Nell'agosto del 1956 Manfred Lehmbruck fu contattato dall'amministrazione di Duisburg, che richiese innanzitutto le sue prestazioni come consulente nella scelta del sito più adatto ove ubicare il museo.123
Nel già citato dattiloscritto redatto dall'allora direttore del museo Gerhard Händler124 si può leggere come, già da parte sua fosse stata espressa una predilezione per un luogo verde, uno dei parchi cittadini.
In un articolo redatto in occasione dei preparativi per la grande mostra su Lehmbruck in programma al museo di Duisburg per la fine del 1955 si legge:
«a ragione il Dr. Händler e la maggior parte dei responsabili alla cultura della nostra città sono dell'avviso che non si possa rinunciare ad un nuovo edificio museale... Il Dr. Händler sogna una nuova costruzione di grandi dimensioni con molto vetro al limitare o nel mezzo di un parco in cui possano essere esposte le statue. Sogna una casa che possa riunire sotto un unico tetto le opere di proprietà del museo e le esposizioni temporanee. Non ci si può appellare per questo solo alla città, ma anche al Land e all'industria. L'esposizione programmata per questo inverno è la migliore occasione per aprire una breccia in tal senso.»125
L'idea di un museo dedicato alla scultura situato in un parco aveva illustri precedenti: il museo Kröller-Müller (Otterlo, Olanda) in primis, le cui vicende si erano inaspettatamente intrecciate con quelle di Lehmbruck e Duisburg come già visto negli anni dieci del Novecento.126 Il tema del Museum im Park (museo nel parco), trovò poi interessanti sviluppi negli anni successivi, come dimostrano gli esempi del Louisiana
123Cfr. Lettera dell'amministrazione di Duisburg a Manfred Lehmbruck del 4 agosto 1956. Nachlaß- Archiv, Karlsuhe.
124G. Händler, Duisburger Kunstereignisse 1954-1970 im Spiegel der Heimischen Presse, op. cit. 125In «Westdeutsche Allgemeine Zeitung», 17 settembre 1955, cit. In G. Händler, op. cit.
Museum a Humlebæk (Olanda) di Wilhelm Wohler e Jørgen Bo (1958) e in Germania il Focke-Museum di Bremen degli architetti Heinrich Bartmann e Reinhold Kalger, ma
soprattutto la seconda mostra DOCUMENTA di Kassel (1959), per la quale nell'antica
orangerie del castello della città fu allestita una esposizione di sculture che si
estendeva nel parco circostante.127
Certo questa predilezione di Händler si sposava felicemente anche con le preferenze di Manfred Lehmbruck, che già stava lavorando sul tema del Museum im Park nel progetto e la realizzazione del Reuchlinhaus di Pforzheim.128
Händler aveva in mente alcuni parchi cittadini: il Tierpark, il Kant-Park, ma anche i terreni sul Kaiserberg, nei pressi del cimitero sarebbero potuti essere appropriati. C'era in gioco anche la possibilità di realizzare il museo nella König-Heinrich-Platz, sita nel centro della città, o addirittura nei pressi della Burgplatz, la piazza del comune.129
Il 3 marzo del 1956 ebbe luogo una riunione di alcuni membri dell'Ufficio Edilizia di Duisburg a riguardo del Kunstmuseum, in cui fu deciso di proporre al consiglio comunale di richiedere all'architetto Manfred Lehmbruck le sue prestazioni come consulente nella scelta del sito più adatto ove ubicare il nuovo Kunstmuseum, senza ancora commissionargli l'elaborazione di un progetto preliminare.
Gerhard Händler in una breve lettera indirizzata al dipartimento della cultura di Duisburg sollecitava per una veloce risoluzione in merito alla questione del nuovo
Kunstmuseum. L'urgenza era dettata dalla prevista demolizione dell'edificio sulla
Königsstraße a vantaggio del nuovo complesso della Sparkasse, ma anche dal fatto che era necessario dare alla famiglia Lehmbruck nuovamente un segno preciso della volontà di Duisburg di offrire al lascito di Wilhelm Lehmbruck una degna collocazione.
127Per il tema del Museum im Park e un approfondimento di questi riferimenti, cfr. Paragrafo 2.2.1. 128Cfr. Paragrafo 3.1.
129Cfr. G. Händler, op. cit. Händler propose in seguito i seguenti siti: una parte del Kant-Park all'angolo tra la Kölner e la Tonhallenstraße, in cui all'esterno del museo potevano essere allestite anche le sculture; un isolato delimitato dalla Friedrich-Wilhelmstraße, la Rohestraße, la Gallenkampstraße e la Tonhallenstraße, in cui si poteva pensare di costruire un edificio con adiacente uno spazio verde. Era previsto comunque l'utilizzo di parte del Kant-Park per l'esposizione dello sculture; il Böninger-Park; un terreno a nord della Mühlheimerstraße ubicato tra l'autostrada e i confini della città, dove poteva ben alloggiarsi un museo immerso nel verde. A causa della posizione piuttosto isolata c'era il rischio che le statue disposte nel verde potessero essere esposte a danni. (In un documento dell'Ufficio Edilizia di Duisburg del 24 dicembre 1955. STADU 600).
Händler pregava quindi di far di tutto affinché potesse al più presto esser commissionato l'incarico della costruzione del museo all'architetto Manfred Lehmbruck e chiedeva l'autorizzazione per chiedere a Lehmbruck la sua disponibilità in merito.130
Furono sottoposti al giudizio di Lehmbruck infine tre siti: il terreno a nord della Mühlheimerstraße, un lotto all'angolo tra la Schweizerstraße e la Denkmalstraße e un terreno compreso nella parte meridionale del Kant-Park. Lehmbruck redasse alla fine di settembre del 1956 una relazione in cui analizzava le tre proposte, a conclusione della quale giudicò appropriate la prima e la terza ipotesi.131
In merito al terreno a nord della Mühlheimerstraße, Lehmbruck giudicò particolarmente favorevole il fatto che si trovasse in diretto rapporto con un terreno boschivo praticamente incontaminato. La possibile ubicazione del museo in questo lotto ai confini della città offriva molta libertà alla configurazione del progetto – e anche a possibili successivi ampliamenti - in confronto agli altri siti cittadini. Esso era inoltre facilmente raggiungibile dai visitatori esterni, poiché nelle dirette vicinanze dell'autostrada. Tuttavia, dal momento che erano auspicabili sia un coinvolgimento dei cittadini di Duisburg nei confronti dei vari eventi – conferenze ed esposizioni temporanee – sia la visita da parte degli alunni delle scuole, la relativa lontananza dal centro cittadino poteva costituire un deterrente.
Manfred si mostrò quindi più favorevole al Kant-Park, situato nel centro della città e vicino alla stazione. Il parco era sufficientemente grande per pensare di realizzarvi edifici per la cultura senza alterarlo troppo. Si poteva quindi anche immaginare di farlo divenire una sorta di Museumsinsel (isola dei musei), dal momento che nei piani dell'amministrazione comunale era già prevista la possibilità di realizzarvi anche la biblioteca comunale e l'Heimatmuseum.132
Gli spazi espositivi del nuovo Kunstmuseum potevano instaurare una felice corrispondenza con il parco ed esso poteva anche ergersi a fondale per la parte sud del parco stesso, separandolo dal circostante paesaggio cittadino, che in effetti non
130STADU 401
131La relazione è stata reperita in STADU 401. 132Questi progetti non ebbero però poi seguito.
era dei più felici. In quella posizione piuttosto tranquilla il museo sarebbe inoltre stato a sufficienza isolato dai rumori della città.
Sarebbe certo stata auspicabile la demolizione di alcuni edifici situati nel parco in prospicienza della Kölnerstraße e della Düsseldorferstraße, che avrebbe dato maggior respiro al museo e permesso l'accrescimento della superficie verde.
Il consiglio comunale decise poi di seguire i consigli di Lehmbruck e di ubicare il museo nel Kant-Park.133
Il Wilhelm-Lehmbruck-Museum fu inaugurato nel 1964. Il primo nucleo dell'edificio fu realizzato tra 1959 ed il 1964. Tra il 1985 ed il 1987 fu poi ampliato sulla base di un progetto dello stesso Manfred Lehmbruck in collaborazione con l'architetto Klaus Hänsch.134
L'attenzione è nel presente studio rivolta al progetto e alla realizzazione degli anni cinquanta e sessanta, assunti a chiave di lettura della più vasta questione dell'architettura della Repubblica Federale nel periodo della ricostruzione post- bellica.135
Il Wilhelm-Lehmbruck-Museum è un edificio di piccole dimensioni, articolato in due padiglioni che racchiudono una corte centrale che si apre sul parco retrostante. Tali caratteristiche rispecchiano l'indirizzo che stava intraprendendo l'architettura museale nella Repubblica Federale del dopoguerra136 e rispondono peraltro alle esigenze che Manfred Lehmbruck si trovò a dover soddisfare al momento della progettazione: la specificità della collezione che l'edificio avrebbe accolto e il luogo prescelto per la sua ubicazione, ovvero il parco di dimensioni modeste, una piccola
133La decisione definitiva fu presa il 9 febbraio 1957.
134Lehmbruck e Hänsch scelsero di scardinare la griglia ortogonale alla base del complesso e di ruotare il nuovo corpo edilizio di 45° rispetto ad essa. La struttura si articola in due elementi di pianta quadrata congiunti da un basso elemento di pianta triangolare, aperto sul cortile con una ampia vetrata. Il cosiddetto Neubau (nuova costruzione) mantiene in altezza le proporzioni del museo preesistente e si innesta ad esso sulla sua ala vetrata dedicata alle esposizioni temporanee. L'edificio – chiuso per lo più verso l'esterno – si organizza nel suo interno su due livelli. Nel corpo disposto più verso il parco il livello superiore si apre su quello inferiore e mette in mostra la collezione di opere d'arte del dopoguerra. L'altro corpo ospita invece le mostre temporanee e una sala per le conferenze. La luce naturale penetra zenitalmente attraverso lucernari disposti sul soffitto.
135Cfr. capitolo 2. 136Cfr. paragrafo 2.2.1.
oasi di verde nel cuore del territorio industrializzato di Duisburg. Il Kant-Park era quindi un tesoro da preservare e il museo avrebbe dovuto inserirvisi delicatamente, sì da non costituire un oggetto di disturbo.
La netta prevalenza all'interno della collezione di opere scultoree poneva in primo piano la questione della loro illuminazione, ma soprattutto quella del rapporto tra interno ed esterno: tra natura e architettura. Le sculture permettevano di immaginare una costruzione che si aprisse verso l'esterno con ampie vetrate e che potesse così essere principalmente illuminata grazie alla luce del sole. Come affermò l'architetto:
«Il museo è stato esclusivamente dedicato all'arte del XX secolo e i particolare alla scultura. Per questo motivo la stretta relazione con la natura diventa una necessità, cosa che sarebbe problematica in una collezione principalmente dedicata alla pittura a causa della concorrenza dei colori naturali con quelli dell'arte.»137
Le sculture poste all'interno del museo e all'esterno nel cortile diventavano lo strumento di unificazione tra i due spazi. La loro forza, la loro natura plastica e tridimensionale potevano creare un legame percettivo che avrebbe permesso al visitatore di sentirsi contemporaneamente contenuto dall'architettura e immerso nel parco circostante.
Manfred ideò un museo che rappresentava la trasposizione architettonica del suo programma: collezione permanente ed esposizioni temporanee, Lehmbruck-Sammlung (collezione Lehmbruck) e auditorium. L'architetto suddivise così il complesso in tre padiglioni poco sviluppati in altezza, che si espandevano notevolmente nel sottosuolo. Nel progetto definitivo138 i tre corpi sono disposti sul limitare del Kant-Park, in corrispondenza dell'angolo tra la Düsseldorfer Straße e la Friedrich-Wilhelm-Straße. Il già citato cortile lastricato interno si stacca dal giardino pubblico confinante poiché disposto su un livello lievemente rialzato. E' inoltre installato al limitare del prato uno
137M. Lehmbruck, Wilhelm-Lehmbruck-Museum, Duisburg, «Deutsche Bauzeitung», n.11, 1964, pp. 881-894.
specchio d'acqua artificiale in cui si riflettono le statue e anche i rami del grande e nodoso albero, radicato al centro della corte, ulteriore testimonianza del legame tra natura e architettura.
Un corpo edilizio a pianta quadrangolare e uno a pianta rettangolare disposti ad angolo retto, delimitano il cortile rispettivamente sul lato nord e sul lato ovest. A sud è ubicato nei disegni di progetto un terzo padiglione in apparenza simile ad una cupola geodetica di piccole dimensioni, che avrebbe dovuto ospitare un auditorium e mai costruita per carenza di fondi.139
Questa sommaria descrizione potrebbe far pensare ad un sistema frammentato e fortemente eterotopico. Seppur tale ultima caratteristica costituisca una peculiarità innegabile del Lehmbruck-Museum – eterotopia che peraltro si fa dualità dal momento che l'auditorium non fu realizzato – essa si traduce non in un difetto, bensì in uno dei maggiori pregi del complesso. Manfred infatti scelse di esaltare la necessaria – a suo giudizio – differenziazione dei padiglioni e di rendere così immediatamente percepibile ad un primo sguardo la varietà delle funzioni da essi ospitate. L'architetto riuscì al contempo, tramite un'attenta e appropriata scelta dei materiali e dei loro cromatismi e l'omogeneità dei rapporti dimensionali tra i corpi edilizi, a creare un tutto armonico felicemente sposato anche con il parco.
Il padiglione rettangolare situato sul lato ovest ospita la collezione d'arte moderna delle città e le esposizioni temporanee, l'altro – sul lato nord - l'opera di Wilhelm Lehmbruck. I due corpi sono uniti da una hall di ingresso vetrata di piccole dimensioni, a cui si giunge attraverso un breve viottolo che diparte dall'angolo tra la Düsseldorfer Straße e la Friedrich-Wilhelm-Straße. Ad accogliere il visitatore sul lato destro, poco prima di una piccola scalinata d'accesso, sta la celebre scultura raffigurante una donna inginocchiata, la Kniende e su una lastra di pietra incassata nel terreno la massima di Wilhelm Lehmbruck: Alle Kunst ist Mass (tutta l'arte è misura).
Questi due elementi forniscono immediatamente al visitatore delle significative chiavi d'accesso alla comprensione della collezione e dell'architettura che la ospita. La
Kniende è infatti una delle più importanti opere di Lehmbruck e suggerisce anche a
quale arte – ovvero la scultura – è principalmente dedicato il museo. Contemporaneamente la frase dell'artista racconta subito al fruitore qualcosa della sua arte, ma è anche un suggerimento – più nascosto in questo caso – per la lettura dell'edificio in cui ci si accinge ad entrare.
Una delle principali idee progettuali del museo si basa infatti su una modularità rintracciabile sia in pianta, sia in alzato, che conferisce un'unità ideale e percettiva al complesso. Ad esso è sottesa una griglia di modulo quadrato che governa il corpo edilizio ad ovest e si estende poi, duplicandosi, su quello a nord e sul cortile centrale. Questo elemento che caratterizza fortemente l'architettura del Museo Lehmbruck ha una duplice origine. Certamente il collegamento più immediato è all'architettura di Mies van der Rohe, il maestro di Lehmbruck, che come è noto utilizzò lo strumento della griglia per configurare le sue opere. Ma in questo Manfred sembra anche debitore dell'arte paterna. Quella che è spesso considerata una massima di Wilhelm Lehmbruck, ovvero «tutta l'arte è misura», è un'espressione inserita in un più ampio testo che è stato riportato in apertura a questo volume.
«[...] Tutta l’arte è misura. Misura contrapposta a misura, e questo è tutto. Le misure, o nelle figure le proporzioni, determinano l'impressione, determinano l'effetto, determinano l'espressione corporea, determinano la linea, la silhouette e tutto il resto. [...]»
Ed infatti lo scultore utilizzò gli strumenti del modulo e della proporzione per plasmare e dar forma alle sue opere.140
Nel Lehmbruck-Museum, ogni singolo dettaglio è dettato dal modulo e dalla proporzione: anche qui esse «determinano l'impressione, determinano l'effetto, determinano l'espressione corporea, determinano la linea, la silhouette e tutto il resto.»
L'ala del museo dedicata alla collezione cittadina e alle esposizioni temporanee è stata progettata all'insegna della massima flessibilità, per questo è stata concepita
140Come emerge con evidenza ad esempio nella sua opera Stehende (1910). Cfr. per un approfondimento negli apparati: Wilhelm Lehmbruck: scultore degenerato. Cfr. anche paragrafo 1.5.
come un grande open space, suddivisibile a piacimento in base alle varie necessità espositive e lasciato il più possibile neutro.
Questo spazio è racchiuso in una scatola vetrata priva di una struttura portante interna; l'assenza di pilastri permette così la totale libertà di organizzazione dello spazio interno. Al loro posto sono predisposti cinque grandi telai in acciaio esterni, che sorreggono la copertura piana.
Al livello corrispondente al piano terreno (di circa 1.055 mq) si aggiunge in altezza un mezzanino che corre per tutto il lato lungo prospiciente alla Düsseldorfer Straße. Questo ulteriore livello è stato pensato da Manfred per alloggiarvi i dipinti facenti parte della collezione permanente. Esso infatti guarda da un lato sulla galleria interna, ma dall'altro si protrae oltre la scatola vetrata rompendola e espandendosi all'esterno con un volume aggettante chiuso, in béton brut. La parete cieca risultante ostacola così l'irraggiamento della luce naturale all'interno del mezzanino, poco funzionale alla fruizione delle opere pittoriche. Questo livello permette inoltre l'osservazione delle sculture esposte al livello sottostante da svariati punti di vista, ivi compreso quello zenitale.
Un altro elemento su cui si basa la concezione di questo corpo edilizio è la luce naturale, interpretata come uno dei fattori vitali delle opere d'arte esposte. Il cubo di vetro, simile ad una vetrina, lascia aperte tutte le possibilità di incidenza dei raggi luminosi. Negli spazi principali sono compresenti la luce zenitale e quella laterale, proveniente dalle pareti vetrate. La luce può essere dosata a piacimento grazie a dei
brises-soleil mobili, posti all'interno in modo che la loro funzionalità non sia
compromessa dall'inquinamento.
La copertura piana è costituita da dei lucernari a cupola a doppio guscio (circa 400), in vetro acrilico. La sua struttura portante - una leggera maglia reticolare - pregiudica appena l'incidenza della luce. Tutta l'architettura della copertura è visibile dall'esterno e può - in ragione dei vari allestimenti - essere mostrata anche all'interno. Normalmente sono appese alla struttura reticolare delle lastre orizzontali trasparenti in vetro acrilico, che possono essere sostituite con lastre opache. L'inserimento di queste lastre è inoltre funzionale ad un dosaggio della luce zenitale.
Essa può essere regolata anche da lamelle disposte orizzontalmente. In aggiunta all'illuminazione naturale sono stati installati sia dei faretti facilmente montabili e smontabili collocati sul soffitto, che creano fasci di luce direzionati, sia un sistema di illuminazione diffusa, utilizzato principalmente al calar del sole.
Le pareti sono costituite da lastre di vetro appese alla copertura, una scelta necessaria a causa dei possibili movimenti della struttura in acciaio, ma anche funzionale alla realizzazione di grandi superfici vetrate indivise, sì da evitare inestetiche suddivisioni delle stesse.
Le opere di grafica sono sistemate nel piano interrato, anch'esso privo di pilastri, fornito di un'illuminazione totalmente artificiale per proteggere i fogli - particolarmente sensibili - dall'effetto dannoso della luce solare. Lo spazio acquista un carattere particolarmente intimo grazie al soffitto rivestito in legno.
E' evidente come in questa ala del museo la variazione dei livelli, delle altezze degli spazi, dei materiali utilizzati e del loro sistema di illuminazione sia stato pensato da Manfred per esaltare le diverse tipologie di opere esposte: un'architettura che non sovrasta l'opera, ma è al servizio di essa.
Come affermava infatti Manfred: «Die Kunst ist der Wein, die Architektur das Glas»141 (l'arte è il vino, l'architettura il bicchiere).
In contrapposizione all'ambiente luminoso e ampio del primo corpo edilizio, il secondo, consacrato all'opera di Wilhelm Lehmbruck è un'architettura amniotica, immersa in una penombra che porta immediatamente a un diverso atteggiamento, raccolto e meditativo.
Qui viene meno la necessità di flessibilità degli ambienti e così, invece del carattere dinamico dello spazio per le esposizioni temporanee passibile di continui cambiamenti, è messa in scena, nella sua calma staticità, un'altra tipologia museale, che è dedicata all'opera, conclusa e definitiva, elaborata nel corso di tutta la vita da un solo artista. L'ala dedicata a Lehmbruck si fa quindi una sorta di memoriale
141Manfred Lehmbruck in un discorso tenuto a Duisburg il 27 settembre 1986 in occasione del Richtfest (festeggiamento della conclusione della realizzazione della struttura di copertura di un edificio) dell'ampliamento del Wilhelm-Lehmbruck-Museum. Cit. in S. Wagner, Manfred Lehmbruck. Ein
dell'opera paterna, un memoriale del padre stesso... forse addirittura il suo mausoleo? Uno spazio così adibito richiedeva secondo Manfred una chiara definizione della
forma architettonica e una fusione tra opera d'arte e l'architettura. Il cemento a vista, utilizzato qui come materiale preponderante, si fa espressione della durata, della definitività, dell'eternità, della sospensione temporale... e, in quanto tale, perfetta rappresentazione della memoria.
In maniera ancora più marcata rispetto all'ala delle esposizioni temporanee, sono qui presenti livelli differenti, che permettono viste sia dall'alto, sia dal basso, essenziali per la contemplazione delle sculture. Provenendo dalla hall di ingresso vetrata e voltando a sinistra si apre al visitatore una sorta di boîte à miracles in cui in un