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I mulini e l’uso delle acque del monastero di S Michele a Passignano in Val di Pesa tra XI e XIII secolo.

territorio toscano medievale.

6. I mulini dei monasteri nella zona di Firenze.

6.1. I mulini e l’uso delle acque del monastero di S Michele a Passignano in Val di Pesa tra XI e XIII secolo.

Il monastero di Passignano fu fondato nel X secolo ed intitolato a San Michele Arcangelo. La prima pergamena conservata in originale che attesta l’esistenza del monastero e della chiesa di San Michele è datata nel 903 (Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Passignano, 903 -27 marzo). Nell’ XI secolo la comunità fu tra le prime ad accogliere la riforma monastica di Vallombrosa, promossa da Giovanni Gualberto divenendo una delle sedi della lotta contro la simonia. Anche per questo monastero si rileva il rapporto dei monasteri vallombrosani con le grandi strade e l’importanza della via che da Firenze conduce a Siena. Come grande proprietaria terriera ed ente monastico, la badia di Passignano si dovette trovare di fronte, fin dall’inizio della crescita dei suoi domini fondiari, alla necessità di crearsi un’autonomia di infrastrutture, dove l’impiego delle acque del fiume a lei più vicino era fondamentale per la buona funzionalità di tutto il suo patrimonio terriero. Arroccata nell’area compresa tra il Poggio di Castelrotto e Poggio al Vento, ai piedi del monastero il fiume Pesa perde la sua tortuosità e asprezza e acquisisce la lentezza tipica di un fiume. Ed è proprio anche dall’andamento e dalle caratteristiche del corso d’acqua che doveva servire il territorio di Passignano (la Pesa) che è possibile comprendere quale fu la politica di acquisizione e di sfruttamento delle risorse idriche da parte della badia e la capacità che ebbe di interagire con le risorse ambientali. I monaci di Passignano durante l’XI secolo osservando il fiume riuscirono ad individuare le zone all’interno dei loro domini dove edificare i mulini. Il primo passo per poter edificare mulini era l’acquisizione del diritto dell’uso delle acque, prerogativa tutt’altro che facile da ottenere, probabilmente avuta dalla badia in parte per mezzo dell’acquisizione di terre e in parte di diritti specifici lungo il fiume. Il processo di distribuzione dei mulini sull’area di espansione fondiaria del

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monastero andò da un primo tentativo di affermazione sul fiume (XI-XII secolo), alla scelta probabilmente non del tutto casuale dell’area che sarebbe poi divenuta definitiva nei pressi dell’abitato e del ponte di Sambuca (XIII-XIV secolo)76.

Le prime sperimentazioni trovano riscontro nella documentazione dell’XI secolo (il primo mulino è documentato nel 1044 in località Ginestrule), quando si citano opifici ad acqua lungo la Pesa di proprietà della badia, oggi non identificabili perché i mulini furono in seguito distrutti77.

Vi è una carta del 1077 con cui un membro degli Attingi cedeva a Passignano alcuni appezzamenti situati presso il castrum di Casteldazzi, in cui gran parte della famiglia doveva allora risiedere. Durante gli anni Novanta del secolo XI il monastero chiantigiano acquistò terra da molti proprietari benestanti del luogo per costruire un canale destinato a far muovere un proprio mulino sul torrente Cesto. Sempre nell’area di Figline nel 1095, Passignano acquistò della terra da molti di loro per costruire un canale per il proprio mulino sul Cesto78.

A partire dalla fine del XII secolo la badia di Passignano con l’affermazione della signoria monastica investì in maniera sistematica ed organizzata nei mulini. Lo sfruttamento delle acque aveva lo scopo di ottenere un buon strumento di approvvigionamento del territorio ed era un investimento che si dimostrò altamente redditizio. Gli opifici si concentrarono in tre zone lungo il Pesa: una ai piedi di Mucciana, nel Comune di S. Casciano Val di Pesa, una presso Sambuca, nel Comune di Tavernelle Val di Pesa, e una nell’area di Grignano, collocata più a monte rispetto alle prime due, nell’attuale Comune di Greve in Chianti79.

Nella zona di Mucciana, la prima testimonianza di un mulino di Passignano è del 1125, quando il monastero divenne proprietario, per i due terzi, di un opificio ubicato ai piedi della chiesa di Santa Maria Brignola. A Grignano, altra area di espansione e

76 G. Papaccio, I mulini dell’abate. Il monastero e l’uso delle acque, in Passignano

in Val di Pesa, I, Una signoria sulle anime, sugli uomini, sulle comunità (dalle origini al

sec. XIV), a cura di P. Pirillo, Firenze 2009, p. 279.

77 Papaccio, I mulini dell’abate, cit. p. 282.

78 F. Salvestrini, Disciplina caritatis. Il monachesimo vallombrosano tra

medioevo e prima età moderna Roma, Viella, 2008, p. 330.

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acquisto di terre da parte di Passignano, la documentazione indica la presenza di almeno tre mulini della badia: un atto del 1113 fa riferimento ad un mulino nei pressi del luogo detto Insula, il secondo dell’anno 1156 localizza l’opificio a Padule ed infine una pergamena del 1175 parla di una donazione al monastero di un mulino a capanna posto a Grignano80.

L’altra area interessata dalla costruzione di mulini era ai piedi del monastero presso il ponte della Sambuca. In questa zona i monaci furono costretti a stringere

societates per ottenere diritti sulla Pesa per edificare mulini. Nel 1177 l’abate di

Passignano trovò la via per un lucroso accordo con una famiglia aristocratica della zona, i da Poppiano (un ramo dei da Callebona). L’investimento nella tecnologia dei mulini si rivelava in quegli anni particolarmente proficuo. Costruire un mulino però implicava l’uso delle acque di un territorio piuttosto esteso e, nella geografia signorile «polverizzata» del Fiorentino, ciò voleva dire quasi sempre liti. La strada percorsa dall’abate e dai da Poppiano fu invece quella dell’accordo preventivo: a metà i due soggetti avrebbero contribuito alla dote di terre (e di acque) necessaria alla costruzione dei mulini e a metà li avrebbero sfruttati. A sottoscrivere la charta societatis fu chiamato Bellerio, giudice cittadino del Comune di Firenze81. Qualche anno dopo la costituzione della società per i mulini, i da Poppiano decisero di uscirne, almeno per una quota. Passignano rilevò un’ulteriore quarta parte dei mulini sulla Pesa per 175 lire. Inoltre negli stessi anni la badia si mise in società con la chiesa di S. Maria a Ramagliano.

Nel 1190 sappiamo di una disputa tra Passignano e le chiese di Figline. I religiosi chiantigiani alla fine dell’XI secolo presero in affitto della terra a Figline per la costruzione di una rete di canali destinati a far muovere alcune macine. Circa cento anni dopo la vicinanza eccessiva di strutture pertinenti a Passignano, San Bartolomeo e Pavelli, ognuna delle quali sottraeva acqua alle altre finì per provocare lo scontro fra i primi e la canonica di Pavelli, con il coinvolgimento della pieve che di quest’ultima era

80 Papaccio, I mulini dell’abate, cit. pp.284-285.

81 E. Faini, Passignano e i Fiorentini (1000-1266): Indizi per una lettura politica,

in Passignano in Val di Pesa, Un monastero e la sua storia, vol. I: Una signoria sulle

anime, sugli uomini e sulle comunità (dalle origini al sec. XIV), a cura di Paolo Pirillo,

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proprietaria. Durate gli anni Ottanta il contrasto che oppose Giovanni priore di San Bartolomeo e il pievano Monaldo fu mediato dal priore della chiesa di Santa Maria in Mamma (vicina a Figline ma in diocesi di Arezzo) e dal pievano di Gaville, per volontà del pontefice Urbano III. A questo riguardo appare interessante che il vescovo di Fiesole avesse scomunicato Giovanni proprio per il fatto di essersi rivolto al papa. Questi, peraltro, revocò la scomunica e si mostrò accondiscendente verso le istanze di San Bartolomeo, dietro alle quali continuava a stagliarsi l’ombra potente di Passignano82.

Al di là del tenore di questa disputa, destinata a protrarsi fin oltre il 1190, occorre sottolineare come il priore di San Bartolomeo sia uscito sempre vincitore dagli arbitrati che si succedettero nel tempo, sebbene il diritto canonico non potesse giustificare un’eccessiva indipendenza di tale rettore dal pievano locale e quest’ultimo godesse dell’appoggio vescovile. È chiaro che la forza manifestata dalla canonica si nutrì dell’appoggio che le assicurava il monastero83.

Il monastero procedette ad acquisti di piccole parcelle di terra tra il 1173 e il 1180 presso Mucciana in località Petia Rotunda per la costruzione di un mulino e dei canali ad esso annessi. Nell’aprile del 1192 sempre presso la medesima località il camerario di Passignano cede otto pezzi di terra in cambio di uno solo, sito a Petia Rotunda, «opus molendini ad faciendam goram»84. Gli acquisti di terra per il controllo degli acquedotti dei mulini occupano buona parte dell’attenzione dell’abate e dei monaci e non hanno per nulla a che fare con la gestione dell’azienda agraria o con il tentativo di renderla più compatta, ma solo con la concentrazione di diritti squisitamente signorili.

Passignano durante l’ultimo decennio del secolo dovette affrontare diverse difficoltà che ebbero forti ripercussioni sulla sua stabilità finanziaria. Infatti, oltre alle dispute figlinesi, il monastero sostenne quelle dalle più ampie implicazioni politiche che lo opponevano a vari domini dell’area chiantigiana, e in particolare ai signori

82 F. Salvestrini, Influenza monastica vallombrosana nel territorio di Figline.

Antagonismi, scontri e mediazioni durante il secolo XII (2008) - In: San Romolo a Gaville. Storie di una pieve in età medievale, p.40.

83 Salvestrini, Influenza monastica vallombrosana, cit. p.41. 84 ASFi, Diplomatico,Passignano, 28 aprile 1192.

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di Monteficalle, coi quali condivideva dialetticamente il controllo di questo castello e di numerose famiglie coloniche abitanti nella zona85. La vicenda del patronato monastico sulle chiese di Figline mostra, in rapporto all’evoluzione dell’Ordine vallombrosano, il precoce delinearsi di una sostanziale contraddizione fra le istanze originarie espresse dal padre fondatore e le esigenze locali delle fondazioni congregate.

Vari problemi gli procurarono anche i signori di Montecorboli, altri potenti dell’area, ed un cliente del monastero, Borgnolino di Borgno; ma da tutte le questioni il cenobio uscì senza danni troppo gravi. Inoltre, vi era la controversia risalente agli anni Settanta, ma non ancora del tutto sedata che riguardava la dipendenza da Passignano del cenobio di San Michele a Poggio San Donato in Siena, dipendenza osteggiata dal locale governo comunale per essere il superiore un monastero del fiorentino.

Un atto del 15 febbraio del 1198 dimostra come i mulini sulla Pesa erano stati riscattati dal monastero. Nell’atto si legge che Guido di Rinuccio da Gragnano e Maria sua moglie fecero quietanza a don Uberto, abate di Passignano, di tutto il credito che avevano verso il suo predecessore Gregorio a causa di un mutuo per il quale avevano in ipoteca i mulini e le gualchiere e ricevettero dall’abate lire 50 per estinguere il mutuo86. Durante il XIII secolo la documentazione fa riferimento a quattro strutture appartenenti alla badia: il Mulino di Mucciana, quello di Ramagliano, quello dell’Abate ed infine il Mulino di Grignano. La zona privilegiata per la vicinanza al ponte e al castello resterà anche nei secoli successi quella di Sambuca. Con la crisi della metà del Trecento la scelta del monastero fu mirata a mantenere il possesso di un numero inferiore di mulini che presentava, però, una maggiore competitività sul piano del rendimento87. La badia di Passignano aveva inizialmente cercato uno spazio lungo i fiumi con lo scopo di acquisire diritti d’uso delle acque alla ricerca dell’autonomia e di una posizione di monopolio, nel corso del Duecento, promosse forti investimenti competitivi sia sul piano tecnologico-strutturale che produttivo, tanto da essere affiancate ai mulini delle gualchiere che potevano rispondere ad altre esigenze di mercato. Questa politica della

85 Salvestrini, Influenza monastica vallombrosana, cit. p.43. 86 ASFi, Diplomatico, Passignano, 15 febbraio 1198.

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badia riuscì a mantenere il pieno dominio dei mulini nel corso della seconda del XIII e nel XIV secolo e ad essere competitiva nel campo della produzione di macinato, al contrario di molti altri enti ecclesiastici che si dovettero rassegnare a perdere molti dei loro impianti, incapaci di adeguarsi alla congiuntura socio-economica del XIII-XIV88.

Passignano come gran parte degli enti monastici presenti nel territorio di Firenze seppe adeguarsi al mutare del contesto socio-economico e concentrò proprio nei mulini gran parte dei suoi investimenti passando da una gestione diretta degli opifici ad una indiretta, da canoni in denaro a misti e in natura, da contratti a lungo termine a contratti di affitto a breve termine, della durata 1-3 anni, che testimoniano un diverso atteggiamento nei confronti della gestione di tali impianti produttivi che si avvicina di più a quella applicata dai comuni cittadini e si distanzia da quella signorile.

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6.2. I mulini del monastero di San Cassiano a Montescalari nel