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Murakami Takashi: il Businessman

Murakami nell’atelier della Kaikai Kiki Co.

La capacità imprenditoriale di Murakami, alla luce dei suoi successi riscontrati nel mercato internazionale, oltre che in ambito artistico, è ormai evidente. L’artista decide comunque di non tenere le sue capacità solo per sé, ma di condividerle con tutti quei giovani artisti che si vogliono affermare nel competitivo mondo dell’arte. Si pone quindi come un mentore, e per svolgere al meglio questo ruolo, decide di pubblicare, esclusivamente per il Giappone, il suo libro Geijutsu kigyoron (traducibile con “La teoria dell’imprenditoria in ambito artistico”), nell’estate del 2005.

Si tratta di una vera e propria guida, attraverso la quale spiega agli artisti in erba come entrare nel mercato dell’arte e sfruttarlo al massimo. È necessaria un’approfondita conoscenza di ogni aspetto dell’arte, da quello creativo a quello economico, e in particolar modo degli artisti occidentali e delle loro quotazioni; questo è il primo passo per lasciare il segno nel panorama internazionale.

Murakami non si tira comunque indietro nell’attaccare gli artisti del suo Paese, a suo parere non in grado di cogliere il processo commerciale che per lui è insito nel concetto di arte. La creatività di un artista non basta: essa deve incontrare l’approvazione del pubblico, altrimenti il confronto con il mercato economico globale e le sue leggi sarà insostenibile. È un errore snobbare l’aspetto economico legato all’arte, considerandolo effimero e inconsistente: anzi bisogna saperlo

padroneggiare con destrezza, al fine di potersi affermare in un ambiente così competitivo. Questo principio non risulta di immediata comprensione in un Paese come il Giappone, in quanto l’omologazione dell’individuo comincia a prender piede nel dopoguerra, e questo concetto di eguaglianza si diffonde anche in ambito artistico, alimentando la convinzione che l’arte sia per tutti. La situazione nel mondo occidentale è completamente opposta, in quanto l’arte è relegata a una dimensione esclusiva, viene considerata per i pochi e ricchi individui che se la possono permettere.

Il valore economico di un’opera dipende da vari fattori: la tecnica usata, il tempo di realizzazione, la fama dell’autore in quel dato periodo di tempo, la creatività dell’opera in sé, la sua rarità e il potere economico degli acquirenti. È anche vero che in Giappone la nascita di un ceto sociale nettamente più benestante della media è un fenomeno dalla crescita lenta e discontinua, quindi è normale che il concetto di fruibilità dell’arte sia meno classista rispetto a quello presente in America e in Europa. Ad ogni modo, il messaggio di cui si fa portatore Murakami è quello dell’importanza di conoscere le regole del business, in quanto fondamento dell’idea stessa che egli ha dell’arte.

Le doti da impresario dell’artista si concretizzano fin dalla creazione della sua “Factory”, simile ad un’azienda in tutto e per tutto, dove gli impiegati hanno diverse aree di competenza e percepiscono uno stipendio. Dopo qualche anno, il nome della sua azienda cambia nel 2001 da Hiropon a Kaikai Kiki Co.; esso prende spunto da

Kaikai e Kiki, personaggi che rappresentano rispettivamente l’angelico e il diabolico,

che popolano le sue opere sia in qualità di personaggi principali sia secondari, sempre secondo lo stile del cartone animato. Queste due tipologie di personaggi incarnano anche l’incontro tra due mondi, apparentemente distanti, ma secondo l’artista necessariamente conciliabili: quello artistico, visto come campo creativo e critico nei confronti della società contemporanea, e quello del mercato, dove la creatività è legata all’accumulo di capitale, e il potere è proprio di chi possiede di più. Dalla

lettura di questo libro emerge l’ossessione dell’autore per il denaro, da lui mai smentita, causata da un’infanzia che egli stesso ha definito povera. Tuttavia, il benessere economico non è solo mero attaccamento al mondo materiale, bensì è necessario all’artista stesso per affermarsi e per dimostrare la sua creatività; l’impegno e il talento da soli non bastano, servono tecnologie, conoscenze e altri mezzi concreti.

Murakami si comporta da businessman e mentore non solo scrivendo Geijutsu

kigyoron, ma anche attraverso le scelte che compie in merito alla gestione della Kaikai Kiki Co.. Infatti, egli riesce a conciliare sapientemente la metodologia di

lavoro tipica di una bottega tradizionale con quella della riproducibilità su larga scala. I suoi collaboratori riproducono le opere ideate da lui per immetterle sul mercato, proprio come una catena di montaggio industriale: tuttavia, essi non vengono trattati alla stregua di meri esecutori, bensì è l’artista stesso che li sprona a trovare la propria strada nel mondo dell’arte, al fine di tentare una carriera individuale slegata dal nome dell’azienda. Incentivando i più meritevoli, Murakami funge da vero e proprio trampolino di lancio, cosa che Warhol, al contrario, non fece mai. Questo aspetto risulta lampante in quanto, alla morte di quest’ultimo artista, nessuno dei suoi collaboratori ha preso in mano la sua attività. Le personalità che frequentavano Warhol avevano tutti un ruolo a lui subordinato, ogni cosa nella “Factory” veniva creata e posseduta da lui, mentre tutti gli altri erano poco più che semplici frequentatori di quell’ambiente.

La Kaikai Kiki Co. ha due sedi: la principale a Tokyo e la succursale a Long Island. Non è un caso che Murakami abbia scelto per la sede americana il quartiere che, negli anni Sessanta, vantava la maggior concentrazione di atelier di artisti pop, anche se con il tempo è diventato una zona meno rinomata e frequentata. L’intento è chiaro: la Pop Art doveva tornare proprio dove era nata, per rinascere e riacquisire smalto. Salendo le scale di questa sede si arriva all’ufficio, dipinto di colore bianco immacolato, dove gli impiegati siedono alle loro scrivanie, disposte a file, su cui

poggiano moderni computer. Essi gestiscono le vendite dei prodotti di Murakami, o degli altri sette artisti rappresentati dalla compagnia. Alla fine di questo ufficio è presente il reparto della contabilità, con tanto di tabelle con i grafici dei cambi di valuta, per conoscere esattamente il prezzo da richiedere ai clienti. In una piccola stanza adiacente, è situato un letto in pino su cui Murakami dorme quando lascia Tokyo per gestire la succursale. Al piano sottostante si trova lo studio vero e proprio: il laboratorio in pratica, dove i collaboratori eseguono le opere secondo le indicazioni dettate dall’artista. Questi visita la succursale periodicamente in quanto ogni pezzo, prima di venir spedito al cliente, ha bisogno della sua approvazione, nonché della sua firma. Ogni prodotto va controllato poiché deve dimostrarsi all’altezza delle aspettative, dal momento che il mercato artistico è sempre più esigente e non ammette sviste.