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Nascondimento e libertà

Nel documento Scevà: Parasemiotiche (pagine 182-186)

Paralatria: il senso nascosto del sacro

6.5. Nascondimento e libertà

Un’analisi approfondita dei testi, dei riti, della liturgia, del calendario, e degli altri discorsi religiosi della comunità Kirishitan sarebbe necessaria per descrivere in maniera dettagliata questa dialettica di trasformazione e mantenimento. Qui non vi è spazio che per un solo esempio. Nelle isole di Goto, parte della Prefettura di Nagasaki, la vigilia di Natale, chiamata “Otaiya”, veniva celebrata secondo un rito trasmesso segretamente di ge- nerazione in generazione. Grazie alle testimonianze raccolte dagli storici e dagli antropologi presso gli ultimi Kakure Kirishitan28, il pasto pre–na- talizio prevedeva una presentazione dei cibi la cui struttura è evidenziata nella Figura 14, mentre la Figura 15 rappresenta una ricostruzione di tale desco rituale.

Non occorre molto acume per comprendere come gli elementi cardine dell’Eucaristia, il pane e il vino, siano stati sostituiti dal riso e dal sakè; più interessante è invece il posizionamento, nei due vassoi contigui, di una ciotola piena di pesce crudo da un lato e di una contenente pesce cotto dall’altra. Non è forse azzardato sostenere che, attraverso questo allesti- mento rituale del cibo, la comunità clandestina cercasse di trasmettere ai propri discendenti non solo gli elementi–cardine dell’Eucaristia, ma anche il suo senso profondo di sacra trasformazione attraverso la morte, senza dimenticare che la simbologia del pesce come animale cristico era forse passata anche in Giappone.

Uno studio comparato di maggiore respiro dovrebbe a questo punto evi- denziare punti di contatto e di divergenza fra queste retoriche del nascondi- mento in casi diversi di “religioni nascoste”. A parte le inevitabili differenze che, come si è detto, sono dovute alla natura stessa della religione occultata,

alla sua storia, al suo impianto ideologico, e soprattutto alle pratiche con le quali viene professata, tratti comuni si sviluppano secondo alcune direttrici che si possono riassumere come segue. In primo luogo, vi è un effetto semi- otico del nascondimento stesso; il desiderio di produrre segreto, in effetti, al di là del culto da nascondere, innesca caratteristiche enunciative simili, che essenzialmente consistono in un affievolirsi, sin quasi allo spegnimento, della salienza dei significanti; ciò è vero per i Kakure Kirishitan giapponesi come per le comunità ebraiche che, durante il Medio Evo e nella prima età moderna, conservarono segretamente la propria identità religiosa nella penisola iberica29. In secondo luogo, come si è visto, l’instaurazione di un meta–codice della segretezza conduce alla circolazione, nella semiosfera

29. Vedasi Wachtel 2013.

Figg. 14–15. Struttura e ricostruzione del pasto pre–natalizio presso la comunità Kakure Kirishitan delle isole di Goto. Nagasaki: Museo dei 26 Martiri; fotografia dell’autore.

VI. Parestesia: il senso nascosto della materia 183

religiosa di una comunità, di segni anfibolari, per la cui disambiguazione è necessario non solo un meta–codice, ma anche un posizionamento interno al circolo del segreto; solo chi vi è iniziato, infatti, può superare il velo delle apparenze grazie a piccole marche di disambiguazione, anch’esse nascoste. Tuttavia, l’esempio di Maria Kannon dimostra come tale strategia, pur cre- ando una separazione netta fra adepti e non adepti, fra coloro che condi- vidono i segni segreti della comunità religiosa perseguitata e gli outsider, in ultima istanza si basa sul fatto che, al di là delle differenze, le religioni comunque spesso si assomigliano quanto alle necessità antropologiche che tendono a soddisfare. L’espressione di una deità dall’afflato materno è pre- sente, per esempio, sia nel Buddhismo che nel Cristianesimo, ed è proprio questa comunanza a essere sfruttata, in caso di persecuzione, per nasconde- re il culto del secondo nelle pieghe di quello del primo.

Ciò deve però altresì condurre a una riflessione sulla presenza di una sca- la di difficoltà retorica della segretezza, dovuta proprio alle condizioni semi- otiche di partenza e a quelle di arrivo del progetto di nascondimento. Celare una religione ricca di segni e pratiche comunitarie come il Cattolicesimo all’interno di una religione che, al contrario, si astiene da ogni manifestazio- ne esteriore è sicuramente più arduo, perché richiede ai fedeli di spogliare la loro liturgia in modo radicale al fine da renderla assimilabile al nuovo contesto persecutorio; è tuttavia parimenti difficile, come dimostra la storia delle comunità ebraiche perseguitate nel mondo cattolico durante la prima modernità, effettuare il nascondimento opposto, in quanto richiede l’accet- tazione, nella comunità religiosa d’origine, di una serie di pratiche e riti che, letteralmente, non hanno alcun senso per la comunità religiosa clandestina.

In entrambi i casi, in ogni modo, accade alle religioni censurate quello che accade alle arti quando subiscono il giogo della repressione: in apparenza, esse si manifestano scaltre, e a volte estremamente creative, nel tentativo di perpe- tuarsi pur nel letto di Procuste della persecuzione. In ultima istanza, tuttavia, poiché questa creatività non è indirizzata al fine di conseguire la più trasparen- te delle enunciazioni spirituali, ossia quella che meglio si adatti all’impianto ideologico della religione, ma è invece completamente assorbita dal progetto di resistere nel segreto, i risultati finali della dialettica fra censura e immagi- nazione, anche nell’ambito religioso, non possono che essere impoverenti. È esclusivamente nella libertà, infatti, che fioriscono pienamente non solo le arti, ma anche i culti, decidendo in autonomia i gradi e i modi della propria trasparenza e opacità senza doverli tarare nel terrore della persecuzione.

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Capitolo VII

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