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I mulini del Comune di Siena tra l’XI e il XIV secolo.

Valdarno tra XII e XIV secolo.

7. Politica e gestione dei mulini ad acqua nei Comuni toscani.

7.1. I mulini del Comune di Siena tra l’XI e il XIV secolo.

Il territorio senese, dal punto di vista geografico e idrogeologico, è caratterizzato dalla presenza di un solo grande fiume, l'Ombrone, che attraversa i territori maremmani. Per il resto, i corsi d'acqua del senese sono di entità media (come la Merse, il Farma, il Fiora, l'Albegna o la Bruna) o piccola come l'Arbia. Tuttavia, quasi tutti questi corsi d'acqua hanno percorsi spesso tortuosi e dal comportamento imprevedibile, anzi, talvolta addirittura distruttivo. Basti vedere, per convincersene, ciò che riesce a fare, ancora oggi, in momenti di forte piovosità l'Arbia appena ricordato; e basti considerare gli interventi che il comune di Siena fu costretto a mettere in atto fin dal primissimo Trecento nei confronti dell'altrettanto modesto fiume Staggia per evitare i disastri delle cui piene invernali si deve procedere a una serie di opere di canalizzazione. Il territorio senese è inoltre caratterizzato fino al secondo Settecento da vaste aree paludose che raggiungono l'estensione massima nella Maremma; che si sviluppano notevolmente anche sul versante orientale, nella Val di Chiana sui confini con l'Aretino e con il Perugino, e che dilagano in dimensione ragguardevole anche in altre zone dell'interno, ivi comprese alcune a ridosso della stessa citta di Siena. È il caso del Padule di Orgia che, a sua volta, forma un unicum geografico con il lago che si stende sotto le pendici della collina di Monteriggioni a ridosso del monastero di Abbadia a Isola.

L’epoca comunale sembra aver lasciato tracce per il territorio senese solo di mulini per granaglie. La cosa non deve meravigliare dal momento che non erano presenti all’interno della città corsi d’acqua in grado di far muovere la ruota di un mulino. Al contrario, un certo numero di essi (almeno otto) sorgeva immediatamente fuori dalla cinta muraria, lungo la Tressa, praticamente l’unico torrente di una qualche entità, che creava problemi non indifferenti in estate. Se la tipologia più frequentemente riscontrabile era quella del mulino ad acqua, non mancano comunque esempi in

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territorio senese di mulini azionati da braccia o animali detti molendina sicca o molina

secche106. Il Comune di Siena decise di far costruire mulini tra Due e Trecento a Castiglion

Ghinibaldi, La Suvera, Mensano, Pietralata, Isola e Valdistrove (cioè tra la Montagnola e la Val d’Elsa), per evitare che gli abitanti di queste comunità andassero a macinare ai distanti mulini dell’Elsa o ad altri, posti addirittura fuori dalla giurisdizione senese107. I corsi d’acqua che scorrono sotto le mura urbane erano in secca per diverse settimane e immobilizzavano le macine dei mulini che non riuscivano a far fronte alle necessità della città.

A sud di Siena varie fondazioni monastiche detengono il controllo di vaste zone tra il XII e XIII secolo su cui sono presenti diversi mulini. Nel corso del XII secolo l’abbazia di San Salvatore di Fontebona (fondazione della consorteria dei Berardenghi) attua una marcata strategia di espansione patrimoniale e fra gli altri beni acquisisce o costruisce ex novo mulini, sia nell’area fra l’Arbia e la Berardenga, sia in zone anche più lontane (Ombrone, Rapolano, Ambra, Val d’Orcia), in parte procedendo in prima persona, in parte facendo condurre gli acquisti da qualche chiesa suffraganea dell’abbazia stessa108. A pochi chilometri da Siena, inoltre, opera l’abbazia vallombrosana di Torri, intitolata alla Santissima Trinità e a Santa Mustiola, fondata a metà dell’XI secolo su iniziativa di Beatrice di Toscana, la quale gode dello status di fondazione immune, dipendendo esclusivamente dal pontefice che, per parte sua, la esenta dal pagamento di qualsiasi decima e, soprattutto, la mette al riparo da ogni possibile ingerenza da parte di qualsiasi signoria laica. La fondazione dispone nel XIII secolo di un enorme patrimonio compresa la metà del padule di Orgia e diversi mulini, gualchiere e pescaie sul fiume Merse109. Nel 1245 tra Siena e l’abbazia di Torri si stringe un’alleanza che da inizio alla protezione del monastero da parte di Siena e un accordo fra il comune e l’abate per la costruzione di una dozzina di mulini sulla Merse. Il costo di queste complesse strutture la

106 D. Balestracci, Approvvigionamento e distribuzione dei prodotti alimentari a

Siena nell’epoca comunale. Mulini, mercati e botteghe, «Archeologia medievale», VIII,

1981, p. 128.

107 Balestracci, Approvvigionamento e distribuzione, cit. p.129.

108 D. Balestracci, La politica di gestione delle acque e dei mulini nel territorio

senese nel basso medioevo, in I mulini nell’Europa medievale: Atti del Convegno di San

Quirico d’Orcia, 21-23 settembre 2000, Bologna 2003, p. 288.

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manutenzione per i seguenti cinque anni ricade interamente sul monastero. Alla fine dei cinque anni i mulini saranno considerati «communia equis portionibus inter monasterium et commune» mentre la conduzione a mezzo è prevista fin da questo momento per un altro complesso di quattro mulini110.

Il monastero doveva quindi mettere a disposizione sia le terre di sua proprietà, sulle quali dovevano essere costruiti gli edifici e realizzati i canali di derivazione, che la manodopera ed i materiali da costruzione, oltre naturalmente al bagaglio di competenze tecniche necessarie per portare a termine tali opere. In questa prima fase, dunque, il comune non sembra poter prescindere dalla collaborazione con l’ente monastico per la realizzazione del progetto: l’appoggio fornito dai monaci di Torri apportò dei vantaggi sia dal punto di vista tecnologico che economico Tuttavia la formazione di una vera e propria società con il comune di Siena, che si era da tempo avviato verso un controllo integrale dei flussi di grano, poteva portare anche all’abbazia vantaggi economici notevoli, garantendo notevoli introiti derivanti dalla molitura su vasta scala di cereali destinati al mercato urbano111.

L’approvvigionamento alimentare è la maggiore preoccupazione del comune di Siena nel Duecento. Molto più funzionale in tal senso appare la rete di mulini di proprietà del Santa Maria della Scala, l’ospedale senese che, proprietario di un vastissimo patrimonio di terre e aziende agricole (le grance), dispone anche di numerosi e ben attrezzati mulini in grado di rifornire di farina non solo l’ente ospedaliero ma anche la città. Del resto, il Santa Maria della Scala, dal Trecento, è un ente ospedaliero solo parzialmente autonomo: nella realtà, quella che era stata in antico una fondazione dei canonici della cattedrale cittadina è ormai stabilmente controllata dall’istituzione laica. Ed è ad essa che il comune cittadino si rivolge non solo per appaltarle l’approvvigionamento di macinato, ma anche per dar vita a compartecipazioni nella costruzione e nella gestione dei mulini. In questo caso l’area territoriale interessata è la Val d’Arbia lungo la strada Francigena.

110 Il Caleffo vecchio del comune di Siena, ed. G. Cecchini, Siena 1934, II, n. 370,

pp. 549-552, citato in Balestracci, La politica di gestione delle acque, cit. p. 290.

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7.1.1 I “Constituti” del Comune di Siena e lo statuto degli

“Ufficiali sopra i mugnai” redatto nell’anno 1281.

All’inizio del 1200 il Comune a Siena è pienamente costituito; ad esso si appoggiano il popolo e la piccola nobiltà scacciata dal contado ed è quindi in grado di dare il suo contributo alla costituzione dei brevi e degli statuti. Questo contributo è pero reciproco, influenzando l’Arte e a sua volta il Comune. L’Arte stessa attraverso i suoi ordini costituiti, crea lo Statuto che deve servire a regolamentare la vita della propria organizzazione. Non solo, spesso nel Constituto del Comune si trovano ricopiate le norme stesse dei brevi degli artigiani, le quali, per non contrastare le leggi generali del Comune, potevano essere accolte quali leggi generali dello Stato.

L’Arte dei Mugnai a Siena rivestì grande importanza in quanto depositaria dell’approvvigionamento dell’elemento base dell’alimentazione umana, cioè del grano. Infatti documenti antichi, brevi e statuti anteriori a quello dei Mugnai, che è del 1281, ci mostrano l’interesse profondo del Comune per tale materia. La più antica memoria di tutela del governo in fatto di grano, si ha nel “Memoriale delle Offese fatte al Comune di

Siena” ordinato nel 1223 dal podestà di Siena Bonifazio Guicciardi Bolognese. In una

carta del memoriale una commissione appositamente eletta stabiliva di vietare che, sia dalla città, che dal contado si esportasse «bladum extra comitatum senensem et specialiter ad Florentiam et per comitatum Florentinum»112. Il Comune riferendosi ai

mulini affermava inoltre che: «utilissimum est civitati Senarum et comuni Senarum habere molendinorum copiam» ed individuate nel loro scarso numero le «multas necessitates et incommoda moliendi» che soffrivano i senesi dell’epoca, si faceva garante dell’efficienza e dell’incremento di queste strutture. Il Comune di Siena arrivava alla difesa dei mulini già esistenti nei confronti di strutture che avrebbero potuto pregiudicarne l’attività. Il Constituto del 1262, infatti, vietava espressamente di occupare

112 S. De Colli, Lo statuto degli “Ufficiali sopra i mugnai”, in “Bollettino senese di

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«fossata per que aqua currere consuevit» per evitare che si nuocesse «terris vel molendinis superioribus civium senensium vel inferioribus ex latere»113.

Per Siena oltre al Constituto possediamo anche lo Statuto degli Ufficiali sopra i

Mugnai, che fu redatto nel 1281, e fu scritto da ser Giovanni del quondam ser Farese,

notaio, dietro mandato del Consiglio Generale. Prima di arrivare alla stesura di questo statuto, il Comune di Siena creò delle magistrature per superare le situazioni di penuria di alimenti dovute a carestie, epidemie o guerre. I domini mugnariorum furono la prima magistratura nata per controllare i mugnai. I domini mugnariorum, provvedevano al trasporto del grano, alla sua compravendita, alla macinazione e alla riscossione della relativa gabella. La prima volta che abbiamo notizia di un breve del “dominus

mugnariorum” è del 1226; questo ufficiale era pagato dal Comune, prima erano due, poi

tre più un notaio. Il dominus mugnariorum dipendeva dagli Ordinatores super facto

portitorum bladi ad molendina mensuratorum farinae; pur essendo i capi dell’Arte dei

mugnai venivano eletti dal Comune e restavano in carica sei mesi. Questi atti li ritroviamo sia nel Consiglio Generale sia nell’archivio della Biccherna che era la più importante magistratura finanziaria del Comune di Siena. La prima memoria precisa si trova nell’atto della Biccherna del 1250 in cui il Comune nomina sei buoni uomini che presiedono alla formazione dell’ordinamento dei mugnai.

I “Signori dei Mugnai” venivano eletti dai Consoli della Mercanzia, con l’approvazione del concistoro in carica; dovevano essere scelti tra persone completamente estranee ai mulini per evitare il più possibile le frodi, e dovevano essere dotati di un certo censo, fino a 500 lire; dovevano avere più di trenta anni e duravano in carica sei mesi. Erano in numero di tre, più un notaio. Spesso venivano coadiuvati da due

boni homines, incaricati di cercare il modo migliore per far portare il grano ai mulini in

qualsiasi stagione e di cercare il modo più idoneo alla conservazione della farina114. I Domini entravano in carica dopo aver prestato giuramento e si radunavano ogni primo del mese per denunciare i trasgressori, i quali venivano giudicati dal podestà o dal giudice dei malefizi; riscuotevano le decime e le pene pecunarie, queste ultime

113 Balestracci, Approvvigionamento e distribuzione, cit. pp. 134-135. 114 De Colli, Lo statuto degli “Ufficiali sopra i mugnai”, cit. p. 159.

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almeno in un primo momento, e delle somme introitate dovevano dar conto mensilmente agli ufficiali di Biccherna.

Alla diretta dipendenza dei Domini erano: il nunzio, il quale restava in carica sei mesi e non poteva ricoprire tale carica se non dopo una vacazione di tre anni; il nunzio riceveva un salario di due denari; i mugnai e i portitores, i quali dovevano giurare fedeltà ai Domini; essi non potevano vendere privatamente farina e crusca e non potevano ricevere doni115. Inoltre si ordinava di: «quod portitores non portare aliquid frumentum cum bestiis asimgnatis per contrata qui farinam teneat ad vendendum vel alteri pro eo, et qui contra fecerit puniatur pro qualibet vice in XX soldos denariorum»116. E sempre nello Statuto si stabiliva la pena per i portitores che avessero cessato di portare frumento: «si portitor cessaverit portare frumentum vel aliud blandum alicui persone, occasione quod habuerit secum verba vel rissam aliqua occasione, puniatur in XX soldos denariorum senensium»117. Riguardo invece al divieto di ricevere doni si intimava ai “domini mungnariorium”: «quod domini mungnariorum et nuntii eorum teneatur non recipere nec recipi facere nec permictere quod recipiatur aliquod donum vel aportum de aliqua re pro suo officio ad aliquo vel aliquibus»118; inoltre l’ufficiale sarebbe stato rimosso e avrebbe dovuto pagare una forte ammenda nel caso in cui avesse ricevuto doni di qualsiasi genere da qualcuno.

Alla fine del Duecento nacque un altro importante ufficio comunale: “l’Ufficio del Divieto”. Questo regolava l’approvvigionamento del grano con i suoi derivati e vigilava affinchè le merci necessarie alla vita della popolazione (e fra queste in prima linea il grano) non fossero arbitrariamente esportate o lo fossero nella quantità consentita, in certi momenti, dallo Stato stesso. Anche questi ufficiali erano nominati dal Comune, restavano in carica sei mesi ed erano considerati ufficiali minori dello Stato. Dallo Statuto del 1281 risulta che i compiti più importanti degli ufficiali erano la cura dell’igiene, la sorveglianza dei “bozoli” e la punizione delle frodi nella misurazione della farina.

115 De Colli, Lo statuto degli “Ufficiali sopra i mugnai”, cit. p. 161. 116 De Colli, Lo statuto degli “Ufficiali sopra i mugnai”, cit. p. 172. 117 De Colli, Lo statuto degli “Ufficiali sopra i mugnai”, cit. p. 166. 118 De Colli, Lo statuto degli “Ufficiali sopra i mugnai”, cit. p. 169.

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In base allo Statuto la preoccupazione del Comune era quella di evitare qualsiasi frode e regolamentare in modo minuzioso l’attività degli ufficiali pubblici addetti al controllo dell’approvvigionamento alimentare. Una lotta continua contro la diffusa corruzione degli ufficiali da parte dei mugnai e contro gli stessi mugnai che cercavano di imbrogliare sulla misurazione della farina sottraendo introiti alla città.

Negli Statuti cittadini non solo si difendono i mulini ed i canali preesistenti ma anche si regolano le modalità di trasporto delle granaglie, si impone un controllo minuzioso sul grano che arriva e la farina che ne esce, codificando rigidamente le misure di capacità dei “bozoli” di rame in cui si riponeva la farina ed il prezzo da corrispondere ai mugnai per la molitura. Infatti, nel caso in cui fossero stati trovati “bozoli” non della grandezza stabilita dal Comune si ordinava che: «si aliquis boczolum quod supradictum est inveniretur in domo alicuius molendinorum, puniatur ille tenuerit molendinum et molendinarios in C. soldos denariorum pro qualibet vice»119. Le pene comminate per i trasgressori, anzi, ad un certo punto dovettero risultare eccessivamente gravose per i mugnai i quali, il 29 novembre 1322, rivolsero una petizione al Consiglio Generale Comune chiedendo una mitigazione delle pene ed una riduzione dell’ammenda dalle 10 lire previste ad una sola lira. I mugnai facevano appello alla comprensione dei governanti supplicando «tamquam persone pauperes quos de eorum labore se et familias suas regere et gubernare oportet», non mancando, nel contempo, di operare un nemmeno troppo velato ricatto nel caso che la richiesta fosse stata respinta, essi sarebbero stati costretti a «eorum artem et molendina relinquere». La minaccia, o forse più probabilmente la fondatezza della richiesta indusse il Consiglio ad accontentare i postulanti e la petizione passò con 169 voti a favore contro 32 contrari120.

L’altra grande preoccupazione del comune era che il grano non fosse sottratto, venduto o esportato senza permesso; perciò questo creò regole e limitazioni. In un’epoca di continue carestie e guerre e a causa di una agricoltura rudimentale, veniva facilmente a mancare questa vitale risorsa; leggendo lo Statuto si intuisce che il Comune attraverso queste limitazioni nella circolazione degli alimenti otteneva una fonte di

119 De Colli, Lo statuto degli “Ufficiali sopra i mugnai”, cit. p. 164. 120 Balestracci, Approvvigionamento e distribuzione, cit. p. 137.

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entrata per le sue casse. Imponendo balzelli e gabelle ed obbligando i produttori di grano a macinarlo nei mulini del contado senese.

Nello Statuto della Gabella della fine del XIII secolo numerose rubriche erano dedicate alla regolamentazione delle entrate che dovevano pervenire alle casse comunali dalla macinazione del grano. Ci si preoccupava innanzitutto che tutti i mulini esistenti nel contado senese fossero stimati da una commissione apposita e fossero affittati e quindi operativi (bisogna notare che i membri della commissione non dovevano partecipare alla proprietà delle strutture, evidentemente per evitare frodi). Inoltre, cosa ancora più importante, si stabiliva che tutte le persone sottoposte alla giurisdizione senese dovessero andare a macinare solo ai mulini che pagavano la gabella al comune, sotto pena, in caso di trasgressione, di una multa di 10 lire per ogni salma e della perdita del carico e delle bestie (la metà di questi ultimi sarebbe andata all’eventuale delatore, l’altra metà al comune); la tassa consisteva in 5 soldi per moggio di frumento e controllavano che tutti i mulini la pagassero121.

La rete dei mulini dopo la peste del 1348 fu pesantemente ridefinita: già subito dopo nel 1349 si parla di mulini che prima «fructavano e facevano utile» e che «ora per la mortalità sonno quasi tucte facte inutili e una grande parte stanno serrate, sì che non ànno da macinare, né ànno mugnaio né possono avere, e quelle che macinano non guadagnano appena la spesa»122.

L’interesse per i mulini da parte del Comune di Siena non era mosso soltanto dalla preoccupazione per l’approvvigionamento alimentare, ma anche dalla potenzialità di gettito fiscale che potevano rappresentare i mulini e le attività molitorie. La maggiore attenzione del Comune sulla rete di mulini si manifestò con la fortificazione di alcuni di essi (i più esposti alle scorrerie e i più importanti per l’approvvigionamento della città, vuoi per vicinanza, vuoi per quantità di lavoro svolto) soprattutto nella seconda metà del Trecento. Le motivazioni che spinsero il governo senese ad adottare questo tipo di provvedimenti sono ben riassunte nella disposizione dell’ottobre 1391, quando si fortificò il Molin del Pero, sulla Merse: in questa occasione, infatti, si parlò

121 Cortese, L’acqua, il grano, il ferro, cit. p. 130.

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esplicitamente di approntare «ibi fortilitium quod teneri et custodiri possit ab omni gente inimica quando causa accidere, quem Deus avertat»; e si aggiunse, inoltre, che «istud videtur esse utilissimum pro vestra civitate, quia si casus accideret quod gens inimica veniret super territorium senensem, istud novum molendinum, quod fieri intendetur cum molendino heredum Jacobi Vannis Ghinis que propinqua sunt, fulcirent (sic) de macinato totam vestram civitatem; et de aliis molendinis que sunt in vestro comitatu et massis tempore compagnie et guerre modica ratio fieri potest»123.

Il comune non usava certo mano leggera anche in materia di imposizioni fiscali e di eventuali trasgressioni alla normativa. Gli interessi in gioco, come più volte sottolineato, erano alti, sia in fatto di approvvigionamento, che di ordine pubblico, che di risorse finanziarie: la legislazione sui mulini appare dunque come il corollario della vasta ed articolata politica annonaria cittadina, perfezionata attraverso varie tappe per tutto il XIII e XIV secolo.

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7.2. I mulini del comune di Pistoia e della montagna pistoiese tra il