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Il ventre del linguaggio

Nel documento Scevà: Parasemiotiche (pagine 186-189)

Paralogia: il senso nascosto della voce

7.1. Il ventre del linguaggio

È utile, per iniziare a comprendere il vincolo fra volto e linguaggio nell’e- nunciazione, ragionare sui ventriloqui2. Essi mettono in scena una disloca-

1. Una prima versione di questo saggio è stata presentata come conferenza plenaria del XLVII Congresso dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici, Università di Siena, e sarà pubblicata negli atti a seguire; una versione in francese è in corso di pubblicazione all’interno di un Festschrift in onore di Jacques Fontanille.

2. Il ventriloquo nella Grecia antica era detto «engastrimita»; tale fu Euricle di Atene, pratican- te della gastromanzia, citato da Platone (Sofista, 252c) e Aristofane (Le vespe, 1017–1020); si legga in proposito Mastrangeli 2000; sulla storia dei ventriloqui in epoca moderna, si consulti Franklin, A., 1906, p. 725: « On nomme ainsi ceux qui ont l’art de modifier leur voix naturelle et de parler en re- muant à peine les lèvres. Tout porte à croire que les sybilles, les pythonisses et autres devineresses de l’antiquité n’étaient que d’habiles ventriloques. Toutefois, je ne vois, dans les temps modernes, aucune femme qui se soit distinguée en ce sens. Parmi les ventriloques, dont le souvenir a été con- servé, on peut citer un valet de chambre de François 1er, un sieur Constantin, qu’Etienne Pasquier avait connu ; Collet, dit l’Esprit de Montmartre, ainsi nommé, écrit Tallemant des Réaux, parce qu’il habitait Montmartre, et « qu’à cause d’une petite voix qu’il faisoit, il sembloit que ce fust un esprit qui parlast de bien loin, en l’air ; » l’auteur de la Poupée parlante, qui fit courir tout Paris en 1784 ; le comédien Lécluse ; Borel et Fitz-James, tous deux propriétaires d’un café au Palais-Royal, et qui excellèrent, sous le premier Empire, dans l’art stupide des mystifications. On crut pendant longtemps que ces bateleurs parlaient du ventre, ce qui les a fait désigner sous une foule de noms

zione abnorme dell’organo e del centro immaginario di produzione della voce; per questo divertono, anche nel senso etimologico che spostano l’attenzione, e per questo risultano anche inquietanti, Unheimlich. Il ven- triloquo sorprende perché ci si aspetterebbe che producesse i suoni del discorso da quella piccola cavità sita nella parte inferiore della faccia, la bocca, e che li ricevesse da quei ancor più minuscoli pertugi ai lati della testa, le orecchie; invece egli resta a bocca chiusa, le labbra frementi ma serrate, il volto come dimidiato fra lo sforzo corporeo di dar vita alla parola da un altrove innaturale e la simulazione di un’espressività che pur tuttavia questa parola accompagni, per quanto nella condizio- ne discentrata di un viso che si dà alla vista ma non all’udito, giacché a questo si rivolge una fonte sonora e dunque linguistica altra, che il volto sì punteggia con una mimica, ma nel senso di una pantomima, di una gestualità che non sgorga dall’interno, all’unisono con la voce, bensì che dall’esterno si affanna e di cui pertanto si percepisce lo sforzo di segna- re una parola altrui, un altro segreto che vive nello stesso corpo, e che però al contempo è irrimediabilmente altro, e lo è precisamente perché è una voce senza volto che serpeggia attorno a un volto senza voce, un io sonoro e linguistico di cui si sospetta un viso che purtuttavia non si vede, di cui si vede invece un viso che è pateticamente altrui, di cui si ode la voce bassa e roca nella prossimità ma non dall’interiorità, una voce che non restituisce un io perché non passa da un volto ma da un ventre, nemmeno da una pancia ma da un ventre, nemmeno da un orifizio al- tro, foss’anche sconcio, ma da un organo che l’immaginario concepisce come chiuso, avvolgente, rivolto su sé stesso, con pareti spesse ma pur sempre interne, un organo in cui s’immette ma che non emette, se non come scoria, residuo, impurità, per cui il rovesciamento del ventriloquo sta nell’esibire non soltanto il linguaggio del ventre ma anche il ventre del linguaggio, la sua parte lunare, infima, letteralmente intestina, ove la cultura dei cibi perde ogni dignità per diventare succo biologico, polpa

plus barbares les uns que les autres : engastriloques, engastrimandres, engastrimythes, engastro- mandres, gastriloques, sibilots, etc. » Il primo libro moderno sulla ventriloquia è probabilmente La Chapelle 1772; si consulti anche Flatau e Gutzmann 1894; sull’emergere della ventriloquia come metafora del rapporto fra creatività e linguaggio nell’ambito della critica letteraria soprattutto di epoca vittoriana, si legga Hodgson 1999; per una storia culturale della ventriloquia, Connor 2000; sulla ventriloquia come metafora della critica d’arte e letteraria, Goldblatt 2006; per un uso me- ta-testuale della ventriloquia, Davies 2012; sull’aspetto religioso, Schmidt 1998.

VII. Parestesia: il senso nascosto della materia 187

disgustosa, nutrimento nauseabondo della vita, anche di quella del cor- po esterno, bello, levigato, della testa e soprattutto del volto e ancor di più della bocca, fulcro del linguaggio nel volto, bocca che non a caso in molte culture s’immagina come vera valvola pineale, luogo in cui entra il soffio divino dell’esistenza, non nel cuore né nella mente né tantome- no nel ventre ma nella bocca, in cui non entra mai nutrimento, se non nell’abbrutimento animale, ma solo cibo, ovvero solo cultura, ovvero solo linguaggio, e da cui non esce altro che linguaggio, anche nel grido, anche nell’erutto, e non solo perché anche il grido e l’erutto rispondo- no a un senso comune, ma per il fatto stesso che la bocca si apre verso l’interno del corpo ma è rivolta perlomeno in potenza e dunque intrin- secamente a un altro, da cui l’impossibilità di una bocca non linguistica, di un volto non semiotico, mentre chi parla col ventre, o almeno così fa credere, recita una depravazione, ancor più grave della coprofagia, in quanto anche l’escremento che si vorrebbe screditasse la bocca in re- altà è da questa accreditato, nobilitato per il fatto stesso di assurgere a rango di cibo, per il semplice fatto di passare dal mondo alla bocca e non dall’ano al mondo; ma, peggio, coprologia, e non in quanto parlar d’escrementi, atto anch’esso nobilitante, ma parlare con gli escrementi o, ancor più in basso, presentare l’escremento come linguaggio o, infima possibilità, proporre il ventre e non il viso come sorgente del logos, non ciò che inerentemente si mostra ad altrui, ed è viso proprio per questo, ma ciò che ad altrui intrinsecamente si nasconde, e proprio per questo è inviso, è nemico, è ostile, non per quello che macera ma giustappunto perché è occulto, perché si nega alla visibilità, e dunque alla socialità, e quindi ipso facto annichilisce l’altro, sovverte l’alterità. La ventriloquia è divertente perché esorcizza l’immondo, nel senso del non mondano, l’idea di un io che si nega al mondo, e dunque all’altro, ripiegandosi su sé stesso, come un budello, per avvilirsi in io al tempo stesso solipsista e umiliato, trionfante nella sua muta solitudine e tuttavia incapace di esistere, di uscire fuori da sé attraverso il linguaggio, esistenza la cui po- tenzialità non è altro che volto, ovverosia essere rivolto all’essere altro da sé, esistenza per l’altro. Se il volto è luogo in cui nasce l’altro, e dun- que l’io per l’altro, in quanto io con l’altro, il ventre è aborto dell’altro, aborto dell’io, aborto del linguaggio, ripiegamento dell’essere nel nulla.

Nel documento Scevà: Parasemiotiche (pagine 186-189)