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3.1. Il cammino verso l'ultima ora

3.1.1. In morte di Carlo Imbonat

Come si intuisce dal titolo, il carme In morte di Carlo Imbonati (1806) fu composto in occasione della morte di Carlo Imbonati il quale fu compagno di Giulia Beccaria, la madre di Manzoni. Il carme è noto anche per la prima formulazione della poetica manzoniana che permarrà sostanzialmente anche nella produzione matura. Nella vita di Manzoni fu molto importante la presenza di Carlo Imbonati. Il carme non intende soltanto celebrare le virtù di un grande uomo, ma anche di conservarne l'eredità morale.

La poesia fu dedicata alla madre, per confortarla nel dolore dalla perdita del suo amato compagno. Manzoni, nella lettera al Monti del 31 agosto 1805, mostrò una profonda compassione per la madre immersa nel dolore del perduto amico:

«Io non cerco, o Monti, di asciugare le sue lacrime; ne verso con lei; io divido il suo dolore profondo, ma sacro e tranquillo»242.

Il carme, in particolare, segna l'inizio della contemplazione del tema della morte. «L'idea della morte e il corteo di immagini terribili che essa trae con sé e il silenzio pauroso che essa getta d'improvviso sul tumulto delle nostre passioni avevano afferrato lo spirito del Manzoni sin dalla adolescenza, prima assai della conversione»243.

Nel carme Manzoni immagina che il compagno amatissimo della madre compare nel suo sogno per istruirlo sull'impegno sociale e morale dell'intelletuale. L'ode inizia con un'esplicita dichiarazione del poeta, in cui afferma che la grandezza umana di Carlo Imbonati non scompare con la sua morte. Manzoni credeva che al momento del trapasso di un uomo virtuoso, non muoia la sua testimonianza di giustizia e il suo esempio di virtù:

«Sarà, dicea, che di tal merto pera Ogni memoria? E da cotanto esemplo Nullo conforto il giusto tragga, e nulla

242 A. MANZONI, Tutte le lettere, I, [10] A Vincenzo Monti (13 agosto 1805), cit., p. 16. 243 A. GALLETTI, Manzoni, Shakespeare e Bossuet, in Saggi e studi, Bologna, Zanichelli, 1915, p. 23.

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Vergogna il tristo? Era la notte; e questo Pensiero i sensi m'avea presi; quando Le ciglia aprendo, mi parea vederlo Dentro limpida luce a me venire»244.

Manzoni esprime un delicato pensiero sulla morte, figendo di domandare ad Imbonati se presentiva la sua fine o se provava un grande dolore. È la domanda che viene spesso naturale porsi quando una persona cara che se ne va, ma anche è la domanda a cui non può mai seguire una risposta:

«Allor che de la vita Fosti al fin presso, o spasimo, o difetto Di possanza vital feceti a gli occhi Il dardo balenar che ti percosse? O pur ti giunge impreveduto e mite? Come da sonno, ripondea, si solve Uom, che nè brama nè timor governa, Dolcemente così dal mortal carco Mi sentii sviluppato; e volto indietro, Per cercare lei, che al finco mio si stava, Più non la vidi»245.

Il defunto risponde che si è sentito come un uomo preso dal sonno, così la sua morte è stata placida. Nella sua morte serena, l'unico dolore è stato quello di non aver più accanto a sé l’amata, infatti «più non la vidi». È notevole come il giovane Manzoni riesca ad esprimere l’affetto così puro di un uomo morto per la sua amata attraverso un evento generalmente visto tragico. Nulla può essere più efficace di questa morte serena nel rendere chiaro il sentimento elevato dell'autore.

«È una morte cristiana anche questa dell'Imbonati, ancora prima dell'illuminazione della fede del poeta: la dolce tristezza del morire, senza strappi violenti, è un motivo profondo della lirica manzoniana, dalla morte dell'Imbonati a quella del Carmagnola; da quella di Adelchi all'altra dello stesso Napoleone, [...]; dalla morte di Ermengarda a quella della madre di Cecilia»246.

244

A. MANZONI, In morte di Carlo Imbonati, in Tutte le poesie, a cura di Luca Danzi, BUR, Milano, 2012, vv. 13-19, p. 231.

245 Ivi, vv. 107-117, pp. 239-240.

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Qui è presente il dialogo tra un morto e un vivo, che è la forma cara a molti poeti del settecento compresi Alfieri e Monti. Ricorda inoltre Il Trionfo della Morte di Petrarca, che narra la morte di Laura, donna che suscitò in lui una grande passione. Infatti Carducci rimproverava che il carme manzoniano è «a imitazione del secondo capitolo del Trionfo della Morte del Petrarca»247, in cui la donna compare in sogno al poeta ed intreccia con lui un lungo dialogo. L'apparizione notturna, nei versi manzoniani, ha però un tono composto e sereno in modo ben diverso da quanto si verifica nel Trionfo della Morte petrarchesco e dalle poesie sepocrali dei suoi contemporanei. Il poeta rifiutò di manifestare il sentimento lugubre, soprattutto con il tema della morte.

La morte di Carlo Imbonati, per Manzoni, fornì l'occasione per ricongiungersi alla madre, il poeta infatti desiderava da tempo andare a Parigi per fare visita a sua madre e all’Imbonati. Un giorno «viene la fatale notizia che Carlo è morto, e la voce affannata della madre che chiama il figliolo a consolarla. Alessandro corre là angosciato, piange con lei, e la conforta come può»248. La madre stimolò il figlio a scrivere un elogio all'uomo scomparso. Così Manzoni si convinse a scrivere un carme per un uomo che non aveva mai conosciuto di persona.

Quando nel carme il poeta chiede ad Imbonati di restare con lui, l'uomo morto gli risponde che la sua città è il cielo, «dove sarem compagni /Eternamente»249. È significativo che nei versi siano presenti delle motivazioni religiose. Il giovane Manzoni, ancora prima di convertirsi al cattolicesimo, aveva già una prospettiva cristiana dell'eternità. Ci torna alla memoria una lettera che Manzoni scrisse a Parigi nel 1816, quando gli giunse la notizia della morte di uno dei cari amici milanesi, Luigi Arese. L'autore mandò agli amici questa lettera affettuosa nella quale emerge la speranza di una vita eterna:

«Oh sì! ci rivedremo. Se questa speranza non raddolcisse il desiderio dei buoni e l'orrore della presenza dei perversi, che sarebbe la vita?»250

247 Cfr. Ivi, p. 5.

248

POLICARPO PETROCCHI, La prima giovinezza di Alessandro Manzoni, Firenze, G. C Sansoni Editore, 1898, p. 67.

249 A. MANZONI, In morte di Carlo Imbonati, in Tutte le poesie, cit., vv. 223-224, p. 250. 250 A. MANZONI, Tutte le lettere, I, [19] Al conte Ignazio Calderari(30 ottobre 1806), cit., p.

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Il pensiero della sicura esistenza della vita oltre le soglie della morte, che ha cambiato un uomo immerso in ogni vizio o violenza nei Promessi Sposi251 spunta già nella prima esperienza della morte.