Capitolo 1. Storia di un museo senza storia Verso l’individuazione dell’oggetto
1.7 Il museo-archivio
Sarà a questo punto chiaro che il museo di Fort Apollonia si è costruito intorno all’interazione tra pratiche patrimoniali e idee di museo assai diverse, proprie di ciascuno degli attori coinvolti. Cristofano ne ha offerto una panoramica esaustiva nella sua tesi di Laurea (2010), evidenziando come la negoziazione tra di essi si sia articolata intorno ad una terminologia ben precisa, presa in prestito dalla retorica dello sviluppo inscritta nel progetto di cooperazione e risignificata secondo esi- genze di autorappresentazione e intenti politici volta a volta diversi. Vi fu ampia convergenza sul proposito generale di intraprendere la strada dell’eco-museo, che nelle rappresentazioni del COSPE e di GWS coincideva con l’idea di un museo capace di raccordare il discorso museografico con una serie di attrattive culturali e ambientali esterne, la cui fruizione sarebbe dovuta essere predisposta e facilitata attraverso la creazione di percorsi extramuseali; e avrebbe dovuto sperabilmente attivare circuiti economici a beneficio delle comunità coinvolte. La collega ben evi- denzia come questa prospettiva sottenda la quasi automatica trasposizione di mo- delli di valorizzazione esogeni (segnatamente europei e nordamericani) in un con- testo in cui le logiche del patrimonio non necessariamente debbono sostanziarsi nelle medesime pratiche. Ma non posso qui entrare nel dettaglio di quanto questi obiettivi programmatici si siano inverati in soluzioni virtuose in grado di sostenersi autonomamente anche dopo la fine del progetto; intendo piuttosto evidenziare che l’idea di eco-museo costituì il canovaccio sul quale tutti gli altri attori hanno a loro volta inscritto le loro rappresentazioni e aspettative.
Si è visto come gli antropologi della MEIG, secondo il programma di Pavanello, abbiano proposto di fare del museo il luogo della condivisione di una tradizione di studi e della valorizzazione della relazione etnografica con i nativi, con questo pro- muovendo la visione di Fort Apollonia come di una sorta di centro culturale, ovvero un laboratorio deputato alla riflessione critica sui modi e sulle ragioni della cono- scenza etnografica. Non da meno, anche i capi tradizionali si sono fatti portavoce di istanze specifiche e interessi corporativi nell’ambito di un progetto che sempre più, riprendendo l’efficace elaborazione teorica di Olivier de Sardan (1995), andava
delineandosi come un’arena in cui ciascun attore si adopera per sfruttare a suo van- taggio le opportunità e le risorse a disposizione. Molti di essi sostennero l’idea che il museo dovesse costituirsi primariamente come archivio dei documenti di cui a vario titolo ciascun seggio è, allo stesso tempo, depositario e produttore. Bisogna infatti chiarire che nell’esercizio delle sue prerogative di rappresentante supremo e punto di riferimento di una comunità, ciascun capo è chiamato a dirimere contese, giudicare casi, e più in generale ad assicurare il pacifico svolgimento della vita quo- tidiana dei suoi sudditi. È inoltre prassi ampiamente diffusa che il chief conservi con cura le carte relative al suo insediamento sul seggio; alle convocazioni da parte del paramount chief dell’area per gli incontri dell’assemblea plenaria dei capi, il Traditional Council; o alle liti cui egli stesso ha partecipato come parte in causa. Le attività amministrative, di rappresentanza e di raccordo con le autorità tradizionali sovraordinate o con gli organi locali e centrali dello Stato rappresentano dunque il contesto di produzione e accumulo di una variegata documentazione ufficiale, che nel suo insieme viene definita con efficace sintesi dagli stessi capi come “archivio del seggio”. Chiaramente, il grado di strutturazione e organizzazione formale di questi aggregati documentari aumenta considerevolmente nei villaggi territorial- mente e demograficamente più estesi, e acquisisce una caratura quasi istituzionale nel capoluogo dell’area tradizionale, sul quale si dispiega l’autorità del paramount chief. Questi è infatti coadiuvato nella gestione delle pubbliche relazioni e degli affari correnti sul suo territorio di competenza da uno o più segretari professionisti, tra i quali si distingue per rilevanza istituzionale il Traditional Council Registrar: una figura di raccordo tra le autorità tradizionali locali e le Houses of Chiefs regio- nali, organi di autogoverno della chieftaincy che garantiscono l’autonomia del po- tere consuetudinario dagli altri poteri dello Stato. Tali professionisti producono e accumulano sistematicamente documenti per conto del paramount chief e del Tra- ditional Council da questi presieduto, determinando così il consolidamento e la cre- scita nei palazzi reali di patrimoni documentari sempre più massicci: veri e propri archivi dunque, che al pari di quelli prodotti da altre istituzioni sarebbero soggetti, ai sensi della sez. 17 del Public Records and Archives Administration Act (Act 535, 1997), all’obbligo di conferimento dei materiali alle sezioni regionali dell’archivio
nazionale (PRAAD - Public Records & Archives Administration Department), pas- sati trenta anni dalla produzione del documento.
L’idea che gli archivi dei seggi dovessero costituire oggetto di conservazione e valorizzazione da parte degli antropologi non è affatto recente. Si delineò già nei primi anni Duemila, quando Annor Adjaye III, preoccupato del pessimo stato di conservazione dell’archivio del Western Nzema Traditional Council, espresse a Pavanello, all’ambasciata italiana e ad altre istituzioni ghanesi l’urgenza di intervenire con un progetto di conservazione e catalogazione sui documenti in suo possesso. In risposta a queste sollecitazioni, nel 2002 Pavanello promosse la parziale sistemazione dell’archivio e lo sviluppo di un sistema informatico di catalogazione che, mediante l’interrogazione di un database appositamente pre- disposto, avrebbe permesso di localizzare facilmente i documenti per la consul- tazione. Non fu possibile però estendere l’intervento a tutti i documenti, per cui molti rimasero in condizione di totale abbandono, minacciati nella loro integrità dall’azione di detrimento di agenti atmosferici e biologici (muffe, roditori, in- setti, ecc.).
Durante i lavori a Fort Apollonia, la voce di Annor Adjaye tornò quindi a farsi sentire, unendosi alle istanze di quanti, tra i suoi capi sottoposti, ritenevano che il Forte dovesse diventare un deposito per i documenti di tutti i seggi che compon- gono la Western Nzema Traditional Area. Cristofano (2010) mostra come le reto- riche dei chiefs rispetto a questo progetto oscillino tra le logiche della pura con- servazione e razionalizzazione del patrimonio documentario e il conferimento di un peculiare valore d’uso ai documenti finalmente catalogati e resi disponibili alla consultazione: molti sostennero infatti che la conoscenza dell’informazione con- tenuta in quei record avrebbe contribuito grandemente alla risoluzione delle liti, e al limite anche a limitarne l’insorgenza di nuove. In questa posizione16 sono impliciti due assunti rilevanti: 1) che i documenti scritti contengano dati “veri” e
16 In una conversazione tenutasi in data 3 Settembre 2009 tra Mariaclaudia Cristofano, chi scrive e
Annor Adjaye III, questi ha espresso sulla questione una posizione disincantata e a suo modo più radi- cale, sostenendo in sostanza che la lite è un fattore costitutivo della chieftaincy ghanese, e che come tale non è destinato ad essere messo in discussione dalla sola disponibilità di record.
tendenzialmente incontrovertibili, e 2) che essi, per questa loro caratteristica, pos- sano costituire prova nell’ambito di un caso giudiziario. Il processo di patrimo- nializzazione delle fonti scritte relative alla storia dell’area si configurava, nelle rappresentazioni dei nostri interlocutori, come un momento importante del raffor- zamento della loro autorità sul territorio. Un maggiore controllo sulla storia si sarebbe tradotto in un’accresciuta capacità di governare in condizioni di pace e prosperità, senza i turbamenti indotti dalle liti che periodicamente mettono in di- scussione i fondamenti dell’autorità di questo o quel chief su un dato territorio. Chiaramente non potemmo – nello stato già avanzato in cui il progetto era quando Mariaclaudia cominciava a raccogliere queste testimonianze per il suo lavoro di tesi – dare seguito alle istanze di patrimonializzazione degli archivi avanzate dai capi tradizionali nzema. Non c’era il tempo, a pochi mesi dall’inaugurazione, di avviare un’imponente ricognizione sul territorio per rintracciare, ordinare e cata- logare corpora documentari dispersi e frammentati, e d’altra parte non c’era nel team di lavoro qualcuno che avesse le competenze scientifiche per attuare un la- voro tanto delicato e complesso. Sussistevano poi serie pregiudiziali di fattibilità riguardo al proposito di trasferire in blocco i documenti dei seggi a Fort Apollo- nia; sapevamo che molti capi avrebbero acconsentito, ma ciò non ci autorizzava a pensare che tutti alla fine avrebbero accettato questa soluzione senza prima accor- darci con largo anticipo sulle modalità di attuazione e sulla tempistica, e senza ricevere adeguate rassicurazioni sulle politiche di accesso ai record. Su un piano più generale, si imponevano infine valutazioni specificamente teorico-metodolo- giche sull’impatto che una simile impresa avrebbe potuto avere sul progetto nel suo insieme: il rischio che si profilò ai nostri occhi era quello di fare di Fort Apol- lonia il ruolo pressoché esclusivo dell’autorità della chieftaincy locale, la qual cosa sarebbe stata ampiamente in contrasto con la vocazione pluri-vocale e parte- cipata degli allestimenti che andavamo realizzando. Tuttavia queste vicende re- sero ben esplicita la necessità di inquadrare il processo di patrimonializzazione della storia locale alla luce delle più ampie valenze economiche e sociali che ne caratterizzano il rapporto con la dimensione fondiaria e il potere tradizionale.
In linea generale, posso affermare che proprio nella tensione tra storia, struttura- zione del potere consuetudinario e rivendicazioni sulla terra – emersa come pro- blema scientifico di primaria importanza nei mesi di campo che ho dedicato alla progettazione e all’allestimento del Fort Apollonia Museum – si insedia il nucleo delle indagini etnografiche che ho sviluppato negli anni del Dottorato. In conclu- sione di questo lungo excursus non mi rimane dunque che delineare il profilo del caso di studio che ho scelto di analizzare e dichiarare gli obiettivi scientifici della mia ricerca.