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Superflat Jellyfish Eyes 1.

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Zygmunt Bauman, filosofo e sociologo polacco di origini ebree nato nel 1925 è autore di numerosi saggi tra cui Modernità liquida (2000), Vite di scarto (2005) e

Homo consumens (2007), per citarne alcuni tra i più noti. Particolarmente incisiva è

l’invenzione delle definizioni di “Modernità solida” e “Modernità liquida”, che utilizza per spiegare la “postmodernità”: l’incertezza che domina la società contemporanea deriva dalla trasformazione dei suoi membri da produttori a consumatori, costretti ad adeguarsi gli uni agli altri mediante l’acquisto di oggetti in grado di omologarli, al fine di non sentirsi socialmente esclusi.

Superflat Jellyfish Eyes 2.

In tutte le opere trattate in questo capitolo dedicato al Superflat, il minimo comune denominatore è ̶ oltre alle tematiche legate al consumismo e al rapporto controverso con l’Occidente sopra citate ̶ , l’assenza di tridimensionalità, tipicamente peculiare anche nei manga e negli anime, che caratterizza le figure rappresentate. Le figure appaiono così appiattite e la tridimensionalità, concetto cardine cui la pittura si era fino ad allora ancorata, insieme a quello di profondità, viene improvvisamente eluso a favore della fusione di tutti gli strati in uno solo. Murakami, tuttavia, non inventa ex

novo questa tecnica pittorica, in quanto si rifà alla tradizione pittorica del suo Paese;

di questo aspetto, come del concetto di “Super Flatness” parlerà nel manifesto, pubblicato nel 2002, che illustra a 360 gradi questo movimento artistico. Sebbene le origini e la pratica di rendere le figure bidimensionali sia di origini prettamente nipponiche, l’artista non mancherà di “occidentalizzare” la pratica del “Super piatto”, al fine di giungere alla sua massima diffusione; non a caso, il manifesto sarà edito anche in lingua inglese.

Proprio dalle origini appunto vuole partire Murakami nella sua stesura, facendo riferimento alla tradizione giapponese, in particolare al periodo Edo, da cui deriva la questione dell’eccentricità, che rivoluzionerà il modo di concepire l’arte tradizionale. Di fatto, gli artisti che si definiscono “eccentrici”, producono opere molto simili a

manga e poster artistici contemporanei. Ispirati dalle opere di Hokusai, sono loro a

introdurre il concetto di cultura decorativa, nel quale la superficie dell’opera viene resa eliminando ogni possibile interstizio. Lo spettatore è consapevole di trovarsi di fronte ad un’immagine piatta, in quanto gli sguardi fissi vengono tutti precisamente indirizzati in questo genere di rappresentazioni. Gli artisti che vengono definiti

“eccentrici” sono solo sei: Matabei, Sansetsu, Jakuchu, Shohaku, Rosetu e Kuniyoshi. Murakami ricava questa classificazione dal libro The Lineage of Eccentricity di Tsuji Nobuo34, testo a cui si ispira per la stesura del manifesto.

Come esempio, si può considerare l’opera di Ito Jakuchu, dal titolo Gruppo di Galli, dove un gallo domestico fissa lo spettatore, in modo da indirizzare la sua attenzione non solo ad esso stesso, ma anche sul fatto che la nostra linea di vista viene così ostruita. Uccelli e Animali nel Giardino fiorito, considerato il capolavoro dell’artista, trae ispirazione invece proprio da un ricamo dal gusto occidentale; l’opera appare infatti suddivisa in una serie di riquadri colorati dagli angoli arrotondati che creano un’illusione ottica che, per individuare un parallelismo occidentale, richiama l’anamorfosi del quadro Gli Ambasciatori di Holbein35, dove la scia, presente sul pavimento, assume le parvenze di un teschio qualora il fruitore di ponga di scorcio rispetto al dipinto. Ad ogni modo, l’importanza di queste opere è l’esistenza di un punto fisso su cui lo spettatore concentra la sua attenzione, e su cui si regge l’equilibrio compositivo del quadro.

Un altro argomento chiave indagato da Murakami nel manifesto è, dopo la questione dell’eccentricità, il problema del concetto di arte in Giappone. “Arte” può venir tradotto con due termini distinti: il primo, Geijutsu, indica propriamente “tecnica per creare cose belle”, mentre il secondo Bijutsu, è più affine all’espressione “belle arti”, includendo quindi anche musica e poesia. Con il tempo i due sostantivi hanno assunto

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Tsuji Noubuo, nato nel 1932 a Nagoya, è uno storico dell’arte giapponese. Dopo essersi formato all’Università di Tokyo presso il Dipartimento di Storia dell’Arte, esercitò anche la carica di docente presso la stessa università dal 1985 al 1993. Attualmente è Rettore dell’Università di Tama e del Museo Municipale di Chiba.

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Opera del 1533, olio su tavola, 206 x 209 cm, conservata alla National Gallery di Londra. L’autore è Hans Holbein detto “Il Giovane” (1497- 1543), che lo dipinse per celebrare la visita di Georges de Selve, vescovo di Lavaur, all’amico Jean de Dinteville, ambasciatore francese a Londra. Il doppio ritratto risulta ricco di oggetti evocativi, tra cui appunto il teschio, emblema della fugacità delle cose terrene in quanto memento mori, nonché firma dell’autore stesso: hollow bone, teschio appunto, ha una pronuncia molto simile a Holbein.

sfumature diverse, dove Geijutsu indica genericamente tutte le forme d’arte, Bijutsu si riferisce specificamente alle arti visive36. Tuttavia, secondo Murakami la distinzione è molto labile e, a prescindere da come la si voglia chiamare, l’arte ormai è strettamente legata al mondo dei consumi e agli interessi economici, perdendo così il suo carattere più puro che la contraddistingueva in passato, più riferito al concetto di ispirazione. In questo modo, l’arte ha cominciato a indirizzarsi ad aree culturali minori al fine di sopravvivere, come dimostra il crescente interesse presente nel Paese per i manga e le subculture. Sono proprio queste ultime a diventare la fonte di ispirazione continua per gli artisti, costituendo un nuovo terreno fertile e dinamico. L’arte è ora sinonimo di spettacolo, divertimento, proprio come dimostra la nascita delle correnti artistiche del nonsense37, che ̶ costituite in piccoli gruppi ̶ , raggiungono la popolarità grazie alle attenzioni dei media.

Spesso Murakami, mentre scrive il suo manifesto, tralascia alcune informazioni che invece risulterebbero assai utili al lettore. Infatti, non si dilunga particolarmente sulla nascita del nuovo ismo, il cosiddetto Superflat-ism, che avviene proprio nel contesto sociale di cui ho appena accennato, dall’unione tra la scena underground e l’arte decorativa tradizionale che porta a un totale stravolgimento della concezione dell’arte stessa. Tuttavia, il critico Azuma Hiroki se ne fa carico in un capitolo del manifesto stesso, introducendo importanti riflessioni a riguardo.

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Per questa parte della sua trattazione, Murakami si rifà al libro di Kitazawa The

Temple of the Eyes.

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Caratteristica di quelle correnti che, nate sulla scia del Dadaismo e del Surrealismo, vedono l’arte come mera provocazione, priva ormai di ogni valore comunicativo, diventando così semplicemente ironica distruzione. In Giappone alcuni tra questi gruppi sono gli High Red Center e i Neo Dada Organizers, il cui illustre precursore è Shimamoto Shozo, cofondatore del gruppo GUTAI nel 1954, che rappresentò la risposta giapponese all’arte informale americana ed europea nell’ambito delle Avanguardie di quegli anni. Da questo ambiente nasce anche in Oriente la pratica della performance e quella dell’happening, che risolve l’esigenza di continuo rinnovamento artistico, in modo da riuscire a coinvolgere lo spettatore a livello emotivo.

L’esposizione Ground Zero Japan organizzata da Sawaragi Noi nel 1999 è stata, di fatto, il seme da cui è nato il progetto di dar vita a un movimento Superflat. Sawaragi infatti, espone il problema del rapporto tra cultura alta e bassa nella società nipponica contemporanea, evidenziando la necessità di produrre arte al di fuori dell’ortodossia ufficiale, “dallo zero” dunque, rifiutando gli schematismi prettamente occidentali. L’assenza di spazio e profondità nelle opere di Murakami, e in quelle proprie della subcultura otaku comporta una disfunzione della prospettiva lineare, e crea di conseguenza una proliferazione di sguardi ambigui. Questi sguardi, secondo l’artista, simboleggiano l’insicurezza nel mondo, provocati dalla società moderna che opera una separazione tra il mondo adulto e quello dei bambini. Tale concezione viene espressa in diverse sue opere, come Superflat Jellyfish Eyes 1 e Superflat Jellyfish

Eyes 2, che concretizzano il suo “ismo” a fronte di un’idea di arte ormai rivisitata per

i motivi di cui sopra. Se in quest’ultima opera, gli occhi della medusa vengono riprodotti su tutta la superficie della tela, senza alcuno schema apparente, simulando il movimento sinuoso proprio delle meduse, in Superflat Jellyfish 1 lo stesso soggetto viene imprigionato in una scacchiera dai riquadri neri e grigi.