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La tradizione dei Motti e facezie del Pio vano Arlotto

NOTA AL TESTO

2.1 La tradizione dei Motti e facezie del Pio vano Arlotto

Nel 1953 Gianfranco Folena pubblicò l’edizione critica dei Motti e facezie del Piovano Arlotto.1 Lo studioso dovette basare il suo lavoro su due soli

testimoni:2 la princeps curata da Bernardo Pacini, pubblicata senza data

per i tipi dello Zucchetta con il titolo di Motti e facetie del Piovano Arlot- to prete fiorentino piacevole molto, da far risalire al triennio 1514-1516 (P), e il manoscritto XLII. 27 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, allestito da Giovanni Mazzuoli da Strada per Lucrezia Salviati intorno agli anni 1537-1540 (S).3 La tradizione di cui Folena poté disporre risultava in-

1Motti e facezie del Piovano Arlotto, cit.

2Per l’inaffidabilità della tradizione successiva, basata fondamentalmente sulla lezione

della princeps e su successivi rimaneggiamenti, rimando alla Prefazione e alla Nota sul testo di Folena, oltre che all’Introduzione di questo lavoro.

3Per le datazioni dei due testimoni, cfr. la Nota sul testo dell’edizione Folena. Per la

stampa, cfr. in particolare pp. 289-290: «Lo Zucchetta, se ci si fonda sulle edizioni datate sicuramente, svolge il massimo della sua attività di stampatore nel secondo decennio del Cinquecento e poco prima e poi; Bernardo Pacini succede al padre Pietro nell’attività editoriale, che già esercitava insieme con lui, solo dopo la sua morte (1514): egli preparava lavoro per vari stampatori (la sua prima edizione sicuramente datata è quella delle Epistole et Evangeli stampati da Carlo da Parma il 13 febbraio 1515, st. fior.), fra i quali appunto lo Zucchetta. L’edizione delle nostre facezie porta una lettera di dedica “al magnifico giovane Pietro Salviati”: si tratta indubbiamente del primogenito di Iacopo Salviati e di Lucrezia di Lorenzo dei Medici, nato il 30 gennaio 1496 st. fior. (come mi risulta da documenti

LXXXII NOTA AL TESTO somma scarna, rimaneggiata – in particolare per quanto riguarda la stampa di Pacini4 – e tarda rispetto alla stesura della silloge. Come si è detto in in-

troduzione, l’opera risale infatti a prima del 1481 (e non agli anni 1485-1488, come aveva ipotizzato Folena): lo studioso fu insomma costretto a fondare il suo testo sul manoscritto S, un testimone scritto una sessantina di anni più tardi della conclusione di un’opera – qual è una raccolta di testi faceti, perdipiù anonima – già facilmente sottoponibile a mutamenti.

Nel 1964 Giorgio Petrocchi ha però scoperto un altro e più antico ma-

dell’Archivio di Stato di Firenze, Arch. della segreteria delle tratte, no 443, Libri delle

età, II vol., c. 105v); su di lui, nipote del Magnifico, si appuntavano molte speranze nella cerchia medicea, ma egli morì giovane il 19 agosto 1523. Sicuro terminus a quo per la nostra edizione è quindi il ritorno dei Medici a Firenze nel 1512; probabile la data di morte di Piero Pacini (1514); ma sicuro terminus ad quem è la prima edizione veneziana delle Facezie, che è del 1516 [...]. Ma fra la prima edizione fiorentina e quella veneziana c’è un tramite, rappresentato da una seconda edizione fiorentina, anch’essa senza data, immutata nel testo ma mutata nel titolo che fu tratto dalla lettera di dedica a Pietro Salviati: Facetie, piacevoleze, fabule e motti del Piovano Arlotto prete fiorentino, huomo di grande ingegno; opera molto dilectevole vulgare in lingua toschana et nuovamente impressa cum gratia... [...]. Credo dunque che le due edizioni fiorentine, che stanno a fondamento della tradizione a stampa, possano assegnarsi al 1514-1516 e piuttosto verso il limite più tardo, ché la fortuna e la diffusione della facezie fu subito rapidissima». Per il manoscritto, cfr. pp. 296-297: «Circa l’età del manoscritto si può dire che esso appartiene con ogni probabilità all’ultimo periodo della sua vita [dello Stradino, N.d.R.], come mostra il confronto con altre fra le molte scritture che di lui possediamo: certo fra il 1530 e il 1549, data della sua morte; forse agli anni del ducato di Alessandro, quando il legame dello Stradino coi Salviati era più stabile. La scrittura dello Stradino, pur facendosi più allungata e prendendo qualche eleganza cinquecentesca, ha conservato sempre la sua fisionomia anch’essa ritardataria d’ultimo quattrocento, che fece apparire il codice al Bandini “partim XV”, per quello appunto che spettava allo Stradino. Va aggiunto che il breve poemetto genealogico, copiato come s’è visto nelle ultime carte da mano diversa forse poco dopo che lo Stradino aveva terminato il suo lavoro, ci porta agli anni del ducato di Cosimo: e mancando nelle parole rivolte allo Stradino quel titolo di “Padre” che gli fu comunemente attribuito dopo la fondazione degli Umidi, lo scritto andrà probabilmente riferito agli anni 1537-1540».

4L’intervento del curatore della princeps viene dichiarato esplicitamente nella dedica

a Pietro Salutati: «[...] uno mio intimo amico litterato et ingenioso mi ha etiam exhortato a questa medesima operazione, promettendomi lui di scorrere quelle et porvi la mano ad aliquale espolizione, accioché la loro lectione porgessi alcuno dilecto; perché, come dal prefato mio benivolo già intesi che le haveva vedute, era difficillimo a ridurle ad intera elimazione [...] le ha quel mio familiare accommodate in modo che quello che hanno di buono vi si truova exquisito et intelligibile».

2.1. La tradizione dei Motti e facezie del Piovano Arlotto LXXXIII noscritto fiorentino delle Facezie, l’Ottoboniano latino 1394 della Biblioteca Apostolica Vaticana, databile fra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI.5 Il

codice, descritto nel paragrafo successivo e che sigliamo O, conserva il testo dei motti arlottiani seguiti dalla Vita, che invece apre P e S, e da una pri- ma parte della Novella del Grasso legnaiuolo, scritta da una seconda mano «assai simile al tratto d’una prima nota di possesso»,6 che offre un primo

certo terminus ante quem per la compilazione del testimone, poiché attesta il prestito del manoscritto il «di xx d(i)cembre 1512».7

I tre testimoni sono risultati molto diversi tra loro, sia dal punto di vista strettamente testuale, sia da quello più macroscopico della struttura dell’o- pera. Oltre alla differente posizione della Vita, i tre presentano numerose discrepanze strutturali, che si riportano nella Tav. 5. Per l’ordinamento, si prende come base il ms. O. Nel testo critico si sono integrate sei facezie successive alla fac. 132, che non sono segnalate nella prima colonna proprio perché assenti nel testimone: si è tuttavia deciso di seguire la numerazione dell’edizione critica per facilitare il diretto confronto strutturale fra i tre te- stimoni. All’interno di riquadri sono evidenziati i testi assenti nella princeps, persi o possibilmente eliminati secondo la discrezione di Pacini: si tratta di facezie collocate in punti della raccolta ancora abbastanza stabili, e non tra- smesse solo dall’Ottoboniano, ma anche dal più tardo ms. Laurenziano; i testi assenti nella stampa inoltre presentano spesso tratti che l’editore avreb- be potuto voler censurare.8 Su sfondo grigio sono segnalati i testi assenti in

O, a volte presenti sia in S che in P, altre solo in S. In grassetto è evidenziato un sottogruppo di questa categoria, costituito da una serie di testi tratti da un volgarizzamento del Liber de vita et moribus philosophorum di Walter Burleigh.9 L’unico testo presente solo nell’Ottoboniano è sottolineato.

5Giorgio Petrocchi, Un secondo manoscritto delle «Facezie del Piovano Arlotto»,

«Studi di filologia italiana», XXII, 1964, pp. 621-633.

6Ivi, p. 622.

7Sul nuovo testimone, si veda anche Giovanna Mastroddi, Sulla redazione ottoboniana

di Motti e facezie del Piovano Arlotto, «La rassegna della letteratura italiana», XCII, 1988, pp. 307-317.

8Si vedano, come emblematico esempio, le facezie 115 e 153 (seguo la numerazione della

presente edizione): nella seconda si può percepire un tono quasi blasfemo del racconto, nella prima il Piovano dimostra di dare più importanza all’andare in osteria che alla ristrutturazione della pieve e al denaro del suo benefattore.

LXXXIV NOTA AL TESTO La tabella mette da subito in luce alcuni importanti aspetti dei tre testi- moni. Oltre alla già citata scarsa affidabilità di P, la diversa struttura di O e di S fa intuire come col passare del tempo l’opera sia mutata soprattutto nella direzione di un accrescimento testuale.10 Tale arricchimento va incontro alla

caratterizzazione di un personaggio dai tratti più edificanti e filosofici di quel- li originari, secondo una delle due linee che si sono indicate in Introduzione per quanto riguarda la fortuna di Arlotto Mainardi. Già all’altezza della fine degli anni ’30, il protagonista dell’anonima raccolta veniva investito di una nuova aura morale e educativa, vedendosi attribuire testi di carattere senten- zioso, quali sono quelli tratti dal Liber de vita et moribus philosophorum.11

Il ritrovamento del nuovo testimone O permette quindi di avvicinarsi sempre più al nucleo originale della raccolta, quel nucleo probabilmente conosciu- to da Poliziano e che raccontava di un Piovano Arlotto meno cattedratico. Interessante è poi quell’unica facezia presente solo nel più scarno ms. Ot- toboniano, la 175 secondo la presente edizione.12 Anche in questo caso, si

di W. Burleigh, «Forum italicum», XXVI, 1992, pp. 5-13. Per la rilevanza dell’inserimento di tale nucleo e per la diversa caratterizzazione che portò al personaggio del Piovano Arlotto, rimando all’Introduzione.

10Cfr. a tal proposito anche quanto già affermato da Petrocchi, Un secondo manoscrit-

to..., cit., pp. 627-628: «Nei limiti in cui rimaneggiano tutti i portatori di testimonianze d’un testo novellistico del tipo del nostro Piovano Arlotto, è certo che gli interventi mani- polatorî di O sono minimi rispetto alla precisa volontà di adattamento e di arricchimento dello Stradino: sia sufficiente soltanto il giudizio di ’relativa’ paternità dei varî Motti e della spregiudicata utilizzazione della Vita de’ filosofi».

11Come emblematico esempio, si possono prendere i Motti numerati 175 dal ms. Lau-

renziano: «Domandato il Piovano Arlotto che cosa è quella che è più dificile ad cognosciere, rispose: “Sé medesimo”. “Che cosa è quella che è più dificile ad aquistare?”, rispose: “Quello che·ll’uomo disidera” “In che modo s’à a sostenere con pazienza una adversità?”, “Quando tu vedi che il tuo nimico à peggio di te“. “Come si può giustamente vivere?”, “Fà quello che·ttu comandi ad altri”», ecc.

12«‹M›olte volte riprese el Piovano Arlotto certi contadini che giucavano a vari giuochi,

e massimo alle carte, su el cimitero della pieve, non guardando al dire messa o nolla dire. Diliberò el Piovano pagargli di quella moneta richiedeva tale opera; e uno giorno, vigilia di festa, ridendo disse: “Voi non volete rimanervi del giucare almeno quando dico messa col tempo è brieve, per questo vostro giucare si scopirrà qualche macchia”. E villani, faccendo l’osso del buffone, dissono che mentre che·ssi dicessi l’uficio non farebbono rimore. La mattina, per tempo e avanti una ora v’era raddopiata la brigata che s’avessi a cominciare la messa, parendo loro dovere avanti la messa fare quanto a loro piaceva. Vedendo el Piovano molto bene della brigata, prese l’asperge e dette al cherico la secchia da aqua

2.1. La tradizione dei Motti e facezie del Piovano Arlotto LXXXV potrebbe trattare sia di una caduta sia di un’eliminazione consapevole da parte del Laurenziano e della princeps (o del loro antigrafo). La seconda ipotesi non è da escludere per due motivi fortemente collegati fra loro. Il primo è la posizione della facezia nella raccolta, che, qualora accolta da S, si sarebbe trovata in coda all’opera, in una sezione in cui vengono raccontate le alte qualità del Piovano Arlotto (significativo, ad esempio, che le ultime due facezie di S – che raccontano momenti di carità del personaggio – si trovino proprio in coda, mente nell’Ottoboniano occupano una posizione più alta). Il secondo motivo che legittimerebbe una consapevole assenza di tale facezia nei testimoni più tardi è che questo testo è molto simile a un altro, nume- rato 168 da O e 196 da S.13 La mancanza della facezia nella sezione finale

del Laurenziano, nel caso in cui la sua scomparsa non fosse casuale, farebbe intuire ancora una volta il proposito di dare all’opera una maggiore linearità, almeno sul suo finire, e il desiderio di conferire una maggior letterarietà a un testo che molto mutò nel tempo e che molto avrebbe continuato a mutare.14

Il raffronto fra i testimoni e fra le loro strutture trasmette insomma con chia-

benedetta, ma avevala piena d’olio, e in canbio di dire Asperge diceva: “E’ si scopirrà qualche macchia!”, e annaffiava sanza alcuno rispiarmo, di modo che ponendo mente e villani lì a una ora su per le lapide vedevono quegli sprazzi che parevano ed erano di olio. S’acorsono avanti la fine, loro avere aùto l’olio santo sopra tutti e panni, e se el Piovano non pigliava questo ordine, ancora vi giucherebbono.»

13«‹A›lcuni ciptadini uomini dabene andorno a vedere el Piovano Arlotto, el quale al

suo modo usato fece loro onore. E in su l’ora del desinare el Piovano andò lì in vicinanza e, tardato alquanto, non ebbono pazienza; et serrato el Piovano di fuori di casa mangiorono la sua parte e la loro, e poi, aperto l’uscio, el Piovano se ne rise e desinò pane e formaggio. E andato el Piovano in chiesa messe nella pila de l’aqua benedecta molto bene de l’olio, e venuti poi tutti insieme ringraziando Iddio e cantando uno salmo, e dato loro lo asperge con l’aqua sancta, aconciò loro e vestimenti come meritavano, loro ridendosi della natta avevono fatta al Piovano, né mai s’acorsono dell’olio avevono in sugli mantegli insino a l’altro giorno. E trovandosi e panni guasti e pieni d’olio, s’arecarono a pazienza e giudicorono loro medesimi el Piovano avere fatto loro el dovere, avendolo fatto digiunare fuori di casa sua.»

14Tale obiettivo traspare in S anche in altri modi, come nel frequente utilizzo di formule

che restituiscono l’idea di una raccolta più strutturata nel senso macrotestuale (del tipo come innanzi t’ò detto, ti ò detto una novella innanzi in questo libro, ecc. Per queste e altre significative varianti stilistiche rimando alla sezione Considerazioni sulla lingua e lo stile dei testimoni). Ancora, è notevole che il Laurenziano presenti rubriche riassuntive a inizio di ciascun testo, a differenza dell’Ottoboniano che invece le ignora direttamente (anche P presenta delle titolazioni, diverse però da quelle di S).

LXXXVI NOTA AL TESTO rezza la natura di un testo stratificato che andava formandosi sulla base di un nucleo iniziale (quello costituito dal primo centinaio di facezie, che anche a livello di numerazione sono più stabili nei due manoscritti).

Y Y Y 1 1 1 2 2 2 3 3 3 4 4 4 5 5 5 6 6 6 7 7 7 8 8 8 9 9 9 10 10 10 11 11 11 12 12 12 13 13 13 14 14 14 15 15 15 16 16 16 17 17 17 18 18 18 19 19 19 20 20 20 21 21 21 22 22 22 23 23 23 24 24 24 25 25 25 26 26 26 27 27 27 28 28 28 29 29 29 30 30 30 31 31 31 32 32 32 33 33 33 34 34 34 35 35 35 36 36 36 37 37 37 38 38 38 39 39 39 40 40 40 41 41 41 42 42 42 43 45 43 44 46 44 45 47 45 46 43 46 47 44 47 48 48 48 49 49 49 50 50 50 51 51 62 52 52 51 53 53 54 54 55 52 56 53 55 57 54 56 58 55 57 59 56 58 60 57 59 61 58 60 62 59 61 63 60 62 64 61 63 65 63 64 66 64 65 67 65 66 68 66 67 69 67 68 70 68 69 71 69 70 72 70 71 73 71 72 74 72 73 75 74 76 73 75 77 74 76 78 75 77 79 76 78 80 77 79 81 80 82 78 81 83 79 82 84 80 83 85 81 84 86 82 85 87 83 86 88 84 87 89 85 88 90 86 91 91 89 92 90 93 87 91 94 88 92 95 89 93 96 90 94 97 92 95 98 93 96 99 94 97 100 95 98 101 96 99 102 97 100 103 101 104 98 102 105 99 103 106 100 104 107 101 105 108 102 106 109 103 107 110 104 108 111 105 109 112 106 110 113 107 111 114 112 115 108 113 116 109 114 117 110 115 118 116 119 111 117 120 112 118 121 119 122 120 123 113 121 124 122 125 123 126 114 127 115 124 128 116 125 129 117 126 130 118 127 131 119 128 132 120 129 133 121 130 134 122 131 135 123 136 124 132 137 125 138 126 139 127 140 141 142 143 139 146 129 140 147 141 148 130 142 149 131 143 150 132 151 133 144 152 134 145 153 135 146 154 136 147 155 137 148 156 138 149 157 139 150 158 140 151 159 141 152 160 142 153 162 154 161 143 155 163 144 156 164 145 157 165 146 158 166 147 159 167 160 168 148 161 169 162 170 149 171 150 163 172 151 164 173 152 165 174 153 175 176 177 154 178 155 179 180 156 181 182 157 183 158 184 185 159 186 187 160 188 189 190 191 161* 192 162 193 163 166 194 167 195 168 196 164 169 197 165 170 198 166 199 167 171 200 168 201 169 172 202 170 203 204 171 205 206 173 207 208 209 210 211 172 212 213 214 215 174 216 175 176 144 128 177 145 173 X Y Y

TAV. 5: Numerazione delle facezie in O, S e P

LXXXVIII NOTA AL TESTO

2.1.1 L’Ottoboniano latino 1394 della Biblioteca Apo-

stolica Vaticana

Si fornisce di seguito una descrizione del codice: Città del Vaticano, Bibliote- ca Apostolica Vaticana, ms. Ottoboniano latino 1394, cart., la prima guardia membr. Secoli XV ex.-XVI in., origine fiorentina, 227 x 162 mm., cc. III, 130, I. Numerazione moderna in numeri arabi, la scrittura e l’inchiostro paio- no gli stessi della scritta 1394 ottob. nel secondo foglio di guardia. Le prime tre carte di guardia sono numerate 1, 1a e 1b. La numerazione delle carte

comincia poi con 1o e prosegue normalmente con numeri senza apice. III,

1 (9), 2 (10), 3 (10), 4 (10), 5 (10), 6 (10), 7 (10), 8 (10), 9 (10), 10 (10), 11 (8), 12 (10), 13 (10), 14 (8), I. Manca una carta fra le numerate 9 e 10; maniculae che segnalano di proseguire la lettura in un ordine diverso alle cc. 16v e 17v; sono presenti richiami a 29v/30r, 39v/40r, 49v/50r, 59v/60r, 69v/70r, 79v/80r, 89v/90r, 99v/100r, 107v/108r, 117v/118r; 5 cc. bianche (+ il verso di 125v) con numerazione interrotta fra 125v e 126r. Alcune delle prime carte (cc. 1b, 3, 5, 6, 8, 10, 13, 14, 15, 16, 19) presentano una filigrana

in-8o, costituita da un cerchio all’interno del quale si intravede un disegno

non comprensibile. A partire dal terzo fascicolo compare con più costanza la filigrana, sempre in-8o, di una coppia di frecce incrociate, simile a Briquet

628015 (le punte delle frecce si trovano alle cc. 22, 23, 32, 33, 40, 41, 42, 50,

55, 57, 61, 63, 73, 82, 86, 88, 90, 91, 104, 109, 113, 114, 115, 121, 123, alla seconda carta bianca dopo 125 e all’ultima guardia, le code alle cc. 26, 27, 36, 37, 47, 48, 49, 52, 54, 59, 66, 68, 76, 81, 83, 87, 98, 99, 103, 110, 111, 112, 116, 118, 122, 124, 127 e 128).

A cc. 1r-125r i Motti e facezie del Piovano Arlotto (cc. 124r-125r Vita). A cc. 126r-130v la Novella del Grasso legnaiuolo, di mano diversa. Rigatura a incisione, 25 righe per 25 linee di scrittura (non presente la riga di delimita- zione superiore), scriptio continua, una mano principale che trascrive i Motti e facezie del Piovano Arlotto. Due note di possesso: una a 1av, mercantile,

che probabilmente scrive anche la Novella del Grasso legnaiuolo, e una a 1bv,

più tarda. Nota di possesso a 1av: «Yhesus. Questo libro chiamato facezie

15Si tratta di una filigrana trovata nella Deliberazione dei Signori e collegi dell’Archivio

di Stato di Firenze, datata 1506-1510, ma tale tipologia di filigrana è molto comune nell’I- talia quattro-cinquecentesca (simile ad esempio è anche Piccard 943, attestata a Ravenna nel 1509).