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Il problema e la prospettiva Fonti e usi della storia nella “grande lite” per

Capitolo 1. Storia di un museo senza storia Verso l’individuazione dell’oggetto

1.8 Il problema e la prospettiva Fonti e usi della storia nella “grande lite” per

Questo lavoro intende riflettere sulle modalità attraverso cui le tradizioni orali inte- ragiscono con fonti scritte di diversa provenienza e natura, riconfigurando di conti- nuo l’orizzonte in cui si dipana la contesa politica relativa alla storia locale tra i rappresentanti del potere tradizionale nzema. Il suo principale obiettivo scientifico è di verificare l’esistenza e la consistenza di una o più concezioni locali della storia come patrimonio culturale; ovvero di problematizzare il rapporto tra la rievocazione della memoria genealogica, l’uso delle fonti scritte e l’esercizio del potere in con- testi postcoloniali mediante l’analisi delle retoriche e delle poetiche messe in campo dagli attori locali.

Come sarà ormai evidente, il programma di ricerca che è alla base delle riflessioni che seguiranno ha tratto ampia ispirazione dalle criticità emerse durante il processo di patrimonializzazione della storia avviato dal progetto Fort Apollonia and the Nzemas. Più specificamente, esso si è configurato proprio come il tentativo di con- ferire profondità e spessore teorico alle resistenze opposte dai capi tradizionali alla messa in scena della loro memoria genealogica sottoponendole al vaglio di una pro- spettiva teorica composita e interdisciplinare, cui partecipano: gli studi sul patrimo- nio e sui processi di patrimonializzazione – inquadrati tanto nell’analisi della loro caratura politico-istituzionale (Herzfeld, 1997; Palumbo, 2003) quanto nel loro ca- rattere processuale e anti-oggettuale (Fabietti, 2006; Padiglione, 2006; 2008a;

2008b; Palumbo, 2009); gli studi sulla tradizione orale in area nzema (Pavanello, 2000; Pavanello, 2003a; Pavanello, 2007b) e sui processi di accreditamento costi- tuzionale e definizione delle prerogative dei poteri tradizionali (Apter, 1972; Kludze, 2000; Arhin, 2001a; Perrot & Fauvelle-Aymar, 2003; Pavanello & Arhin Brempong, 2006; Pavanello, 2007b); la storiografia dell’area – così come emerge dai contribuiti di intellettuali locali (Nana Annor Adjaye, 1931; Ackah, 1965; Ackah, 2012) e di studiosi non ghanesi (Valsecchi, 1986; 1994; 1999a; 2001; 2002; Baesjou, 1998); i contributi sui sistemi di land tenure e sulla customary law nelle corti ghanesi (Woodman, 1996; Zamponi, 2008a; 2008b; 2010; Ubink & Amanor, 2008; Ubink, 2008; Brobbey, 2008); e infine le riflessioni maturate nel campo dell’etnografia delle istituzioni (Abélès, 2001; Sharma & Gupta, 2008).

L’adozione di una prospettiva teorica tanto sfaccettata, debitrice di diversi ambiti della riflessione storica e antropologica, è stata resa necessaria dalla scelta di un caso di studio che ricomprende al suo interno le molteplici declinazioni che la storia pare assumere nel discorso pubblico locale. Tale caso è quello della grande lite che oppone i paramount chiefs di Western ed Eastern Nzema, appartenenti a due diversi lignaggi reali del matriclan Twea, ai rappresentanti di un matrilignaggio Nvavile localizzato principalmente nell’area del piccolo villaggio di Awiaso, nell’Eastern Nzema Traditional Area. L’oggetto del contendere è di capitale importanza: in gioco c’è il rovesciamento dell’attuale sistema di potere e il ristabilimento di una situazione originaria che avrebbe visto il matriclan Nvavile al vertice del potere in tutta l’area nzema. Sullo sfondo della lite c’è infatti, costante, il riferimento alla controversa figura di Kaku Aka, l’ultimo re Nvavile ad aver regnato, nella prima metà dell’Ottocento, sullo Nzema unitario (corrispondente all’attuale territorio dei Distretti di Jomoro ed Ellembele). Le circostanze in cui la tensione tra i paramount chiefs in carica e i sedicenti discendenti in linea dinastica di Kaku Aka – guidati da Kaku Aka II fino al 2013 e oggi dal suo successore, Kaku Aka III – si sostanzia nella vita contemporanea dello Nzema sono numerose ed eterogenee. La lite ha in- trapreso ormai da anni un percorso giudiziario ufficiale, che l’ha portata dinanzi ai più alti gradi della giustizia consuetudinaria e della magistratura statale, in un rim- pallo continuo di ricorsi in appello e ribaltamenti di fronte. Essa consta poi di un’im- portante dimensione politico-economica, in quanto l’area nzema è ormai da anni al

centro di poderosi processi di industrializzazione, che ne rendono la terra un’im- portante posta in gioco per le autorità consuetudinarie. Vi è infine una dimensione sotterranea, o non ufficiale, della contesa, che si esplicita nelle forme di appoggio diretto o indiretto che esponenti della gerarchia tradizionale, nzema e non solo, ac- cordano alle parti in causa per determinare alleanze a geometria variabile a seconda degli interessi o, più prosaicamente (ma su questo punto chiedo il beneficio del dubbio, non avendo potuto, per ovvie ragioni di opportunità, verificare le afferma- zioni “sfuggite” ai miei interlocutori nel corso di colloqui informali), per ottenere favori personali o generosi esborsi di denaro.

Tutte queste differenti declinazioni della lite sono state oggetto di indagine tanto sul piano delle fonti storiche disponibili, per lo più utilizzate come supporto proba- torio nell’iter giudiziario del caso, quanto su quello delle pratiche e delle retoriche promosse dai protagonisti dello scenario contemporaneo. A tale proposito anticipo qui che la cornice istituzionale che mi ha facilitato tanto nell’interazione con i ver- tici del potere tradizionale locale quanto nell’accesso alla documentazione conser- vata nei loro archivi, mi è stata fornita ancora una volta da un progetto di coopera- zione culturale, questa volta mirato alla conservazione e alla digitalizzazione del patrimonio documentario della chieftaincy nzema. L’idea di dare continuità al già citato intervento di parziale sistemazione e catalogazione dell’archivio del Western Nzema Traditional Council del 2002, aveva accompagnato Pavanello anche negli anni successivi. D’altra parte le vicende della musealizzazione di Fort Apollonia avevano messo la salvaguardia dei record dei capi nzema all’ordine del giorno, ge- nerando in essi la legittima aspettativa che alla creazione del Museo fosse seguito un intervento specificamente dedicato alla soddisfazione delle loro istanze. L’occa- sione di perseguire questi obiettivi si presentò nell’autunno del 2011, a un anno esatto dall’inaugurazione del Fort Apollonia Museum, quando due amiche e colle- ghe antropologhe mi suggerirono di cercare finanziamenti nell’ambito dell’Endan- gered Archives Programme (http://eap.bl.uk/), coordinato e finanziato dalla British Library. Con il loro aiuto approntai una proposta di progetto pilota, che dopo poche settimane sarebbe stata sottoposta, congiuntamente dalla Missione e dal Fort Apol- lonia Museum, alla valutazione dell’ente finanziatore: l’obiettivo individuato era

quello di mettere in sicurezza, ordinare e catalogare le intere collezioni dei Tradi- tional Councils di Eastern e Western Nzema, per poi procedere alla digitalizzazione a scopi conservativi dei record più deteriorati e contenenti informazioni rilevanti sulla storia dell’area. Il progetto EAP569 - Safeguarding Nzema History: Docu- ments on Nzema Land in Ghanaian National and Local Archives venne finanziato a metà del 2012 e iniziò dopo pochi mesi, accompagnandomi praticamente per tutta la durata delle prime due missioni di ricerca che ho svolto in Ghana – in totale sono state tre – per la ricerca di Dottorato.

Tornerò certamente ad argomentare le implicazioni metodologiche e teoriche che questa esperienza ha avuto sulla mia ricerca. Vi ho fatto cenno ora solo per deli- neare, in prima approssimazione, lo scenario complesso e articolato in cui si è svolta l’indagine etnografica, e in cui la mia immagine pubblica si è andata via via defi- nendo agli occhi dei miei interlocutori. In ragione della mia duplice veste di ricer- catore interessato alla storia locale e membro del team a lavoro su archivi poten- zialmente ricchi di informazione sensibile proprio su di essa, sono stato assai spesso additato da questi come il raccoglitore, o addirittura il produttore, di fonti scritte in grado di provare la veridicità delle loro asserzioni; la qual cosa mi ha costretto ben presto a riflettere sui modi in cui il mio lavoro poteva diventare oggetto di atten- zione, e al limite di strumentalizzazione politica. Tutto ciò mi ha suggerito l’oppor- tunità di problematizzare sin da subito il mio posizionamento rispetto al campo di interessi e di forze che caratterizzava il terreno mediante l’adozione di una postura interpretativa riflessiva e de-essenzializzante, che da una parte tenesse traccia delle perturbazioni indotte nel contesto dalla mia presenza e dalle mie domande, e dall’al- tra rendesse espliciti i meccanismi attraverso cui gli stimoli che ricevevo dal campo contribuivano alla costruzione in itinere dell’oggetto della ricerca e alla continua rimodulazione delle relazioni con gli interlocutori locali (Kilani, 1997).