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Scena del crimine: studio preliminare sulla differenza di rievocazione influenzata dall'età dei testimoni

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

Capitolo 1: La memoria

1. La memoria e i processi mnesici

1.2 Processi di apprendimento, consolidamento e rievocazione 1.3 L'oblio

2. Anatomia della memoria

3. Modalità di studio della memoria 4. La memoria e i suoi inganni 5. Amnesia e stati dissociativi

6. Cervello e invecchiamento: memoria, percezione e attenzione 6.1 La memoria dell'anziano

6.2. Differenze di memoria per la fonte tra soggetti giovani e anziani Capitolo 2: Le testimonianze

1. Introduzione alla psicologia della testimonianza 2. Che cos'è la testimonianza

2.1 Il testimone oculare

2.2 Identificazione del colpevole 3. Che cosa influenza la memoria

3.1 L'attendibilità del testimone

3.2 Le fonti di distorsione nel ricordo di un evento 3.3 La suggestionabilità

3.4 La memoria ricostruttiva

4. Testimonianze oculari: giovani e anziani

4.1 Differenze tra giovani adulti e adulti più anziani

4.2 Quattro importanti studi condotti all'Università di Aberdeen, Scozia 5. Il recupero dell'informazione

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5.1 L'intervista cognitiva 5.2 L'intervista strutturata Capitolo 3: False memorie

1. Il trauma e i falsi ricordi

2. Elizabeth Loftus e i falsi ricordi 3.1 Le false memorie

3.2 I falsi ricordi infantili 3.3 Ricordi impossibili

3.4 Come si formano i falsi ricordi 3.5 Il misinformation effect

3. Le Associazioni

4. La Terapia di Recupero della Memoria

Capitolo 4: Scena del crimine: studio preliminare sulla differenza di rievocazione influenzata dall'età dei testimoni

4.1 Introduzione 4.2 Obiettivi e ipotesi 4.3 Materiali e metodi 4.4 Risultati 4.5 Conclusioni Appendice Bibliografia Sitografia

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Introduzione

Il sistema giudiziario criminale fa molto affidamento sulle testimonianze da parte di persone coinvolte in una situazione criminosa per l'investigazione e la persecuzione dei crimini e dei criminali. La psicologia ha contribuito alla letteratura riguardante le testimonianze oculari ed ha anche messo in guardia il sistema giudiziario riguardo ai problemi che possono insorgere con l'utilizzo di questo tipo di prove. Questo grazie anche alle innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni che hanno consentito agli accertamenti tecnici biologici mediante analisi del DNA di assumere, nell’attività investigativa, un ruolo spesso determinante. Nei reati quali omicidi, violenze sessuali e aggressioni si può infatti confrontare l’impronta genetica del sospettato con l’impronta genetica ottenuta da tracce di materiale biologico (saliva, capelli, sperma, pelle, ecc.) rinvenuto nel luogo del reato. Questi tipi di esami hanno anche permesso di mettere in evidenza la grande quantità di persone che, in passato, è stata condannata ingiustamente per reati non commessi, ma accusata da testimonianze oculari.

Diversi fattori entrano in gioco nel determinare l'efficacia della testimonianza e i più importanti riguardano le caratteristiche del testimone, dell'evento, della testimonianza e i metodi d'investigazione.

Le testimonianze sono fondamentali nel risolvere i crimini e spesso i testimoni oculari sono l'unica prova a disposizione per determinare l'identità del colpevole.

Le ricerche in psicologia riguardanti questa tematica, sono cominciate intorno agli anni Settanta ed hanno iniziato a mostrare la non infallibilità di queste prove e ad esprimere preoccupazioni circa l'efficacia dell'identificazione da parte di testimoni oculari. Usando diverse metodologie, video di crimini simulati o vere e proprie simulazioni dal vivo, i ricercatori hanno scoperto che le identificazioni errate possono essere sorprendentemente elevate e che i testimoni spesso esprimono con assoluta certezza una scelta che, successivamente, si rivela profondamente errata. Sebbene questi risultati fossero molto importanti e convincenti per la comunità scientifica, non è stato prima degli anni Novanta che la giustizia penale cominciasse a prendere la ricerca seriamente. Questo cambiamento di prospettiva per la letteratura psicologica sull'identificazione da parte di testimoni, sorse principalmente grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie sopraccitate: moltissime persone che erano state precedentemente condannate sulla base di

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testimonianze oculari furono esonerate e scagionate grazie al test del DNA.

Grazie quindi alle prime ricerche in campo psicologico, c'è stato un aumento della promozione della ricerca anche in ambito di giustizia penale. Visto poi che, molti crimini non includono tracce biologiche, la fiducia posta nell'identificazione da parte di testimoni oculari per risolvere alcuni crimini non è mai diminuita.

Nonostante questo, nel nostro Paese non c'è una reale consapevolezza dell'importanza di una corretta modalità di raccolta della testimonianza e del peso da dare a quest'ultima, come sempre più emerge dalle cronache odierne. Molto spesso infatti la deposizione dei testimoni oculari è considerata valida anche quando le condizioni in cui essi hanno percepito il fatto non erano ottimali, ad esempio quando essi erano troppo distanti o il fatto accaduto troppo velocemente. La memoria che il testimone ha dell'evento cui ha assistito è piena di lacune, distorsioni e invenzioni. Infatti in generale, noi non percepiamo passivamente le informazioni, ma agiamo su di esse, codificandole ed elaborandole sia consapevolmente che inconsciamente. La concezione errata della memoria come strumento di registrazione viene qui a cadere. Ai problemi della memoria in generale si devono aggiungere quelli soggettivi dell'individuo che ha codificato le informazioni dell'evento in uno stato di stress, che è stato probabilmente oggetto di suggestioni da parte di altri o che risente dei cambiamenti sensoriali, attenzionali e mnesici dovuti all'età.

Si ribadisce quindi quanto in ambito giudiziario il ruolo delle testimonianze sia di fondamentale importanza e molto spesso esse vengono a costituire il maggiore elemento di prova della colpevolezza di un indagato. Persone di tutte le età sono coinvolte ogni giorno nel sistema giudiziario criminale come testimoni di fatti ed eventi che riguardano scene del crimine, identificazione di un colpevole, particolari importanti ai fini di una decisione e quindi, eventualmente, anche di una condanna.

Prese in considerazione quindi, le molteplici variabili che possono influenzare l'attendibilità di un testimone, vorrei concentrarmi sull'influenza che ha l'età del testimone sulla precisione della sua testimonianza ritenendo di fondamentale importanza capire come le abilità e i limiti di questi possano essere influenzati dall'invecchiamento.

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Capitolo 1

La memoria

1. La memoria e i processi mnesici

La memoria non è un complesso unitario, ma è costituita da diversi sottosistemi. Una prima fondamentale distinzione concerne le componenti implicate nella ritenzione temporanea, in opposizione alla ritenzione duratura dell'informazione: rispettivamente della memoria a breve termine (MBT) e della memoria a lungo termine (MLT).

La prima è in grado di ritenere i ricordi per tempi molto brevi, mentre la seconda per tempi più lunghi. È stato da tempo dimostrato che i due sistemi hanno diversi modi di operare e di interagire tra loro: la MBT “registra” le caratteristiche fisiche dello stimolo (visive, acustiche, tattili, emotive) ed è poi in grado di evocarle esattamente entro un breve periodo di tempo. La seconda, opera invece, estraendo e immagazzinando i contenuti semantici essenziali delle diverse informazioni.

Tuttavia, questi due sistemi funzionali non vanno intesi in modo separato, poiché sono strettamente integrati tra loro e operano in sequenza: la MBT ha il compito di elaborare le informazioni in “entrata”, che verranno successivamente depositate nel magazzino a lungo termine; la MLT rappresenta il grande e articolato archivio di nozioni apprese e consolidate a cui accede la MBT per utilizzare “in uscita” le informazioni di cui, di volta in volta, ha bisogno.

All'interno della MBT e della MLT, vengono poi riconosciute ulteriori sottocomponenti sia funzionali sia per il tipo di materiale da apprendere (verbale o visuo-spaziale). Così la MBT viene suddivisa in due sottocomponenti essenziali, di cui la prima è il cosiddetto deposito temporaneo a breve termine, che corrisponde alla capacità di span, cioè al numero di elementi che ogni soggetto è in grado di registrare e ritenere per alcuni secondi senza doverli organizzare. La seconda componente invece è rappresentata dalla memoria di lavoro, la cosiddetta working memory, termine con il quale si definisce la capacità di mantenere presenti e attive le informazioni per il tempo necessario a completare in tappe successive operazioni mentali complesse. La memoria di lavoro viene considerata una struttura multi-componenziale costituita da due sistemi operativi, uno verbale definito

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“circuito articolatorio” e uno visuo-spaziale definito “taccuino visuo-spaziale”, entrambi coordinati da un sistema di supervisione definito “central executive” (sistema esecutivo centrale) che ha il compito di selezionare le strategie più adatte e programmare le sequenze operative più corrette per quel tipo di compito.

Anche nella MTL è possibile distinguere delle sottocomponenti. La prima fondamentale distinzione è tra memoria procedurale (o implicita o non dichiarativa) e memoria dichiarativa (o esplicita). La prima è la memoria delle abilità (motorie, percettive, cognitive) acquisite in modo implicito, la cui rievocazione può manifestarsi con un comportamento semi-automatico. Ma è anche la memoria che riguarda il cosiddetto effetto priming, corrispondente all'aumento di probabilità che un soggetto ha di riuscire a rievocare correttamente tutta o parte di un'informazione presentata in precedenza in assenza di apprendimento esplicito. La memoria dichiarativa comprende invece ricordi che vengono rievocati con una partecipazione volontaria esplicita ed è a sua volta suddivisa in due sottocoponenti, semantica ed episodica. La memoria semantica è il ricordo delle cosiddette conoscenze “enciclopediche” acquisite nel corso della vita scolastica, familiare e sociale entrando a far parte del nostro archivio generale di conoscenze. La memoria episodica riguarda il ricordo di eventi con la loro precisa connotazione di spazio e tempo. Anche questa componente è formata da una sottocomponente verbale (rievocazione di qualcosa a livello verbale) e una visuo-spaziale (rievocazione di un contesto).

Un'ulteriore distinzione riguarda la memoria autobiografica, cioè la capacità di rievocare episodi più strettamente correlati alla propria vita personale e connotati da una maggiore partecipazione emotiva. E' poi importante ricordare anche la memoria prospettica, la quale provvede alla programmazione di azioni che dovranno essere compiute a distanza di tempo.

1.2. Processi di apprendimento, consolidamento e rievocazione

Non vi è efficace rievocazione senza un precedente efficace apprendimento. I modi in cui si è realizzato l'apprendimento possono influenzare, positivamente o negativamente, la capacità e la qualità della rievocazione. Innanzitutto, l'attenzione posta durante l'apprendimento è sicuramente un fattore importante per determinare la qualità dello stesso: è fondamentale per assicurare una corretta analisi, comprensione e organizzazione del

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materiale durante l'apprendimento, nonché un'adeguata selezione di ricordi durante la rievocazione. Alcune informazioni però possono venire memorizzate anche in modo inconsapevole, cosa resa possibile dalla memoria implicita.

I processi di codifica (encoding) sono processi attraverso i quali le informazioni provenienti dall'ambiente esterno e interno sono inizialmente organizzate ed elaborate. Questi processi possono essere consci (effortful) o inconsci (effortless) e servono a definire le caratteristiche fisiche, categoriali e semantiche delle informazioni per facilitarne l'apprendimento.

Una volta che le informazioni sono state apprese, entra in gioco il fattore consolidamento (storage) delle tracce mnesiche. Il consolidamento si avvale di processi attraverso i quali le informazioni da memorizzare sono trasformate da temporanee in permanentemente immagazzinate. Il materiale appreso verrebbe continuamente rimaneggiato per assicurare la ritenzione, rispetto ad altre informazioni meno importanti per il soggetto che vengono lasciate cadere progressivamente in oblio. Un mancato consolidamento o un consolidamento parziale e difettoso possono essere alla base di alcuni disturbi della memoria, soprattutto di quelli caratterizzati da un deficit di rievocazione.

La rievocazione (retrieval) è il processo che permette di accedere alle informazioni precedentemente apprese per poterle riutilizzare. L'efficienza della rievocazione sembra essere strettamente correlata alle strategie di archiviazione utilizzate per la memorizzazione delle informazioni e risulta maggiormente efficace quando le associazioni utilizzate per l'apprendimento e l'archiviazione sono state molteplici.

1.3. L'oblio

L'oblio è la dimenticanza parziale o totale delle esperienze passate. Per spiegare ciò esistono tre principali teorie interpretative:

La teoria della traccia mnestica che ipotizza, oltre a un decadimento spontaneo della traccia col passare del tempo per effetto dei normali processi metabolici del cervel1o, una sua distorsione sistematica responsabile più dei cambiamenti qualitativi che di quelli quantitativi del ricordo. La Gestalt, ad esempio, ha mostrato come la mancanza di una chiara e definita struttura crei condizioni sfavorevoli non solo per la fissazione del ricordo, ma anche un’inibizione retroattiva per gli altri, per cui nel ricordo le figure tendono a

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divenire più simmetriche di quel che sono, oppure accentuano le loro irregolarità; se poi assomigliano a qualche oggetto specifico, tale somiglianza viene accentuata con conseguenti distorsioni, come nel caso dei racconti successivi di una stessa storia.

La teoria dell’interferenza che ipotizza un’inibizione dovuta all’attività svolta nell’intervallo di tempo che corre tra l’apprendimento e il ricordo. A questo proposito si distingue un’interferenza retroattiva quando ogni nuova acquisizione rende più difficile il ricordo del materiale precedentemente acquisito, ed una proattiva quando rende più difficile l’apprendimento e il ricordo di materiale nuovo. L’interferenza si registra non solo tra compiti differenti. ma anche tra sequenze dello stesso compito con maggior interferenza retroattiva nei riguardi delle prime parti o maggior interferenza proattiva nei riguardi delle ultime, mentre le parti centrali sono oggetto di entrambe le interferenze, per cui sono le più difficili da ricordare. Una diminuzione dell’interferenza si ha riducendo o eliminando l’attività tra l’apprendimento e il ricordo.

La teoria della rimozione, elaborata da Freud, che ha concepito l’oblio come un meccanismo di difesa volto a proteggere la psiche da esperienze dolorose che possono riferirsi a desideri insoddisfatti, a conflitti non risolti o a impulsi socialmente riprovevoli. Questo tipo di oblio non comporta la scomparsa o il deterioramento delle tracce mnestiche, ma semplicemente il loro mancato recupero che l’analisi si propone di rielaborare. I meccanismi indicati da Freud quali responsabili di questo oblio sono la condensazione e lo spostamento. Partendo dall’indicazione freudiana secondo cui l’oblio da rimozione è un meccanismo di difesa psichica, Cesare Musatti formula la legge dell’ottimismo mnestico secondo cui le persone esercitano un’azione selettiva sull’insieme dei loro ricordi, nel senso che tendono a ricordare più facilmente e durevolmente gli avvenimenti piacevoli rispetto agli accadimenti spiacevoli del passato. Ciò dimostra l’effettiva tendenza a dimenticare che si sviluppa in presenza di elementi spiacevoli. Questa tendenza risponde appunto a un’intrinseca finalità biologica: la difesa dal dolore.

Quindi l’oblio risulta importante per la vita: protegge ed aiuta a mantenere l’equilibrio psichico. Certamente queste informazioni che non si riesce a richiamare volontariamente alla coscienza influiscono dall’inconscio sul comportamento quotidiano e perciò la psicoterapia si è proposta di studiare con i suoi metodi le cause del comportamento non controllato coscientemente.

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2. Anatomia della memoria

Il primo che ottenne la prova che i processi mnemonici fossero localizzati in aree specifiche del cervello fu Wilder Penfield intorno al 1940. Stimolando con elettrodi il lobo temporale determinava l’insorgenza, nei pazienti svegli, di “ricordi” coerenti della loro esperienza vissuta. Ulteriori prove dell'importanza dei lobi temporali sono state fornite, intorno al 1950, dallo studio di pazienti che avevano subito l’asportazione bilaterale dell’ippocampo per il trattamento dell’epilessia. Il primo e più importante caso degli effetti provocati sulla memoria dell’asportazione bilaterale di una parte del lobo temporale è stato quello del paziente H.M. studiato da William Beecher Scovill e Brenda Milner (Scoville & Milner, 1957). A causa di un'epilessia resistente ad ogni trattamento farmacologico, H.M. aveva subito l’intervento di asportazione dell’ippocampo, dell’amigdala e parti delle aree associative multimodali del lobo temporale. Dopo l’intervento, H.M. mostrò un singolare deficit di memoria che lo rese incapace di trasferire nuove tracce mnesiche dalla memoria a breve termine alla memoria a lungo termine.

Il lobo limbico e sistema limbico sono ampiamente coinvolti nei processi di memorizzazione. Il sistema limbico è costituito da un insieme di strutture che formano un cerchio anatomicamente congiunto, attorno al tronco dell’encefalo di strutture filogeneticamente antiche e collegate che funzionano assieme come un sistema che media memoria, comportamento ed emozioni.

L’ippocampo è coinvolto nel consolidamento della working memory a breve termine e nella memoria dichiarativa a lungo termine. Lesioni della sola amigdala causano solo alterazione di elementi mnemonici legati alle emozioni, mentre un danno selettivo dell’ippocampo o delle aree associative con cui è in connessione (cortecce peririnale e paraippocampica) determina evidenti effetti sulla memoria esplicita. Nell’uomo le nozioni conservate come memorie esplicite vengono inizialmente elaborate in una o più delle cortecce associative polimodali (cortecce prefrontale, libica e parieto-temporo-occipitale). Da qui le informazioni vengono trasferite alle cortecce paraippocampica e peririnale, e quindi alla corteccia entorinale, al giro del cingolo, all’ippocampo, al subiculum ed infine di nuovo alla corteccia entorinale. Dalla corteccia entorinale le informazioni sono rinviate alla corteccia paraippocampica e peririnale ed infine ancora alle cortecce associative della neocorteccia. Dunque, la corteccia entorinale rappresenta la principale porta d’ingresso

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verso l’ ippocampo attraverso la via perforante che proietta al nucleo dentato. Essa rappresenta, inoltre, il più importante canale di output dell’ippocampo stesso (Neil R. Carlson, 2002).

In particolare la memoria dichiarativa, archiviata nelle cortecce associative, poggia su un insieme di strutture diencefalico-temporali appartenenti al sistema limbico: il giro del cingolo, l’amigdala, l’ippocampo e le cortecce para-ippocampali. All’interno di tale sistema la codificazione dell’informazione avviene attraverso strette connessioni sinaptiche coinvolgenti le diverse strutture. Gli stimoli esterni, percepiti a livello di cortecce sensitive primarie, vengono elaborati da aree corticali associative multimodali ed integrate in mappe neuronali. Tali aree corticali proiettano ad altre strutture corticali (giro para-ippocampale e corteccia peririnale) che a loro volta attivano strutture dell’ippocampo, in particolare la corteccia entorinale, realizzando un sistema di convergenza dell’informazione. Questa procede quasi come in una sorta di imbuto dalla corteccia entorinale alle cellule del nucleo dentato e culmina nell’area CA3 dell’ippocampo. Così i diversi aspetti dell’informazione primaria, raccolti separatamente da diverse aree corticali solo debolmente connesse tra loro, sono sintetizzati a livello di un numero relativamente ridotto di neuroni che contengono un’istantanea della scena iniziale colta in tempo reale. È quindi una memoria contestuale che dipende da associazioni arbitrarie che si verificano nella stretta finestra temporale che caratterizza le modificazioni sinaptiche, cioè circa un secondo.

L’area CA3 attiva l’area CA1 e questa, attraverso il subiculum, attiva nuovamente la corteccia entorinale con una proiezione questa volta divergente che compie a ritroso il percorso precedente, fino alle sinapsi collocate nelle cortecce che per prime hanno avviato il processo. Lungo tutto il percorso si verificheranno dunque delle modificazioni sinaptiche che determinano il formarsi di sinapsi forti, cioè di selezionare un circuito privilegiandone uno soltanto e, quindi, un tipo di informazioni rispetto ad altre.

Un singolo neurone può appartenere contemporaneamente a differenti gruppi assemblati di neuroni e, a seconda delle circostanze e dei segnali in arrivo, attivarsi in un gruppo o in un altro. La possibilità di scarica neurale è incrementata dalla forza e dalla ripetitività della stimolazione in arrivo cosicché si possono formare delle connessioni preferenziali, o facilitate.

La traccia mnesica è da considerarsi distribuita nel senso che non esiste un centro unico di memoria, in quanto molti distretti del sistema nervoso partecipano

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all’immagazzinamento di una determinata informazione; tuttavia solo determinate strutture sono implicate nella codificazione mnesica di un certo evento e ciascuna di esse partecipa in maniera differente alla codificazione.

Si possono ipotizzare graduali reclutamenti ed una continua riorganizzazione di sistemi neuronali per opera sia di una attività endogena che in seguito ad attività esterna tradotta dai sistemi sensoriali, oppure grazie all’interazione di entrambi questi tipi di attività. Attraverso tale complessa serie di eventi una traccia mnestica matura nel tempo svincolandosi da strutture sottostanti come l’ippocampo o altre regioni del lobo temporale mediale. Questo processo spiegherebbe le forme graduali di amnesia retrograda osservate in certe sindromi amnesiche dopo rimozione della parte mediale del lobo temporale.

Alcuni neurobiologi hanno identificato il cingolato anteriore come la responsabile del recupero e della conservazione dei ricordi remoti.

La parte mediale del lobo temporale svolge una funzione chiave nel processo di memorizzazione del contenuto dichiarativo. Il sistema limbico serve solo come serbatoio temporaneo in quanto l’immagazzinamento definitivo ha luogo nella neocorteccia. L’archiviazione e il recupero dell’informazione dichiarativa è ascrivibile all’interazione tra siti neo-corticali tra loro fisicamente separati ed il lobo temporale mediale.

Il consolidamento consisterebbe in un processo di graduale connessione funzionale delle diverse aree che complessivamente contengono la rappresentazione dell’evento.

Danni al sistema limbico che includono la parte mediale del lobo temporale o strutture mediali diencefaliche interferiscono con la funzione mnemonica dichiarativa senza intaccare apprezzabilmente il processo di memoria procedurale.

I gangli della base e le connessioni cortico-striatali hanno un importante ruolo funzionale nell’acquisizione e nell’immagazzinamento dei contenuti procedurali.

La corteccia cerebellare ed i nuclei cerebellari sono strutture implicate nell’acquisizione e nell’immagazzinamento della memoria procedurale.

Le cortecce prefrontali esercitano una funzione di controllo nella codificazione e soprattutto nel richiamo dei ricordi: consentono di mettere ordine, categorizzare, selezionare, ristabilire il giusto valore nella memoria. D’altra parte il loro è il ruolo dei guardiani ed anche dei censori della memoria, possono non guidare il richiamo fino in fondo o possono censurare alcuni ricordi parziali a favore di altri o effettuare una verifica non accurata.

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Figura n.1- Anatomia della memoria Fonte: Enciclopedia Treccani

La memoria implica un cambiamento più o meno duraturo del rapporto sinaptico tra i neuroni, sia attraverso una modificazione strutturale sia mediante modificazioni biochimiche.

Osservazioni sperimentali localizzano nell’ippocampo una delle sedi più importanti per i processi di apprendimento e la memorizzazione.

Il sistema GABAergico ha un ruolo rilevante nella regolazione dei processi di apprendimento e memorizzazione. Ciò è confermato dalla presenza di una grande quantità di recettori per il GABA nell'amigdala, area coinvolta nei processi di consolidamento della memoria.

Il legame fra l’ippocampo e la memoria è noto agli scienziati sin dagli anni cinquanta, ma si sa poco di come quest’associazione si manifesta nell’attività neurale.

L’ippocampo raccoglie informazioni semantiche a proposito delle parole, mentre il giro para-ippocampale richiama le informazioni sensoriali relative alle parole.

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Diversi studiosi hanno identificato il modo con cui l’ippocampo contribuisce ad apprendere e a ricordare i fatti e gli eventi che costituiscono la nostra memoria a lungo termine, o memoria dichiarativa. Studiando l’attività dei neuroni dell’ippocampo, gli scienziati hanno capito come il cervello segnala la formazione di nuove memorie associative, una forma di memoria dichiarativa. Ciò prova l’elasticità dell’ippocampo in relazione all’apprendimento.

Il lobo temporale mediale è in grado di differenziare termini veri da altri falsi. Mentre l’ippocampo raccoglie informazioni semantiche a proposito delle parole, il giro para-ippocampale richiama le informazioni sensoriali relative alle parole, come l’aspetto e la voce di chi le ha pronunciate (www.rivista.ssef.it).

3. Modalità di studio della memoria

Non esiste una modalità unica di studio della memoria ma, nella storia della psicologia, sono molti gli autori che, con approcci diversificati, hanno tentato di spiegare le leggi e i meccanismi che regolano questa funzione così complessa.

Secondo il criterio associazionista, il più antico, “il meccanismo chiave dell’apprendimento e della memorizzazione consiste nella associazione per contiguità temporale” (Canestrari, Godino, 1997). Ebbinghaus ha compiuto studi sperimentali sulla memorizzazione di sillabe senza senso ed ha identificato la curva dell'oblio, delineando un calo della prestazione mnestica superiore all'aumentare del tempo della ritenzione. In maniera speculare è rappresentata la curva della ritenzione: all'aumentare delle ripetizioni aumenta la qualità della ritenzione, fino ad un livello tale per cui successive ripetizioni non implicano miglioramenti significativi della prestazione.

Un limite di questi studi risiede nel fatto che queste leggi si applicano solo per l’acquisizione meccanica di stimoli artificiali e delineano un meccanismo di memorizzazione esclusivamente passivo.

L’approccio strutturalista considera il processo mnestico come risultante da una strutturazione degli stimoli, piuttosto che da un semplice incameramento. La memorizzazione deriva, quindi, da “l’impiego di strategie attive per elaborare una costruzione che rappresenta l’informazione in memoria, costruzione che integra lo stimolo nuovo con le tracce delle esperienze passate del soggetto” (Canestrari, Godino, 1997).

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Il principale esponente di questo approccio è Bartlett, il quale ha studiato la memoria focalizzando l’attenzione sulle differenze individuali e sulle distorsioni di tipo affettivo ed emozionale che sono in grado di modificare i ricordi, rendendo la rievocazione inattendibile rispetto allo stimolo acquisito nella fase di codifica. Ha inoltre introdotto il concetto di schema definito come elemento dotato di senso, caratterizzato da un contenuto e da un processo, che veicola il processo di codifica, ritenzione e richiamo mnestico mediando il ricordo di informazioni successive.

L’approccio dell’elaborazione dell’informazione si sviluppa a partire dagli anni 70. Studia la memoria secondo uno schema di tipo cibernetico, adoperando un’analogia funzionale tra il cervello umano e un calcolatore elettronico e si fonda sui seguenti assunti:

• La memoria è un flusso di informazione attraverso un sistema, in processo di tipo input-output.

• Il sistema risulta suddivisibile in una serie di sub-sistemi ognuno coprente una determinata parte del processo.

• Il processo risulta caratterizzato da una sequenza fissa.

• Ogni stadio mnestico ha durata di tempo e capacità limitate.

• Lo stesso processo di elaborazione dell'informazione si applica per qualsiasi tipo di formato del segnale (grafico, tattile, semantico, verbale etc.).

A partire da questi concetti, si sviluppa anche l’approccio cognitivista ed, in particolare, la teoria che concepisce la memoria come un processo plurimodulare, che comprende tre moduli mnestici:

Il modulo 1 registra molte informazioni ma in maniera limitata. Prende nomi diversi a seconda delle teorie cognitiviste che l'hanno studiato ma fa prevalentemente riferimento alla memoria sensoriale.

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Il modulo 2 trattiene i dati per un periodo di tempo maggiore, ma ha capacità più limitata e si identifica nelle sue numerose accezioni come memoria a breve termine.

Il modulo 3 ha capacità di ritenzione illimitata, ma i suoi contenuti sono di difficile recupero: è definita come memoria a lungo termine.

4. La memoria e i suoi inganni

Alcuni errori di memoria possono portare alla creazione di un nuovo ricordo, inteso come il recupero dettagliato di un evento che non è mai accaduto. Possono essere considerati dei “fenomeni produttivi che rivelano la normale manifestazione di un processo creativo” (Cubelli, R., & Della Sala, S., 2007). Questi errori possono essere classificati in diversi sottogruppi:

Errori di monitoraggio della fonte. Quando il meccanismo di monitoraggio della fonte è danneggiato, un’informazione, un nome in questo caso, viene ricordata, ma viene perduto il ricordo di dove e come l’informazione è stata acquisita. Poiché la sensazione di familiarità è percepibile, i soggetti sono indotti a incorporare nella memoria questa informazione attribuendole connotati che non le sono propri (Peters M.J., Jelicic M., Verbeek, H., Merckelbach H., 2007).

Suggestione post-evento. Questo errore, chiamato originariamente “misinformation effect”, è stato studiato da Loftus e Palmer (1974) tramite una serie di esperimenti volti a dimostrare l’effetto del tipo di informazioni fornite ai soggetti sulla rievocazione del ricordo. Le parole scelte per formulare la medesima domanda influenzavano l’elaborazione del ricordo.

Errori di congiunzione mnesica. Due ricordi, spesso uno episodico e uno semantico, si miscelano formando un altro ricordo.

Errori di traslazione inconsci. Si ha quando un testimone riconosce un volto familiare e per questo lo assegna erroneamente all’autore del crimine.

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Errori di correzione del passato. Il ricordo di esperienze passate è influenzato dalle nostre conoscenze attuali, dagli schemi attuali e dagli stereotipi consolidati. Spesso quindi siamo portati a correggere eventi passati in base ad esigenze di coerenza e semplificazione.

Errori dovuti a pregiudizi. In un esperimento classico, dovendo riconoscere da una vignetta vista in precedenza chi aveva l’arma in mano durante una lite nel metrò, oltre metà delle persone ricordava di aver visto l’arma in mano all’uomo con la pelle scura, mentre nella scena era il bianco ad impugnarla.

Lo studio di questi errori di memoria ha portato quindi ad una ridefinizione delle fasi di elaborazione del ricordo: la fase di enconding corrisponde all’interpretazione dello stimolo sulla base di conoscenze e inferenze; nella fase di storage l’interpretazione viene inserita all’interno di schemi conoscitivi; infine, nella fase di retrieval si procede all’elaborazione dell’interpretazione. Questo processo si configura allora come un percorso di ricostruzione e concatenamento di tracce piuttosto che come un semplice immagazzinamento in uno statico spazio mentale.

5. Amnesia e stati dissociativi

I deficit di memoria episodica conseguenti a lesioni cerebrali o a traumi psicologici prendono il nome di amnesie. Possono avere una causa organica o psicogena e possono riguardare:

• la capacità di apprendere nuove informazioni a partire dal momento di esordio della malattia (amnesia anterograda);

• di rievocare eventi del passato, precedenti all'insorgenza della malattia (amnesia retrograda);

• entrambi gli aspetti (amnesia globale).

Due quadri particolari di quest'ultima, di natura transitoria, sono l'amnesia globale transitoria e l'amnesia psicogena. La prima forma è ad esordio improvviso e presenta un

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quadro molto simile a quello dell'amnesia globale permanente: la persona, perfettamente sana, ad un certo punto comincia a chiedere informazioni su dove si trova e su cosa sta facendo, ripetendo sempre le stesse domande dal momento che dimentica immediatamente le risposte e tutto ciò che accade durante l'episodio amnesico. Di solito la durata è inferiore alle ventiquattro ore senza riduzioni dello stato di coscienza o dell'identità personale. Il disturbo si risolve spontaneamente ma rimane una lacuna mnestica relativa al periodo dell'amnesia.

L'amnesia psicogena è caratterizzata dalla perdita dell'identità personale e da un'amnesia che di solito è esclusivamente retrograda e a volte limitata a un evento o un periodo particolare come una storia psichiatrica o un trauma psichico recente. Freud ha individuato la causa del disturbo mnestico di origine psichica nella rimozione di particolari eventi di natura affettiva o conflittuale a scopo difensivo. La soppressione della rappresentazione cosciente dell’evento o del conflitto non comporta la soppressione dell’affetto ad essa legato che si sposta su un’altra rappresentazione in modo che gli elementi rimossi non siano accessibili a tutto ciò che potrebbe attivarli. Questa inattivazione non è però assoluta, come dimostra il trattamento analitico in grado di far emergere il rimosso. Rifiutando l’interpretazione basata sull’immaturità funzionale, Freud scorge nell’amnesia infantile una rimozione riguardante la sessualità che si estende alla quasi totalità degli eventi dell’infanzia e che si risolve col declino del complesso edipico e con l’inizio dell’età della latenza. Nell’amnesia infantile Freud vede inoltre la condizione delle amnesie successive e, in particolare, quelle dell’amnesia isterica che è un sintomo nevrotico per cui si dimentica quello che non si vuole ricordare perché incompatibile con il concetto che uno ha di sé, e riguarda un periodo di tempo circoscritto o un episodio particolare.

Possono essere distinte tre forme di amnesia psicogena:

• sistematizzata, che riguarda solo avvenimenti specifici; • localizzata, che riguarda un periodo di ore o di settimane; • generalizzata, che si riferisce a tutta la vita del soggetto.

In quest’ultimo caso, l’amnesia si sovrappone ovviamente alla fuga, che può essere di tre tipi (Papagno, 2011) :

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• l’amnesia con cambiamento di identità; • l’amnesia con perdita di identità;

• regressione ad un periodo precedente con amnesia per l'intervallo successivo a tale periodo.

La maggior parte delle perdite psicogene di memoria autobiografica sono associate con qualche alterazione dell’identità.

L’amnesia dissociativa (su base psicogena) comporta l’incapacità di ricordare importanti notizie personali; è di solito di origine traumatica o stressogena, e risulta troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a dimenticare. Si presenta come una lacuna, o una serie di lacune, riportate retrospettivamente, nella rievocazione di momenti della storia della vita di un individuo. La caratteristica fondamentale è quindi la perdita della memoria episodica, ossia della capacità del soggetto di rievocare particolari avvenimenti che appartengono alla sua esperienza personale; la fuga dissociativa comprende l’amnesia, ma comporta anche un cambiamento dell’identità.

La fuga dissociativa è caratterizzata dalla confusione sulla propria identità, o dalla perdita dell’identità, o dall’assunzione di un’identità nuova. Questo significa arrivare a dimenticare chi si è, non solo quello che si è fatto.

Il disturbo dissociativo dell’identità assomiglia alla fuga, ma in questo caso il passaggio da un’identità all’altra e fra i corrispondenti sistemi di ricordi autobiografici è ciclico. Ciascuna di queste identità ha il proprio magazzino di ricordi autobiografici, che si riferiscono ad eventi ed esperienze che si sono verificati quando quella identità era dominante. Esse sono separate da una finestra mnesica, che impedisce a una personalità di conoscere le azioni, le esperienze o perfino l’esistenza dell’altra.

L’amnesia acuta può risolversi spontaneamente allorché il soggetto venga allontanato dalle situazioni traumatiche a cui l’amnesia era collegata; alcuni individui con amnesia cronica possono prendere gradualmente a rievocare i ricordi dissociati; altri soggetti possono sviluppare una forma cronica di amnesia. I soggetti che hanno avuto un episodio di amnesia dissociativa possono inoltre risultare predisposti a sviluppare amnesia in circostanze traumatiche successive.

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Infine, una categoria da cui gli amnesici vanno differenziati è quella dei simulatori, cioè coloro che consapevolmente si fingono amnesici. In questo caso bisogna che vi sia un evidente vantaggio dall'essere amnesico ed è anche presente una gravita esagerata dei sintomi, per cui addirittura sembra mancare l'apprendimento implicito.

Ci sono poi alcuni disturbi qualitativi della memoria che comprendono le allomnesie, le pseudomnesie e le criptoamnesie.

Le allomnesie sono illusioni della memoria, cioè distorsioni o deformazioni di informazioni registrate. L’incompletezza e l’ambiguità rievocative sono generalmente in rapporto al tono affettivo ed a particolari contenuti di pensiero. Sono riscontrabili nei disturbi dell’umore con rievocazione del passato in chiave pessimistica o nei disturbi psicotici ma possono osservarsi anche in condizioni normali.

Le pseudomnesie sono “allucinazioni della memoria”: comprendono i falsi riconoscimenti, cioè riconoscere come ricordo una situazione mai sperimentata (déjà vu o déjà vécu) ed i falsi ricordi, produzioni compensatorie di fatti immaginari e fantastici in soggetti con gravi lacune mnemoniche: confabulazione, falsificazione della memoria in rapporto con un disturbo amnestico di origine organica, distinguibile in confabulazione di imbarazzo, in cui il soggetto cerca di mascherare il suo vuoto di memoria di cui il soggetto si rende conto, e confabulazione fantastica, in cui il soggetto che ha un vuoto di memoria descrive esperienze avventurose e fantastiche. Caratteristica della confabulazione è la notevole suggestionabilità, che dipende dall’obnubilamento della coscienza, dall’indebolimento delle capacità di giudizio e dall’intervento della fantasia: è una condizione molto somigliante ai sogni ad occhi aperti. Un tipo di confabulazione fantastica con contenuti persecutori si verifica in stato di coscienza lucida, quando il paziente si convince che altre persone vogliano danneggiarlo, derubarlo o di defraudarlo, e produce falsi ricordi di natura fantastica per giustificare tale convinzione.

La criptoamnesia invece, un disturbo psicogeno, consiste nel vissuto di non riconoscere il ricordo come tale, perché questo perde il suo carattere mnesico specifico e viene esposto come fatto o idea attuale.

6. Cervello e invecchiamento: memoria, percezione e attenzione.

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percentuale di ultrasessantacinquenni si è quasi triplicata (da 6.1% a 17.7%) e nell’arco di 50 anni arriverà presumibilmente a rappresentare circa il 34% della popolazione totale, una percentuale quasi doppia rispetto a quella attuale (www.istat.it). Attualmente, secondo i dati ISTAT gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni, il 22% del totale della popolazione. Quindi, di rilevante importanza è capire come il cervello umano invecchia.

Per un processo denominato apoptosi, cioè morte cellulare programmata, le cellule del cervello, i neuroni, a partire dai 30 anni circa, cominciano a degenerare: ecco perché dai 30 ai 75 anni il cervello arriva a perdere fino al 10% del suo peso e fino al 20% del suo rifornimento di sangue. Non solo, ma con l’invecchiamento si osserva anche una riduzione delle sinapsi e la comparsa di alcune alterazioni della struttura cerebrale: le placche senili e i grovigli neurofibrillari.

A partire dalla settima e ottava decade di vita e in maniera più accentuata dopo la nona, si verifica un progressivo e graduale indebolimento di alcune funzioni mentali. Un esempio è rappresentato dal declino della memoria, disturbo spesso accusato dalle persone anziane, anche in condizioni di normale efficienza funzionale. L’invecchiamento si accompagna anche ad una riduzione nella velocità di elaborare le informazioni e ad una diminuita efficienza dell’intelligenza fluida (la capacità di adattarsi alle modificazioni ambientali, applicare nuovi metodi, adottare nuove strategie per la soluzione dei problemi) risparmiando, invece, l’intelligenza cristallizzata (l’esperienza).

Nel corso dell'invecchiamento normale avvengono specifici cambiamenti, quali:

• la riduzione della velocità nell’acquisire e nel richiamare nuove informazioni; • il rallentamento per l'esecuzione di compiti per i quali il soggetto ha a disposizione un tempo limitato;

• la presenza di fattori distraenti, i quali disturbano molto la "ricezione" di informazioni.

Welford (1958) sostenne che il declino mestico che si manifesta con l’invecchiamento potesse essere riconducibile alla mancanza d’esercizio e al disuso delle funzioni mnestiche. Inoltre postulò l’ipotesi dell’interferenza, in cui il declino delle capacità d’apprendimento è imputabile a un deficit nella memoria a breve termine dovuto a una maggiore sensibilità dell’anziano al fenomeno dell’interferenza proattiva: con l’avanzare dell’età il materiale

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appreso in precedenza in interferirebbe sempre di più con quello da apprendere che, pertanto non verrebbe memorizzato.

In particolare, alcune ricerche mostrano una riduzione nelle funzioni della memoria episodica (Balota et. al 2000) e della working memory (Foos & Wright 1992; Hasher & Zacks 1988). In accordo con questi dati, è stata notata anche una riduzione nell'attività del cervello, rispetto ai giovani adulti, in regioni come la corteccia prefrontale sinistra durante l'encoding o l'apprendimento di nuovo materiale (Cabeza et al. 1997; Grady et al. 1995; Logan et al. 2002) e nelle aree mediali temporali durante l'encoding e il richiamo (Cabeza et. al 2004).

Per la memoria a lungo termine, diverse sono le ipotesi di declino:

•l’ipotesi del deficit di ricerca: gli anziani riuscirebbero meno bene dei giovani nei compiti di apprendimento e di memoria perché si troverebbero in difficoltà nella formulazione spontanea di strategie efficaci, sia durante l’esame degli stimoli da memorizzare sia nella fase di recupero degli item in memoria.

•L’ipotesi della profondità dell’elaborazione: gli anziani non raggiungerebbero spontaneamente la codifica più profonda, quella semantica, e si troverebbero in difficoltà già nel momento della codifica dell’informazione

Per quanto riguarda le abilità acustiche e visive, che vanno ad incidere sull’efficienza del sistema sensoriale, si può notare, a partire dai 50 anni di età, una graduale e progressiva diminuzione di tali capacità.

Le funzioni che per prime e con più probabilità perdono gradualmente l’efficienza sono:

•lettura veloce. •sensibilità alla luce.

•visione di immagini in movimento. •visione da vicino.

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•analisi di ricerca delle strategie visive.

L’acuità visiva invece si riduce progressivamente a partire dai 45 anni in poi, per diventare effettivamente significativa dopo i 70 anni. Con l’invecchiamento si verifica una selezione sempre più rigida delle informazioni provenienti dagli organi sensoriali destinate al cervello che può ricondurre alla “teoria del filtro” elaborata da Broadbent (1958). Essa sostiene che tra le migliaia di stimoli che arrivano ai nostri organi di senso solo alcuni giungono al cervello, quelli che riescono a passare il filtro che separa le strutture periferiche da quelle centrali. Nell’anziano peggiora la percezione analitica dei particolari, ma non la percezione globale di un oggetto.

Anche l’acuità uditiva si riduce con gli anni e conduce a sordità o ipoacusia; tale tipo di deficit influisce sulle relazioni sociali molto più di quella visiva, in quanto l’udito risulta fondamentale per mantenere un rapporto valido con gli altri.

L’attenzione, una delle capacità fondamentali del nostro sistema cognitivo. è contraddistinta da tre caratteristiche:

•Arousal, il livello della soglia di attivazione.

•Capacità dei sistemi attentivi, ovvero la quantità di informazione che può essere elaborata in parallelo.

•Capacità di selezione, cioè la possibilità di ignorare alcune informazioni per prenderne in considerazione altre.

Il decadimento di tale capacità nell’invecchiamento sembra implicare la capacità di distribuire le proprie risorse attentive piuttosto che un deficit complessivo di tale abilità.

Per attenzione fluttuante si intende invece il processo con il quale un individuo può essere in grado di focalizzare l’attenzione, alternativamente, su due stimoli. Le maggiori difficoltà riscontrate negli anziani in compiti che indaghino tale processo, sono stati interpretati come un’incapacità nel mantenere uno stimolo in stand-by quando ci occupa di un altro.

Quindi si può affermare che nelle persone anziane si riscontra una riduzione nella velocità e nella plasticità dell’attenzione, ma tale capacità non viene intaccata nella sua globale efficienza.

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L’elaborazione di uno stimolo deve essere preceduta necessariamente dalla sua percezione; è stato visto come negli anziani si abbia una difficoltà percettiva dovuta sì a un mutamento e deterioramento degli organi di senso, ma anche a cambiamenti dei meccanismi cerebrali centrali.

Nell’anziano, perciò, si riscontrano problemi nell’identificazione di oggetti, una ridotta velocità nell’esaminare gli stimoli che determina una riduzione del materiale acquisito, inoltre un declino dell’attenzione selettiva la quale permette di cogliere alcuni elementi all’interno di un contesto.

6.1. La memoria dell'anziano

Non è infrequente che, invecchiando, capiti di ricordare chiaramente avvenimenti che non sono mai accaduti, o che si sono svolti in modo diverso rispetto a quanto è rimasto impresso nella memoria. Gli anziani hanno una maggiore propensione a ricordare eventi mai successi.

Il soggetto anziano manifesta un fisiologico deficit della capacità di memorizzare fatti recenti, mentre è solitamente meno compromessa la memoria a lungo termine (fenomeno noto come legge di Ribot).

L’anziano normale presenterebbe le seguenti funzioni cerebrali deficitarie:

• velocità di apprendimento, di elaborazione di nuove informazioni, dei tempi di reazione a stimoli complessi;

• memoria ed apprendimento; • funzioni sensoriali;

• forza muscolare; • postura;

• deambulazione.

La funzione mnesica si caratterizza per una riduzione delle capacità di fissazione e, in misura minore, di rievocazione; il linguaggio risulta alterato per una perdita dell’efficacia espressiva con tendenza a ridurre soprattutto l’uso di aggettivi; si riduce la capacità di orientamento temporo-spaziale e la capacità psicomotoria di reazione, a livello intellettivo

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si riduce la capacità di risolvere quesiti complessi e di apprendere in tempo limitato nuove informazioni; a livello comportamentale si osserva tendenza alla depressione, labilità emotiva e comportamento stereotipato.

Nella rievocazione dell'anziano gli avvenimenti trascendono la dimensione di un riferimento rigorosamente storico, di eventi temporalmente dati e cronologicamente riguardati, per entrare piuttosto nella forma del racconto storico.

Nei soggetti anziani il deterioramento mentale può essere secondario a disordini metabolici, malattie cerebrovascolari, farmaci e intossicazioni. Il decadimento cognitivo, associato a cause trattabili, rappresenta circa il 10-20% di tutte le cause note di demenza.

Il processo che si instaura è una correlazione tra perdita di terminali presinaptici, degenerazione neuronale e diminuzione della performance cognitiva e comportamentale.

Molti anziani sviluppano una riduzione di tolleranza al glucosio, che impedisce al corpo di muovere il glucosio dal sangue alle cellule che ne fanno uso causando peggiori prestazioni nei test di memoria. Inoltre, il loro ippocampo è più piccolo.

6.2. Differenze di memoria per la fonte tra soggetti giovani e anziani

L'abilità di ricordare le fonti dalle quali la memoria proviene è un ingrediente importante per quanto riguarda le competenze cognitive. Le memorie originano da fonti molto diverse e, per funzionare efficientemente, le persone dovrebbero essere abili a ricordarle correttamente. Alcune memorie hanno fonti esterne e includono eventi cui abbiamo assistito visivamente, azioni che abbiamo svolto, parole che abbiamo udito o prodotto, letto o scritto. Altre memorie, invece, hanno fonti interne originate dall'immaginazione, dai sogni o da piani e intenzioni. Per distinguere tra falso e vero, il reale e l'immaginato, abbiamo bisogno di distinguere la differenza tra memorie interne ed esterne. È tuttavia necessario anche distinguere la precisa fonte di una memoria esterna per dare senso, coerenza ed affidabilità all'informazione che riceviamo: chi dice cosa e chi ha fatto cosa? E se l'informazione è elaborata attraverso i nostri sensi o ci è giunta attraverso terzi.

In particolare, Johnson and Raye (1981) chiamano questa abilità di discriminare memorie derivate esternamente o internamente reality monitoring. In accordo con questo modello, memorie esterne ed interne possono essere distinte da alcune differenze

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qualitative: le memorie esterne sono caratterizzate dall'essere più ricche di attributi sensoriali come suoni, colori, struttura e di avere più dettagliate informazioni contestuali riguardo al tempo e al luogo rispetto alle memorie interne. Queste ultime, infatti, sono più schematiche e mancano di dettagli sensoriali e contestuali ma includono tracce di operazioni cognitive (ragionamenti, deduzioni, immaginazioni) che le generano.

Quindi, dovrebbe essere possibile determinare la sorgente di una memoria tramite la valutazione delle caratteristiche della traccia. Un esperimento di Schooler, Gerard e Loftus (1986) conferma che ci sono differenze qualitative tra la descrizione fabbricata di un evento non reale e di uno reale, di descrizioni derivate esternamente che possono essere distinte da giudizi indipendenti. Il modello spiega anche i motivi che potrebbero essere alla base degli errori di discriminazione tra i due tipi di memorie: le manipolazioni sperimentali che riducono la differenza qualitativa tra memorie derivanti da fonti differenti causa un aumento della probabilità di confondere la fonte così come maggiore è la somiglianza tra diverse fonti più sarà la probabilità di confonderle.

Difficoltà a distinguere i due tipi di memoria possono essere causate anche da differenze individuali piuttosto che dalla qualità dello stimolo: Johnson, Raye, Wang e Taylor (1979) hanno trovato che soggetti che hanno una buona immaginazione sono meno abili a distinguere immagini auto-generate da memorie derivate esternamente rispetto a soggetti che hanno meno abilità immaginativa. Questo perché a causa della ricchezza dei dettagli delle immagini auto-generate, queste sono più facilmente confuse con vere e proprie percezioni. Alcune malattie che hanno caratteristici disturbi di memoria sono collegati con questi deficit di memoria per le fonti. Mitchell, Hunt e Schmitt (1986) riportano che il fallimento del monitoraggio della realtà sono caratteristici della malattia di Alzheimer.

Schachter, Harbluk and Mc Lachlan (1984) distinguono tra source amnesia e source forgetting, definendo la prima come la capacità di ricordare un fatto ma fallire nel ricordare il contesto e la seconda come la capacità di ricordare un fatto e il contesto ma fallire nel ricordare la fonte esatta (chi ha svolto l'azione oppure chi ha detto cosa).

Pazienti mnesici soffrono principalmente di source amnesia, mentre soggetti normali raramente mostrano alcuna source amnesia ma soffrono più di source forgetting che aumenta all'aumentare dell'intervallo di ritenzione del ricordo.

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memorie per la fonte sono imperfette. Non è insolito per le persone dimenticare se hanno effettivamente fatto qualcosa o se lo hanno solo pianificato, basti pensare a quando non ricordiamo esattamente se abbiamo chiuso la macchina o se abbiamo spento le luci prima di uscire di casa.

Il source forgetting è anche uno dei fattori implicati negli errori e nelle distorsioni che sorgono durante le testimonianze di testimoni oculari (Loftus, 1979).

I testimoni, a volte, confondono le memorie di un evento visivamente percepito con memorie di informazioni ingannevoli presentate verbalmente successivamente, dimenticando la fonte dell'informazione ingannevole e credendo che sia originata direttamente dall'evento cui hanno assistito.

Mitchell et al. (1986) hanno testato l'abilità di soggetti giovani ed anziani di ricordare la fonte delle parole che hanno letto o che loro stessi hanno generato per riempire un vuoto in una frase. Il gruppo degli anziani risulta aver commesso più errori rispetto al gruppo dei giovani.

McIntire e Craik (1987) hanno condotto un esperimento presentando dei fatti nuovi a giovani adulti e ad anziani. Dopo una settimana è stato chiesto di ricordarli e il gruppo anziani esibiva sostanzialmente molta più source amnesia e source fogetting del gruppo giovani.

Differenze di memoria nel riconoscimento della traccia potrebbero derivare da un deficit di codifica correlato all'età. Evidenze sperimentali (Burke & Light, 1981) hanno mostrato che le tracce di memoria codificate dagli anziani contengono meno informazioni contestuali e tendono perciò a mancare di dettagli che potrebbero portare ad identificare correttamente la fonte del ricordo. Anche i deficit sensoriali tipici dell'età avanzata possono ridurre la quantità di informazioni sensoriali codificate nelle tracce di memoria provenienti da eventi esterni.

In alcuni esperimenti di Cohen e Faulkner (1989), nei quali si ricercavano differenze tra giovani e anziani per il riconoscimento delle fonti di memoria, è stato dimostrato che un declino del richiamo di queste fonti può diminuire l'accuratezza e l'affidabilità dei testimoni oculari più anziani. Il primo di questi esperimenti, voleva testare l'ipotesi che gli anziani facessero più errori rispetto ai giovani nel ricordare la fonte delle azioni che loro stessi avevano svolto, guardato o immaginato. In accordo con il modello di Johnson e Raye, le memorie per le azioni svolte dovrebbero includere informazioni sensoriali (visive

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e tattili) così come alcune tracce di operazioni cognitive; le memorie per le azioni immaginate dovrebbero contenere sempre operazioni cognitive ma non informazioni sensoriali; le memorie per le azioni osservate dovrebbero includere informazioni visive ma mancare di componenti cognitive e tattili. I risultati mostrarono che i soggetti anziani erano meno portati ad affermare che le azioni viste erano state solo immaginate ma più portati a dichiarare che le azioni solo immaginate erano state viste realmente e che le azioni viste erano state svolte addirittura da loro stessi. Questo pattern di errori riflette il fallimento di distinguere tra fonti esterne ed interne, non solo, anche di distinguere tra azioni svolte in prima persona e svolte da qualcun altro. Ci sono diverse spiegazioni che possono contribuire a questo pattern di differenze, ma alcune possono essere escluse:

La differenza tra i due gruppi è dovuta alla qualità della traccia di memoria. Johnson et al. (1979) mostrano che soggetti con una vivida immaginazione sono più portati a confondere azioni immaginate con azioni realmente percepite. Però questa spiegazione non può essere soddisfacente per quei casi in cui sono state presentate “nuove azioni” che sono state confuse con “azioni viste”. Perché le nuove azioni, per definizione, non hanno tracce di memoria in generale e questa confusione non può essere dovuta agli aspetti qualitativi della traccia di memoria.

Differenza di età nella fiducia. Se non riescono a ricordare qualcosa, i giovani, probabilmente assumono che quel qualcosa non sia mai accaduto. Gli anziani, invece, hanno meno fiducia nella loro memoria e arrivano alla conclusione che se non ricordano qualcosa, probabilmente è successo realmente ma loro semplicemente non lo ricordano.

Differenza di età in bias di risposta. Gli errori sembrano riflettere un bias di risposta, per cui i soggetti anziani utilizzano maggiormente la categoria “azioni viste”. I soggetti giovani, invece, sono più selettivi e, prima di decidere per questa categoria, richiedono più prove. Gli anziani probabilmente, sono meno selettivi perché credono di aver più probabilità di fallire nel ricordo.

Non è chiaro tuttavia, nella vita di tutti i giorni, se siano più dannose le conseguenze di negare che qualcosa sia successo anche quando è successo realmente o di decidere che qualcosa sia successo quando in realtà non è cosi.

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quotidiana, le persone anziane tenderebbero a credere maggiormente che azioni solo immaginate sono accadute realmente, che quelle svolte sono state solamente programmate e che hanno detto cose che in realtà hanno solo pensato.

Questi risultati indicherebbero perciò che le persone anziane sono più suggestionabili e facilmente persuadibili di aver visto qualcosa che in realtà non è mai accaduto.

Ciò potrebbe essere generalizzato anche ai testimoni oculari di eventi criminali.

Il secondo esperimento di questi autori, voleva investigare come la differenza di età possa influenzare l'abilità di distinguere tra la memoria di un evento al quale si è assistito e la memoria di un un evento che è stato solo descritto ma mai accaduto.

Veniva mostrato ai soggetti un video nel quale era inscenato un rapimento, poi veniva consegnata ad un gruppo una versione della storia con dettagli diversi dall'originale e fuorvianti e all'altro gruppo una versione originale e autentica. Successivamente, dopo circa dieci minuti di attività distraente, era chiesto ai soggetti di svolgere un test nel quale si chiedeva di rispondere con l'alternativa corretta ad una serie di domande riguardanti il film.

I risultati mostrano che, quando i soggetti anziani non sono esposti alle informazioni fuorvianti, essi ricordano gli eventi che hanno visto nel video e letto nella storia scritta molto bene così come i soggetti più giovani. Tuttavia, quando sono esposti alla storia falsificata, sono più influenzati da questa.

Ci sono alcune spiegazioni per questi errori:

• Gli anziani ricordano sia il video che la storia scritta, ma confondono la fonte delle due versioni.

• Gli anziani dimenticano la storia l'originale presentata nel film, ricordando invece la storia scritta dimenticando la fonte e quindi concludono che derivi dal film.

• Gli anziani dimenticano l'evento originale, ricordano la storia scritta ricordando anche che deriva da quella fonte ma concludono che devono averlo visto anche nel video.

• Gli anziani dimenticano sia il video che la storia scritta e scelgono determinate risposte solo per puro caso.

Quindi, scegliere l'alternativa non corretta può essere dovuto dal dimenticare entrambi gli eventi, le fonti o da una combinazione di entrambi i casi. Anche Yarmey (1984) riporta

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che i testimoni più anziani ricordano meno dettagli e sono meno accurati rispetto ai giovani testimoni nel richiamo degli eventi. Elizabeth Loftus (Loftus & Loftus, 1980) interpreta questo effetto con il fatto che la memoria dell'evento originale cambia o viene distorta per conformarsi con le false informazioni e attribuita poi alla fonte originale.

Questi risultati indicherebbero che tutto ciò dovrebbe essere preso in considerazione quando, in un contesto legale, si valuta la credibilità di testimoni anziani.

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Capitolo 2

Le testimonianze

1. Introduzione alla psicologia della testimonianza

La psicologia della testimonianza è una specifica applicazione della psicologia giuridica. La sua nascita è fatta risalire agli inizi del ‘900 quando Alfred Binet nel suo libro “La Suggestebilité” affermava che le suggestioni influenzano le risposte dei testimoni.

In particolare dopo una serie di studi effettuati, Binet concluse che le risposte sbagliate che i bambini fornivano durante gli interrogatori potevano essere associate all’esistenza di vuoti nella memoria che successivamente i soggetti tentavano di riempire accettando le opinioni dello sperimentatore, suggerite attraverso le cosiddette domande suggestive. L’informazione indicata dall’adulto inoltre veniva immagazzinata dai bambini come parte del ricordo originario. Binet sostenne che tale meccanismo fosse da attribuire a fattori sociali, quali la tendenza dei bambini a compiacere gli adulti, piuttosto che ad errori di memoria.

Si dovette aspettare il 1908 per la pubblicazione del primo vero libro riguardante la psicologia della testimonianza. Nel testo “On the Witness Stand” di Hugo Münsterberg vennero messe in luce tutte le illusioni che avrebbero potuto condizionare la mente del testimone, andando a sottolineare così l’inaffidabilità della percezione e della memoria umana, e i metodi e le tecniche per valutare il grado di affidabilità individuale del testimone.

In Italia questa disciplina trova spazio intorno al 1930 con autori come Musatti e Altavilla. Entrambi hanno posto la loro attenzione al tema della relatività della verità giudiziale; hanno parlato di testimonianza e di sincerità del testimone, di soggettività delle percezioni, di lacunosità della memoria e di processi di ricostruzione a posteriori, di menzogna, di domande insidiose, di strategie dell’arringa, temi ancora ampiamente dibattuti nei manuali di psicologia giuridica (Gulotta G., 2000).

Musatti fin dal 1931 poneva l’attenzione sull’importantissima differenza tra accuratezza e credibilità della testimonianza: parametri ritenuti indispensabili per la valutazione dell’attendibilità della prova testimoniale. Facendo preciso riferimento alla

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credibilità, in particolare affermava l’esistenza di strumenti affidabili per arrivare a capire se una persona aveva realmente partecipato ad un evento, se ne era venuto a conoscenza tramite terzi o se stava mentendo. Tali metodi illustrati nel suo libro “Elementi di psicologia della testimonianza” erano: la diagnosi pneumografica e la diagnosi di un fatto. La prima prevedeva l’analisi respiratoria del teste; dopo diversi studi Musatti stabilì una particolare tipologia di respiro in chi nell’atto del testimoniare sa di mentire. La seconda invece, ancora oggi utilizzata, fa riferimento ai tempi di latenza della risposta. Nel 1970, grazie agli studi sui falsi ricordi di Elizabeth F. Loftus, si entra nell’era moderna della ricerca scientifica della testimonianza, ma è nel 1990 che si ebbe una vera svolta: con l’avvento dei test del DNA, venne alla luce che alla base della maggior parte delle condanne errate vi sono stati errori nel riconoscimento del colpevole da parte dei testimoni, errori che possono per natura essere volontari o involontari.

Oggi, la psicologia della testimonianza studia le fonti di interferenza e le deformazioni più frequenti che possono portare a discrepanze tra la realtà obiettiva dei fatti e la loro rievocazione da parte del testimone.

2. Che cos'è la testimonianza

Stern (1939) definisce la testimonianza come una riproduzione verbale o scritta di contenuti mnemonici, che fanno riferimento ad una particolare esperienza o ad un certo evento esperito.

Il contenuto della testimonianza è il risultato dell'interazione tra il contenuto della memoria, il contenuto dell'evento cui si è assistito e i processi cognitivi e decisionali su cui il soggetto intende o meno riferire.

In Italia, il primo ad occuparsi, in modo scientifico, di psicologia della testimonianza fu Cesare Musatti. Secondo l'autore, il contenuto della deposizione non è mai una pura riproduzione fotografica del fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di fattori: elementi del fatto obiettivo, elementi esterni, personalità dell'individuo ed esperienze passate.

La testimonianza può essere distinta in testimonianza diretta, nel caso in cui l’individuo ha assistito al fatto in prima persona e testimonianza indiretta, quando, invece, l’individuo è venuto a conoscenza del fatto in un secondo momento tramite il racconto di

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altri. Nel secondo caso è possibile che avvenga una re-interpretazione da parte del soggetto riguardo ai fatti di cui è venuto a conoscenza.

In entrambi i casi comunque la testimonianza riporta sia una parte di verità oggettiva sia una costruzione soggettiva dei fatti, legata a componenti emozionali e situazionali che influenzano il ricordo ma anche ai precedentemente citati errori di memoria. Quindi non si profila mai come un ricordo imparziale e assoluto, ma come un’interpretazione che implica l’attivo e selettivo intervento del testimone, con la sua personalità, la sua cultura ed i suoi inevitabili pregiudizi.

Il contenuto della testimonianza dipende dall'interazione tra il contenuto della memoria, il contenuto dell'evento a cui il testimone ha assistito e i processi decisionali riguardanti gli elementi che il soggetto intende rievocare e riferire.

Operazioni di questo tipo possono portare il testimone oculare a fornire involontariamente una deposizione diversa dal reale svolgimento dei fatti, in quanto possono avere alterato la percezione dell’evento e dei fatti accaduti da renderli diversi da ciò che accadde effettivamente (Loftus, 1999; Gulotta 1987; De Cataldo, 1988; Cavedon, 1992; Mazzoni, 1997; Mazzoni, 2000).

Questo aspetto soggettivo della testimonianza ci mette difronte a due paradossi. Il primo lo si può osservare prendendo in esame gli atti preliminari all’audizione del testimone durante il processo: il giudice avverte colui che si presta a testimoniare dell’obbligo di dire la verità e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione mi impegno a dire tutta la verità e non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.” (Art.497/2 c.p.p). Ma come sostenuto anche da Musatti non esistono testimonianze di cui si possa dire che sono integralmente veritiere e da esse non si può pervenire ad una verità obiettiva, poiché ogni fatto di cui si viene a conoscenza è visto da ciascuno attraverso la sua specifica persona. Per superare tale paradosso bisognerebbe chiedere al testimone di essere sincero, cioè di dire ciò che sa, e di non essere reticente, cioè di non nascondere quello che sa. È prendendo in considerazione i diversi legami che possono formarsi tra dire e sapere e le loro negazioni che risulta evidente e rilevante la distinzione tra dire il vero e l’essere sincero. Già Altavilla osserva come i due termini non si equivalgono: “la sincerità ha un valore puramente soggettivo e si riferisce ad un’attitudine psicologica, alla tendenza a dire quello che si sa e si pensa, ed è accompagnata quasi sempre da quell’atteggiamento

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