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La natura dell’insegnamento

Nel paragrafo precedente si è cercato di definire il significato dell’insegnare alla luce delle teorie che spiegano il fondamento generativo dei significati dell’agire. Il presupposto epistemologico su cui si è fondata la riflessione, è che l’insegnamento sia essenzialmente azione e, che in quanto tale, esso ricavi il suo significato sulla base dei presupposti che definiscono le connotazioni semantiche dell’agire.

In realtà, le posizioni illustrate nelle pagine precedenti hanno focalizzato aspetti dell’insegnare che ne denotano senz’altro le componenti di senso, ma che, tuttavia, esprimono soltanto ciò che esso condivide con altre forme di azione. In altre parole, tali posizioni non indicano quale sia la natura specifica dell’insegnamento, ovvero quali siano i segmenti di significato

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che lo caratterizzano in se stesso e che esso non condivide con altre forme di azione.

Secondo E. Damiano [cit], la specificità dell’agire docente è espressa con chiarezza nella dimensione etimologica del lemma insegnare, il quale, nella sua letteralità, significa esattamente mettere in segno.

L’attività dell’insegnare si definisce pertanto come una azione finalizzata a produrre segni ed è in questa prospettiva che essa identifica il suo quid.

A questo livello di articolazione, la definizione appare tuttavia troppo generica e necessità di ulteriori specificazioni.

Per comprendere le valenze didattiche di tale affermazione si rende infatti necessario chiarire in via preliminare che cosa sia un segno e quale funzione esso svolga nel processo conoscitivo.

In termini molto generali, possiamo definire segno qualunque oggetto che ricade sotto la percezione dei sensi (significante) e che è idoneo ad indicare un altro oggetto che non è presente nel contesto attuale (significato). Segni sono le parole (suoni vocalici che indicano oggetti) o le immagini (stimoli visivi che

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rinviano a cose). Per esempio, la parola “cane” o l’immagine di un cane sono tutti segni che servono per evocare l’animale in questione in contesti comunicativi in cui non vi sia traccia alcuna di esso.

In termini più specifici e più utili al nostro discorso si può allora dire che il segno è la ricostruzione di un oggetto reale, che mantiene i caratteri dell’oggetto originale, e che consente di trasferire tale oggetto in contesti nei quali esso è assente o nei quali, per qualche ragione, esso non può essere trasferito.

Nella società contemporanea, l’esigenza di qualificare l’intervento didattico come un’azione finalizzata alla costruzione di segni si giustifica in funzione della particolare struttura assunta dal sistema formativo. L’istituzione scolastica si qualifica infatti come uno spazio di intervento sostanzialmente separato dai contesti reali di vita. I processi di formazione non collocano lo studente a diretto contatto con l’oggetto di apprendimento, come avviene, invece, nelle società tradizionali, dove i contenuti da assumere vengono appresi direttamente in situazione, ovvero nella bottega dell’artigiano.

Per tali ragioni, gli allievi che partecipano alla vita scolastica non hanno la possibilità di fare esperienza diretta dei

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contenuti da apprendere, sia per le ragioni prima evidenziate, ma anche perché gli oggetti culturali che sono alla base dei processi di apprendimento rivelano un grado di complessità che non li rende immediatamente fruibili nel contesto spazio-temporale in cui si svolge l’azione didattica (l’aula scolastica).

Come già rilevato in precedenza, è proprio tale specifica articolazione del contesto didattico che rende ragione del bisogno di qualificare l’insegnamento come attività finalizzata alla costruzione di segni. La distanza esistente tra la scuola ed i contesti in cui ricorrono gli oggetti di apprendimento pone, infatti, l’esigenza di una attività di mediazione che sia in grado di trasportare quegli oggetti medesimi nel perimetro spazio-temporale in cui si svolge l’insegnamento, al fine di poterli rendere disponibili ai processi di apprendimento degli allievi.

L’insegnamento, in quanto attività finalizzata alla costruzione di segni, rappresenta, appunto, la dimensione processuale che opera tale intervento di mediazione. In termini più specifici, tale attività trova il suo focus nella costruzione dei cosiddetti analogati dell’oggetto culturale. Sotto tale profilo, essa comporta la trasformazione dell’oggetto di apprendimento in un analogato, ovvero in una copia ricostruita dell’oggetto

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reale che, tuttavia, conserva le caratteristiche dell’originale e che può essere agevolmente implementato nei contesti entro i quali si svolge l’insegnamento.

Il processo di mediazione garantito dalla presenza dell’analogato agevola i processi di apprendimento non soltanto per le ragioni pratiche prima evidenziate (rendere presente nel contesto didattico un oggetto che, per sua natura si colloca altrove), ma anche perché viene incontro a specifiche esigenze insite nel dinamismo che correla insegnamento e apprendimento.

L’analogato rende disponibile l’oggetto culturale ai processi di apprendimento anche perché esso conserva le medesime caratteristiche dell’oggetto reale, ma le ricostruisce entro un sistema di segni coerente con il livello di sviluppo mentale conseguito dall’allievo. In altre parole, esso mette in connessione il versante oggettivo dell’insegnamento (il contenuto da apprendere) con il versante soggettivo dell’apprendimento (la struttura mentale dell’allievo), operando sul primo tutta una serie di trasformazioni (ricostruzioni segniche) che lo rendono accessibile alle risorse conoscitive proprie del secondo.

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Il discorso svolto fino a questo punto riverbera conseguenze di fondamentale importanza sul modo di concepire l’azione docente, poiché mette in discussione l’assunto tipico della didattica tradizionale, per il quale conoscere una disciplina significa anche saperla insegnare.

La professionalità docente richiede, al contrario, una competenza che trascende in maniera decisa la sola conoscenza disciplinare, e che si ancora, invece, a presupposti epistemologici che la collocano nel punto di intersezione tra conoscenze disciplinari e conoscenze metodologiche. Le prime offrono senz’altro i contenuti sui quali deve costruirsi l’insegnamento e sicuramente trascurare questo aspetto (come pure fanno certi approcci formali, che mostrano uno sbilanciamento sovradimensionato sulle risorse mentali dell’allievo), significa privare l’azione didattica di una componente fondamentale della sua efficacia. Le seconde garantiscono invece l’efficace svolgimento dell’attività di mediazione, la quale non si pone come un correlato analitico (una conseguenza necessaria, automatica) della conoscenza disciplinare, ma richiede la formazione di abilità e di attitudini

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specifiche, non desumibili dei contenuti, ma idonee a trasformare questi ultimi in analogati.

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