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1.3 La fortuna del Piovano Arlotto

1.3.2 Il Piovano Arlotto nel tempo

Eccolo qui, l’uomo veramente fa- ceto, grassotto, rubicondo, dal- l’occhio vivo e pieno di malizia, in contrasto con la severità del- l’abito talare; eccolo l’uomo, che i contemporanei ed i posteri si accordarono a riconoscere dota- to dalla natura d’inesauribile gio- condità e singolarmente disposto ai motteggi, alle burle, alle lepide arguzie.

Letterio Di Francia, Novellistica, vol. 1, cit., p. 380

La fama di Arlotto Mainardi durante la sua vita e dopo la morte è cosa manifesta, che troverebbe una valida riprova anche solo nella stessa scrittura dei Motti e facezie attorno alla sua figura. Il Piovano Arlotto fu al tempo stesso autore di battute argute – non si può avere certezza della paternità dei detti salaci a lui attribuiti, ma è indubbio che questi si adattano bene alla figura storica del personaggio – e catalizzatore di altre, trovando una sua collocazione nell’incontro fra la tradizione del prete di campagna62 e

quella del motteggiatore popolare così come fra quella della facezia e quella dell’agiografia.63

62Sempre in area fiorentina quattrocentesca si pensi a Leonardo di Ricco da Cignano,

piovano di Stia nel Casentino, ricordato da Lorenzo il Magnifico nel Simposio, e a messer Antonio, piovano di Cercina, personaggio che appare in più punti del Piovano Arlotto ma anche nella raccolta di motti e facezie del XV-XVI secolo tramandata dal codice Maglia- bechiano VI 196 (ristampata nel 1968 dalla Commissione per i testi di lingua sull’edizione di Gaetano Romagnoli del 1874). Cfr. poi almeno Piero Camporesi, Rustici e buffoni, Torino, Einaudi, 1991.

63I Motti e facezie possono essere accostati all’agiografia umanistica nella strutturazione

dell’opera come una serie di motti e apoftegemi anticipati da un testo proemiale. Sul rapporto fra exempla e facezie cfr. Carlo Delcorno, «Exempla» e facezie tra Bernardino da Siena e Poggio Bracciolini, in Studi in memoria di Paola Medioli Masotti, a cura di Franca Magnani, Napoli, Loffredo, 1995, pp. 21-29.

1.3. La fortuna del Piovano Arlotto LI In primo luogo, è interessante notare come Arlotto non compaia solo nei Motti e facezie, ma sia presente in passi della letteratura coeva. Oltre che nei Detti piacevoli, che, basandosi sul testo dei Motti, ne conservano la caratte- rizzazione, il personaggio era già infatti apparso nel Morgante e nelle Frottole di Luigi Pulci e nel Simposio di Lorenzo de’ Medici. Il secondo Quattrocento fiorentino conosce Arlotto (e Lorenzo personalmente, come affermano i Mot- ti, che lo presentano diverse volte come personaggio,64 e come conferma lui

stesso). Nel Simposio, opera giovanile iniziata nel 1469 e interrotta entro il ’72 (massimo ’73), l’autore racconta con voce divertita ma anche parodica65

la sfilata dei beoni accorsi in una giornata autunnale a Rifredi, dove un oste ha aperto una botte di vino. Fra questi compaiono Sandro Botticelli, Ange- lo Poliziano (se si accetta l’identificazione proposta da Paolo Orvieto per il «Comparone» di VI, 84),66 Antonio degli Agli e, appunto, il nostro Piovano

Arlotto. Ecco le parole di Lorenzo:

Un che mangiato par dalla marmeggia sorgiunse, e s’egli avesse un fuso in bocca, vedresti el viso proprio d’un’acceggia. – Quest’è ’l piovan Arlotto, e non gli tocca el nome indarno, né fu posto a vento

(sì come secchia è molle!), ma diè ’n brocca. Costui non s’inginocchia al Sacramento, quando si lieva, se non v’è buon vino, perché non crede Dio vi venga drento. E come già per miracol divino

Gesuè fermò ’l sol contro a natura,

64Cfr. facc. 43 e 87.

65«Parte da riso e parte da vergogna / per quel vedevo e udivo occupato / mi stavo,

quasi a guisa d’uom che sogna» dice l’autore a II, 1-3 (cito dall’edizione a cura di Tiziano Zanato: Lorenzo de’ Medici, Opere, Torino, Einaudi, 1992, p. 189). Lo stesso Folena definì l’opera «una galleria di caricature, incise con la punta acuta e spesso greve di un realista che ha un fondo un po’ torbido di moralista» (G. Folena, in Motti e facezie del Piovano Arlotto, cit., p. XX). Per la parodia quattrocentesca, si veda almeno Claudia Peirone, Finiguerri e altri: la parodia nel Quattrocento, in Lo specchio che deforma: le immagini della parodia, a cura di Giorgio Barberi Squarotti, Torino, Tirrenia Stampatori, 1988, pp. 61-81.

66Cfr. Paolo Orvieto, Angelo Poliziano «compare» della brigata laurenziana, «Lettere

LII INTRODUZIONE così costui e ’nsieme un suo vicino

fermò la notte tenebrosa e scura, e scambioron un dì (che s’è ben miro!) e la notte seguente. Odi sciagura! El primo dì un certo armario aprîro, pensando loro una finestra aprire, e, scur vedendo, al letto rifuggîro. Volle Iddio che levolli da dormire quel della casa e mostrò loro el giorno, ché così ben si potevan morire.

E così el terzo dì risuscitorno,

benché par ch’al secondo e’ fussin desti, perché, dormendo, de’ tre dì toccorno. – Così passò el piovan mentre che questi ragionamenti si facean tra noi. (VIII, 25-50)

Un primo aspetto interessante dei dati che ci vengono forniti dall’autore riguarda la descrizione fisica del Piovano Arlotto, assente nei Motti e facezie (per l’anonimo, il personaggio è così noto e familiare che non ha bisogno di ritratti): il Nostro ci viene dipinto col viso butterato (la marmeggia è il verme della carne secca), simile a quello di una beccaccia (l’acceggia). Il Piovano si presenta con un volto scavato, differente da quello frequentemente conse- gnataci dalla tradizione – come dimostrano le parole di Di Francia poste ad epigrafe del paragrafo –, anche figurativa. Si veda il ritratto attribuito a Gio- vanni da San Giovanni conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti: l’immagine ci restituisce una figura simile a quella descritta dal Magnifico. Molto diverso, tuttavia, è il viso rotondo dell’incisione di Carlo Faucci, pro- posto nel secondo volume delle settecentesche Memorie istoriche per servire alla vita di più uomini illustri della Toscana,67 ma ricavato da un dipinto

del Bronzino. Già nel Cinquecento la fisionomia del personaggio mostrava insomma delle incertezze, adeguandosi talvolta a quella forse più tradiziona- le del prete corpulento, con cui ad esempio Lorenzo, sempre nel Simposio, aveva descritto quel piovano di Stia tanto fortemente contrapposto, dal pun-

67Memorie istoriche per servire alla vita di più uomini illustri della Toscana raccolte

da una società di letterati ed arricchite di diligentissimi Ritratti in Rame, Livorno, Anton Santini e compagni, 1758. L’incisione di Faucci è su disegno di Tommaso Gentili.

1.3. La fortuna del Piovano Arlotto LIII to di vista fisico, all’Arlotto.68 La variazione del ritratto del Piovano fu al

tempo stesso facilitata dalle edizioni cinquecentesche dell’opera: nel nucleo di facezie braccioliniane inserite a partire dalla stampa Zoppino si trova una descrizione del Piovano come «molto corpulento, ne la grassezza sua iocon- do», che a partire dalla giuntina del 1565 fu persino inserita nella Vita («Era di viso giocondo e di mediocre statura ma corpulento, alla grassezza della quale alludendo un contadino, a cui il Piovano tornando da Settimo a Firen- ze domandò...»). Riprendiamo la lettura del passo del Magnifico: l’autore afferma che il nome non gli fu dato a sproposito, alludendo e poi esplicitando la sua passione per il vino. Segue poi una facezia non presente nella raccolta (ma che ebbe fortuna indipendente), che racconta del Piovano e di un suo amico addormentati per due giorni di seguito; alzatisi, i due confondono l’ar- madio con la finestra, pensano che sia ancora notte e tornano dunque a letto, venendo risvegliati da un vicino solo al terzo giorno. Fra l’amore per il vino e quello per il sonno, Lorenzo consegna qui l’immagine di un personaggio più vicina a quella di un ubriacone perditempo di quella tramandataci dai Motti e facezie. Inizia già ad evidenziarsi una strada che nel corso della tradizio- ne della figura avrebbe via via preso più piede, quella dell’accostamento del Piovano alla figura del buffone popolare, priva dei tratti di religiosità e carità del Nostro e dell’intento apologetico del suo narratore.

Anche il Morgante si inserisce in questo solco. Di fronte a un piatto «di beccafichi e di grassi ortolani» Pulci ricorda la definizione – ancora una volta,

68Interessanti sono le questioni relative alla sfera iconica dei Motti e facezie. Come si è

visto, già dalla stampa Rusconi l’opera circolò decorata di immagini inserite a testo, ma le vicende del Piovano ispirarono fra Sei e Settecento non pochi dipinti, fra cui quelli di Bal- dassarre Franceschini detto il Volterrano (1611-1689), inventariati nel numero di quattro nel 1751 nella residenza fiorentina di Orazio Sansedoni e di nove nel 1773 nell’inventa- rio redatto nella villa di Basciano alla morte del nipote di Orazio, Giovanni Sansedoni. Attualmente conosciamo solo due di queste tele, una conservata alla Galleria Palatina, raffigurante la “Burla del vino” – una facezia, tra l’altro, non risalente al Piovano Arlotto, ma che gli fu presto attribuita – e l’altra, ispirata alla “Burla di ser Ventura” (fac. 52), al Musée des Beaux-Arts di Rouen. Per i dettagli sulla fortuna iconografica del Piovano Arlotto, con ricchi esempi di tavole (compresi i due ritratti citati), cfr. Giuliano Briganti, La «Burla del Piovano Arlotto» di Giovanni da San Giovanni, «Paragone», 39, 1953, pp. 46-49 e Fabio Sottili, Intorno alle «Burle» del Pievano Arlotto, «Paragone», 97, 2011, pp. 54-62. Cfr. anche G. Folena, in Motti e facezie del Piovano Arlotto, cit., pp. XX-XXI, n. 2.

LIV INTRODUZIONE assente nei Motti e facezie – datane dal Piovano Arlotto:

e come un dice: – Gli ortolan –, di botto par che si lievi in tanta boria Prato; e però disse già il piovano Arlotto ch’avea più volte in su questo pensato perché e’ sapeva e’ v’è misterio sotto, e finalmente or l’avia ritrovato: cioè che Cristo a Maddalena apparve

in ortolan, che buon sozio gli parve. (XXV, 217)69

Arlotto riflette sul mistero dell’ortolano, trovando la soluzione nella com- mistione fra sacro e profano tipica di Pulci (il riferimento evangelico è a Gv XX 15) e nel doppio senso erotico della parola, già boccacciano – immediato è il ricordo di Masetto da Lamporecchio (Decameron, III, 1) – e molto sfrut- tato in età quattro-cinquecentesca.70 Pulci ricorda il Piovano anche nella

seconda frottola, da far risalire ai primi mesi del 1466, «caustico sfogo contro l’ingiustizia e l’intransigenza dei creditori nel difficile periodo del bando da Firenze (gennaio-marzo 1466), in seguito al disastroso fallimento del fratello Luca».71 Il Piovano compare nuovamente per le sue note capacità dialetti-

che, ma in quest’occasione il processo di scrittura prevede la riduzione di una predica dell’Arlotto (quella presente alla fac. 3) al proverbio: «Questa sarà la predica / che fe’ il piovano Arlotto: / chi guarda per un rotto / el tutto mal comprende» (II, 82).72

69Cito da Luigi Pulci, Morgante, a cura di Franca Ageno, Milano-Napoli, Ricciardi,

1955.

70Cfr. Valter Boggione, Giovanni Casalegno, Dizionario storico del lessico erotico ita-

liano. Metafore, eufemismi, oscenità, doppi sensi, parole dotte e parole basse in otto secoli di letteratura italiana, Milano, Tea, 1999, 3.2.4, voce ortolano, p. 430: «in senso equivoco, “uomo che compie il coito”», con riferimenti a Lorenzo de’ Medici e a Bandello.

71P. Orvieto, in L. Pulci, Opere minori, a cura di P. Orvieto, Milano, Mursia, 1986, p.

18.

72Cito dall’edizione critica di Volpi: Le frottole di Luigi Pulci, rivedute nel testo e

annotate da Guglielmo Volpi, Firenze, Tipografia Galileiana, 1912. Sulla fortuna dei motti del Piovano ridotti a formula proverbiale cfr. G. Folena, in Motti e facezie del Piovano Arlotto, cit., p. XXII, n. 1: «La fortuna proverbiale delle facezie ridotte a paragoni popolari allusivi, in cui si dimentica o si capovolge talora il significato della storia, è piuttosto larga e documentata nelle raccolte di espressioni popolari, da quella

1.3. La fortuna del Piovano Arlotto LV Il trattamento del personaggio, già in età medicea, seguiva fondamental- mente due strade: la caratterizzazione del Piovano nei suoi tratti più buf- foneschi, di amore per il cibo, il vino e il sonno, e quella nella sua veste di motteggiatore, già in atto nei primi testimoni dell’opera. Si pensi al ma- noscritto dello Stradino, per i cui dettagli rimando alla Nota al testo: già all’altezza degli anni ’30-’40 del Cinquecento, ad Arlotto venivano attribuiti dei motti tradizionali di carattere edificante e sentenzioso, risalenti a un vol- garizzamento del Liber de vita et moribus philosophorum di Walter Burleigh ed assenti nel testimone più antico su cui si fonda questa nuova edizione. Tale percorso continuò in età cinquecentesca, facilitato dalle stesse stampe, che da un lato continuarono nell’arricchimento testuale dell’opera (come nel già citato inserimento di facezie braccioliniane a partire dall’edizione Zoppino), dall’altro avvicinarono sempre più il Piovano ai burloni di mestiere, come nel caso della giuntina del ’65. La stampa modificò ulteriormente i conno- tati – già in parte rivisti – del personaggio, ponendolo sullo stesso piano del Gonnella e del Barlacchia, aggiungendo al titolo la dicitura di buffonerie et burle e purgando l’opera dei testi considerati troppo licenziosi (e in tal mo- do venne ristampata più volte, sia dai torchi fiorentini che da quelli di altre zone di Italia, da Milano a Venezia, da Verona a Fano). Il Piovano veniva così ricondotto al piano caricaturale e più noto del motteggiatore ironico, che poteva essere citato nei discorsi e ricordato per i suoi proverbi, perdendo tuttavia quell’equilibrio e quella saggezza popolari che l’avevano distinto sia dagli altri buffoni che dagli intellettuali umanistici, quel gusto per la misura sociale, per la carità come forma più autentica di religione, per l’andare alla taverna e godere della compagnia degli amici (e non unicamente per bere e

del Serdonati in poi (“come la predica del Piovano Arlotto”, cfr. fac. 3, cioè ’inteso malamente’; “come il Piovano Arlotto”, cfr. fac. 28, 26, cioè ’saper leggere solo nel proprio libro’; “come la bandiera del Piovano Arlotto”, cfr. fac. 67, cioè ’composto di pezze rubate’; “come la sepolutura del Piovano Arlotto”, cfr. fac. 145, cioè ’largo e accogliente’, “come i pesciduovi di Badia”, cfr. fac. 13, cioè ’composito e bastardo’, e via dicendo). Riferimenti frequentissimi a detti popolari del Piovano, autentici e spuri, sono nel Doni, p. es. cfr. I Marmi, ed. Chiorboli, Bari, I, ii, 106, 146, 165; II, 160, 186: ma talora si tratta di bizzarre invenzioni del Doni (p. es. cfr. I, ii, “se ’l Piovano Arlotto non m’inganna, che ne fa memoria nelle sue facezie”: e si tratta di una facezia che non è compresa in nessuna raccolta) che pretendeva d’aver visto un Libro degli errori di mano dello stesso Arlotto. Sui “come disse” attribuiti al Piovano si veda ora Ch. Speroni, The Italian Wellerism to the End of the 17th Century, Berkeley and Los Angeles, 1953, pp. 14-16 e 57».

LVI INTRODUZIONE mangiare).

La fama dell’Arlotto, alimentata dalle stampe ma anche dalla tradizione orale, viene confermata dal richiamo al personaggio in altre opere cinque- centesche, non solo fiorentine. Egli compare ad esempio in chiave oscena nel Ragionamento della Nanna e della Antonia (1534) di Pietro Aretino, in un passo che non solo non prende spunto da una facezia della raccolta, ma che mortifica la figura originale, dipingendo il Piovano come un lussurioso73 che

scatena il riso, non per una sua battuta arguta, ma per l’«orrevole correggia» conclusiva dell’atto sessuale:

Dico che, ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne, godea come un pazzo del vederlo entrare e uscire; e nel cavare e nel mettere avea quel sollazzo che ha un fante di ficcare e sficcare le pugna nella pasta. Insomma il piovano Arlotto, facendo prova della schiena del suo papavero, ci portò suso di peso la serpolina fino al letto; e calcando il suggello nella cera a più potere, si fece da un capo del letto, rotolando, fino al piede, poi fino al capo; e di nuovo ritornando in suso e in giuso, una volta veniva la suora a premere la faccenda del piovano, e una volta il piovano a premere la faccenda della suora; e così, tu a me e io a te, ruotolaro tanto, che venne la piena: e allagato il piano delle lenzuola, caddero uno in qua e l’altro in là, sospirando come i mantici abandonati da chi gli alza, che soffiando s’arrestano. Noi non ci potemmo tenere di ridere quando, schiavata la serratura, il venerabil prete ne fece segno con una sì orrevole correggia (salvo il tuo naso) che rimbombò per tutto il monestero: e se non che ci serravamo la bocca con la mano l’uno a l’altro, saremmo stati scoperti.74

Aretino tornerà a citare il Piovano anche in una lettera a Giovanni Gui- diccioni datata 15 gennaio 1535, affermando: «E parendomi aver dimandata

73Non mancano nella raccolta riferimenti all’attività sessuale di Arlotto, i quali però

si condiscono al più di un tono malizioso, non giungendo mai all’umore turpe del passo aretiniano.

74Pietro Aretino, Sei giornate. Ragionamento della Nanna e della Antonia, a cura di

1.3. La fortuna del Piovano Arlotto LVII grazia che non si doveria negare al piovano Arlotto».75 Arlotto è qui ridotto

a termine di paragone basso per chiedere clemenza, quando nei Motti e face- zie, grazie al suo ingegno e alle sue risposte, dimostra di ottenere sempre il benestare della giustizia, fino a giungere persino a farsi dire dall’arcivescovo: «Non ci venire più per cosa nessuna. Se io mandassi ben mille volte per te, più che tu·tti vogli tu medesimo» (fac. 60).

Anton Francesco Doni allegò il Piovano in diversi scritti: oltre che nei Marmi ricordati da Folena, il personaggio compare in varie altre opere, men- zionate da Alessio Bologna nel suo contributo.76 Nella Zucca, l’autore ricorda

una chiacchierata «simil a quella che recitò il Piovano Arlotto di quel Lupo catelano, la qual finirà in proverbio: – E’ non è buono né vivo né morto».77

In quest’occasione, il riferimento tocca proprio una facezia della raccolta, la numero 64, in cui il Piovano viene invitato a tenere una predica in morte di un tal don Lupo: «E’ sono tra gli altri animali quatro che ànno questa virtù e propietà: uno è buono vivo e non morto, e questo è l’asino; l’altro è buono morto, et non vivo, et questo è el porco; l’altro è buono vivo e morto, e questo è el bue; l’altro, che è el quarto che nonn-è buono né vivo né morto, è el lupo. Questo corpo ebbe nome Lupo e fu catelano. Non so che bene me ne possa dire, e però mi tacerò e farò fine alla mia predicazione. Pax e beneditio semper. Amen». Nei Fiori della Zucca Doni parla di «alcune cantilene di grillo che sono a mezz’aere, quasi che io ho detto come la predica del Piovano Arlotto che una parte n’intendeva lui, una gli uditori e non lui, la terza né lui né loro non sapevano che cosa la si fosse»:78 nuovamente, l’autore si riferisce

fedelmente alla silloge arlottiana, raccontando della predica divisa in tre parti (fac. 3). Interessante anche il riferimento presente nelle Foglie (questa volta non tratto direttamente dai Motti e facezie, ma presente invece nei Detti pia- cevoli di Poliziano),79 in cui il Doni attribuisce al chierico del Piovano una

risposta degna del suo superiore: «Il cherico del Piovano Arlotto, essendo a

75Idem, Lettere, a cura di Paolo Procaccioli, Roma, Salerno, 1997, tomo 1, A Monsignor

Guidiccione, p. 97.

76Cfr. A. Bologna, Il «Piovano Arlotto» nella tradizione rinascimentale, cit., pp. 41-42.

77Anton Francesco Doni, La Zucca, a cura di Elena Pierazzo, Roma, Salerno, 2003, vol.

1, p. 178, chiachiera V.

78Ivi, p. 299.

79A. Poliziano, Detti piacevoli, cit., p. 88, detto 264: «Il priore di Lucardo, d’uno che

aveva solo un occhio: – Costui durerà pure men fatica di noi a morire, ché non arà a chiudere se none un occhio! –».

LVIII INTRODUZIONE veder morire un popolano cieco da un occhio, quando tornò a casa il Piova- no gli dimandò come gli aveva stentato sul morire: – Egli ha durato manco fatica che gli altri – disse il cherico – perché ha auto a chiuder un occhio solamente».80 Ancora, nella dedica dei Frutti, l’autore dice: «Egli è difficil

cosa porre in tavola frutte per tutti, che le sien tutte saporite e a tutti i gusti dilettevole, e ancora difficilissima cosa a far un’opera che sia in generale, cioè pasto per ogni uno, che la piaccia a ciascuno, direbbe il Piovano Arlotto».81

Il paragone utilizzato, che accosta la vita alla tavola, è senz’altro di gusto arlottiano,82 ma non è presente nella raccolta. Doni, pur accogliendo storie