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Vita

‹F›u el Piovano Arlotto1 figliolo d’uno nobile mercatante fiorentino chia-

mato Giovanni di ser Matteo Mainardi,2 el quale faceva uno grosso fondaco3

oltre all’altre mercatantie. Et d’una sua ligittima e dabene donna ebbe pa- rechi figlioli tra maschi e femmine, fra e quale ebbe lui, al quale pose nome

5 Arlocto; per quale cagione si gli ponessi tale nome ne sono incerto, piglione

grande amirazione perché non credo che al mondo mai padre ponessi simile nome.4 Fecegli inparare l’abaco, di poi lo pose al mestiero della lana. Quando

fu alla età d’anni 27 in circa disse al padre el nuovo pensiero che aveva fatto del volere essere prete, al quale fece dare una pieve quasi disfatta d’entrata

10 circa a ducati5 40 per ciascuno anno, la quale si domanda la pieve di Sancto

1 ‹F›u el Piovano Arlotto: la Vita compare in S+P all’inizio, in O alla fine (sulle

motivazioni della scelta di proporla come incipit, rimando all’Introduzione e alla Nota al testo). Vista la forma, sensibilmente diversa da quella dei due testimoni, si segue qui O come se fosse testimone unico, riproponendo la Vita secondo S e P nelle rispettive appendici.

1Arlotto Mainardi (Firenze, 25 dicembre 1396 - Firenze, 26 dicembre 1484), piovano

di san Cresci a Maciuoli nel fiorentino e protagonista dei Motti e facezie.

2Giovanni di Matteo di Mainardo, figlio di ser Matteo di ser Mainardo, notaio fiorenti-

no. Giovanni dilapidò la piccola fortuna della famiglia e fu più volte rinchiuso nel carcere delle Stinche, dove risulta detenuto nel 1412, nel 1426 e nel 1432. Ritorna in altre occa- sioni nel corso delle Facezie, sempre ricordato dal figlio con un certo risentimento. Cfr. anche F. W. Kent - A. Lillie, The Piovano Arlotto, cit., p. 349: «the poverty of Arlotto’s father, Giovanni di Ser Matteo di Ser Mainardo who died imprisoned in the Stinche for debt (Motto I), is verified by the older man’s tax returns in 1427, 1430 and 1433, and by that of his widow and sons in 1442. Their only remaining property was part of her dowry and, according to the account books of Matteo di Simone Strozzi, even that was only saved in a gesture of a friendship made by the Strozzi and Pecori families, the latter of whom, as Father Orlandi has recently shown, gave the young Arlotto a chaplaincy in the Duomo in 1425, when he was already pievano of San Cresci a Macioli».

3A Firenze il fondaco è soprattutto la bottega dove si vendono stoffe all’ingrosso o al

dettaglio. Cfr. Le Trecento Novelle, XCVIII: «Chiamerai la Benvegnuda, che ti rechi la chiave del fondaco, e che tu vuoi vedere qualche balla di mercatanzia».

4Sulla questione del nome rimando all’Introduzione e al contributo di Alessio Bologna,

Il «Piovano Arlotto» nella tradizione rinascimentale, cit.

4 MOTTI E FACEZIE DEL PIOVANO ARLOTTO Cresci a Maciuoli nella diogesi fesulana,6 la quale per più anni aveva auto

parecchi tristi rectori e·ttutta era in rovina e spogliata d’ogni bene. Non inparò mai alcuna lettera, solo inparò l’ofizio a uso di prete di contado; aten- deva alla cura delle anime, rasettò la pieve colla sua maserizia e co l’aiuto

15 di Francesco di Nerone,7 ciptadino fiorentino, di modo che rende oggi più

che ducati 150. Quando ebbe rasettato la chiesa e le posesioni atese poi alla opera di piatà in dare per Dio, maritare fanciulle, in albergare pellegrini e in molte altre opere pie, e ciascuno anno sostentava parechi famiglie nel popolo suo; era tucto buono, pieno di carità, lieto e piacevole et giocondo, umano et

20 affabile con ciascuna persona. Mai non veniva dalla pieve a Firenze che non

fussi convitato da molti uomini da bene per la sua bonità; non era sitibondo, non stimava tesoro, non degnità. Tenne circa d’anni 40quella pieve8 che mai

acumolò ducati 10, non cercò mai altro benifizio ma rifiutònne assaisimi da pontefici e cardinali et da molti altri signori e prelati, e quali molte volte

25 glien’ofersono. Non ebbe mai quistione con alcuna persona, né altri con lui.

Fu incolpato andava alla taverna, molto giustamente se ne difese e gustifi- còssi con quello specchio di somma bontà di Antonino degno arcivescovo di Firenze;9 né·ssi udiva lamentare o condolersi o mormorare o biasimare al-

6Chiesa posta a circa sette miglia a nord di Firenze, sulla via di Bologna e del Mugello.

Cfr. Emanuele Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze, presso l’autore ed editore, coi tipi di Allegrini e Mazzoni, vol. 3, voce Macioli.

7Francesco di Nerone viene ricordato anche alla fac. 115 come benefattore della chiesa

di S. Cresci. Su di lui, si veda D. Manni, Le veglie piacevoli, cit., pp. 81-82: «egli [il Piovano] restaurò questa Chiesa, che andava in rovina, coll’ajuto di Francesco di Nerone Cittadino Fiorentino, e ch’ei la pose in tre navate di colonne. E ben quando S. Antonino venendo da far la Visita di sua Diocesi, che fu per avventura l’anno MCCCCLVII. si fermò alla Pieve a desinare, egli attualmente vi murava. Al che può forse aver correlazione quel, che si legge in uno spoglio di Scritture dalla Camera Fiscale nella celebre Stroziana, cioè, che sotto il dì 23. d’Ottobre MCCCCXLVIII. si comanda, che nessun muratore ponga la mano a lavorare in restaurando la Pieve di S. Cresci a Maciuoli, stante che detta opera si dice, che si spetta a fare a Francesco di Nerone di Nigi Dietisalvi, ch’era fratello di Giovanni di Nerone, che fu poi Arcivescovo nostro».

8Dal 1424 al 1482.

9Cfr. facc. 36 e 140. Antonino Pierozzi, santo (1389 - 1459), arcivescovo di Firenze dal

1445, canonizzato da Adriano VI nel 1523. Oltre che nelle due facezie citate, torna altre volte come personaggio dei Motti: cfr. facc. 1 e 19. Sulla figura storica dell’arcivescovo Antonino cfr. almeno Arnaldo D’Addario, voce Antonino Pierozzi, santo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1961, vol. 3, pp. 524-528.

5 cuna persona, mai parlava che ragionamenti piacevoli e grati, fabricava le

30 risposte nella mente sua in mentre sentiva parlare o essere domandato. E

in ogni qualità di ragionamenti sempre aveva la facezia a simile proposito, e certo si può dire che lui con ogni generazione d’uomini poteva capere, perché con religiosi parlava della religione, con gli usurai della usura, con gli uomini piacevoli di piacevolezze e con donne oneste pareva Lucrezia.10 Fu pregato e 35 fattogli grandissime oferte da grandi uomini rinuziassi la sua pieve in vita, la

qual cosa mai volle fare, né con preghi né per promesse né per minacci. E in utimo, sendo in isterilità,11 la rinuziò al capitolo di Sancto Lorenzo, perché

non capitassi alle mani di pravi uomini che più stimasino l’entrata che la cura dell’anime.12 Naque el Piovano Arlotto el dì di Pasqua di Natale a·ddì 25 di 40 dicenbre 1396, morì a·ddì 26 di dicembre 148313 el dì di sancto Stefano a ore

4 di nocte. Visse anni 87 giorni uno. Volle essere sepulto nello spedale de’ preti di Firenze, dove aveva fatto fare una magna sepultura, e così come in vita fu fontana di carità, così in morte volle mostrare la sua libertà e carità che non volle per sé solo la sua sepultura ma ingenerò per tutti quegli e quali

45 vi volessino entrare drento, come dice lo epitafio vulgare el quale fece fare in

decta sepultura. Amen.

10Cfr. GDLI, Lucreziano2: «che si ispira al modello della matrona romana Lucrezia,

donna integerrima per antonomasia». Uno dei non frequenti riferimenti dotti dell’opera.

11Limitate capacità, probabilmente economiche.

12Cfr. D. Manni, Le veglie piacevoli, cit., pp. 117-118: «non si curò di rinunziarla con

tirarne tutte l’entrate a vita, siccome gli veniva proposto di fare. Né accettò in materia di Benefizj le graziose offerte di due Pontefici, e di più Carinali. Anziché conoscendo la sua decrepita età, spontaneamente renunziò la Pieve al Capitolo di S. Lorenzo di Firenze, senza prego, poco avanti la sua morte, vale a dire l’anno MCCCCLXXXII. la qual restò unita al Capitolo medesimo». Sulla storia della pieve cfr. anche Marco Antonio de’ Mozzi, Storia di S. Cresci e de’ SS. Compagni Martiri e della chiesa del medesimo santo posta in Valcava del Mugello, Firenze, 1710.

6 MOTTI E FACEZIE DEL PIOVANO ARLOTTO

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Frate Antonino, arcivescovo di Firenze, uomo pieno di somma bontà e doctrina,14 mandò pel Piovano Arlotto per avere da·llui certa informazione.

E parlato alquanto insieme, domanda l’arcivescovo: «Ditemi, Piovano, qual fu el vostro diritto nome alla fonte, quando ricevesti l’aqua del sancto batte-

5 simo?». Rispose: «Arlotto». Assai si maravigliò l’arcivescovo e disse: «Se a

Firenze fussi una gabella con questi incarichi, che quando uno padre volessi porre nome a uno suo figliolo pagassi certa quantità di danari e chi·nne volessi uno più bello pagassi somma, certamente e’ non è sì poverissimo uomo che non impegnassi el mantello per potere comperare el più bello per porre uno

10 degno nome al figliolo.15 E ’l vostro padre, che era uomo dabene e di grande

ingegno, e al quale non costava cosa alcuna, vedete che nome strano vi pose: certamente mi parve che lui comettessi grande errore». Rispose el Piovano Arlotto: «Monsignore, non ve ne fate maraviglia: mio padre ne commis- se assai de’ maggiori». Disse l’arcivescovo: «Quali sono stati e maggiori?».

15 Rispose el Piovano: «Quando egli aveva a prestare a usura, egli acattava».

Disse l’arcivescovo: «Non sapete voi che cotesto peccato l’arebbe mandato allo inferno?». Disse il Piovano: «E però mandò lo prestatore mio padre alle Stinche e morivi drento».16

2 avere da·llui certa ] avere certa ⇧ 15 aveva a ] doveva

17 inferno?». Disse il Piovano: «E ] inferno?». «E O 17 prestatore ] accattare

17 padre alle ] padre povero alle

14Sull’arcivescovo Antonino, cfr. Vita e fac. 36, 19, 140.

15La storia dell’acquisto dei nomi è attribuita nel Cinquecento a Giovanni d’Andrea.

Cfr. Angelo Poliziano Tagebuch, cit., 337, con riferimento ai Ricordi di Sabba da Casti- glione: «Giovan’Andrea, solemnissimo dottore Bolognese, riferiva, che la moglie era solita dire, che se i belli nomi si comprassero, i padri non doverebbero guardare allo spendere per comprargli a i figliuoli; perché sì come un brutto nome fa mala presontione, così un (bello) nome la fa buona et fa la persona alquanto grata; anzi che’l mal nome è un pronostico et un augurio di mala morte».

16Su Giovanni di Matteo di Mainardo, cfr. anche Vita e fac. 63. La facezia è ripresa

in DP 341: «El Piovano Arlotto, dicendogli l’arcivescovo che suo padre aveva fatto male a porgli nome Arlotto, perché, se ben costassino assai e nomi belli, si voleva più tosto comperare quelli, ch’e brutti a buon mercato, rispose: – Oh, mio padre fe’ anche peggio, ché e’ doveva prestare a usura, et egli acattò!».

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Per lo sommo pontefice, di consenso del popolo di Firenze, si diliberò porre una decima a tucto el clero fiorentino17 e fu commesso questa cura a

messere Alessandro, vescovo di Furlì.18 Inteso messer Falcone19questa cura a

chi era data, andò a visitare detto vescovo, al quale disse dopo le salutazione:

5 «La vostra Signoria va a Firenze a porre la decima: io non ho in quella ciptà

se non una spelzieltà d’uno uomo dabene, mio grande amico, el quale io vi priego abiate per racomandato e quello vogliate tractare come la mia propia persona, la quale so vostra Signoria cordialmente ama, e questo è ’l Piovano Arlocto». Venuto el vescovo in Firenze, molti preti lo vennono a vicitare

10 et una mattina tra l’altre vi venne tre canonici e quatro altri gentili uomini

fiorentini, ai quali dava desinare el vescovo. Circa all’ora del desinare giunse el Piovano Arlotto a vicitare el vescovo, parte per carità e parte per ricordare el fatto suo, come facievono gli altri preti. No·llo conoscendo el vescovo, lo domandò: «Quale siate voi e come avete nome?». Al quale rispose: «Io

15 mi chiamo Arlocto, piovano di Sancto Cresci a Maciuoli». Disse el vescovo:

«Io non vi conoscevo né sapevo chi voi savate. Restate qui perché voglio questa mattina facciate compagnia a questi nobili uomini, et insieme con loro desiniate meco». Accettò el Piovano. El vescovo gli fece molte carezze

3 Inteso messer Falcone19 questa cura a ] Intesa questa commessione messer Falcone et a

8 quale so vostra ] quale vostra ⇧

10 mattina tra l’altre vi venne ] mattina lo vennono a vedere 10–11 gentili uomini fiorentini ] cittadini, gentili uomini 11 desinare el vescovo ] desinare

11–12 Circa all’ora del desinare giunse el Piovano Arlotto a vicitare el vescovo ] Et dipoi venne a vicitare il vescovo il nostro Piovano Arlotto

18 Accettò ] Accettato ⇧

17Per le decime imposte al clero di Firenze, cfr. anche fac. 48.

18Alessandro di Guglielmo Numai (1440 - 1483), nominato vescovo dal papa il 9 marzo

1470 e inviato apostolico alla signoria di Firenze nel 1472. Fu in corrispondenza anche con Lorenzo de’ Medici.

19Su Falcone Sinibaldi cfr. D. Manni, Le veglie piacevoli, cit., p. 104: «Era questo Nobil

Romano Messer Falcone de’ Sinibaldi Canonico di S. Piero in Vaticano nel MCCCCLXIV. uomo impiegato dalla Corte di Roma in varie importanti commissioni». Il personaggio torna più volte nel corso dei Motti e facezie come amico del Piovano: cfr. facc. 37, 43, 44, 108, 172.

8 MOTTI E FACEZIE DEL PIOVANO ARLOTTO et, apparechiato con ordine uno bellissimo desinare di degne vivande, pose a

20 sedere el Piovano Arlotto nel più degno luogo e inanzi a·ssé, bene che fussi

viscovo et comessario apostolico. Et fornito quasi el mangiare, disse queste parole: «Padri venerandi, egregi e nobili ciptadini, so che questa mattina avete avuto admirazione assai dello avere fatto io sedere el nostro Piovano Arlotto nel primo luogo di questa mensa. Quando io mi partì da Roma per

25 venire in questa ciptà, mi fu racomandato el Piovano Arlotto da uno nobile

uomo, el quale mi poteva comandare; promissigli non tractare altrimenti el Piovano che la sua propia persona, e se quel tale fussi stato qui a desinare no·llo arei posto in altro luogo». Rispose el Piovano: «Ringrazio vostra Signoria di tucto quello avete facto sino al presente, priegovi adoperiate non

30 avenga a me come a Christo la domenica d’ulivo in Gierusalem».20

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Avendo fatto le galeazze viniziane al porto delle Schiuse21 scala, vi sopra-

giunsono le galeaze fiorentine e, tucti andati a Bruggia per lo spaccio delle loro mercantie, per la lunga dimora feciono e viniziani e fiorentini una grande familiarità insieme.22 E uno giorno confabulando insieme e dua capitani di

20 bene ] ancora

22 venerandi, egregi ] venerabili et egregii

26 comandare; promissigli ] comandare; al quale detti la fede mia et promissigli 28 Ringrazio vostra ] Ringrazio la vostra

29 priegovi ] ma io vi priego

30 in Gierusalem ] in Giudea e in Ierusalem ⇧ 3 feciono ] feciono in quella ciptà

3 e viniziani ] i detti viniziani

3–4 fiorentini una grande familiarità insieme ] fiorentini contrassono insieme una grande familiarità et amicizia

20La facezia è ripresa in DP 217. Il riferimento è all’ingresso di Gesù a Gerusalemme

e viene spiegato, in modo inusuale per la stringatezza propria dell’autore dei Detti, da Poliziano: «non vorrei che e’ mi intervenissi come a Christo, al quale i Giudei andoro- no incontra con olivo e palme mettendogli le vesti sotto i piedi, e poi lo crucifissono –: accennando aver paura di non beccare maggiore gravezza dopo tanti cibarii».

21Il porto di Bruges, l’Écluse.

22È la prima facezia a parlare dei viaggi in galea del Piovano Arlotto. Cfr. anche facc.

5, 6, 31, 32, 55, 57, 64, 68, 76, 77, 81, 108, 123, 130, 138, 139, 156, 157, 158, 170. La lezione di S sembra un intervento regolatore, basato sul linguaggio burocratico.

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5 vari ragionamenti, disse el capitano viniziano al capitano fiorentino: «I’ ò in-

teso una usanza in Firenze (sendo vera sarebbe biasimevole), che voi menate per cappellani tutti preti viziosi e infimi. E se è vero, come ò inteso e sono stato acertato, è alla vostra ciptà grande infamia. Noi a Vinegia facciamo el contrario, ché in sulle nostre galeazze non vogliamo se non preti di buona con-

10 dizione et fama e litterati23 e che sieno bene adoctrinati nella sacra Scrittura;

e che sia el vero, i’ ò per prete della mia galea capitana uno valente uomo, maestro in sacra teologia, el quale ha predicato in tucte le parte d’Italia, dove à avuto onore assai». Rispose el capitano fiorentino: «Magnifico capitano, io non credo vi sia stato detto tale cosa, e se pure v’è stato detto simile favola,

15 quello ve l’à detto à errato assai et partitosi dal vero, o voi avete male inteso:

le nostre galee vanno così bene a ordine come si vadino le vostre, e sono così bene ornati et buoni costumati uomini e licterati e virtuosi preti, come sieno le vostre, o meglio. Io n’ò uno in sulla mia galea, non maestro in sacra teolo- gia come voi, ma ho uno prete virtudioso e dabene e uno onorato piovano, e

20 forse non meno ornato nelle lettere e erudito nella sacra Scrittura del vostro

maestro in teologia. E se voi ne volete vedere el paragone, a vostro bene placito». Rispose el capitano viniziano essere contento: «E a vostra posta, domattina, messer capitano, io vi darò desinare, e menate con voi la vostra compagnia e farò predicare el mio cappellano, e l’altra mattina voi farete

25 predicare el vostro. Se el mio ne reca la victoria, pagherete quello giusta-

mente io giudicherò, e se el vostro piovano sarà vincitore, oserverò di pagare quanto giudicherà lui medesimo e vostra Magnificenzia». E l’altra mattina, aparechiato uno bellissimo desinare, al quale vennono el capitano fiorentino

5–6 inteso una usanza ] inteso che voi avete una usanza

6 sarebbe biasimevole ] è cosa inonesta et molto biasimevole a pensare

6–7 voi menate per cappellani tutti preti viziosi e infimi ] tutti li preti ignoranti, viziosi e infami voi menate per cappellani in sulle vostre galee quando navicate et più, che io intendo che ancora voi avete in Firenze uno dectato, che quando uno vole dire una grande ingiuria a uno prete non li può dire peggio che dirli “prete da galea“

7 E se ] S’egli

7–8 ò inteso e sono stato acertato ] io sono istato acertato 8 ciptà grande ] ciptà una grande ⇧

18 non maestro ] uno maestro

23Eco da Inf. XV, 106-107: «In somma sappi che tutti fur cherci / e litterati grandi e

10 MOTTI E FACEZIE DEL PIOVANO ARLOTTO colli padroni e alcuni uficiali e alcuni mercanti di Brugia e il Piovano Arlotto,

30 e postisi a mensa, quasi a mezzo el desinare cominciò a predicare el maestro

in teologia e fece una degna predica, molto ornata e con assai alturità e molto saddisfece agli aldienti. L’altra mattina el capitano viniziano co gli padroni e uficiali e certi mercanti andorno a desinare col capitano fiorentino, e·quale aveva preparato uno bellissimo desinare abondante di molte sprendide e varie

35 vivande, e quasi in sulla ora del dare l’aqua alle mani, el capitano fiorentino

disse al Piovano Arlotto come faceva di bisogno predicassi quella mattina a tavola. E naratogli tutto el fatto del pegno messo e patti e convenzioni trat- tati insieme, el Piovano molto si maravigliò perché mai non ne aveva inteso alcuna cosa, et rispose: «Come volete voi io faccia? Vedete in che modo io

40 posso avere onore andare al paragone con uno sì fatto valente uomo, maestro

in sacra teologia, inveterato negli studii e nel predicare, e più che seco ha quantità di libri, e·lla predica fece iermattina crediate la studiò più che dua giorni; sapete che io sono ignoto24delle lectere e mai non viddi libri e a·ffatica

so leggere in sul mio messale, e non mi date alcuno spazio di pensare solo una

45 parola e mai non ho saputo cosa alcuna se none in questo punto!».25 E stette

alquanto attonito. Veduto el capitano che lui stava così cogitativo, disse: «Piovano, voi m’avete inteso. Se questa mattina voi ricevete vergogna, voi perderete in tucto la grazia mia e le nostre galee ne riceveranno poco onore». In uno momento ritornato el Piovano in sé, rispose: «Capitano, mai mi missi

50 coraza che io no·lla adoperasi, e sempre tornato a casa con grande onore».

E postisi tutti a mensa con franco animo e pieno di letizia e cominciatosi a desinare, levatosi in piedi incominciò a parlare; e dopo uno degno introito,26

32 agli aldienti ] a·ttutti quelli audienti 34 abondante ] abondevole

38 molto ] forte

38 non ne aveva ] non aveva 40 andare ] ad avere ad andare 42 crediate la ] crediate che la

43 ignoto24] ignaro

24Nel significato di ’ignaro’.