l’abuso di sostanze stupefacenti e la criminalità (Burke, Arkowitz e Dunn, 2002; Odgers et al., 2008; Renda, Vassallo e Edwards, 2011; Savolainen et al., 2014).

1.1.1 Disturbo oppositivo provocatorio

Il disturbo è caratterizzato dalla presenza di sintomi relativi alla componente emozionale, che possono essere predittori del successivo sviluppo di un Disturbo dell’Umore, e da manifestazioni comportamentali, che potrebbero poi portare alla violazione di norme, all’impulsività o a condotte vendicative o mirate nuocere gli altri (Stringaris e Goodman, 2009).

I criteri diagnostici del DSM 5 (APA, 2013):

A. Un pattern di umore collerico/irritabile, comportamento polemico/provocatorio o vendicativo che dura da almeno 6 mesi evidenziato dalla presenza di quattro sintomi di qualsiasi tra le seguenti categorie, e manifestato durante l’interazione con almeno un individuo diverso da un fratello.

Umore collerico/irritabile:

1. Va spesso in collera.

2. È spesso permaloso/a o facilmente contrariato/a. 3. È spesso adirato/a o risentito/a.

Comportamento polemico/provocatorio:

4. Litiga spesso con figure che rappresentano l’autorità o, per i bambini e gli adolescenti, con gli adulti.

5. Spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste provenienti da figure che rappresentano l’autorità o le regole. 6. Spesso irrita deliberatamente gli altri.

7. Spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento.

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8. È stato/a dispettoso/a e vendicativo/a almeno due volte negli ultimi 6 mesi.

B. L’anomalia del comportamento è associata a disagio dell’individuo o di altre persone nel suo immediato contesto sociale (per es., famiglia, coetanei, colleghi di lavoro), oppure ha un impatto negativo sul funzionamento in ambito sociale, educativo, lavorativo o in altre aree importanti.

C. I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un disturbo psicotico, da uso di sostanze, depressivo o bipolare. Inoltre non vengono soddisfatti i criteri per il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente.

Specificare la gravità attuale:

Lieve: i sintomi sono limitati ad un unico ambiente.

Moderata: alcuni sintomi sono presenti in almeno due ambienti. Grave: alcuni sintomi sono presenti in tre o più ambienti.

I primi sintomi appaiono generalmente in età prescolare, mentre è invece più difficile riscontrare la loro insorgenza in età adolescenziale (APA, 2013).

La prevalenza di questo disturbo è stimata da 1 a 11%; in età pre-adolescenziale il disturbo è più frequente nei maschi (1,4:1), ma questa predominanza non è sempre riscontrabile in campioni di adolescenti e adulti (APA, 2013).

Come evidenziato in letteratura, il DOP precede lo sviluppo di un Disturbo della Condotta, ma ciò non accade in tutti i casi (Cicchetti e Cohen, 1994; White, Moffit, Earls e Robins, 1990; Wiesner et al., 2014). Inoltre le percentuali di Disturbo Oppositivo Provocatorio sono molto più alte in campioni con Disturbo da Deficit d’attenzione e iperattività (DDAI) e ciò può essere dato dal fatto che i due disturbi abbiano comuni fattori di rischio temperamentali (APA, 2013).

1.1.2 Disturbo esplosivo intermittente

Nel Disturbo Esplosivo Intermittente sono presenti esplosioni di aggressività che si scatenano rapidamente e che hanno una durata di meno di 30 minuti. Tali

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comportamenti sono scatenati da una provocazione di scarsa entità da parte di un familiare o un amico stretto.

La sua insorgenza avviene comunemente nella tarda infanzia o nell’adolescenza, raramente dopo i 40 anni (APA, 2013).

I criteri diagnostici presenti nel DSM 5 sono (APA, 2013):

A. Accessi comportamentali ricorrenti che rappresentano l’incapacità di controllare gli impulsi aggressivi, come manifestato da uno dei seguenti:

1. Aggressione verbale o aggressione fisica verso proprietà, animali o altre persone, che si verifica, in media, due volte a settimana per un periodo di 3 mesi. L’aggressione fisica non comporta danneggiamento o distruzione di proprietà e non provoca lesioni ad animali o ad altre persone.

2. Tre accessi comportamentali che implicano danneggiamento o distruzione di proprietà e/o aggressione fisica che provoca lesioni ad animali o ad altre persone che si verificano in un periodo di 12 mesi.

B. Il grado di aggressività espresso durante gli accessi ricorrenti è grossolanamente esagerato rispetto alla provocazione o a qualsiasi fattore psicosociale stressante precipitante.

C. Le ricorrenti esplosioni di aggressività non sono premeditate (cioè sono impulsive e/o provocate dalla rabbia) e non hanno lo scopo di raggiungere qualche obiettivo concreto.

D. Le ricorrenti esplosioni aggressive causano o un disagio marcato nell’individuo o la compromissione del suo funzionamento lavorativo e interpersonale, o sono o compromissioni nel funzionamento in ambito lavorativo o interpersonale, o sono associate a conseguenze finanziarie o legali.

E. L’età cronologica è di almeno 6 anni (o livello di sviluppo equivalente). F. Le ricorrenti esplosioni di aggressività non sono meglio spiegate da un altro

disturbo mentale e non sono attribuibili a un’altra condizione medica o agli effetti fisiologici di una sostanza. Per una diagnosi riguardante minori di età

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tra i 6 e i 18 anni, non deve essere preso in considerazione un comportamento aggressivo che si verifica come facente parte di un disturbo dell’adattamento. La prevalenza negli Stati Uniti è del 2,4%, con una diffusione maggiore in individui giovani e che hanno un’istruzione non superiore alla scuola media superiore (APA, 2013).

Al Disturbo Esplosivo Intermittente sono associati disturbi dell’umore (unipolare), disturbi d’ansia e disturbi da uso di sostanze, con insorgenza successiva a quella del disturbo (APA, 2013).

1.1.3 Disturbo della Condotta

Il Disturbo della Condotta è caratterizzato dalla persistente violazione dei diritti fondamentali degli altri o delle regole della società nella quale il ragazzo vive (Rapaport e Ismond, 2000).

I sintomi principali sono l’aggressività, spesso anche fisica, la distruzione della proprietà, la frode, la menzogna e il furto (Stadler, 2014), ed è frequente la perdita di senso morale (Buonanno, 2013).

I criteri diagnostici presenti nel DSM 5 sono (APA, 2013):

A. Un pattern di comportamento ripetitivo e persistente in cui vengono violati i diritti fondamentali degli altri o le principali norme o regole sociali appropriate all’età, che si manifesta con la presenza nei 12 mesi precedenti di almeno tre dei seguenti 15 criteri in qualsiasi fra le categorie sotto indicate con almeno un criterio presente negli ultimi 6 mesi:

Aggressione a persone e animali:

1. Spesso fa il/la prepotente, minaccia o intimorisce gli altri. 2. Spesso dà il via a colluttazioni.

3. Ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri. 4. È stato/a fisicamente crudele con le persone.

5. È stato/a fisicamente crudele con gli animali. 6. Ha rubato affrontando direttamente la vittima. 7. Ha costretto qualcuno ad attività sessuali. Distruzione delle proprietà:

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8. Ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni.

9. Ha deliberatamente distrutto proprietà altrui. Frode o furto:

10. È penetrato/a nell’abitazione, nel caseggiato o nell’automobile di qualcun altro.

11. Spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare dei doveri. 12. Ha rubato articoli di valore senza affrontare direttamente la vittima. Gravi violazioni di regole:

13. Spesso, già prima dei 13 anni di età, trascorre la notte fuori, nonostante le proibizioni dei genitori.

14. Si è allontanato/a da casa di notte almeno due volte mentre viveva nella casa dei genitori o di chi ne faceva le veci, o una volta senza ritornare per un lungo periodo.

15. Spesso, già prima dei 13 anni, marina la scuola.

B. L’anomalia del comportamento causa una compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

C. Se l’individuo ha 18 anni o più, non sono soddisfatti i criteri di disturbo antisociale di personalità.

Specificare quale:

Tipo con esordio nell’infanzia: gli individui presentano almeno un sintomo

caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni di età.

Tipo con esordio nell’adolescenza: gli individui non mostrano alcun

sintomo caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni di età.

Esordio non specificato: sono soddisfatti i criteri per la diagnosi di disturbo

della condotta, ma non sono disponibili informazioni sufficienti per determinare se l’esordio del primo sintomo si è verificato prima o dopo i 10 anni di età.

Specificare se:

Con emozioni prosociali limitate: perché gli venga assegnato questo

specificatore, un individuo deve aver mostrato in modo persistente, per almeno 12 mesi e in diversi tipi di relazione e ambienti, almeno due delle

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seguenti caratteristiche. Queste riflettono i tipici pattern di funzionamento interpersonale ed emotivo dell’individuo in un determinato periodo e non solo in eventi occasionai in alcune situazioni. Pertanto, per valutare i criteri dello specificatore sono necessarie più fonti di informazione. Oltre a ciò che riferisce l’individuo, è necessario prendere in considerazione le testimonianze di altre persone che sono state in contatto con lui per lunghi periodi di tempo (per es., genitori, insegnanti, colleghi, altri parenti, coetanei).

Mancanza di rimorso o senso di colpa: non prova rimorso o senso di colpa

quando compie qualcosa di sbagliato (escludere il rimorso se questo viene espresso solo dall’individuo in arresto e/o messo di fronte a una punizione). L’ individuo mostra una generale mancanza di preoccupazione per le conseguenze negative delle sue azioni. Per esempio, l’individuo non è pentito dopo aver ferito qualcuno o non si preoccupa delle conseguenze derivanti dall’infrangere le regole.

Insensibilità-mancanza di empatia: disprezza ed è incurante dei sentimenti

degli altri. L’individuo è descritto come freddo e indifferente. Appare preoccupato più per gli effetti che le sue azioni hanno su di lui che per quelli sugli altri, anche quando comportano un grave danno per gli altri.

Indifferenza per i risultati: non mostra preoccupazione per lo

scarso/problematico rendimento a scuola, al lavoro o in altre attività importanti. L’individuo non mette l’impegno necessario per una buona riuscita, anche quando le aspettative sono chiare, e tipicamente incolpa gli altri per i suoi scarsi risultati.

Affettività superficiale o anaffettività: non esprime sentimenti nè mostra

emozioni verso gli altri, se non in modi che sembrano poco profondi, insinceri o superficiali (per es., le azioni contraddicono l’emozione mostrata; può “accendere” o “spegnere” in fretta le proprie emozioni) o usando espressioni emotive per il proprio vantaggio (per es., emozioni mostrate per manipolare o intimidire gli altri).

Specificare la gravità attuale:

Lieve: pochi o nessun problema di condotta oltre a quelli richiesti per porre la

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es., bugie, assenze ingiustificate, stare fuori fino a tardi senza permesso, altre infrazioni delle regole).

Moderata: il numero dei problemi di condotta e i loro effetti sugli altri sono

intermedi tra quelli definiti “lievi” e quelli “gravi” (per es., rubare senza affrontare direttamente la vittima, vandalismo).

Grave: numerosi problemi di condotta oltre a quelli richiesti per porre la

diagnosi, oppure questi problemi causano danni notevoli agli altri (per es., sesso forzato, crudeltà fisica, uso di armi, rubare affrontando direttamente la vittima, furto con scasso).

Nel DSM 5 è stato inserito lo specificatore “con emozioni prosociali limitate” così da indicare, nel modo più completo possibile, la compromissione dello stato emotivo del soggetto con Disturbo della Condotta (Colins e Andershed, 2014; Deborde, Vanwalleghem Maury e Aitel, 2014). Gli indicatori di questo specificatore sono quelli che in letteratura vengono chiamati tratti Callous-Unemotional (CU). I bambini con Disturbo della Condotta che presentano tali tratti hanno una prognosi peggiore (Frick e Marsee, 2006) ed un rischio genetico più elevato (Viding, Blair, Moffit e Plomin 2005); inoltre hanno alcune correlazioni clinico-sintomatologiche con la psicopatia dell’adulto (Frick e Ellis, 1999). I tratti CU sono caratterizzati da:

deficit di empatia, mancanza di senso di colpa, manifestazioni emotive povere, scarsa

sensibilità a punizioni e/o rinforzi positivi, ma verranno trattati più approfonditamente nel capitolo successivo.

Inoltre, Lambruschi e Muratori (2013), hanno individuato una serie di problemi comportamentali che si intrecciano con altre caratteristiche, come la vulnerabilità neurobiologica, il temperamento, il parenting e variabili ecologiche, nel determinare un disturbo, seguendo una prospettava multifattoriale.

Come detto precedentemente, il Disturbo della Condotta è spesso caratterizzato dalla perdita di senso morale, la quale è correlata con bassi livelli di senso di colpa; ciò implica e mantiene una condotta antisociale, presente infatti nei soggetti con tale disturbo (Buonanno, 2013).

Un ruolo molto importante è giocato anche dall’empatia. Essa infatti, secondo uno studio di Eisenberg e Fabes (1998), correla negativamente con i comportamenti antisociali. Il deficit empatico sembrerebbe correlato ad un’alterazione dell’amigdala,

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la quale produce interferenze nel riconoscimento delle espressioni facciali di paura e tristezza e nella codifica dei segnali vocali che indicano paura (Blair, 1995).

Alla base delle condotte antisociali nel Disturbo della Condotta c’è anche la tesi della scarsa fearfulness, cioè la bassa reattività agli stimoli minacciosi e nocivi, che secondo Hare (1970), Kochanska (1997a), Lykken (1995) e Patrick (1994) sarebbe la manifestazione di un’alterazione dell’amigdala, la quale porta ad una bassa reattività alla paura ed ha come conseguenza una scarsa sensibilità alle punizioni e fa sì che il soggetto conferisca poca rilevanza al rispetto delle norme sociali.

1.1.4 Disturbo Antisociale di Personalità

Il Disturbo Antisociale di Personalità è presente sia in questa categoria diagnostica, che nella categoria dei disturbi di personalità.

I criteri diagnostici nel DSM 5 sono (APA, 2013):

A. Un pattern pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si manifesta fin dall’età di 15 anni, come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:

1. Incapacità di conformarsi alle norme sociali per quanto riguarda il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di atti passibili di arresto.

2. Disonestà, come indicato dal mentire ripetutamente, usare falsi nomi o truffare gli altri ripetutamente, per profitto o per piacere personale. 3. Impulsività o incapacità di pianificare.

4. Irritabilità e aggressività, come indicato da ripetuti scontri o aggressioni fisiche.

5. Noncuranza sconsiderata della sicurezza propria o degli altri.

6. Irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa o di far fronte ad obblighi finanziari.

7. Mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o dal razionalizzare dopo avere danneggiato, maltrattato o derubato un altro.

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16 B. L’individuo ha almeno 18 anni.

C. Presenza di un disturbo della condotta con esordio prima dei 15 anni di età. D. Il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante il

decorso della schizofrenia o del disturbo bipolare.

1.1.5 Piromania e cleptomania

I criteri diagnostici riportati nel DSM 5 riguardo la Piromania sono (APA, 2013): A. Appiccamento deliberato e intenzionale del fuoco in più di un’occasione. B. Tensione o eccitazione emotiva prima dell’atto.

C. L’individuo è affascinato, interessato, incuriosito o attratto dal fuoco e dai suoi contesti situazionali.

D. Piacere, gratificazione o sollievo quando viene appiccato il fuoco, o quando si assiste o si partecipa ai momenti successivi.

E. L’appiccamento del fuoco non è messo in atto per vantaggio economico, come espressione di un’ideologia sociopolitica, per occultare un’attività criminosa, per esprimere rabbia o vendetta, per migliorare le proprie condizioni di vita, in conseguenza di un delirio o un’allucinazione, o come risultato di una compromissione del giudizio.

F. L’appiccamento del fuoco non è meglio spiegato dal disturbo della condotta, da un episodio maniacale o dal disturbo antisociale di personalità.

Per quanto riguarda la Cleptomania i criteri diagnostici presenti nel DSM 5 sono (APA, 2013):

A. Ricorrente incapacità di resistere all’impulso di rubare oggetti di cui non c’è bisogno per l’uso personale o per il loro valore economico.

B. Crescente sensazione di tensione immediatamente prima di commettere il furto.

C. Piacere, gratificazione o sollievo nel momento in cui il furto viene commesso. D. Il furto non viene compiuto per esprimere rabbia o vendetta, nè in

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E. Il furto non è meglio spiegato dal disturbo della condotta, da un episodio maniacale o dal disturbo antisociale di personalità.

1.2 La morale

Con la parola morale si fa riferimento all’abilità di discriminare tra giusto e sbagliato, sulla base di regole etiche e di norme sociali e comportamentali (Koops, Brugman e Ferguson, 2010; Smetana, Killen e Turiel, 2000).

La moralità e le questioni morali riguardano aspetti centrale della vita sociale dell’uomo (Killen e Smetana, 2006). Inoltre è una componente molto importante nello studio dei Disturbi della Condotta, dal momento che è emersa la frequente perdita del senso morale in soggetti che presentano tale disturbo (Buonanno, 2013). Da alcuni studi (Feilhauer, Cima, Benjamins e Muris, 2013) sono emerse almeno due componenti distinte della morale: la moralità cognitiva, ovvero come un individuo giudica le regole riguardanti il comportamento etico, e la moralità affettiva, cioè come un individuo percepisce le questioni morali. La prima comprende la capacità di fare dei giudizi morali, mentre la seconda descrive emozioni morali che possono orientare il comportamento di un individuo senza che sia presente un processo di ragionamento morale. Queste due componenti vanno a determinare il modo in cui gli individui agiscono nelle situazioni in cui è presente la componente morale.

La morale è stata a lungo studiata e considerata sotto il punto di vista di approcci diversi fra loro. Di seguito verranno analizzati i modelli principali.

1.2.1 Approccio cognitivo-evolutivo

L’approccio cognitivo-evolutivo si basa sull’idea che l’ambito morale sia una manifestazione del livello di organizzazione cognitiva dell’individuo, dunque, per comprenderlo, dobbiamo analizzare i processi cognitivi che stanno alla base (Bacchini, 2011). Vi sono due principi fondamentali: il primo sostiene l’interdipendenza tra sviluppo cognitivo e morale (Lapsley, 2006), l’altro postula l’evoluzione del ragionamento morale per stadi (Bacchini, 2011).

Dunque, gli esponenti di questo approccio concentrano maggiormente la loro analisi sul ragionamento morale, piuttosto che sul comportamento morale (Bacchini, 2011).

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Le principali teorie che fanno parte di questo approccio sono state elaborate da Piaget e da Kohlberg.

1.2.1.1 Il contributo di Piaget

L’idea alla base della teorizzazione di Piaget è che lo sviluppo del pensiero morale sia una funzione del più generale processo di organizzazione cognitiva che ha luogo durante lo sviluppo.

Piaget (1932) considera il giudizio morale alla luce di tre aspetti: il rapporto del bambino con le regole, i giudizi dei bambini su azioni che implicano una valutazione morale e infine la nozione di giustizia del bambino.

Dunque l’autore affronta lo studio dello sviluppo della morale nei bambini analizzando i loro atteggiamenti nei confronti delle regole poiché, secondo lui, la morale è un sistema di norme, mentre invece l’assenza di morale è data da un mancato rispetto per le regole (Piaget, 1932).

Secondo Bacchini (2011), Piaget presenta una implicita suddivisione a tre fasi dello sviluppo morale:

• Fase premorale: dura fino ai 5 anni. Il bambino non presenta alcun interesse per le regole di natura etica;

• Fase di realismo morale: va dagli 8 ai 10 anni. Le regole sono considerate rigide, immutabili e necessarie. Vale il principio di autorità, cioè che la norma è valida se stabilita dall’autorità. In questo stadio, il concetto chiave è quello di eteronomia della morale, il quale afferma che l’origine dei principi morali è esterna all’individuo e la loro validità è determinata dall’autorità di chi li ha emanati.

• Fase di soggettivismo morale: dopo i 9-10 anni. Le regole non sono più considerate immutabili, ma fondate sulla cooperazione e la reciprocità, e il bambino elabora propri giudizi morali in base al contesto. Si parla di autonomia della morale, per cui la morale non è più considerata come un insieme di prescrizioni date dall’esterno, ma come un’istanza interiore che guida le azioni e la libera scelta del bambino.

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1.2.1.2 Il contributo di Kohlberg

Lawrence Kohlberg (1969, 1976, 1984), intorno agli anni sessanta, elaborò una teoria sullo sviluppo morale a partire dai principi generali di Piaget. L’idea di base dell’autore era che, indipendentemente da alcune differenze dovute al contesto nel quale si sviluppa l’individuo, le strutture mentali che sottendono il ragionamento morale e la sua evoluzione sono comuni in tutti gli esseri umani (Bacchini, 2011). Kohlberg (1976) identificò tre livelli di ragionamento morale, ognuno dei quali ulteriormente suddiviso in due stadi, che indicano le diverse forme di ragionamento che le persone utilizzano per effettuare le loro scelte:

1) Livello preconvenzionale: si manifesta nei bambini fino ai 9 o 10 anni di età. Le norme morali e sociali sono viste come esterne a sé e non sono oggetto di riflessione da parte del bambino. I due stadi in cui è diviso questo livello sono:

- Orientamento premio-punizione: è presente un’idea realistica del rapporto tra norma e sanzione, ovvero il bambino non disubbidisce per non essere rimproverato; il principio di autorità non è mai messo in discussione.

- Orientamento individualistico e strumentale: è presente l’idea che sia giusto agire in base ai propri interessi, ma c’è anche la consapevolezza che ognuno persegue i propri fini e che questi possano entrare in conflitto tra loro.

2) Livello convenzionale: le convenzioni e le regole sono sperimentate come componenti del sé. A questo livello si ha il conformismo sociale perché si aderisce alle regole in maniera acritica. I due stadi che compongono questo livello sono:

- Orientamento del conformismo: c’è il rispetto delle norme per rispondere alle aspettative altrui. Questo stadio coincide temporalmente con l’ingresso nell’adolescenza.

- Sistema sociale e coscienza: le regole vengono osservate poiché c’è un’identificazione con il sistema sociale; aderire alle leggi è la base per valutare cosa è giusto o meno.

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3) Livello postconvenzionale: molti individui completano lo sviluppo della propria morale al quarto stadio (cioè al “Sistema sociale e coscienza”), mentre altri arrivano al terzo livello, in cui i giudizi morali sono dati dalla forte adesione a valori quali la libertà, l’equità e la solidarietà. I due stadi in cui è diviso questo livello sono:

- Contratto sociale e diritti individuali: l’individuo è legato alla società da un contratto sociale immaginario che deve essere rispettato per mantenere l’ordine nella società.

- Principi etici universali: si orientano le proprie scelte di vita e i valori morali sui principi universali, come la giustizia e l’uguaglianza dei diritti, e si ritiene che le leggi siano da osservare solo se fondate su di essi.

1.2.2 La teoria degli ambiti

La teoria degli ambiti è stata proposta da alcuni studiosi (Nucci, 2001, 2002; Smetana, 1995; Turiel, 2002, 2006b) i quali sostengono che il mondo sociale sia regolato da una serie di attese e regole che si presentano in diverse situazioni e contesti. Durante lo sviluppo, il bambino sviluppa una consapevolezza sempre più grande di un sistema di norme sociali, le quali, però, non sono tutte morali, nonostante possano servire per regolare le interazioni sociali (Smetana, 2006).

L’assunto di base è che i bambini distinguano precocemente i domini in cui è ripartito il mondo sociale e quindi diversi schemi o strutture cognitive sovrintendano il giudizio nei differenti ambiti (Bacchini, 2011); tali domini sono quattro:

• Morale: comprende pensieri relativi ai concetti di benessere, giustizia e diritti umani, i quali dipendono da caratteristiche intrinseche delle relazioni interpersonali (Turiel, 1983);

• Convenzionale: riguarda preoccupazioni circa il rapporto con l’autorità, la tradizione e le norme sociali. Le convenzioni sono degli standard concordati riguardanti il comportamento sociale e determinati dal sistema in cui si sono sviluppati (Turiel, 1983);

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• Personale: si tratta di comportamenti o regole che portano a conseguenze che ricadranno solo sul soggetto che li compie, come la scelta degli amici o il modo di vestire (Nucci, 2001);

• Prudenziale: tratta di questioni legate all’integrità psicologica o fisica; comportamenti non sociali che portano a danni per la sicurezza, la salute e il benessere della persona che li compie (Tisak, 1993; Tisak e Turiel, 1984). Ciascuno di questi quattro ambiti è un sistema organizzato o una conoscenza sociale che nasce dalle esperienze dei bambini in diversi tipi di regolarità nell’ambito sociale (Turiel, 2006a).

La concezione alla base di questi assunti è l’orientamento dominio-specifico, cioè che ciascun dominio mentale è controllato da specifici meccanismi mentali che emergono in maniera indipendente durante lo sviluppo (Fodor, 1983).

1.2.3 Affettività e morale

Alcuni autori sostengono che non si possa comprendere a pieno l’esperienza morale se non si prende in considerazione anche il ruolo delle emozioni che accompagnano questo ambito (Barone e Bacchini, 2009). In particolare, Hoffman e Eisenberg si sono soffermati sul ruolo che rivestono empatia e simpatia nel determinare l’esperienza morale prosociale. Le loro teorie infatti sostengono che l’affettività dell’individuo sia il motivatore principale della moralità (Bacchini, 2011).

1.2.3.1 Il contributo di Hoffman

Nel suo libro Empathy and moral development (2000), sostiene che la moralità delle persone debba essere ricercata nella predisposizione empatica poiché essa rende possibile il caring, il voler prendersi cura di un altro essere umano. Nonostante l’empatia abbia una base innata, Hoffman (2000) sostiene che ci siano due tipi di modalità attraverso cui si manifesta: quelle primitive e quelle mature. Le prime sono risposte automatiche, rapide e involontarie che fanno sì che il bambino sia in grado di empatizzare con qualcuno che soffre anche in fase preverbale; queste modalità comprendono la mimesi, o imitazione motoria, il condizionamento classico e l’associazione diretta (Bacchini, 2011). Per quanto riguarda invece le modalità

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mature, che implicano il ricorso a processi cognitivi e ad abilità metacognitive è necessaria la capacità di sapere distinguere il proprio punto di vista da quello dell’altro, e comprendono l’associazione mediata e il perspective taking (Bacchini, 2011).

Secondo Hoffman, la moralità, in accordo a quanto diceva Kohlberg, si sviluppa a partire da uno stadio di superficie per poi arrivare a stadi sempre più articolati e universali (Gibbs, 2003).

Hoffman postula due tipologie di stadi: immaturi e maturi. I primi sono caratterizzati da una superficiale distinzione tra sé e l’altro e dalla mancanza di mediazione linguistica; questi comprendono:

- Stadio 0: piano reattivo del neonato; - Stadio 1: distress empatico egocentrico; - Stadio 2: distress empatico quasi-egocentrico.

Per quanto riguarda invece gli stadi maturi sono caratterizzati da una vera connessione con la sofferenza dell’altro. Essi si dividono in:

- Stadio 3: distress empatico in risposta alla situazione di un altro; - Stadio 4: distress empatico per la condizione esistenziale dell’altro.

1.2.3.2 Il contributo di Eisenberg

Eisenberg ha approfondito lo studio del ruolo delle emozioni legate all’empatia rispetto allo sviluppo dei valori, delle motivazioni e dei comportamenti prosociali; quest’ultimi, secondo l’autrice, sono intrinsecamente connessi con la moralità (Bacchini, 2011) ed infatti sono al centro delle sue riflessioni. Il comportamento prosociale è una condotta volta a portare beneficio ad un’altra persona, indipendentemente dalle motivazioni sottostanti (Boxer, Tisak e Goldstein, 2004). Eisenberg vuole vedere come si sviluppa il ragionamento morale intorno alle categorie prosociali e parlerà dunque di ragionamento morale prosociale. Il ragionamento morale è il pensiero su questioni che riguardano la giustizia, l’equità o la cura e, in particolare, il ragionamento morale prosociale si riferisce a dilemmi nei quali i bisogni dell’individuo sono in conflitto con quelli di un altro, in mancanza di leggi o regole formali.

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Gli stadi del ragionamento morale prosociale sono (Carlo, 2006):

• Orientamento edonistico pragmatico: il comportamento del bambino è orientato al soddisfacimento dei propri bisogni;

• Orientamento verso i bisogni dell'altro: inizia a mostrare attenzione per i bisogni fisici, materiali e psicologici altrui, ancora però in forma molto semplice;

• Orientamento stereotipico, finalizzato all’approvazione: il bambino ha un’immagine stereotipata riguardo al sapere chi sono le persone buone e chi quelle cattive e ricerca l’approvazione degli altri;

• Orientamento empatico: enfasi nell'adottare la prospettiva degli altri;

• Orientamento dei valori internalizzati: sono presenti norme e valori internalizzati; crede in valori quali la dignità, la giustizia e l’equità per tutti gli individui.

1.2.4 Approccio biologico ed evoluzionistico

L’approccio biologico ed evoluzionistico si basa sull’idea che gli esseri umani abbiano una disposizione innata a dare vita ad emozioni, apprendimenti, cognizioni e azioni nel campo dell’esperienza morale, la quale deve avere un fondamento in processi di natura biologica (Bacchini, 2011).

È possibile individuare tre principali filoni che riguardano lo sviluppo tra morale e biologia (Bacchini, 2011). Il primo colloca lo sviluppo della morale nell’ambito del paradigma evoluzionistico, ponendo principalmente l’attenzione su meccanismi che spingono i membri di una specie a mettere in atto comportamenti prosociali; l’idea di base è la continuità tra la specie umana e le altre specie animali (ad esempio Rushton, 1989; Wilson, 1978). Il secondo approccio, invece, si sofferma sulla dimensione cognitiva della moralità, andando ad analizzare le architetture della mente che regolano il ragionamento morale e che differenziano l’uomo dagli animali (e.g. Cosmides e Tooby 2002). Infine, il terzo filone si focalizza sui correlati biologici della moralità, tra cui la genetica, il temperamento, il sistema nervoso autonomo, i correlati neuroanatomici e i neuroni specchio, come mostrano ad esempio gli studi di Comings, Macmurray, Johnson, Dietz e Muhleman, (1995),

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Eisenberg et al. (1989), Waxler, Robinson, Emde e Plomin, (1992), Zahn-Waxler, Schiro, Robinson, Emde e Schmitz (2001).

1.2.5 Teoria sociale cognitiva: il contributo di Bandura

Nell’ambito della morale, un grande contributo è stato dato da Bandura, secondo il quale gli standard morali hanno un andamento evolutivo, evolvendosi da una prospettiva inizialmente centrata su di sé, ad una più societaria, cioè che tiene in considerazione il ruolo delle istituzioni sociali. Dunque si passa da un tipo di regolazione esterna del comportamento, ad una interna data dalle autosanzioni morali (Bacchini, 2011).

Per quanto riguarda lo sviluppo della morale, Bandura (1991) sostiene che nelle primissime fasi di vita il bambino abbia bisogno di una guida esterna che guidi il suo comportamento per scoraggiare azioni rischiose. Nella fase preverbale, i genitori controllano il comportamento del bambino proponendogli attività alternative o fermandolo con un’azione disciplinare; successivamente, quando inizia a capire il linguaggio, basterà dare un “no” come ammonizione oppure una sanzione fisica. Durante lo sviluppo, poi, il comportamento del bambino comincerà ad entrare in conflitto con gli altri e con le norme sociali, quindi spetta ai genitori e all’ambiente proporre nuove norme di comportamento, introducendo sanzioni di carattere sociale (Bacchini, 2011). Con il trascorrere del tempo, il soggetto inizierà a discriminare tra azioni approvate e non e a regolare il suo comportamento anticipando le conseguenze sociali (Bandura e Walters, 1959). Quindi, con il passare degli anni, oltre ad un sistema di regolazione esterno, se ne sviluppa uno interno, basato sulla capacità di simbolizzazione, sull’anticipazione delle conseguenze e sull’adesione agli standard di comportamento e, in particolare quest’ultimo, funge da regolatore della condotta (Bacchini, 2011).

Proprio a questo punto entra in gioco la moral agency, cioè la capacità di agire moralmente. Bandura (1991, 1997, 1999, 2002) sostiene infatti che la condotta trasgressiva sia regolata da due tipi di sanzioni, sociali e interne, che operano in modo anticipatorio rispetto al comportamento. Quelle sociali comportano per l’individuo una punizione da parte della società, mentre quelle interne suscitano

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sentimenti di autocondanna per il proprio comportamento, facendo diminuire i livelli di autostima e autorispetto e sono principalmente quest’ultime a determinare le azioni degli individui. Dunque, la moral agency è resa possibile da meccanismi di autoregolazione che permettono agli uomini di vivere in accordo con i propri principi morali (Bacchini, 2011).

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CAPITOLO 2

TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL E MORAL

DISENGAGEMENT

Nel primo capitolo sono stati analizzati i disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta e le diverse teorie relative allo sviluppo della morale. In questo capitolo invece andrò ad affrontare i tratti Callous-Unemotional ed il Moral Disengagement, due componenti molto studiate nell’ambito dei disturbi sopra citati, soprattutto rispetto al Disturbo della Condotta, e presenti nel nostro studio.

2.1 Tratti Callous-Unemotional

I tratti Callous-Unemotional (CU) possono essere definiti come un persistente

pattern temperamentale che riflette la mancanza di empatia, colpevolezza, rimorso

ed indifferenza nei confronti degli altri (Feilhauer et al., 2013).

Questi tratti sono stati messi in luce nei criteri diagnostici della categoria dei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta del DSM 5, per aiutare l’identificazione di bambini e adolescenti che vanno incontro ad un maggior rischio di scarsi risultati (APA, 2013). I bambini con Disturbo della Condotta o con Disturbo Oppositivo Provocatorio che presentano questi tratti si caratterizzano per il ridotto interesse nei confronti delle emozioni altrui, freddezza emotiva ed un atteggiamento manipolatore (Lambruschi e Muratori, 2013).

Gli adolescenti con elevati tratti di CU sono caratterizzati da una mancanza di empatia e colpevolezza, dalla falsità e da una sensibilità ridotta alla punizione; queste caratteristiche potrebbero anche indicare problemi della condotta più gravi oppure una scarsa regolazione emotiva; inoltre, tali tratti sembrano essere particolarmente stabili durante l'adolescenza (Frick, Stickle, Dandreaux, Farrell e Kimonis, 2005; Lynam et al., 2009; Masi, Muratori, Manfredi, Pisano e Milone, 2015).

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2.1.1 Eziopatogenesi dei tratti Callous-Unemotional

Per quanto riguarda l’eziopatogenesi dei tratti Callous-Unemotional, ed il probabile sviluppo di comportamenti aggressivi e delinquenziali associati, si suppone che sia presente sia una componente ereditaria che un apprendimento mediato dal contesto ambientale (Lambruschi e Muratori, 2013).

A favore della prima ipotesi, ci sono studi su gemelli che dimostrano come alla base della predisposizione a sviluppare tratti CU, l’ereditarietà possa incidere fino al 78% (Viding, Frick e Plomin, 2007). Nonostante tali evidenze, alcuni autori suggeriscono di prestare molta attenzione nel formulare la diagnosi di presenza dei tratti CU in età evolutiva, alla luce della scarsa affidabilità degli strumenti di valutazione (Kahn, Frick e Findling, 2012).

Viding, Blair, Moffitt e Plomin (2005) condussero uno studio in cui fu analizzato un ampio campione di gemelli di 7 anni. Dai risultati è emerso che nei soggetti con problematiche di condotta e tratti Callous-Unemotional elevati, è presente una significativa ereditabilità ed una ridotta influenza delle caratteristiche ambientali. Invece, nei bambini che non presentavano tratti CU elevati le condotte antisociali sono più correlate a specifici aspetti disfunzionali delle strategie educative genitoriali.

Per quanto concerne invece i fattori ambientali che contribuiscono allo sviluppo di questi tratti, è stato visto che sono coinvolte esperienze di privazione forti e precoci (Kumsta, Sonuga-Barke e Rutter, 2012) e una marcata caoticità nell'ambiente familiare in età prescolare (Fontaine, Moffitt e Viding, 2011).

Sembra dunque che l’influenza del parenting sull’esordio dei sintomi dei disturbi della condotta non sia molto rilevante (Viding, Jones e Frick, 2008), ma la presenza di questi tratti di personalità nel bambino può portare a modificazioni della responsività genitoriale (Lambruschi e Muratori, 2013). Infatti, il temperamento

fearless o ipo-attivato, considerato una forte base biologica per la vulnerabilità allo

sviluppo di comportamenti delinquenziali e tratti CU, può portare il bambino ad avere bisogno di una più intensa stimolazione affettiva da parte del genitore, per raggiungere un normale livello di attivazione. Va sottolineato come il caregiver possa non essere in grado di far fronte a queste necessità del figlio determinando nel

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bambino lo sviluppo di schemi poco interattivi e un basso livello di attivazione emotiva. A sua volta ciò fa sì che il genitore sia propenso a ritirarsi dalla relazione, dando luogo ad un rapporto in cui è presente poca propensione ad interagire, ed in cui il bambino non riesce ad appoggiarsi alla famiglia per gestire momenti difficili dal punto di vista emotivo (Lambruschi e Muratori, 2013). Inoltre gli iniziali interventi educativi dei genitori si scontrano con il temperamento del figlio, il quale è finalizzato a proteggerlo dall’ansia della punizione. Quindi il genitore, data l’insensibilità del bambino alle punizioni, sarà più propenso a mettere in atto uno stile educativo incoerente, aggressivo e severo, invece che cercare di ottenere un maggior coinvolgimento (Dadds e Salmon, 2003). Il figlio rimane così senza una risposta ai propri bisogni e ciò fa sì che si crei un caratteristico processo interattivo che porta il genitore del bambino in età scolare a mettere in atto un comportamento caratterizzato da un alto livello di controllo (Muratori et al., 2012). In adolescenza invece si nota un cambiamento da parte del genitore, il quale ha una netta diminuzione del monitoraggio e dell'interesse nei confronti delle attività del figlio; ciò probabilmente è dato dalla perdita di motivazione e del senso di efficacia da parte dell’adulto (Munoz, Pakalniskiene e Frick, 2011).

Indipendentemente dai fattori di rischio, lo sviluppo dei tratti Callous-Unemotional sembra poter essere legato anche ad un pattern di attaccamento disorganizzato, dato da difficoltà nei processi cognitivi legati all'autocontrollo del bambino (Bohlin, Eninger, Brocki e Thorell, 2012).

Inoltre, uno stile genitoriale caratterizzato dalla mancanza di controllo nei confronti dei bambini può essere un fattore predittivo per un incremento dei livelli dei tratti CU nei figli, mentre la presenza di elevati livelli di coinvolgimento genitoriale e di pratiche genitoriali positive predice un decremento di tali tratti, prevalentemente nei maschi (Hawes, Dadds, Frost e Hasking, 2011).

2.1.2 Neurobiologia dei tratti Callous-Unemotional

Considerando le evidenze emerse da numerosi studi, possiamo individuare particolari profili neurobiologici riguardo il Disturbo della Condotta associato a tratti

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Un interessante campo indagato è quello che riguarda la capacità di riconoscimento delle espressioni emotive altrui, in particolar modo della paura: un mancato riconoscimento di tali espressioni, potrebbe essere alla base della scarsa empatia che caratterizza i soggetti con Disturbi della Condotta con elevati tratti Calloso-Anemozionali (es. Fonagy e Target, 1995). Fra i vari studi è importante citare quello condotto da Wolf e Muñoz-Centifanti (2013) in cui è stata esaminata le capacità di riconoscimento delle emozioni di 50 studenti, fra i 11 e i 16 anni, in relazione ai tratti

Callous-Unemotional. I risultati hanno evidenziato un deficit nel riconoscimento

delle espressioni facciali di dolore nei ragazzi che presentavano più alti livelli di tratti CU.

Secondo un altro studio, i soggetti con disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta e tratti CU tendono a non riconoscere l’espressione di paura altrui (Sylvers, Brennan e Lilienfeld, 2011).

Da ciò emerge dunque una particolare difficoltà per questi soggetti a riconoscere emozioni sia di paura che di dolore. Questo può far pensare che, non riconoscendo negli altri tali espressioni, non ci sia un autocontrollo rispetto ai propri comportamenti, dato solitamente dal senso di colpa nel vedere l’altro soffrire. In questo caso invece le espressioni non vengono riconosciute e quindi, per questi soggetti è difficoltoso provare empatia e mettersi nei panni dell’altro.

Un altro aspetto risultato deficitario in alcuni studi è il contatto oculare, molto importante nelle relazioni con gli altri. In particolare lo sguardo è uno dei principali mezzi attraverso cui i genitori trasmettono calore al figlio e attraverso cui cercano di esprimere il loro biasimo verso un comportamento disadattivo; la costanza e l’interiorizzazione di queste esperienze fa da base per la costruzione del successivo sviluppo morale del bambino (Trentacosta et al., 2011). È emersa infatti una scarsa ricerca prolungata dello sguardo dei genitori durante episodi interattivi, anche se ai genitori viene esplicitamente richiesto di esprimere le proprie emozioni al figlio (Dadds, Cauchi, Wimalaweera, Hawes e Brennan, 2012).

Sono molto importanti anche gli studi a livello genetico.

Sono state condotte ricerche su una particolare forma dell’allele del gene 5-HTTLPR e sul gene legato alla modulazione della produzione della MAOA (monoamino ossidasi A). Il primo ha la funzione di ridurre l’attività dell’amigdala, la cui relazione

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con il Disturbo della Condotta associato a tratti CU risulta essere più marcata in bambini e adolescenti provenienti da un contesto socio-economico svantaggiato (Sadeh et al., 2010). Mentre invece il secondo è un enzima che modula la concentrazione della serotonina; è stato ritrovato in molti ragazzi che sviluppano comportamenti violenti, esplosivi e patologici, ma, anche in questo caso, tale relazione è più accentuata nei ragazzi che riportano una storia di maltrattamento (Caspi et al., 2002). Un ulteriore studio nel campo della genetica ha analizzato un

pool di geni responsabili della modulazione della produzione di ossitocina, un

ormone che risulta essere coinvolto nello sviluppo di affiliazione, fiducia nell’altro e responsività ai segnali emotivi esterni ed è stato trovato un polimorfismo che sembra associato all’estinzione dei comportamenti prosociali e al parallelo sviluppo di un Disturbo della Condotta (Beitchman et al., 2012).

Studi con fMRI hanno invece valutato le reazioni di alcune aree del SNC di fronte a stimoli punitivi. Tali studi mostrano una ridotta attività della corteccia ventro-mediale prefrontale in soggetti con DC senza tratti CU, di fronte ad uno stimolo punitivo inaspettato; questo output è associato ad un errore nel predire le conseguenze di una propria azione. Tale riduzione non è invece presente in soggetti con diagnosi di DC e CU, andando a confermare la scarsa sensibilità alla punizione di tali soggetti, che tendono infatti a portare avanti un compito, indipendentemente dai segnali del contesto (Viding e McCrory, 2012).

Molto importanti sono stati anche gli studi sull’amigdala, che hanno evidenziato due diversi profili funzionali associati ai Disturbi da Comportamento Dirompente in base alla presenza o meno dei tratti Callous-Unemotional: a fronte di scenari ambigui i bambini con disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta (DCD), senza la presenza di tratti CU, mostrano una sovra-attivazione dell’amigdala, mentre i bambini con DCD e tratti CU presentano una ridotta attivazione di tale area (Sebastian et al., 2012).

Da studi di risonanza magnetica strutturale è emerso uno sviluppo atipico nei soggetti con DCD delle zone deputate alle funzioni esecutive e di autocontrollo, mentre nei soggetti in cui sono presenti anche i tratti CU appaiono più compromesse le aree coinvolte nel decision making e nei dilemmi morali (De Brito et al., 2009).

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Da questi studi, risulta chiaro che siano presenti dei cambiamenti a livello genetico e neurobiologico che interessano soggetti con Disturbo della Condotta o Disturbo da Comportamento Dirompente associati ai tratti Callous-Unemotional. Sembra infatti che ci siano due tipi di vulnerabilità: una associata alle difficolta di autocontrollo e un’altra più associata allo sviluppo di comportamento aggressivo e antisociale, che presenta uno sviluppo atipico sia della morale che della prosocialità (Lambruschi e Muratori, 2013).

2.1.3 Evidenze empiriche sui tratti Callous-Unemotional

Nel presente paragrafo verranno analizzati alcuni tra i principali studi nell’ambito della relazione tra i tratti Callous-Unemotional, la morale e/o i disturbi ad essi correlati. È importante tener conto di tali relazioni al fine di comprendere quelle che sono le influenze di questi tratti rispetto ai comportamenti, alla condotta e alla sfera della morale e a come questi elementi interagiscono fra loro, andando a formare diversi outcomes. Lo studio che verrà presentato nel prossimo capitolo si basa su tali considerazioni.

Molti studi hanno mostrato come i tratti CU presenti fin dall’ età infantile, in concomitanza ai disturbi del comportamento, siano associati a problemi comportamentali più severi (Lopez-Romero, Gomez-Freguela e Romero, 2012; Lynam et al., 2009), a più bassi livelli di comportamenti pro-sociali, capacità sociali e regolazione emozionale (Masi et al., 2011; Viding et al., 2005), ad un rischio aumentato di mantenere comportamenti dirompenti nel corso dell’adolescenza e ad una risposta più bassa al trattamento (Fontaine, Moffitt e Viding, 2011; Masi et al. , 2013). In particolare, i giovani che presentano disturbi inerenti alla categoria disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta con tratti CU, rispetto a quelli con Disturbo della Condotta senza CU, hanno modelli di comportamento antisociale più severi e persistenti (Frick e White, 2008; Muratori et

al., 2016).

Feilhauer e colleghi (2013) hanno condotto uno studio in cui veniva esplorata l’associazione tra tratti Callous-Unemotional, sintomi psicopatologici e giudizi morali di tipo affettivo e cognitivo. Come già esposto in precedenza la morale di tipo

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cognitivo fa riferimento al modo in cui un individuo giudica le regole riguardanti il comportamento etico, mentre la morale di tipo affettivo si riferisce a come un individuo percepisce le questioni morali (Feilhauer et al., 2013). I partecipanti erano 46 maschi tra gli 8 e i 12 anni a cui furono fatte completare tre scale, la Affective

Morality Index, per valutare il livello di moralità, la Youth Self-Report, che indaga i

problemi esternalizzanti ed internalizzanti e la Inventory of Callous-Unemotional

Traits, che misura i tratti CU. Dai risultati è emerso che, in particolare, la

combinazione tra tratti CU e sintomi esternalizzanti è correlata a risposte emotive atipiche, come ad esempio sentimenti di felicità ed eccitazione e pochi sentimenti di colpa in relazione all’ipotesi di commettere atti francamente antisociali e anche una maggiore probabilità percepita di commettere di nuovo tali atti, ovvero di avere una recidiva. È interessante notare però che, quando il protagonista dell’atto delinquenziale era un altro, le risposte emotive erano in linea con le norme e i valori sociali, indicando così che i bambini con alti livelli di tratti Callous-Unemotional hanno una conoscenza generale di ciò che è giusto o sbagliato (morale cognitiva), ma non sperimentano le emozioni morali tipicamente associate ad un comportamento immorale (moralità affettiva).In conclusione i dati ci mostrano che, in particolare, la combinazione tra tratti CU ed elevati sintomi esternalizzanti è associata ad un deficit della moralità di tipo affettivo e ad una aumentata probabilità di ricommettere atti antisociali.

Fragkaki, Cima e Meesters (2016) hanno condotto uno studio su 277 adolescenti per andare a valutare l’associazione tra tratti Callous-Unemotional, problemi esternalizzanti e genere, nel predire i giudizi morali di tipo affettivo e cognitivo. Dallo studio è emerso che gli adolescenti con elevati tratti CU mostrano deficit nel campo della moralità affettiva, ma non cognitiva, e ciò indica che essi possono identificare in modo appropriato le emozioni morali negli altri, ma provano emozioni di tipo morale devianti quando si immaginano occupati in atti antisociali. È emerso anche un altro dato importante, ovvero che i problemi esternalizzanti e il sesso maschile sono più fortemente correlati con un deficit della morale affettiva, ma presentano associazioni più basse con il deficit della morale di tipo cognitivo. I risultati di questi ricercatori riguardo la moralità cognitiva non sono coerenti con i risultati di Feilhauer et al. (2013), i quali non ha trovato alcuna associazione tra la

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morale cognitiva e i problemi di esternalizzazione. Questa differenza è probabilmente dovuta alla diversità dei due campioni, dal momento che Feilhauer e collaboratori (2013) hanno reclutato bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni, mentre Fragkaki e colleghi (2016) hanno incluso anche gli adolescenti. Si può ipotizzare che ciò sia dovuto all’aumento, durante l'adolescenza, dei comportamenti aggressivi e delinquenziali, nonché dei comportamenti di risk-taking (Crone, van Duijvenvoorde e Peper, 2016; Defoe, Dubas, Figner e van Aken, 2015). Inoltre, questo tipo di comportamenti e il sensation seeking sono stati costantemente associati a problemi esternalizzanti (Roberti 2004; Swaim, Henry e Baez, 2004; Wilson e Scarpa 2011). È quindi possibile che i livelli più elevati di eccitazione trovati negli adolescenti con alti problemi dirompenti derivino dall'aumento di risk-taking e

sensation seeking che caratterizzano questi individui.

Un altro interessante studio che riguarda i tratti Callous-Unemotional è stato condotto da Wall, Frick, Fanti, Kimonis e Lordos (2016), in cui sono state esplorate le caratteristiche che differenziano i bambini con elevati tratti CU, sia in presenza che in assenza di problemi della condotta (CP), per identificare i fattori che potrebbero ridurre il rischio di insorgenza di tali problematiche in bambini con limitate emozioni prosociali. Il campione era formato da 1366 bambini di Cipro, suddiviso in 5 gruppi mediante l’analisi del profilo latente: un gruppo a basso rischio (67.2%), un gruppo con alti CP/bassi CU (7.9%), uno con alti CU (9.4%), uno con moderati CP e CU (8.4%) ed uno con alti CP e CU (7.2%). I gruppi identificati furono poi comparati rispetto alle misure sociali e di comportamento e sono state valutate l’impulsività, il funzionamento esecutivo, la genitorialità e le relazioni in ambito scolastico. Il gruppo con alti livelli di CU ha riportato livelli significativamente più bassi di deficit di iperattività e impulsività, e di funzionamento esecutivo, mentre invece sono stati riscontrati livelli più elevati di autoregolazione; le madri dei soggetti appartenenti a tale gruppo hanno mostrato più coinvolgimento materno e un parenting positivo rispetto a quelle del gruppo ad alto CP e CU. Inoltre, il gruppo high-CU ha evidenziato un maggior numero di relazioni scolastiche rispetto al gruppo ad alto CP / CU. Questi risultati evidenziano diversi fattori nel bambino e nel suo ambiente sociale che sono associati a tratti CU in assenza di serie problematiche della condotta.

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Tali dati possono suggerire obiettivi di intervento per i giovani in cui sono deficitarie le emozioni prosociali.

2.2 Moral Disengagement

Il concetto di Moral Disengagement (MD) fu introdotto da Bandura (1986), il quale sosteneva che ci fossero meccanismi di Disimpegno Morale che ci permettono di liberare temporaneamente la condotta dai principi morali. Infatti, secondo l’autore, un soggetto che mette in atto comportamenti aggressivi non è necessariamente privo di norme morali, ma riesce ad attivare o disattivare tali norme a seconda delle circostanze e della convenienza personale in modo da poter trasgredire alle regole morali senza però avere un calo dell’autostima, ed ottenendo anche vantaggi personali. Queste strategie permettono dunque al soggetto di conciliare i propri valori morali con le azioni che intraprende, anche se queste sono palesemente in contrasto. Bandura (1986) individua otto meccanismi di Disimpegno Morale che agiscono su tre fasi del processo di regolazione della condotta morale:

1. Valutazione della condotta in sé 2. Valutazione delle conseguenze 3. Giudizio nei confronti delle vittime

Per quanto riguarda i meccanismi, ritroviamo i seguenti:

• Giustificazione morale: attraverso questo meccanismo viene operata una ridefinizione cognitiva del comportamento trasgressivo, ristrutturandolo in modo moralmente accettabile, come se avesse uno scopo morale. Ad esempio, la tortura può essere considerata accettabile, se vista come unico mezzo per ottenere informazioni necessarie a proteggere la nazione, oppure le guerre vengono giustificate in nome di ideali più alti, come Dio o la patria. Allo stesso modo un bambino si può sentire giustificato ad aggredire un compagno per difendere un amico.

• Etichettamento eufemistico: meccanismo attraverso cui un’azione trasgressiva è resa accettabile attenuando la violenza semantica delle espressioni con cui viene indicata. Ad esempio, possiamo parlare di “danni collaterali” per giustificare la morte di innocenti durante una guerra, o di “pulizia etnica” per

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riferirsi allo sterminio di popolazioni. Quindi un ragazzo potrà definire ad esempio “dare una lezione” il fatto di aver arrecato danni ad un compagno. • Confronto vantaggioso: con tale meccanismo il proprio comportamento è

paragonato a quello di altri individui che operano violazioni più gravi e immorali, così da banalizzare le proprie. Per esempio viene paragonata la molestia ad una ragazza con uno stupro, oppure la presa in giro di un compagno rispetto all’uso della violenza sullo stesso.

• Dislocamento di responsabilità: con tale meccanismo la responsabilità dell’azione è attribuita ad altre figure più autorevoli, così che il soggetto sente di avere un ruolo meno attivo e consapevole. Per esempio questo accade durante la guerra, quando i soldati sparano per ordine delle gerarchie militari, rispettano i loro doveri nei confronti delle autorità e non si sentono personalmente responsabili per gli effetti causati dalle proprie azioni.

• Diffusione della responsabilità: è un meccanismo che viene messo in atto quando vengono commesse delle azioni immorali che coinvolgono un gruppo di persone e consiste nel percepire una minore responsabilità personale ritenendo che gli altri siano ugualmente responsabili. Le azioni collettive infatti garantiscono l'anonimato e ciò consente un indebolimento del controllo morale. È questo il caso degli stupri di gruppo o delle violenze negli stadi. • Non considerazione o distorsione delle conseguenze: tale meccanismo fa sì

che non ci sia una valutazione delle conseguenze negative del proprio comportamento. Perseguendo un'azione dannosa al fine di ottenere un vantaggio personale, le persone tendono a minimizzare il danno compiuto, oppure evitano di confrontarvisi non considerando le conseguenze negative ma solo i vantaggi ottenuti. Facendo così si disattiva l'autocensura.

• Deumanizzazione della vittima: tramite questo processo, la vittima viene degradata ad un rango non più umano, facendo così venir meno il meccanismo della corrispondenza empatica. L’individuo che subisce l’azione dannosa non è più visto come una persona con sentimenti e preoccupazioni e che prova sofferenza, ma è paragonata ad un oggetto inanimato.

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