La collezione del Wilhelm-Lehmbruck-Museum è costituita principalmente dalle sculture di Wilhelm Lehmbruck e da quelle di altri artisti tedeschi e internazionali del XX secolo.298
Al momento della sua inaugurazione nel 1964, il museo ospitava 165 opere del noto scultore di proprietà del museo stesso. In aggiunta ad esse era in mostra anche il
Nachlaß (lascito), di proprietà della vedova Anita e concesso in prestito permanente al
museo.299
Anita divenne l'amministratrice del lascito dell'artista al momento della sua morte, nel 1919. Il Nachlaß era costituito dall'insieme delle opere autentiche di Lehmbruck, ovvero tutto ciò che in quella data si trovava nei suoi atelier di Zurigo e di Berlino e le opere in mostra – ma di proprietà dello scultore - sparse in varie gallerie ed esposizioni europee.300
Ad oggi l'esatta costituzione del lascito è immersa in una nebbia di riproduzioni autorizzate dalla vedova e dai suoi figli nel corso del tempo. Una nebbia, questa, favorita dai Lehmbruck che si sono da sempre sottratti dal fornire esatte indicazioni sulle opere e hanno nascosto la differenza tra “vecchio” e “nuovo”.301
298Oltre alle opere di Lehmbruck, sono presenti sculture di Ernst Barlach, Franz Marc, Käthe Kollwitz, Ludwig Kasper, Eberhard Bosslet, Joseph Beuys, Hermann Blumenthal, Alexander Archipenko, Raymond Duchamp-Villon, Henri Laurens, Jacques Lipchitz, Alexander Rodtschenko, Laszlo Péri, Naum Gabo, Antoine Pevsner, Pablo Picasso, Salvator Dalì, Max Ernst. Il museo ospita anche dipinti di Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Karl Schmidt-Rottluff, Max Pechstein, Otto Müller, August Macke, Alexej von Jawlensky, Oskar Kokoshka, Emil Nolde, Heinrich Campendonk, Christian Rohlfs, Johannes Molzahn.
299Il Nachlaß era costituito da 33 sculture, 18 dipinti, 11 pastelli, 819 disegni, 260 opere di grafica. Sino al 2008 le opere erano concesse in prestito da parte della famiglia Lehmbruck al Wilhelm-Lehmbruck- Museum. In quell'anno sono state vendute alla Stiftung Wilhelm-Lehmbruck-Museum (Fondazione Wilhelm-Lehmbruck-Museum) per 20 milioni di euro.
300Prima della morte dello scultore, la moglie Anita e i tre figli vivevano a Zurigo, mentre Wilhelm risiedeva principalmente a Berlino.
301Cfr. D. Schubert, Wilhelm Lehmbruck –Catalogue raisonné der Skulpturen (1898–1919), Wernersche
Verlagsgesellschaft, Worms 2011, p. 107 e segg. Schubert, uno dei più attenti studiosi di Lehmbruck, è
stato il primo a confrontarsi “scientificamente” con il tentativo di redigere un esaustivo catalogo delle opere dello scultore, cercando di indagare non solo sull'autenticità dei vari pezzi, ma anche su una loro possibile datazione. Il suo studio si basa innanzitutto su una differenziazione tra le opere realizzate nel corso della vita di Lehmbruck e quelle invece riprodotte in seguito. Si dipana poi nella direzione di una ricostruzione accurata della storia dei vari pezzi. Cfr. D. Schubert, Die Kunst Lehmbruck,
La vedova, poco dopo la morte del marito, iniziò a riprodurre le sculture e nei casi in cui non era in possesso dello stampo si adoperò per eseguire dei calchi in gesso che potessero essere utilizzati per ulteriori esemplari. Questa operazione comportò la realizzazione di versioni in bronzo (soprattutto a partire dal 1952) delle grandi figure come la Stehende (1910), la Kniende (1911) o la Sinnende (1913) e si estese anche ai pezzi di media o piccola taglia.302
Certo l'attività di Anita permise sin da subito la diffusione e la presenza dell'opera di Lehmbruck in praticamente tutte le più grandi esposizioni e le gallerie del tempo303, ma comportò anche una «Verwässerung» (annacquamento) della stessa che risultava evidente agli addetti ai lavori già negli anni quaranta del secolo scorso.304
Non è scontato comprendere a fondo i «motivi di principio» - così si esprimeva Guido Lehmbruck in una lettera del 1969 – per cui la famiglia Lehmbruck non si mostrava disponibile a fornire indicazioni esatte sulla datazione dei vari pezzi, e non solo quelli di sua proprietà.305
Certo la citata nebbia sull'esatta composizione del lascito nel 1919 permise agli eredi di andare a coprire le lacune in esso esistenti con le riproduzioni, lacune aggravate anche dal danneggiamento delle opere nel corso del tempo, nonché dalla loro distruzione o perdita durante il nazionalsocialismo e la guerra.
Wernersche Verlagsgesellschaft Worms/Verlag der Kunst, Dresden 1990.
302Schubert depreca la presenza in gran quantità di bronzi scuri nel Wilhelm-Lehmbruck-Museum. Non era questo infatti il materiale favorito da Lehmbruck, che comunque lo utilizzava in differenti tonalità. Lo storico dell'arte indica invece la mostra realizzata alla G. Marks Haus di Bremen nel 2000 – ove si trovavano nel medesimo spazio Torsi in bronzo di tre tonalità distinte e l' Hagener Torso in versioni di quattro materiali diversi – come un «meraviglioso spazio di genuino Lehmbruck». In D. Schubert, Wilhelm Lehmbruck – Catalogue raisonné der Skulpturen (1898–1919), op. cit., p. 117.
303Alfred Flechtheim espose nel corso degli anni venti per lo meno otto volte i lavori di Lehmbruck nelle sue gallerie di Berlino e di Düsseldorf, ma essi erano anche presenti presso Schaller a Stoccarda, Goltz e Franke a Monaco e nelle principali gallerie berlinesi. Opere di Lehmbruck furono presentate alla Biennale di Venezia del 1922, nel 1926 alla Internationale Kunstausstelung di Dresda, ancora alla
Biennale nel 1928 e al Moma di New York nel 1930 con la mostra Wilhelm Lehmbruck, Aristide Maillol. Sculpture. E ancora in moltissime altre sedi. Per non contare le opere presenti nei musei delle
città tedesche: oltre Duisburg, Francoforte, Halle, Mannheim, Dresda, Berlino (Berliner
Nationalgalerie), Bremen, Chemnitz, Erfurt, Darmstadt, Lubecca, Amburgo, Leipzig, Düsseldorf,
Colonia. Cfr. M. Rudloff, D. Schubert (a cura di), Wilhelm Lehmbruck, Gerhard Marcks-Stiftung Verlag, Bremen 2000, pp. 187-189.
304Cfr. lettera del gallerista berlinese Ferdinand Möller ad Anita Lehmbruck del 23 luglio 1947, cit. in D. Schubert, Wilhelm Lehmbruck –Catalogue raisonné der Skulpturen (1898–1919), op. cit., pp. 113-114.
305Lettera di Guido Lehmbruck a Hilde Kaufmann dell'11 maggio 1969. La lettera è in risposta ad una precedente della donna che chiedeva informazioni sulla datazione di un'opera di Lehmbruck – Büste
der Kniende – in suo possesso. Cit. in D. Schubert, Wilhelm Lehmbruck – Catalogue raisonné der Skulpturen (1898–1919), op. cit., p. 120.
Che fossero solamente motivazioni “etiche” o legate alla coraggiosa e orgogliosa volontà di preservare per i posteri l'opera del marito/padre quelle che spinsero i Lehmbruck ad un tale atteggiamento? Sicuramente Anita si trovò in una difficile situazione nel 1919 ed il lascito era tutto ciò che di prezioso le rimaneva per poter garantire la sussistenza a sé e ai suoi figli. Anche le svariate e documentate trattative tra la donna e la città di Duisburg nel corso degli anni testimoniano chiaramente che i suoi passi non erano mai avventatamente dettati da ragioni sentimentali, ma piuttosto da un preciso calcolo dei possibili guadagni.306
Il romantico ritratto che Hoff tratteggiò - nella pubblicazione edita in occasione dell'inaugurazione del Wilhelm-Lehmbruck-Museum - di questa donna coraggiosa e fedele alla memoria del marito, che lottò con tutte le forze assieme ai figli per rimettere insieme e proteggere il Nachlaß contribuì peraltro ad alimentare il mito di Lehmbruck e dei Lehmbruck e lo fece in maniera così convincente da mantenerlo vivo fino ai nostri giorni.307
Ciò premesso, è innegabile come lodabile l'impegno dimostrato da Anita nella raccolta delle opere del marito dopo il 1919. La vedova - e amministratrice - si adoperò da subito per rimettere insieme il lascito, sparso tra la Svizzera, Berlino, Monaco, Dresda, Hannover, Amburgo... La situazione politica e la crescente inflazione portarono nel 1924 Anita e i tre figli a trasferirsi nuovamente in Germania, a Monaco. In questo periodo presero avvio i rapporti della famiglia Lehmbruck con la città di Duisburg e più precisamente con August Hoff, l'allora direttore del Kunstmuseum, che portarono il lascito di Lehmbruck più volte nella sua città natale, ospitato in occasione di svariate esposizioni a lui dedicate e poi al suo stabile prestito al museo della città, concesso da Anita nel 1925.308
Nel 1933/34 - gli anni di passaggio verso il totalitarismo del dominio nazionalsocialista – Lehmbruck fu valutato in maniera controversa, sorte che lo
306Cfr. paragrafo 1.1.
307A. Hoff, Frau Anita Lehmbruck zum Gedächtnis, in Whilhelm-Lehmbruck-Museum • Duisburg, Carl Lange Verlag, Duisburg 1964, pp. 59-61.
accomunò anche ad altri artisti del Moderno. Dal momento che non era più in vita – come Franz Marc – la sua arte poteva essere annoverata come “storica”. Così nel luglio del 1933 alcune delle sue opere erano in mostra nella galleria berlinese di Ferdinand Möller in 30 deutsche Künstler (30 artisti tedeschi), un evento organizzato su iniziativa dell'ala “moderata” del partito nazionalsocialista.309 In particolare a Duisburg ed Essen l'arte di Lehmbruck fu accolta dal partito tanto che nel 1934 la città di Duisburg pose una targa sulla sua casa natale.310 Le sue opere erano presenti in numerose importanti gallerie, come nella galleria Vömel di Düsseldorf, nella galleria Buchholz di Berlino e sempre in questa città nella galleria Nierendorf, che nel 1936 (aprile-settembre) organizzò in sua memoria una personale decisamente acclamata dalla stampa: Wilhelm era celebrato come un vero artista “tedesco”. Opere di Lehmbruck – tra cui la Kniende - erano anche presenti dal 1933 al piano superiore del
Kronprinzen-Palais di Berlino, in cui nel 1919 era stata allestita una sezione di arte
moderna della Berliner Nationalgalerie.
Nelle recensioni dei primi anni del regime nazionalsocialista i critici guardavano all'arte di Lehmbruck come espressione di un conflitto tra classico e gotico, tra settentrione e meridione, conflitto questo che era il principale responsabile della tensione spirituale presente nelle sue sculture. Esse nella loro «volontaria liberazione dalle forme naturali» erano tuttavia interpretate come “classiche”. Dalle esposizioni dell'epoca erano infatti naturalmente escluse le controverse e più tarde creazioni dell'artista – ovvero la maggior parte di quelle post 1911.
Questo parziale successo di Lehmbruck si rispecchiò anche nelle pubblicazioni di settore del tempo, l'artista era infatti trattato nel testo sulla scultura contemporanea di Max Osborn poi edito da Alfred Hentzen311 e nel 1936 August Hoff poté pubblicare la seconda edizione della sua monografia.312
Ma nell'autunno del 1936 il clima politico-culturale si inasprì sotto l'influenza di Alfred Rosenberg.313 Un primo e chiaro segnale che l'arte di Lehmbruck non poteva
309Cfr. M. Rudloff, D. Schubert (a cura di), op. cit., pp. 189. 310Cfr. paragrafo 1.1.
311A. Hentzen, Deutsche Bildhauer der Gegenwart, Berlin 1934. Cfr. M. Rudloff, D. Schubert (a cura di), op. cit., pp. 191.
312Cfr. paragrafo 1.1.
313Alfred Rosenberg (1893-1946) fu un politico e un filosofo tedesco. Egli fu membro del Partito Nazionalsocialista, nonché uno dei suoi massimi ideologi. Nel 1934 Hitler lo nominò Beauftragter
essere più a lungo tollerata dalla linea ufficiale del partito fu l'allontanamento di due sue sculture dall'esposizione Berliner Bildhauer – Von Schlüter bis zur Gegenwart, organizzata per il 150 anni della Berliner Akademie der Künste. Oltre a Lehmbruck erano rappresentati tra altri anche Barlach, Belling, Kasper, Kollwitz, Kolbe e Seitz. La mostra, patrocinata da Hermann Göring314, aprì i battenti con due settimane di ritardo il 5 novembre 1936, dopo che il Ministro dell'Educazione Bernhard Rust aveva provveduto a far allontanare tutte le opere di Barlach e Kollwitz e alcune di Lehmbruck.315
Nella stampa del tempo l'arte di Lehmbruck iniziò ad essere interpretata come una «stella cometa» che nel suo «sviluppo funesto» era tragicamente naufragata nell'errore, in riferimento al cambiamento di linguaggio intercorso tra le “giovani” e le “tarde” opere, le prime delle quali, di stampo classicheggiante, continuavano ad esser tollerate.316 Così nel corso dell'operazione Entartete Kunst (arte degenerata) alcune sculture di Lehmbruck furono dichiarate “degenerate” e confiscate dalle gallerie e dai musei, mentre altre vi rimasero indisturbate.317 I due bronzi di proprietà della città di Duisburg, grazie al direttore del museo Griebitzsch non furono confiscati e la Kniende poté rimanere così esposta nel giardino del museo sulla Königstraße.318 Nella mostra di Monaco sull'arte degenerata319 era presente una versione lapidea della
Kniende – proveniente dal lascito di Lehmbruck – che fu sostituita nell'agosto dello
stesso anno a causa di gravi danneggiamenti da un esemplare Sitzender Jünglich – proveniente dalla Kunsthalle di Mannheim e oggi alla National Gallery di Washington.
des Führers für die Überwachung der gesamten geistigen und weltanschaulichen Schulung und Erziehung der Partei und gleichgeschalteten Verbände (Plenipotenziario del Führer per la Agenzia
della Supervisione di tutti gli intellettuali e per l'insegnamento ideologico nel partito nazista NSDAP). Dopo la guerra Rosenberg fu uno dei principali imputati del Processo di Norimberga.
314Hermann Göring (1893-1946) fu il “numero due” del Terzo Reich e ricoprì varie cariche tra cui quella di Ministro dell'Aviazione e Feldmaresciallo. Nel 1939 creò l'Ufficio Centrale per l'Emigrazione Ebraica.
315Cfr. M. Rudloff, D. Schubert (a cura di), op. cit., pp. 191. Originariamente dovevano essere presentate quattro opere di Lehmbruck: il torso della Stehende Frau (1910), Drei Frauen (1911), la Sinnende (1913/1914) e la Badende (1914). Rust fece allontanare Drei Frauen e la Sinnende.
316In G. Hermann, Die Plastik im neuen Deutschland, in «Welt Und Haus», 27 gennaio 1938, cit. in M. Rudloff, D. Schubert (a cura di), op. cit., pp. 191.
317Furono confiscate opere di Lehmbruck dai musei di Breslau, Erfurt, Leipzig, Stuttgart, Berlino, Dresda e Mannheim. Cfr. D. Schubert, Wilhelm Lehmbruck – Catalogue raisonné der Skulpturen (1898–1919), op. cit., p. 131.
318Cfr. paragrafo 1.1. 319Cfr. paragrafo 1.1.
Nella seconda stazione della mostra presentata a Berlino non erano più presenti opere di Lehmbruck.320
Dal museo di Duisburg – in cui Anita spesso cambiava e sostituiva le opere in prestito - furono confiscate 6 sculture e 8 pitture ad olio provenienti dal lascito.
Anita intentò un'acerrima battaglia per la proprietà delle opere del marito, inviando al Ministero della Propaganda numerose lettere. Nel 1940 il Ministero le comunicò infine che per una certa clausola la proprietà delle opere poteva esserle restituita, ma lei avrebbe dovuto firmare un documento, che la obbligava a non mostrare le opere in pubblico e a non occuparsi di politica artistico-culturale.
Anita considerò tali condizioni come un'ammissione della „degeneratezza“ dell'arte di Lehmbruck e si rifiutò di sottoscrivere l'accordo. Questa decisione la portò a discutere molto con i figli. Ma dopo alcune settimane il Ministero della Propaganda svincolò comunque le opere di proprietà della donna e il lascito le fu in gran parte restituito.321
Giocò un importante e prezioso ruolo per la sopravvivenza delle opere di Lehmbruck durante il nazionalsocialismo il mercante d'arte Karl Buchholz. Nell'autunno del 1938 infatti il Ministero della Propaganda aveva ingaggiato alcuni mercanti d'arte e galleristi – tra cui, oltre Buchholz, Bernhard Böhmer e Ferdinand Möller – per vendere all'estero le opere “degenerate” depositate in due magazzini berlinesi. Già all'inizio del 1939 il Ministero ordinò che i pezzi che non avevano trovato acquirenti dovevano essere distrutti, per questo l'attività di questi personaggi può essere a posteriori considerata effettivamente come un'azione di salvataggio di tali opere. Buchholz smerciò molti pezzi di Lehmbruck in America, dove aveva contatti con un
noto gallerista tedesco attivo a New York. Tramite alcuni stratagemmi gli riuscì inoltre trarre in salvo molte opere che non avevamo trovato acquirenti, come la
Kniende e il Sitzender Jünglich di Duisburg, che non erano stati confiscati, ma si era
deciso tuttavia per la loro fusione nel 1940.322
320Cfr. D. Schubert, Wilhelm Lehmbruck – Catalogue raisonné der Skulpturen (1898–1919), op. cit., p.
129.
321Anita all'epoca abitava a Berlino. 322Cfr. paragrafo 1.1.
Con la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del nazismo, l'opera di Lehmbruck e degli altri artisti “degenerati” poteva finalmente essere riscattata.
La famiglia Lehmbruck si trovò di nuovo a disporre liberamente del lascito di Wilhelm. Nel 1947 i figli Guido e Manfred con l'aiuto del governo militare francese e del Prof. Carlo Schmidt – l'allora governatore del Land Wüttemberg-Hohenzollern - riuscirono a trasferire il lascito da Berlino a Stoccarda. A quel tempo Manfred si trovava in Svizzera, nascosto – poiché privo di un visto ufficiale – presso l'abitazione dell'amico architetto Gustav von Tobel. Con l'aiuto di un funzionario della dogana svizzero, ritornò per quattro mesi circa in Germania, dove con del denaro prestato da Gustav si adoperò insieme al fratello Guido per mettere al sicuro la collezione.
Anita e Guido abitarono prima a Rottemburg e poi a Tübingen, dove il 20 giugno 1948 ebbe luogo la prima grande esposizione delle opere di Lehmbruck del dopoguerra, che si spostò poi in Svizzera, alla Kunsthalle di Bern e nel 1949 a Mannheim ed in altri luoghi.323
Dopo anni di trattative il Nachlaß fu concesso in prestito permanente alla città di Duisburg e poi ubicato nel nuovo Wilhelm-Lehmbruck-Museum progettato dal figlio Manfred.
Le difficoltà intraprese nel corso del tempo per rimette insieme e preservare il lascito del marito, potrebbero stupire se si pensa che Wilhelm al momento in cui si tolse la vita abitava nel suo atelier di Berlino assieme all'amante, l'attrice Elisabeth Bergner, mentre la moglie viveva a Zurigo con i tre figli, Ollo, Manfred e Guido.
Certamente per la famiglia Lehmbruck il lascito dell'artista rappresentava qualcosa in più di un insieme di opere d'arte. Innanzitutto era l'unico bene lasciato da Wilhelm che rappresentasse una fonte di introiti per la famiglia. Simboleggiava tuttavia anche l'unico e ultimo legame con un marito e un padre molto assente, che in certi anni costrinse i suoi cari a delle condizioni di vita non agevoli e che poi li abbandonò definitivamente con la sua morte. L'impegno volto alla ricostituzione e alla riabilitazione della collezione - dichiarata “degenerata” nel 1937 - fu una sorta di
323Cfr. A. Hoff, op. cit., pp. 60-61 e D. Schubert, Wilhelm Lehmbruck – Catalogue raisonné der Skulpturen (1898–1919), op. cit., p. 140.
operazione catartica che permise a Anita e ai figli di riunire a sé Wilhelm, di “riabilitarlo” anche come marito e padre.
Manfred quando perse il padre aveva appena sei anni. Egli cercò nel corso della sua vita di rielaborare in vario modo questa perdita, anche attraverso la scrittura, come è testimoniato anche da un articolo pubblicato sulla rivista Kunst der Nation nel 1933 e poi parzialmente nello stesso anno sul Berliner Tageblatt.324 Nel testo Manfred raccontava dell'infanzia passata con il padre, dei suoi primi anni di vita trascorsi nel suo atelier parigino. E poi chiudeva affermando che era proprio la sua opera il mezzo più potente che lo connetteva con il suo ricordo, con la sua essenza. Quell'opera nella vista e contemplazione della quale egli era cresciuto. «La consapevolezza che le creazioni di mio padre erano strettamente legate alla mia famiglia, fu per me la più bella eredità che egli mi potesse lasciare».325
L'anno successivo Manfred scrisse per la Deutsche Allgemeine Zeitung un altro testo, che però non fu mai pubblicato.326 In questo scritto emerge con evidenza la percezione che Manfred aveva dell'opera paterna.
«[...] le forme che mio padre creava, vivevano e parlavano di sé e del suo creatore. […] Non c'era una motivazione o uno specifico concetto alla base delle sue opere, esse scaturivano semplicemente dalla vita. [...] L'opera d'arte sta lì, silente e indipendente. E il contatto con essa mi trasmette la sua forza. L'opera di mio padre è un simbolo di forza in questo tempo di distruzione. Porta con sé ancora le tracce della battaglia, delle sofferenze a sé connesse. […] la sua morte non gli ha permesso di superare certe difficoltà, ma tramite le sue opere si sono liberate delle energie, che sono giunte sino a noi e ci permettono di superare creativamente le tensioni del nostro tempo».
324M. Lehmbruck, Lehmbruck als Vater, in «Berliner Tageblatt», 18 dicembre 1933. Il testo fu poi ripubblicato nel 1961 sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung in occasione degli 80 anni dalla nascita di Wilhelm. (M. Lehmbruck, Lehmbruck als Vater, in «Frankfurtere Allgemeine Zeitung», 4 gennaio 1961, p. 4. Cfr. S. Wagner, op. cit., p. 194.
325M. Lehmbruck, Lehmbruck als Vater, in «Berliner Tageblatt», 18 dicembre 1933.
326Il pezzo non fu pubblicato perché troppo lungo e troppo “filosofico” a parere della redazione della rivista. Cfr. lettera della Deutsche Allgemeine Zeitung a Manfred Lehmbruck del 16 marzo 1934, cit. in da S. Wagner, op. cit., p. 195 e reperita presso il Nachlaß-Archiv di Karlsruhe.
Ecco che anche Manfred cercò di «superare creativamente» i propri dolori e le proprie difficoltà. Studiò arte e architettura e ancora nel 1945 si definiva in un questionario redatto per il governo di occupazione degli alleati «architetto libero professionista e scultore».
Il documento in questione – di cui si è reperita una copia presso l'archivio familiare di Manfred – è nient'altro che il ben noto Fragebogen (questionario) che tutti i tedeschi furono costretti dagli alleati a compilare dopo la fine della guerra e la caduta del