Molti studiosi si sono dedicati alla relazione tra caratteristiche di personalità e suggestionabilità. Una prima questione, ampiamente discussa, ha riguardato l’ipotesi se la suggestionabilità potesse essere definita uno stato o un tratto dell’individuo. Eysenck, nel 1947, propose che la suggestionabilità fosse individuabile come un tratto dell’individuo. Tuttavia gli studi successivi, allargando l’attenzione anche al contesto, hanno portato numerosi ricercatori a valutare la suggestionabilità come una condizione in stretta connessione con il contesto in cui ha luogo. Alcuni studi hanno messo in luce che intelligenza, autostima, capacità mnestica e assertività, locus of control interno e capacità
di agire strategie di coping sono fattori psicologici che risultano correlati negativamente con la suggestionabilità (Gudjonsson, 2003).
Gisli Gudjonsson è uno dei più importanti studiosi di suggestione e ha condotto numerose ricerche tese ad analizzare come i soggetti reagiscono di fronte a situazioni e domande suggestive. Per poter studiare la suggestionabilità Gudjonsson (1984, 2003) costruì uno strumento per valutare la suscettibilità ad interrogatori coercitivi e che si basa su due diversi aspetti della suggestionabilità: cedimento (yielding) a domande suggestive e cambio di risposta (shifting) quando è applicato un interrogatorio pressante. Il test consiste nel presentare un racconto e nel chiedere di riportare tutto ciò che si ricorda della storia. Dopo la fase di rievocazione il soggetto viene sottoposto a 20 domande delle quali 15 suggestive (ed errate). Dopo aver risposto, alla persona viene detto che ha commesso un certo numero di errori (anche se non è vero); inoltre, in modo vigoroso, viene richiesto di rispondere nuovamente alle domande, con la raccomandazione di essere più accurato. Il cedimento si riferisce alla suscettibilità dell’intervistato alle domande suggestive; il cambio di risposta si riferisce al cambiamento in seguito all’interrogatorio pressante. La somma tra il numero di cambi e di cedimenti fornisce il punteggio totale ottenuto nella scala di suggestionabilità. 3.4. La memoria ricostruttiva
Molte persone ancora oggi credono che le memorie lavorino come un registratore. Ritenere informazioni è come registrarle e ricordarle è come premere un pulsante e tornare al momento dell'accaduto. Tuttavia, le memorie non lavorano in questo modo. È una caratteristica della memoria umana quella di non registrare e ritenere le informazioni esattamente nel modo in cui ci vengono presentate.
Le persone utilizzano degli schemi, cioè unità mentali di conoscenza che corrispondono alle persone che incontriamo, agli oggetti o alle situazioni. Ci permettono di dare senso a ciò che incontriamo in modo da poter capire cosa sta accadendo e cosa dovremmo fare in ogni situazione. Questi schemi possono essere determinati in parte da valori sociali e pregiudizi. Possono anche distorcere informazioni non familiari o inaccettabili in modo da farle rientrare all'interno delle nostre conoscenze preesistenti. Tutto ciò può ripercuotersi anche in una testimonianza, facendo si che questa risulti inaffidabile.
Sir Frederic Bartlett prese le mosse dalla natura ricostruttiva della memoria intorno al 1930. Introdusse il termine schema per riferirsi ai temi generali che ricaviamo dall'esperienza. Nel suo famoso studio “la guerra degli spettri”, mostrò che la memoria non funziona come un videoregistratore di ciò che accade, ma che le persone compiono degli sforzi per dare significato a ciò che accade. Egli fece leggere o ascoltare una storia tratta da una leggenda degli Indiani d'America chiamata appunto “La guerra degli spettri” e successivamente invitava le persone a ripetere a mente la solita storia. I soggetti tendevano sistematicamente a distorcere, aggiungere o togliere particolari in modo da rendere la storia meno strana e inusuale. Tutto questo è causato da un processo di convenzionalizzazione che avviene per l'interazione di diversi processi:
• l'omissione dei particolari culturalmente estranei;
• la tendenza a razionalizzare al massimo i passaggi logici attribuendo intenzioni culturalmente comprensibili;
• la trasformazione dei particolari minori.
Ciò che non può essere organizzato, perchè troppo difforme dal precedente patrimonio di esperienza e dalla forma culturale che lo caratterizza, è destinato a non essere tramandato. Di ripetizione in ripetizione, lo stimolo originale cambia forma: viene semplificato, ristrutturato, reso più prevedibile e sintetico, fino ad arrivare ad una specie di formato standard nel quale si stabilizza e può essere ulteriormente riprodotto nel futuro essendo divenuto ormai un'acquisizione della memoria a lungo termine. Questo per Bartlett è uno schema. E lo schema agisce in due modi: in modo costruttivo quando la memoria lascia cadere oppure sintetizza ciò che non è previsto dallo schema, in modo generativo quando vengono aggiunte sfumature e particolari al ricordo.
4. Testimonianze oculari: giovani e anziani
Da una notevole quantità di studi è emerso che l'età è una variabile importante nel determinare differenze sia qualitative che quantitative nelle descrizioni e quindi nelle testimonianze rilasciate da giovani e anziani. Persone di ogni età possono essere coinvolte nel sistema giudiziario criminale come testimoni, perciò è importante capire quali sono le limitazioni dovute all'età del testimone. Alcune ricerche dimostrano chiaramente che i
testimoni più anziani sono meno accurati nelle identificazioni rispetto ai giovani, mostrando anche una tendenza maggiore ai falsi allarmi (Memon, Gabbert, & Hope, 2004). Altri lavori hanno anche mostrato che gli adulti più anziani sono meno credibili dei più giovani (Allison, Brimacombe, Hunter, & Kadlec, 2006). Ma altre ricerche indagano anche l'impatto del misinformation effect nelle diverse età (Dodson & Krueger, 2006; Roediger & Geraci, 2007).
4.1. Differenze tra giovani adulti e adulti più anziani
Come è stato più volte sottolineato, i testimoni oculari giocano un ruolo chiave nei processi per crimini giudiziari, convincendo polizia, giuria e/o giudice riguardo alla colpevolezza o meno di un sospettato e, in occorrenza, al suo arresto. Sotto questa ottica, una persona normale che cammina per strada potrebbe avere una responsabilità fondamentale in un processo giudiziario: lei o lui deve offrire assistenza alla polizia dando informazioni che possano identificare un sospettato. A questo punto sorgono due importanti domande: quanto è accurata l'informazione? E ancora, quanto è credibile il testimone?
La credibilità è legata a molti fattori come la professione, l'educazione e caratteristiche personali come l'aspetto fisico, la razza, il sesso e l'età.
In uno studio di Yarmey e Johnson (1980) gli autori hanno scoperto che giovani adulti (dai venti ai ventinove anni) percepiscono le persone anziane come inefficaci, altamente manipolabili e disorganizzati nelle loro percezioni e nel loro decision-making. In più, è dimostrato che l'acuità visiva per entrambe le distanze e l'abilità di discriminare i colori (in particolare blu, verde e viola) è carente, soprattutto dopo i settant'anni (Wallace, 1956). L'attenzione per gli stimoli periferici, come per un cartello stradale durante la guida, è ridotta nelle persone dopo i cinquant'anni (Manstead & Lee, 1979). Similarmente, esistono differenze tra giovani e anziani anche nella ritenzione a breve termine di tracce in memoria (Craik, 1977). Queste ricerche quindi confermerebbero la tesi secondo la quale gli anziani sono spettatori poco attendibili.
Nel lavoro di Yarmey e Kent (1980), si voleva misurare l'efficacia del richiamo verbale e del riconoscimento facciale delle persone anziane relativamente a quello dei giovani, in una rapina simulata. In più, per testare le differenze di memoria, viene esaminato anche se i
soggetti più anziani sono indebitamente influenzati dagli stereotipi culturali di come un criminale “dovrebbe essere” fisicamente. Questi stereotipi poi possono essere generalizzati anche ad altre persone? Come all'apparente colpevolezza o innocenza relativa all'aspetto fisico della vittima? E può la memoria per l'aspetto dell'aggressore differire in funzione di ciò?
I risultati mostrano che i giovani testimoni erano significativamente migliori rispetto agli anziani nel richiamo di dettagli di un episodio criminale. Non sono state trovate differenze tra i due gruppi per il riconoscimento della vittima, dell'assalitore e di un amico della vittima presenti nella sequenza di immagini mostrate ai soggetti. Inoltre, l'identificazione dell'aggressore era influenzata da una complessa interazione tra l'apparente colpevolezza o innocenza dell'aspetto fisico sia dell'aggressore che della vittima, così come il sesso e l'età del testimone: i maschi più anziani e le giovani donne mostravano più attenzione quando l'assalitore sembrava colpevole, mentre questo non accadeva per i giovani maschi. Le donne più anziane invece, ricordavano meglio l'aggressore quando questo sembrava più innocente. E' risultato inoltre che gli anziani, in contrasto con i giovani, riducevano il loro lavoro cognitivo prestando attenzione principalmente ai dettagli principali dell'episodio, mentre gli eventi considerati concettualmente meno importanti erano selettivamente ignorati e non integrati al resto della scena.
Molte ricerche hanno quindi cercato di identificare quelle condizioni che possono portare i testimoni a compiere degli errori. La maggior parte della letteratura in questo ambito, tuttavia, si basa principalmente su studi condotti con giovani adulti (principalmente studenti universitari) e sui bambini lasciando un vuoto per quello che riguarda gli individui più anziani. In quelle poche che sono state condotte, è stato dimostrato che i giovani adulti sono significativamente superiori a quelli più anziani in una serie di competenze quali, ad esempio, l'efficacia del ricordo per il richiamo di caratteristiche di un colpevole e di dettagli riguardanti le azioni e gli eventi (Yarmey 2001).
Yarmey ha inoltre fatto una media dei risultati ottenuti da tre dei suoi più importanti studi (Yarmey 1982, Yarmey e Kent 1980, Yarmey et al. 1984) per esplorare ulteriormente le differenze legate all'età trovando che i giovani adulti (età media ventuno anni) erano il 20% in più accurati nel richiamo libero, il 13% in più accurati nel richiamo facilitato e il 15% in più completi nella loro descrizione dei sospetti rispetto agli adulti più anziani (età
media settant'anni). Altri studi hanno anche mostrato che i testimoni adulti più anziani forniscono meno descrizioni, sia fisiche che riguardanti l'abbigliamento, del sospetto, rispetto a quelli più giovani (Brimacombe, Quinton, Nance e Garrioch 1997).
L'età dei testimoni può anche essere correlata alla performance di memoria nelle situazioni di riconoscimento. Per esempio, i tipici studi di riconoscimento dei volti visti solo una volta prima dei test, mostrano che gli adulti più anziani (sessanta-ottant'anni) sono più portati a compiere falsi allarmi, sono quindi più portati a falsare il riconoscimento di volti che non hanno mai visto prima (Searcy, Bartlett, Memon 1999).
Secondo un altro studio del 2006 di Dodson e Krueger (Dodson, Krueger, 2006), adulti più anziani rispetto ai più giovani, tendevano maggiormente ad essere influenzati da informazioni fuorvianti quando erano assolutamente certi riguardo la correttezza della loro risposta. I più giovani invece erano più predisposti a compiere questi errori quando non lo erano. Questi errori riguardanti false memorie, rispecchiano la tendenza dei più anziani ad essere più predisposti nel confidare in queste, rispetto ai più giovani. Come detto in precedenza, ciò può essere dovuto alla difficoltà di ricollegare l’informazione alla fonte dalla quale questa proviene o dalla capacità di saperla usare correttamente. Sorge anche l’idea che, con l’avanzare dell’età, le persone mostrino un aumentata difficoltà a collegare ed associare diverse caratteristiche degli eventi. Ad esempio, Henkel et. al (1998) suggeriscono che adulti più anziani sono più portati a combinare erroneamente caratteristiche di un evento con altre di un altro evento ancora e, ciò contribuisce, a peggiorare la qualità del ricordo stesso.
4.2. Quattro importanti studi condotti dall'Università di Aberdeen, Scozia
Uno dei fattori responsabili dell'aumento di falsi allarmi relativi al riconoscimento facciale di volti mai visti prima, legato all'età, potrebbe essere dovuto al fatto che gli anziani si basano sulla familiarità come bias di risposta invece che sul ricordo del contesto nel quale il volto era stato precedentemente visto (Bartlett et. Al 1991; Searcy et al. 1999). Un accurato ricordo della fonte di informazione è fondamentale durante una testimonianza, in particolar modo quando un testimone è esposto ad un certo numero di foto segnaletiche durante un'indagine investigativa.
caso si è basò prevalentemente su prove fornite da testimoni oculari, ma solo uno degli otto testimoni aveva effettivamente compiuto un'identificazione positiva da una serie di foto. Questa identificazione però fu fornita solo un giorno dopo che lo stesso testimone avesse visto la foto del sospettato da una serie di foto segnaletiche. Ovviamente non possiamo essere certi se la testimonianza fosse accurata o meno ma le ricerche hanno dimostrato che l'esposizione al volto del presunto colpevole effettuata prima di una formale identificazione può effettivamente influenzare la probabilità di un'accurata identificazione. Gary Graham fu giustiziano nel giugno del 2000.
Questo effetto prende il nome di mug-shot exposure effect, cioè effetto esposizione alle foto segnaletiche. Ci sono due principali spiegazioni per questo effetto. La prima riguarda l'errore che può essere compiuto nel confondere la fonte di informazione, cioè che il volto risulti familiare perchè si è visto precedentemente in una serie di foto ed erroneamente viene ricollegato al crimine al quale il testimone ha assistito. La seconda invece riguarda il fatto che una volta che il testimone giunge ad una decisione riguardo l'identificazione e la esprime, può sentirsi in qualche modo vincolato a portarla avanti. Questo effetto di “vincolo” è stato proposto come uno dei più importanti fattori responsabili del mug-shot exposure effect.
Il primo studio condotto da questi ricercatori (Memon, Hope, Bartlett e Bull, 2003) va ad indagare se gli adulti più anziani siano più suscettibili a questo tipo di effetto. Centosessantanove giovani adulti (età media ventidue anni) e adulti più anziani (età media sessantanove anni) sono stati sottoposti alla visione di un video di un crimine simulato. I partecipanti erano assegnati a due condizioni: ad un gruppo venivano mostrate una serie di fotografie di volti maschili ed era chiesto loro di indicare se tra questi fosse presente il ladro del video. Il volto target tuttavia non era presente tra le foto; l'altro gruppo invece era impegnato in un altro tipo di attività distraente. Dopo quarantotto ore, tutti i partecipanti dovevano indicare se il volto target fosse presente in un'altra serie di fotografie e, anche qui, questo era assente ma era invece presente uno dei volti della prima selezione.
I risultati mostrarono che gli adulti più anziani avevano una tendenza significativamente maggiore a scegliere tra la prima selezione di foto rispetto ai giovani (71% e 42% rispettivamente) ed erano anche più predisposti a fare una scelta anche nella seconda serie di foto rispetto all'altro gruppo più giovane (62% e 33% rispettivamente). Dato che la scelta era compiuta tra foto di volti nelle quali quella del colpevole non era
presente, queste erano comunque false identificazioni. Riguardo invece al volto presente in entrambe le selezioni, tutti i soggetti che avevano fatto una qualunque scelta tra la prima presentazione di fotografie erano significativamente più propensi a scegliere il medesimo volto anche nella seconda rispetto a chi non ne aveva compiuta alcuna. Perciò la tendenza a scegliere un volto dal primo album, sembra essere già un importante fattore nel predire la scelta del volto target per la seconda volta. L'aumento della scelta per il volto presente in entrambi i casi può portarci a supporre che errori nella capacità di identificare il contesto nel quale è avvenuto l’evento oggetto del ricordo possa essere in parte responsabile di questi risultati, portando i soggetti a confondere la loro familiarità per volto con il personaggio del video. I testimoni più anziani probabilmente usano principalmente una strategia di recupero dell'informazione basata solo sulla familiarità allo stimolo.
Nel secondo studio invece si vogliono indagare le abilità identificative di giovani- anziani e anziani-anziani. In un primo studio vengono comparati due gruppi, uno giovane (età media diciannove anni) e uno anziano (età media sessantanove), nella visione di un video che mostrava un uomo nel parco impegnato in attività innocue come camminare e parlare con una donna. Una settimana più tardi tutti i partecipanti dovevano decidere se il volto dell'uomo protagonista del video fosse presente in una serie di fotografie, all'interno delle quali però questo non era presente. I risultati mostrarono che non c'erano differenze significative tra i due gruppi e che il 61% dei soggetti aveva negato la presenza dell'uomo tra le foto presentate. Tuttavia, dividendo il gruppo anziani in due sotto-gruppi, giovani- anziani (<69 anni) e anziani-anziani (>69 anni), i risultati mostrarono differenze significative le quali indicavano che il 75% del gruppo anziani-anziani compiva scelte errate rispetto al solo 13% del gruppo giovani-anziani. Questi risultati confermerebbero la forte correlazione tra l'aumento dell'età e l'aumento di false identificazioni.
Il terzo di questi studi si è proposto di indagare come la durata dell'esposizione allo stimolo correli con il riconoscimento da parte di testimoni oculari.
Un altro fattore che può sottolineare la differenza di età nella memoria è una carenza nella qualità di codifica dei dettagli degli eventi, risultando in una povertà di rappresentazione di memorie difficili da recuperare. E' stato suggerito che una diminuzione nelle capacità attentive possa minare le abilità degli anziani nel codificare le informazioni ambientali (Naveh-Benjamin and Craik 1996). Ad esempio, specifici dettagli contestuali possono facilitare il richiamo futuro di un evento, evitando così anche errori riguardanti la
fonte dell'informazione.
Gli studi sul riconoscimento facciale riportano una relazione positiva tra la durata di esposizione al volto e il suo riconoscimento futuro ma, riportano anche che, all'aumentare eccessivo del tempo, aumentano anche i falsi allarmi. Dato ciò, centosessantaquattro giovani adulti e adulti più anziani vennero esposti alla visione di un video di un crimine simulato durante il quale i partecipanti potevano vedere il volto del colpevole per dodici secondi o per quarantacinque secondi. Successivamente una parte dei soggetti era testata con una serie di foto all'interno delle quali il volto del colpevole era assente l'altra parte con una serie nella quale il volto era presente. L'esposizione più lunga potenziava l'accuratezza di entrambi i gruppi, particolarmente per la situazione dove il volto era presente. Nell'esposizione più corta, la sicurezza per la decisione presa differiva a seconda del fatto che la testimonianza fosse accurata o meno, con testimonianze imprecise che esprimevano minore fiducia. Al contrario, l'esposizione più lunga allo stimolo aumentava la sicurezza per la decisione anche quando però questa non era esatta. Inoltre, nell'esposizione più corta c'erano differenze significative nel richiamo di dettagli tra il gruppo giovani e il gruppo anziani che mostrava una minore accuratezza.
Il quarto ed ultimo studio prende in considerazione l'assunto che ripristinando il contesto nel quale l'evento è accaduto , si possa aumentare l'efficacia del ricordo. Il ripristino del contesto può verificarsi fisicamente, ritornando sulla scena del crimine, oppure, se questo non è possibile, può essere svolto mentalmente, immaginando la scena del crimine prima di svolgere qualsiasi compito di identificazione o di descrizione degli eventi. Questa tecnica è una delle principali componenti dell'intervista cognitiva (IC), la quale riesce ad aumentare significativamente la quantità e la qualità delle informazioni che possono essere ottenute da un testimone.
Questo studio ha comparato l'efficacia dell'intervista cognitiva con quella dell'intervista strutturata (versione semplificata dell'IC) in sessanta soggetti la cui età media era sessantotto anni. I soggetti intervistati con l'IC producevano significativamente più dettagli rispetto a quelli cui veniva somministrata l'intervista strutturata.