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2.2. Il dilemma tragico: il dissidio interiore

2.2.1. La natura e la volontà

Nel Carmagnola non c'è un profondo conflitto interiore com'è quello che fa soffrire l'animo nobile di Adelchi e di Marco, cioè non c'è un dissidio romantico, ma piuttosto quello classico tra natura e volontà, tra passione e ragione e tra sentire e meditare170.

Il Conte, guerriero generoso ed ambizioso, vuole una vita nobile e onorevole senza cadere nella rete dei vili, ma in realtà si è destinato nell'impossibilità di raggiungere i suoi obiettivi:

«Correr certo del plauso, e non dar mai Passo ove trovi a malignar l'intento Sguardo del suo nemico. Un altro campo Correr degg'io dove in periglio sono Di riportar, forza è pur dirlo, il brutto Nome d'ingrato, l'insoffribil nome Di traditor.

[...]

La mia vita io voglio dar, ma in campo, Per nobil causa, e con onor, non preso Nella rete de' vili»171.

169 P. MAZZAMUTO, Poetica e stile in Alessandro Manzoni, Firenze, Le Monnier, 1957, p. 94. 170

Cfr. Pierantonio FRARE, La «risposta» di Gertrude e la dissoluzione del tragico, in Studi sulla letteratura italiana della modernità per Angelo R. Pupino, Sette-Ottocento, a cura di Elena Candela, Napoli, Liguori, 2008, p. 155.

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«Tutti i suoi comportamenti, a partire dal passaggio da Filippo ai Veneziani, mireranno ad evitare sia la taccia di tradimento, sia il carcere e la morte sul patibolo»172, ma essi infine lo conduranno a una vita infame che Carmagnola non avrebbe voluto.

L'origine della sventura del Conte viene indicata dal protagonista stesso nel dialogo con Marco: «l'indole mia ne incolpa, un improvviso / Impeto primo»173. I comportamenti del Conte non derivano dalle leggi o dalle convenzioni, ma sono dettati dalla sua natura. Egli è già convinto di non poter riuscire ad andare contro quella che è la sua natura. La natura impulsiva di Carmagnola è la causa principale della sua disgrazia. Anche Marco è ben consapevole del difetto del suo amico e senza giudicarlo gli dà un consiglio dal cuore: avere la prudenza politica e l'arte per conquistare gli animi non nobili senza abbassarsi al loro livello:

«Spregia il grande, ed obblia; ma il vil si gode Nell'odio. Or tu non irritarlo: cerca

Di spegnerlo; tu il puoi forse. [...]

Ma tra la noncuranza e la servile Cautela avvi una via; v'ha una prudenza Anche pei cor più nobili e più schivi; V'ha un'arte d'acquistar l'alme volgari, Senza discender fino ad esse:»174

La magnanimità e la generosità del Conte, nonostante esse siano virtù, possono infatti provocare i potenti che sono abituati al servilismo e all'adulazione. Marco ha paura che il Conte finisca come «i generosi, che giovando altrui / Nocquer sempre a sè stessi»175.

L'esortazione di Marco rimane nella mente di Carmagnola, ma non è sufficiente a salvarlo dalla catastrofe che sta per sopraggiungere. Questo perché Carmagnola è incapace di controllare la propria natura, anzi, nonostante la necessità, non rinuncia mai alla sua indole e all'animo puro ad ogni costo. Egli manifesta pienamente la sua debolezza della volontà.

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P. FRARE, op. cit., p. 155.

173 A. MANZONI, Il Conte di Carmagnola, cit., Atto I, Sc. V, vv. 436-437, p. 53. 174 Ivi, Atto I, Sc. V, vv. 368-377, p. 49.

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Il Conte intuisce che alla fine cederà al destino che gli è chiaro fin dal principio a causa della debolezza del suo volere:

«Troppo è il tuo dir verace: il tuo consiglio Le mille volte a me medesmo io il diedi; E sempre all'uopo ei mi fuggì di mente; E sempre appresi a danno mio che dove Semina l'ira, il pentimento miete.

Dura scola ed inutile! Alfin stanco Di far leggi a me stesso, e trasgredirle, Tra me fermai che, s'egli è mio destino Ch'io sia sempre in tai nodi avviluppato Che mestier faccia a distrigarli appunto Quella virtù che più mi manca, s'ella È pur virtù; se è mio destin che un giorno Io sia colto in tai nodi, e vi perisca;

Meglio è senza riguardi andargli incontro»176.

Qui, si tocca un punto saliente della tragedia, ovvero il dissidio del protagonista tra la natura impulsiva e la debolezza della volontà177.

Marco sollecita il suo amico ad avere il dominio di sé e a mostrare la forza interiore178, ma il Conte è incapace di padroneggiare i suoi istinti e passioni. La debolezza della volontà trarrà il Conte, nonostante i molti meriti e l’indubbia innocenza, ad un tragico destino.

In Carmagnola come tutti gli altri, c'è una coesistenza tra istinto e ragione e tra cuore e mente, che conduce ad un conflitto interiore. I due elementi devono andare di pari passo, ma in lui prevale la natura su la volontà, il cuore non segue la ragione e la passione non dà spazio alla mente. Manzoni è capace di cogliere l'intensità del travaglio del singolo personaggio, caratterizzata proprio dalla presenza del rapporto costante tra sentimento e riflessione.

Il Conte, l'uomo in balìa della natura, è ben consapevole del proprio destino di dover rimanere avvolto negli intrighi della politica.

«[Carmagnola] pur avendo le sue mire ambiziose, mancava

176 Ivi, Atto I, Sc. V, vv. 379-392, p. 50.

177 La nozione di "debolezza della volontà" (akrasia, incontinenza, mancanza di autocontrollo) è stata per la prima volta introdotta da Aristotele in Etica Nicomachea.

178 Cfr. Il Conte di Carmangola, Atto I, Sc. V, vv. 426-429, pp. 52-53.

«Non dire /Che il tuo destin ti porta; allor che il forte/ Ha detto: io voglio, ei sente esser più assai/ Signor di sè che non pensava in prima».

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però completamente dell'arte di fingere, necessarissima in simili casi, dell'arrendevolezza apparente... anzi non smentiva neppure per un attimo il suo carattere veemente, ostinato, autoritario, e allora si intuirà subito il conflitto che doveva nascere fra tanto arbitrio e quel sistema di suprema ed oculata razionalità»179.

Coma nota Goethe, uno dei grandi ammiratori di Manzoni, poiché il protagonista ha una ferma personalitàincompatibile con la tortuosa logica del potere veneziano, dovrà nascere, come una conseguenza inevitabile, il contrasto irrisolvibile fra la moralità del singolo e l’immoralità del mondo. È presente fortemente il contrasto tra una valorosa personalità e l'irragionevolezza delle istituzioni e dei costumi. La storia di Carmagnola è un mezzo per affrontare il tema dell'inconciliabilità della felicità dell'individuo con le ragioni del potere. La vicenda personale di Carmagnola è per Manzoni un esemplare della parabola di un uomo che giunge a un alto grado di potere e in seguito cade in disgrazia, trovando infine conforto nella fede cristiana.

Come abbiamo detto in precedenza, il dramma viene costituito dall'urto inevitabile tra i valori ideali del protagonista e la fredda logica del potere. Lo confermò l'autore stesso nella lettera al Giudici del 7 febbraio 1820:

«un uomo di animo forte ed elevato e desideroso di grandi imprese, che si dibatte colla debolezza e colla perfidia dei suoi tempi, e con istituzioni misere, improvvide, irragionevoli, ma astute, e già fortificate dall'abitudine e dal rispetto, e dagli interessi di quelli che hanno l'iniziativa della forza»180.

Carmagnola, mandando liberi tutti i prigionieri, alimentò la diffidenza dei veneziani verso lui. I Veneziani decisero di intervenire per troncare un potere minaccioso. Non ci sono documenti certi che possono chiarire le reali intenzioni del Conte, ma Manzoni sostenne la sua innocenza e disegnò il suo personaggio come la vittima di una diffamazione.

L’argomento è strettamente legato ad un freddo aspetto della storia medioevale, fonte privilegiata delle tragedie manzoniane. È noto che Manzoni non dipinse i

179 La recensione del Goethe in Ueber Kunst und Alterthum, vol. II, f. 3˚, tradotta da P. Fossi, in La Lucia del Manzoni e altre note critiche, Firenze, G.C. Sansoni, 1937, pp. 232.

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suoi eroi, soggetti del medioevo, ugualmente a quelli che descrivevano i cronisti. Manzoni creò il carattere del Carmagnola dandogli animo di mancata conformazione agli usi dei tempi. Il Conte è un fiero militare, piena di fiducia nella reppublica Serenissima di cui sta al servizio, e generoso verso i vinti, ma è tanto imprudente quanto eroico.

L'indole del protagonista rimane estranea nell'ambiente che la circonda. La società non è in grado di apprezzare le virtù del protagonista, per di più lo soffoca e non gli consente di produrre un’azione o una reazione qualsiasi. Neanche il protagonista è capace di accorgersi dell'inganno della repubblica veneziana.

Il Doge, i Commissari e il Senato rappresentano un'unica entità malefica. Carmagnola mostra la sua diversità che lo differenzia da quella forza che è avvezza a giustificare un'azione infame in quanto utile dal punto di vista di della poetica machiavellica. Il Conte desidera una vera stima di tutti quelli che hanno animo nobile:

«So che de' grandi è l'uso Valersi d'opra ch'essi stiman rea,

[...]

ma io non sono Nato a questo; e il maggior premio che bramo, Il solo, egli è la vostra stima, e quella

D'ogni cortese»181.

A tal punto Machiavelli lo avvertirà che «non mai, intervenga che gli uomini di piccola fortuna venghino a gradi grandi, senza la forza e senza la fraude»182. Il Conte di Carmagnola è «una tragedia piena di fredde dignità e di chiusa scaltrezza politica»183. L'urto drammatico tra l'uomo e la società acquista una notevole forza rappresentativa nella tragedia manzoniana. Tale conflitto insolubile si conclude con la sconfitta dell'uomo. Manzoni, mettendo in scena il conflitto tra l'individuo e la società piena di ingiustizie, offre all'uomo la luce e la forza per dominare il proprio temperamento e scegliere la via della giustizia anche in una società irrazionale. Il Conte incarna la figura di un uomo di

181

A. MANZONI, Il Conte di Carmagnola, cit., Atto. I, Sc. II, vv. 103-109, p. 32.

182 N. MACHIAVELLI, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio II, in Tutte le opere, a cura di Mario Martelli, Firenze, Sansoni, 1971, p. 163.

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magnanimo che si scontra con la società ingiusta e passa velocemente da avere una grande gloria a finire nella polvere.

La storia di questo uomo ad ogni modo rappresenta una parabola esistenziale della vita e sottolinea la tipica concezione cristiana sull’inconsistenza della gloria terrena, che è il tema principale del Cinque maggio.Nella società piena di ingiustizie, in cui prevale la legge del più forte, solo la fede può sostenere l'uomo. La fede è un sostegno nell'affrontare il male. Con i princìpi cristiani si può realizzare una società giusta e attenta alle esigenze delle masse sfruttate e vittima dei potenti.

«Posto di fronte all'incertezza della storiografia circa le effettive colpe del conte di Carmagnola, Manzoni abbraccia una lettura dell’eroe ‘in positivo’, considerando una vittima inevitabile della storia, entro un’interpretazione moderna e cristiana di quest’ultima. Nella persuasione che la tragedia storica sia una straordinaria risorsa didascalica e di edificazione morale»184.