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1.4 omotopia e eterotopia: sensibilità ordinatrici della

Nachkriegsmoderne

Nel 1968 Manfred Lehmbruck entrò in carica come docente di progettazione alla TH Braunschweig.237 L'analisi della sua lezione inaugurale dal titolo Formenpluralismus und

Wertmaßstäbe in der Architektur238 (Pluralismo delle forme e scale di valori nell'architettura) fornisce delle interessanti chiavi di lettura, che permettono di comprendere l'essenza dei principi che avevano sino allora governato i suoi progetti architettonici e in particolare i suoi musei.239 Il testo illustra anche come Lehmbruck, partendo da una concezione omotopica propria della Moderne (architettura moderna)240 giunse a ibridarla con l'eterotopia pluralista che fu caratteristica precipua della

Nachkriegsmoderne (architettura moderna del secondo dopoguerra).241

Aprendo con la constatazione che mai come nella sua epoca si era dispiegata una così ingente pluralità di offerte formali, Lehmbruck parte dalla distinzione del pluralismo delle forme (architettoniche) in due categorie: un pluralismo «quantitativo», che porta alla ripetizione di «innumerevoli elementi uguali» ed uno «qualitativo», che

237Lehmbruck ricoprì la carica di “progettazione di edifici alti” presso la TH Braunschweig dal 1967 al 1978.

238M. Lehmbruck, Formenpluralismus und Wertmaßstäbe in der Architektur, in: A. K. Vetter, R. Krisch, (a cura di), Manfred Lehmbruck. Architektur um 1960, catalogo della mostra (Architekturgalerie am Weißenhof, Stuttgart 9 febbraio/3 aprile 2005), Deutscher Spurbuchverlag, Baunach 2005, pp. 36-47. 239All'epoca della stesura di questo testo, Lehmbruck aveva già realizzato tutti e tre i suoi musei. Ci sono

anche altri testi chiave per la comprensione della sua filosofia architettonica, per lo più stilati come relazioni esposte in alcune conferenze e poi rielaborati assieme alle sue lezioni universitarie per la realizzazione del testo Museum and Architecture, un numero monografico della rivista dell'ICOM, «Museum», nel 1974. Tra queste conferenze si cita in particolare una serie effettuata nel corso del 1962 in più città. Il testo è stato reperito nel Nachlaß-Archiv di Karlsruhe. Si ha notizia almeno di tre stazioni di questi interventi: Aachen, Karlsruhe e Graz. Un altro testo interessante è Freiraum

Museumsbau (musei a pianta libera), scritto per una conferenza all'università di Graz nel 1979 e poi

pubblicato: M. Lehmbruck, Freiraum Museumsbau, in «Deutsche Bauzeitung», n.8, 1979, pp. 9-13. Il testo di Formenpluralismus und Wertmaßstäbe in der Architektur è stato reperito presso l'archivio SAAI, ma è stato anche pubblicato nella già citata tesi di dottorato di Sebastian Wagner (S. Wagner,

Manfred Lehmbruck. Ein Architekt der Moderne, Baier-Digitalbuch-Verlag, 2006) e nel testo: A. K. Vetter, R. Krisch (a cura di), op. cit.

240In questo senso il termine Moderne, l cui traduzione letterale sarebbe "modernità" è da intendersi come sinonimo di Neues Bauen.

trova espressione in «elementi diversificati privi di un criterio di selezione». Entrambe queste tipologie possono assumere, in base ad una più o meno corretta interpretazione formale, un'accezione positiva o negativa.

Prima di addentrarsi in un'analisi più approfondita, Lehmbruck si sofferma sul significato della forma in architettura. Questa non ha un valore aprioristico, non è universalmente data o in partenza attribuita, ma è piuttosto l'esito del processo progettuale e costruttivo: «se il costruire è un processo, la forma è il suo giudizio finale». Un'accezione questa di chiara matrice miesiana.

«Io non mi oppongo alla forma, ma soltanto alla forma come scopo. Lo faccio sulla base di una serie di esperienze e di convinzioni da queste derivate. La forma come scopo porta sempre al formalismo. Poiché questo sforzo si rivolge non verso l'interno, ma verso l'esterno. Ma solo un interno vivente ha un esterno vivente. […] Solo un processo del dare forma correttamente impostato e realizzato conduce al risultato. Voi giudicate il risultato, noi il principio del processo. Così come è sicuro che il processo del dare forma si rende visibile solo nel risultato, è altrettanto certo che un processo iniziato e condotto correttamente porta al risultato. Non è questo il compito più importante, forse l'unico?»242

Lehmbruck si pone quindi subito in una chiara cornice concettuale, che è quella dell'architettura del Moderno e in particolare di quella del suo Maestro. E' da qui, su queste premesse – poste quasi come inevitabili - che diparte il suo ragionamento; esso, seguendo un percorso serrato e a tratti sillogistico, è poi da qui che si allontanerà...

beyond Mies...

Secondo Lehmbruck l'uomo, incapace di venire a capo delle contraddizioni e poliedricità della nuova epoca, sprofondato in uno stato di inquietudine e confusione capitola di fronte al problema della forma e così o si affida al diktat dei rapporti razionali e delle tecniche costruttive moderne o abusa della pluralità di forme

traducendola in puro formalismo. Ma c'è una terza via secondo l'architetto: «Noi possiamo scegliere una terza via e considerare la pluralità di forme come una emanazione della vita, come una meravigliosa e segreta unità di elementi complessi, che dobbiamo studiare per poterne poi disporre.»243

Nuovamente riecheggia Mies: «Noi vogliamo aprirci alla vita e coglierla. La vita è per noi decisiva. Nella sua totale pienezza di condizioni spirituali e materiali.»244

Avendo perduto un rapporto spontaneo con la forma è necessario recuperarlo tramite la ricerca scientifica che può trovare le sue basi in tre campi precisi: quello della tecnica, della psicologia della Gestalt e della semantica.

La tecnica moderna ha messo a disposizione dell'architettura nuovi materiali e conoscenze, che non è possibile né giusto non tenere in considerazione: è compito dell'architettura piuttosto di sondarli e di ricercare in essi stessi le leggi, che possono portare a forme nuove.

Di nuovo si riconosce tra le righe l'insegnamento miesiano:

«L'architettura è sempre la volontà di un'epoca tradotta in spazio, nient'altro. Fino a quando questa semplice verità non verrà riconosciuta, la battaglia per la fondazione di una nuova architettura non potrà essere condotta in modo deciso e con forze efficaci, fino ad allora si dovrà permanere in un caos di forze disordinate. Perciò la domanda sull'essenza dell'architettura è decisiva. Si dovrà comprendere che ogni architettura è legata alla propria epoca e si rende visibile solo con i mezzi del proprio tempo in compiti vitali. Non è mai accaduto il contrario.»245

L'architettura quindi secondo Mies doveva esprimersi liberamente con mezzi propri e ricercare nel materiale la sua peculiare essenza. La volontà dell'epoca coincide in un certo qual modo con la volontà intrinseca del materiale e viene espressa in una

243M. Lehmbruck, Formenpluralismus und Wertmaßstäbe in der Architektur, op. cit., p. 37. 244L. Mies van der Rohe, Über die Form in der Architektur, in «Die Form», n. 2, 1927, p. 59. 245L. Mies van der Rohe, Baukunst und Zeitwille, in «Der Querschnitt», n. 1, 1924, pp. 31-32.

Baukunst (arte del costruire) priva di intenti formali.246

Per Lehmbruck una ricerca formale basata sulle nuove tecniche e i nuovi materiali rischia tuttavia di incorrere in due pericoli fondamentali: quello di considerare la tecnica un'umile «servitrice» o al contrario un'arrogante «padrona».247

Nel primo caso l'abuso delle possibilità offerte dalla tecnica conduce a capricciosi giochi formali... un atteggiamento questo che trova come conseguenza uno scetticismo o addirittura un disprezzo nei confronti della forma. Ma la soluzione in questa senso si trova proprio andando a ricercare la radice e l'essenza stessa della tecnica: il suo sviluppo al tempo dell'età della macchina ha sempre trovato corrispondenza nella sua immanente tendenza alla realtà e alla sincerità costruttiva. «Il pensiero tecnico ha delle corrispondenti componenti morali, che travalicano il mondo delle cose per giungere a quello dello spirito e divengono veri e propri valori: oggettività, disciplina e onestà.»248 Così come riferiva Mies raccontando del suo incontro con l'architettura di Berlage: «Ciò che più mi interessava di Berlage era la sua cura nel costruire, un costruire profondamente onesto.»249

La tecnica, intesa come costruttiva ratio, impostasi negli anni venti, se da un lato ha salvato l'architettura dalle plurime declinazioni storiciste, dall'altro troppo spesso nei tempi successivi si è allontanata dai suoi originali valori «sovrumani», traducendoli in «disumani». La fascinazione del principio della tecnica ha condotto così ad un assoggettamento che l'ha reso il discriminante ultimo di ogni decisione relativa alla forma, allontanandola di fattori concernenti l'uomo, la sua sensibilità e la sua corporeità.

246Cfr. F. Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe. Le architetture, gli scritti, a cura di M Caja, M. De Benedetti, Skira editore, Milano 1996, p. 15. Per un approfondimento sul ruolo dei materiali nell'architettura di Mies van der Rohe cfr. anche: I. de Solà-Morales, Mies van der Rohe: Barcelona

Pavilion, Gili, Barcelona 1993, pp. 21-22.

247Nel testo delle già citate conferenze del 1962, Lehmbruck specificava che la tecnica doveva “stare a servizio” e rimanere sullo sfondo, quindi non essere in vista. Questo accorgimento era molto importante soprattutto nei musei ove non solo gli impianti dovevano rimanere celati, ma anche gli elementi strutturali che potevano entrare in concorrenza “percettiva” con le opere esposte – come i pilastri – secondo i principi della Gestalttheorie. (cfr. più avanti). L'architetto adottò questo precetto ad esempio tramite l'ideazione di una struttura portante esterna nel corpo edilizio vetrato del

Lehmbruck-Museum.

248M. Lehmbruck, op. cit., p. 38.

249Cfr. L. Mies van der Rohe, Mies Speacks: “I Do Not Design Buildings, I Develop Buildings”, in «Architectural Review», n. 12, 1968, pp. 451-452.

Le leggi della tecnica conformano un sistema di principi ordinatori, che si fonda nella realizzazione di elementi omogenei e riproducibili. Essi possono essere collegati l'un l'altro modularmente o additivamente e trovano ragione in una struttura sovraordinata che governa l'insieme, sempre e naturalmente geometrica, euclidea, senza scarti.

Ordine e astrazione sono costituenti immanenti della tecnologia e sono capaci di produrre risultati formali che danno valore all'architettura. Essi sono particolarmente necessari quando si incorre nella progettazione di grandi volumi edilizi, che necessitano di soluzioni particolari. E' proprio in questi casi tuttavia che la tecnica può offrire delle grandi possibilità, poiché l'uniformità del macrocosmo sovrastrutturato si può arricchire tramite il microcosmo plurale e multiforme delle singole celle costitutive.

La tecnica orientata alle leggi dell'economia si è fatta schematismo utilitaristico, un vero e proprio trauma per l'uomo costretto a vivere in una siffatta pelle architettonica nel conflitto perenne tra un ambiente materiale e artificiale e la propria essenza organica e spirituale.

Di nuovo la via di uscita da una simile tendenza si ritrova nell'analisi dell'essenza della tecnica stessa, capace di dar vita a forme concepite con una precisione matematica, ma anche a composizioni più libere articolabili sulla base degli stessi elementi standardizzati questa volta combinati in maniera variabile. In questi casi la tecnica fugge dalle sue implicazioni utilitaristiche e si mette a servizio dei bisogni umani, dei contenuti spirituali; essa rimane pluralistica dal punto di vista quantitativo e lo diviene – positivamente – anche in senso qualitativo.

Lehmbruck sottolinea come nella propria epoca le umane sensazioni e necessità (spirituali) si siano sottratte alle vaghe e disorientanti categorie del “sentimento” e dell' “emozione”, per essere invece studiate scientificamente. Egli riconosce come utile approccio in tal senso – in particolare nei suoi risvolti nel campo dell'architettura – quello della Gestaltpsychologie.250 Questa scienza ha raccolto una serie di informazioni interessanti riguardanti l'esperienza dello spazio sulla base dello

studio delle reazioni ottiche, che sono la causa di determinati stati psicologici connessi appunto con l'esperienza di un certo tipo di spazio.

«L'armonia tra la situazione tecnica e la reazione psicologica è una misura del valore di una buona architettura», scrive Lehmbruck e tramite lo strumento della

Gestaltpsycologie è permesso indagare e riscoprire «la sensazione dello spazio e della

massa, il potere comunicativo delle linee rette e delle curve, il valore simbolico delle orizzontali e delle verticali […] è un segreto della buona architettura che questo “incantesimo” possa essere raggiunto solo con mezzi strutturali senza l'aiuto di alcuni surrogati letterari.»251

Manfred era infatti un detrattore della cosiddetta “architettura parlante” che nel testo di una conferenza definì: «un aborto dell'architettura espressiva, che lavora con simboli semantici e modelli letterari. I significati da essa espressi sono validi solo se i loro significanti verbali sono ancora in uso.»252 L'architetto preferiva certo il linguaggio muto delle forme e dei materiali, che senza bisogno di interpretazioni poteva far arrivare direttamente e percettivamente al visitatore il senso di un'architettura e della funzione da essa espletata. Nel caso dei musei tale linguaggio era funzionale anche alla trasmissione del significato dell'arte che accoglievano, come avviene chiaramente nel Reuchlinhaus e nel Lehmbruck-Museum, in quest'ultimo soprattutto grazie alle pareti concave e convesse, che trasmettono all'esterno la forza delle statue che il museo ospita.

L'adesione ai principi della “buona forma” dettati dalla psicologia della Gestalt permette di evitare un inutile dispendio di energie psicofisiche, che può portare all'insensibilità nei confronti dell'esperienza dello spazio e di ciò che è in esso contenuto.253

251M. Lehmbruck, op. cit., p. 41.

252Citazione dal testo di una conferenza dal titolo Entwicklung des Museumsbau in den letzten Jahren, di cui non si è riusciti a stabilire la datazione. (Nachlaß-Archiv, Karlsruhe)

253Per questo motivo la psicologia della Gestalt diventa così importante nei musei, come Manfred illustrò chiaramente nel testo Museum and Architecture. Se il soggetto percepisce un certo squilibrio, il suo cervello andrà automaticamente, anche se inconsciamente, alla ricerca dell'unità gestaltica. Questo provoca un disagio che appesantisce la capacità percettiva del visitatore, affievolendo il suo interesse verso l'opera. Per scongiurare questa situazione di disagio, dovrà anche essere garantito un costante senso di orientamento all'interno del museo, che, assieme ad una chiara percezione dello spazio, permette che l'attenzione non sia distolta dal bene in mostra. In tal senso sarà utile anche

L'effetto delle forme sulla psiche umana si compie sulla base di determinate leggi, indagate appunto dalla Gestaltpsychologie, che diventano di fondamentale importanza per la configurazione dello spazio. Innanzitutto la tendenza fondamentale della percezione ottica è la conservazione dell'equilibrio biologico.

«Ogni linea, ogni forma, ogni colore ha un determinato peso e una determinata tendenza nella struttura visiva latente dell'occhio verso una situazione di equilibrio, di misura e di posizione. Le architetture che sono in questo senso in equilibrio, danno l'impressione della propria validità, poiché a livello ottico non è più necessario alcun cambiamento. Al contrario composizioni differenziate, danno l'effetto di essere transitorie, casuali e perciò non “valide”.»254

E' anche vero tuttavia che poiché – sempre secondo la psicologia della Gestalt – l'occhio vuole realizzare l'equilibrio tramite le proprie capacità creatrici e cerca perciò il contrasto nel campo visivo, paradossalmente tale equilibrio può essere espresso formalmente solo attraverso uno squilibrio. Da qui deriva il principio della tensione gestaltica. E per questo la simmetria psicofisica non può essere confusa con la simmetria e l'assialità architettonica.

La percezione visiva va alla ricerca della “buona Gestalt”, rappresentata dalla più semplice organizzazione possibile dei componenti del campo (visivo). L'occhio cerca di ridurre ad ordine le infinite rappresentazioni che popolano il reale, di ricondurle ad una struttura geometrica governata da similitudini, ripetizioni e parallelismi. L'occhio lavora - ancora in maniera simile alla tecnica - secondo una legge di economia ed è proprio per questo che le forme semplici e regolari risultano più “pesanti” di quelle irregolari: le ripetizioni sono ridondanti e la simmetria deve essere un risultato percettivo non un geometrico punto di partenza. Più semplificate sono le parti, più sarà infatti difficile riconoscerle come elementi indipendenti. L'occhio può essere piuttosto aiutato se gli si fornisce una configurazione il cui principio di

garantire il benessere fisico del fruitore, al fine di creare le migliori premesse per un buon approccio all'opera. Gli ambienti dovranno quindi avere delle caratteristiche termo-igrometriche ottimali. (cfr. più avanti e anche paragrafo 3.1.)

organizzazione formale – e non la forma in sé – sia chiaramente espresso.

Robin Evans, nel noto saggio Mies Van der Rohe’s Paradoxical Symmetries255, nota come nel Padiglione di Barcellona di Mies sia presente un ordine di simmetria non relativo alla pianta, bensì alla linea dell'orizzonte, una simmetria quindi non geometrica quanto piuttosto percettiva. Sembra nuovamente che Lehmbruck non si distanzi troppo dal modello del Maestro, questa volta non attinto a livello concettuale, ma piuttosto tramite una più inconscia suggestione. La spazialità fluida e dinamica del padiglione si riflette nel percorso che porta ad esperirlo, fatto di continui e repentini cambiamenti di rotta e di visuale. Questo dinamismo si traduce nei musei di Lehmbruck invece più nell'organizzazione delle parti – come nel Bauhaus di Gropius – che spesso si affida alla configurazione a “ruota di mulino a vento” (come la definisce lo stesso autore nei suoi scritti e nelle sue conferenze) dei vari corpi edilizi.256 E' evidente che questo tipo di equilibrio necessita comunque di una struttura sovraordinata che governi le sue singole parti, poiché la logica visuale cerca e tende verso un tutto unificante e onnicomprensivo.

Lehmbruck chiude il testo della conferenza Formenpluralismus und Wertmaßstäbe in der

Architektur analizzando un ultimo strumento tramite cui valutare una forma

architettonica, quello della semantica. Ogni forma “parla”, trasmette un contenuto e un significato, funziona da tramite tra soggetto e oggetto. La semantica analizza questo linguaggio ancorando la forma architettonica nel compito, nell'epoca e nell'ambiente circostante.

Di nuovo non possono non affiorarci alla memoria le parole di Mies che definiva l'architettura come manifestazione della volontà dell'epoca e proclamava nel secondo numero della rivista «G»: «Non esiste alcuna forma in sé. L'effettiva pienezza della forma è condizionata e strettamente legata ai propri compiti: sì, è l'espressione più elementare della loro soluzione.»257

255R. Evans, Mies Van der Rohe’s Paradoxical Symmetries, in «AA Files – Annals of the Architectural Association School of Architecture», n.19, 1990, pp. 8-19.

256In particolare nel Lehmbruck-Museum, Manfred mise in gioco il principio della tensione gestaltica con l'utilizzo di linguaggi architettonici assai distinti per i tre padiglioni previsti. (Cfr. in seguito). 257L. Mies van der Rohe, Bauen, in «G», n. 2, 1923, p.1.

Il legame con l'ambiente circostante è rappresentato dalla tendenza della (buona) forma architettonica ad entrare in risonanza con le circostanze storiche e sociali e con lo Zeitgeist, tanto quanto con il milieu fisico. Se tuttavia questi vari ambienti non sono chiaramente determinati, non ci sono cioè idee portanti o strutture ordinate che li definiscono, è difficile per la forma architettonica poter rispondere ad un mondo di suggestioni di cui non si riconosce la chiave di lettura. In questo senso al pluralismo di contenuti – precipuo del periodo in cui Manfred scrive questo testo – corrisponde un pluralismo “casuale” di forme. E' necessario quindi:

«gettare una rete a maglie larghe di grande capacità. Il potere ordinatore della struttura generale deve essere così forte, che le singole e diversificate forme possano essere tenute assieme e contemporaneamente deve essere così neutrale, che le singole parti possano conservare una certa indipendenza. […] Più differenziato è il compito a causa della pluralità di contenuti, più possibilità il sistema formale deve offrire alla configurazione delle singole parti; più numerose sono le pretese in merito alla differenziazione e alla capacità [del sistema] più precisa deve essere la sostanza spirituale della forma iconica.[...] ogni singolo elemento è “caricato” di un valore semantico – se così si può dire – e si unisce agli altri elementi solo formando una determinata costellazione.»258

Certamente queste parole si adattano bene al compito edilizio del museo, che deve mettere a disposizione vari contenuti. Questo principio si rispecchia tanto nel

Reuchlinhaus259, quanto nel Lehmbruck-Museum. In quest'ultimo è proprio la necessaria differenziazione degli spazi determinata da due ben distinte esigenze “percettive”, a dettare le regole e le scelte della propria janusköpfig (simile alla testa di Giano) configurazione.

«Ogni atto creativo è il tentativo di fondere assieme in una nuova unità poli che sono

258M. Lehmbruck, op. cit., p. 47. 259Cfr. paragrafo 3.1.

in apparenza non coniugabili»260, questa è la conclusione della lezione di Manfred Lehmbruck del 1968, lo stesso anno in cui fu inaugurato il Federsee-Museum, quattro anni dopo l'apertura del Lehmbruck-Museum e sei dopo quella del Reuchlinhaus. E' quindi palese come il testo di questa conferenza rappresenta la rielaborazione teorica dei principi che avevano guidato l'ideazione e la realizzazione dei suoi musei, che

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